JON

Salì lentamente i gradini di pietra, cercando di non pensare che poteva essere l’ultima volta. Spettro lo seguiva, silenzioso come sempre. Fuori, refoli di neve vorticavano sui portali del castello e il grande cortile era un ribollire di rumori e di caos, ma dentro le spesse mura di pietra tutto era immobile, tiepido, silente. Fin troppo immobile e silente, per Jon.

Raggiunse il pianerottolo più in alto e si fermò per un lungo momento. Aveva paura. Sentì il muso di Spettro spingere contro la sua mano e il contatto gli diede coraggio. Si raddrizzò ed entrò.


Un’ombra era seduta accanto al letto. Era là da molto tempo, giorno e notte. Lady Stark non si era mai allontanata dal capezzale di Bran, nemmeno per un istante. Si era fatta portare il cibo, pitali per espletare le proprie funzioni corporali, un piccolo, duro pagliericcio sul quale dormire. Ma i sussurri del castello dicevano che non aveva dormito molto, su quel pagliericcio. Aveva nutrito lei stessa il bambino con la mistura di erbe, miele e acqua che teneva accesa la flebile fiamma della sua vita. Non aveva mai lasciato la stanza. Per questo Jon si era tenuto lontano.

Ma ora il tempo era finito.

Rimase immobile sulla soglia, timoroso di parlare, ancora più timoroso di andare avanti. La finestra era aperta. Fuori, un lupo senza nome ululò. Spettro lo udì e alzò il muso.

Lady Stark si girò verso di lui e per alcuni attimi parve non riconoscerlo. Alla fine, strinse le palpebre. «Cosa sei venuto a fare qui?» La sua voce era piatta, priva di qualsiasi emozione.

«A vedere Bran. A dirgli addio.»

«Gliel’hai detto.» Non ci fu nessun cambiamento nella voce di Catelyn. I suoi lunghi capelli neri erano opachi, aggrovigliati. Nell’arco di una sola notte, pareva invecchiata di vent’anni. «Adesso vattene.»

Una parte di Jon voleva farlo, voleva scappare a gambe levate, ma l’altra parte sapeva che se l’avesse fatto, forse non avrebbe mai più rivisto Bran. Fece un cauto passo in avanti.

«Ti prego…» mormorò.

«Ti ho detto di andare via.» Qualcosa di raggelante si mosse negli occhi di lei. «Non ti vogliamo qui.»

In un’altra circostanza, quelle parole gli avrebbero messo le ali ai piedi portando lacrime ai suoi occhi. In questa circostanza, l’unico risultato che ottennero fu di farlo infuriare. Presto sarebbe diventato un confratello dei Guardiani della notte e avrebbe affrontato pericoli ben più letali di Catelyn Tully Stark. «Bran è mio fratello» disse.

«Preferisci che ti faccia buttare fuori dalle guardie?»

«Chiamale pure, le tue guardie.» Jon accettò la sfida. «Non m’impediranno di vedere mio fratello. Nemmeno tu me lo impedirai.» Attraversò la stanza lasciando il letto come una muraglia tra loro. Guardò suo fratello.

Catelyn teneva tra le sue una mano di Bran. Pareva un artiglio. L’essere che giaceva in quel letto non era il Bran che Jon conosceva. La carne sembrava svanita. La pelle si tendeva sulle ossa simili a bastoni di legno. Sotto la coperta, s’indovinavano forme contorte, che Jon trovò quasi repellenti: le gambe. Gli occhi erano sprofondati nelle orbite, spalancati sul vuoto, completamente ciechi. Era come se la caduta avesse raggrinzito Brandon Stark all’interno di quanto restava del suo corpo. Pareva una foglia secca, che il primo colpo di vento avrebbe trascinato via, verso la tomba.

Eppure, dentro quella gabbia fragile di costole spezzate, continuava a esistere il respiro. Il torace si sollevava, si abbassava, tornava a sollevarsi.

«Bran» sussurrò Jon. «Perdonami se non sono venuto da te prima. Io… avevo paura.» Lacrime gli scesero sulle guance, ma non gliene importò nulla. «Ti prego, fratello, non morire. Ti prego. Tutti noi aspettiamo che tu ti risvegli. Robb e le ragazze e io… tutti noi…»

Lady Stark osservava senza dire una parola. Jon interpretò il suo silenzio come un segno di accettazione. Là fuori, il meta-lupo ululò di nuovo, il meta-lupo al quale Bran non aveva fatto in tempo a dare un nome.

«Io adesso devo andare, Bran» proseguì. «Zio Benjen mi aspetta. Vado a nord, alla Barriera. Dobbiamo partire oggi, prima che arrivino le grandi nevi.»

Ricordò quanto Bran fosse stato eccitato all’idea del viaggio. E d’un tratto abbandonare suo fratello in quello stato fu molto di più di quanto fosse in grado di sopportare. Si asciugò le lacrime, si protese in avanti e baciò leggermente Bran sulle labbra.

«Non volevo che lui andasse al Sud» disse lady Stark in un soffio. «Volevo che rimanesse qui con me.»

Jon le rivolse uno sguardo cauto. Lei non lo stava guardando, gli stava parlando, però era come se lui non fosse nemmeno nella stanza.

«Ho pregato tanto che non andasse» continuò Catelyn in quel tono distante. «Era il mio bimbo speciale. Sono andata all’altare e ho pregato sette volte i sette volti di dio perché Ned cambiasse idea e lo lasciasse qui con me. A volte, gli dei esaudiscono le preghiere.»

Jon non sapeva cosa dire. «Non è stata colpa tua» azzardò dopo un silenzio imbarazzato.

Fu a quel punto che gli occhi di lei trovarono i suoi. Quando parlò, la sua voce era un fiume di veleno: «Non so che farmene della tua assoluzione… bastardo».

Jon abbassò lo sguardo. Catelyn continuava a stringere la mano di Bran tra le sue, dita che parevano le ossa di un corvo.

«Addio, fratello.»

La voce di lei lo raggiunse sulla soglia: «Jon». Non aveva intenzione di fermarsi, ma non l’aveva mai chiamato per nome, perciò si girò. Catelyn lo guardava dritto in faccia, come se lo vedesse per la prima volta.

«Cosa c’è, lady Stark?»

«Avresti dovuto essere tu a schiantarti su quelle pietre, al posto di Bran.»

Poi Catelyn tornò a girarsi verso il figlio e scoppiò in un pianto disperato, tutto il suo essere scosso dai singhiozzi. Mai prima di allora Jon l’aveva vista piangere.

E per lui, quella fino al cortile fu una lunghissima discesa.


Fuori, il caos e il rumore continuavano: carri che venivano caricati, uomini che gridavano, cavalli fatti uscire dalle stalle, completi di sella e di redini. Stava nevicando, fiocchi impalpabili come cenere. Tutti erano ansiosi di partire.

Robb si trovava nel bel mezzo di quel bailamme, urlando ordini assieme agli altri ufficiali di Casa Stark. Sembrava essersi fatto uomo d’improvviso, come se la caduta di Bran e il crollo di sua madre l’avessero reso più forte. Al suo fianco c’era Vento grigio.

«Zio Benjen ti sta cercando dappertutto» disse a Jon. «Voleva partire un’ora fa.»

«Lo so.» Jon osservò il caos tutt’attorno a loro. «Andare via è molto più duro di quanto pensavo.»

«Anche per me sapere che te ne vai.» Il calore del corpo di Robb stava facendo sciogliere la neve che gli era caduta sui capelli. «L’hai visto?»

Jon annuì, non fidandosi a parlare perché temeva di lasciar cadere altre lacrime.

«Non morirà» dichiarò Robb. «So che non morirà.»

«Voi Stark siete duri da far fuori» convenne Jon. La sua voce suonò piatta, stanca. L’addio a Bran l’aveva come prosciugato dentro. Robb percepì che qualcosa non andava.

«Mia madre…»

«Lei è stata…» Jon andò alla ricerca delle parole adatte. «Molto gentile.»

«Bene.» Robb apparve sollevato. «La prossima volta che ci rivedremo, sarai uno degli uomini in nero.»

«È sempre stato il mio colore preferito.» Jon riuscì a rispondere al suo sorriso. «Quanto tempo pensi che passerà?»

«Non molto.» Robb attirò a sé il fratello e lo abbracciò con fierezza. «Addio, Snow.»

«Addio a te, Stark.» Jon rispose al suo abbraccio. «Prenditi cura di Bran.»

«Lo farò.»

Si sciolsero dall’abbraccio e si scambiarono un’occhiata imbarazzata.

«Zio Benjen mi ha detto di dirti di andare subito alle stalle» gli comunicò Robb alla fine, rompendo il silenzio. «Nel caso ti avessi visto.»

«Mi manca ancora un saluto» rispose Jon.

«Allora non ti ho visto» replicò Robb. Jon lo lasciò in piedi nella neve, circondato da carri, cavalli, lupi.


Non gli ci volle molto per arrivare all’armeria. Prelevò ciò per cui era venuto e continuò lungo il ponte coperto che portava alla Prima Fortezza.

Arya era nella sua stanza e riempiva un lucido baule di legno-ferro ben più grosso di lei. Nymeria la aiutava. Tutto quello che Arya doveva fare era indicare. La meta-lupa trotterellava attraverso la stanza, afferrava tra le zanne un mucchietto di seta e glielo portava. Ma nell’attimo in cui captò l’odore di Spettro, sedette sulle zampe posteriori ed emise un guaito.

Nel vedere Jon, Arya saltò in piedi e volò a gettargli le braccia magroline attorno al collo.

«Temevo che te ne fossi andato.» Il respiro le si spezzò in gola. «E non mi lasciano andar fuori per gli addii.»

«Che altro hai combinato?» Jon era divertito.

«Niente, ti assicuro.» Arya si staccò da lui e fece una smorfia. «Era tutto pronto e impacchettato.» Accennò al colossale baule, pieno solamente per un terzo, e ai vestiti sparsi dappertutto nella stanza. «Ma septa Mordane mi dice che devo ricominciare daccapo. Le mie cose non erano piegate come si deve, mi dice. Una vera signora del Sud non scaraventa dentro il baule i suoi abiti come se fossero stracci vecchi, mi dice.»

«Ed è davvero questo che avevi fatto, sorellina?»

«Tanto finirà tutto stropicciato comunque» protestò Arya. «Che differenza fa com’è piegata la roba?»

«Un’altra cosa che non credo septa Mordane apprezzi» disse Jon «è l’aiuto di Nymeria.» La meta-lupa lo osservò in silenzio con gli occhi d’oro scuro. «Meglio così» riprese Jon «perché ho qui qualcos’altro che devi portarti dietro. Ed è meglio che sia impacchettato con molta attenzione.»

Il viso di Arya s’illuminò. «Un regalo?»

«Una specie. Chiudi la porta.»

Sul chi vive e tutta eccitata al tempo stesso, Arya si protese a dare un’occhiata nel corridoio. «Nymeria, qui.» Fece uscire la meta-lupa dalla stanza. «Di guardia» le ordinò, chiudendo la porta.

Jon tolse dall’involto di stoffa l’oggetto che aveva portato e lo tese a sua sorella.

Gli occhi di Arya si spalancarono, occhi scuri come i suoi. La voce di lei era un sussurro: «Una spada».

Il fodero era di soffice cuoio grigio, liscio e ricco come il peccato.

«Arya, questo non è un giocattolo…» Lentamente, Jon estrasse la lama, in modo che lei vedesse la sfumatura azzurra del puro acciaio. «Sta’ attenta a non tagliarti. È affilata come un rasoio.»

«Alle ragazze non servono rasoi» scherzò lei.

«Ad alcune sì» sorrise Jon. «Le gambe della septa le hai mai guardate?»

Arya ridacchiò alla battuta, ma il suo sguardo non si staccò mai dalla spada. «È così sottile…»

«Proprio come te» confermò Jon. «L’ho fatta fare da mastro Mikken apposta. I braavos usano spade come questa a Pentos, Myr e nelle altre Città Libere. Un uomo non lo decapita, ma a usarla nel modo giusto, con la rapidità giusta, lo può riempire di brutti buchi.»

«Io ce l’ho la rapidità!»

«Ma dovrai far pratica tutti i giorni.» Jon le mise l’elsa in mano, le mostrò come impugnarla e fece un passo indietro. «Come la senti? Ti piace il suo bilanciamento?»

«Direi di sì.»

«Prima lezione: infilzarli sempre di punta.»

Arya gli diede un colpo con il piatto della lama. «Lo so con quale parte colpirli!» dichiarò, ma immediatamente dopo fu piena di dubbi. «Septa Mordane me la porterà via.»

«Per portartela via, dovrà sapere che ce l’hai.»

«Ma Jon, con chi potrò fare pratica?»

«Troverai qualcuno» l’assicurò lui. «Approdo del Re è una vera città, mille volte più vasta di Grande Inverno. Fino al momento in cui non troverai un compagno di lama, osserva gli addestramenti nel cortile della Fortezza Rossa. E poi corri, va’ a cavallo, diventa forte. Ma qualsiasi cosa tu faccia…»

Arya conosceva quel gioco privato tra loro due. Lei e Jon continuarono in coro: «Non-dirlo-a-Sansa!».

Jon le scompigliò i capelli. «Mi mancherai, sorellina.»

Improvvisamente, l’irriducibile Arya parve sul punto di mettersi a piangere. «Vorrei che tu venissi con noi.»

«Strade diverse a volte conducono allo stesso castello. Chi può sapere?» Ora Jon si sentiva meglio, non avrebbe permesso alla tristezza di aggredirlo di nuovo. «Devo andare, adesso. Se faccio aspettare zio Benjen un altro po’, passerò il mio primo anno sulla Barriera a svuotare pitali.»

Arya corse da lui per l’ultimo abbraccio.

«Calma, sorellina!» l’avvertì con una risata. «Prima metti giù la spada.»

Lei la mise da parte quasi con vergogna, poi lo tempestò di piccoli baci.

Quando fu giunto sulla porta, si voltò verso di lei per l’ultima volta e la vide con la spada in pugno, che se la bilanciava nella mano.

«Oh, a momenti dimenticavo…» le disse. «Tutte le grandi spade hanno un nome.»

«Come Ghiaccio» convenne Arya studiando la sua lama. «E questa? Ce l’ha, un nome? Dimmelo, Jon!»

«Non indovini?» fece lui con un sorriso ironico. «Qual è la tua cosa preferita?»

Arya apparve perplessa, ma non durò che un batter d’occhi perché era rapida, molto rapida. Dissero in coro anche questo: «Ago!».

Il ricordo della loro ultima risata insieme riscaldò Jon Snow per tutta la lunga cavalcata verso settentrione.

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