TYRION

Il Nord si dilatava senza fine.

Tyrion Lannister aveva visto le mappe, ma i giorni di marcia lungo le piste selvagge che dalla strada del Re li avevano condotti in quella desolazione raggelante gli avevano insegnato una dura lezione: le mappe sono una cosa, la terra è una cosa brutalmente diversa.

Avevano lasciato Grande Inverno lo stesso giorno del re, fendendo il caos del convoglio reale in partenza. Avevano varcato i portali della Prima Fortezza in mezzo a esili vortici di neve mentre attorno a loro echeggiavano le grida dei cavalieri e lo sbuffare dei cavalli, lo scricchiolare dei carri e il cigolare lamentoso delle ruote della mastodontica casa su ruote della regina. La strada del Re si dipanava poco fuori i limiti del castello e della città. Gli alfieri, i carri, i cavalieri e gli armigeri si erano diretti a sud, portandosi via il clamore. Tyrion era andato a nord assieme a Benjen Stark e a suo nipote.

Oltre quel punto, il freddo era aumentato e il silenzio si era fatto profondo.

A ovest della strada s’innalzavano colline di silice, grigie e aspre, con alte torri di guardia sulle cime rocciose. A est il territorio si allargava in una pianura estesa fino agli estremi limiti dell’orizzonte. Ponti di pietra scavalcavano fiumi stretti, dalla corrente impetuosa. Anelli di piccole fattorie circondavano fortini protetti da mura di pietra e di legno massiccio. La via rimaneva ben trafficata. Durante la notte, Tyrion, Benjen e gli altri sostavano in austere taverne.

Ma a tre giorni di marcia da Grande Inverno, fitti boschi presero il posto delle coltivazioni e la strada del Re si fece solitaria. Miglio dopo miglio, le colline di silice si facevano più alte e desolate. Il quinto giorno erano diventate montagne, freddi giganti di roccia di un colore grigio metallico con la neve che assediava i frastagliati acrocori di granito delle cime. E quando soffiava il vento del nord, lunghi pennacchi di cristalli di ghiaccio si gonfiavano come vessilli da quelle sommità.

Avendo la muraglia delle montagne a occidente, la strada del Re era costretta a continuare verso nord deviando a nord-est. Il suo tracciato si snodava nel cuore di una foresta di querce, abeti e rovi: il più vecchio e tenebroso labirinto di alberi che Tyrion avesse mai avuto occasione di vedere. “Foresta del lupo” l’aveva chiamata Benjen Stark: e i lupi erano là fuori, la notte vibrava dei loro ululati, alcuni branchi lontani, altri molto vicini. Le orecchie di Spettro, il meta-lupo albino di Jon Snow, si rizzavano alle voci ancestrali della notte, ma neppure una volta il suo ululato si levò in risposta. C’era qualcosa d’inquietante in quell’animale, pensava Tyrion.

Erano in otto, senza contare il lupo. Tyrion, come si confaceva a un Lannister, viaggiava con due uomini di scorta; Benjen Stark aveva con sé solamente il nipote bastardo più alcuni nuovi adepti per i Guardiani della notte. Quando si fermarono ai margini della Foresta del lupo per passare la notte nella protezione delle mura di un fortino tra gli alberi, venne a unirsi a loro Yoren, un altro membro della confraternita in nero. Era un uomo curvo, sinistro, i lineamenti celati dietro una barba nera come i suoi abiti. Dava l’impressione di essere resistente come una vecchia radice e duro come il basalto. Con lui c’erano un paio di giovani straccioni provenienti dalle Dita, i promontori rocciosi che si protendevano nell’oceano Orientale.

«Stupratori» si era limitato a definirli Yoren, gettando loro uno sguardo freddo.

Tyrion si era reso conto dei sottintesi. La vita sulla Barriera era molto dura, ma certamente preferibile alla castrazione.

Cinque uomini, tre ragazzi, un meta-lupo, venti cavalli, una gabbia di corvi data a Benjen Stark da maestro Luwin: decisamente una bizzarra compagnia per un viaggio sulla strada del Re, o su qualsiasi altra strada.

Tyrion si accorse che Jon Snow continuava a osservare Yoren e i suoi cupi compagni con un’espressione che assomigliava in modo preoccupante all’angoscia. Yoren aveva una spalla storta e si portava addosso un tanfo malsano. I suoi capelli e la sua barba erano appiccicosi di sporco rancido, pieni di pidocchi. Indossava abiti vecchi, malridotti, puzzolenti. Le sue due reclute, entrambe dall’aria idiota e crudele, puzzavano in modo anche peggiore.

Forse il giovane Snow cominciava a capire di aver commesso un madornale errore credendo che la confraternita dei Guardiani della notte fosse composta da uomini come suo zio. Se così era stato, la vista di Yoren e dei suoi due brutti ceffi era un duro richiamo alla realtà. Tyrion si dispiacque per lui. Aveva scelto una vita aspra… o forse sarebbe stato più opportuno dire che una vita aspra era stata scelta per lui.

Per contro, Tyrion aveva molta meno simpatia per lo zio in nero. Benjen Stark sembrava condividere l’avversione di suo fratello Eddard per i Lannister. Era stato tutt’altro che compiaciuto quando Tyrion gli aveva confermato la sua decisione di andare con lui a nord a visitare la Barriera. «Un avvertimento, Lannister» aveva detto guardandolo dall’alto in basso, letteralmente. «Non troverai taverne alla Barriera.»

«Ma non dubito che riuscirete comunque a trovare un posto in cui mettermi» aveva ribattuto Tyrion. «Come vedi, non occupo molto spazio.»

Nessuno avrebbe detto di no al fratello della regina, questo era chiaro, per cui Tyrion avrebbe compiuto il viaggio. «Non credo che apprezzerai la cavalcata» aveva concluso Stark seccamente. «Puoi considerarla una promessa.» E aveva fatto di tutto per mantenerla.

Al termine della prima settimana, Tyrion aveva le cosce piagate dalle lunghe ore di sella, un inferno di crampi nelle gambette deformi, e tutto il suo essere raggelato fino al midollo, ma non si lasciò sfuggire un solo lamento. Sarebbe andato all’inferno piuttosto che dare a Benjen Stark una simile soddisfazione.

Era riuscito comunque a prendersi una piccola rivalsa. Con un gesto della galanteria propria dei Guardiani della notte, Benjen gli aveva offerto una pelliccia per il viaggio, certo che Tyrion, con altrettanta galanteria, l’avrebbe rifiutata. Invece, con un grazioso sorriso, il Folletto aveva accettato la vecchia pelle d’orso spelacchiata e maleodorante. E aveva fatto bene. Partendo da Grande Inverno, aveva portato con sé gli indumenti più caldi che aveva, ma non ci aveva messo molto a rendersi conto che nessuno di quegli abiti era in grado di fornire adeguata protezione. Faceva freddo, là fuori. E non avrebbe fatto che aumentare. Le notti erano ormai sotto il limite di congelamento e quando il vento soffiava, era come una lama che scendesse a squarciare i più spessi strati di lana. Forse Benjen Stark si stava pentendo amaramente del suo impulso cavalieresco. Gli sarebbe servito di lezione: un Lannister non rifiuta mai niente, con o senza buona grazia. Un Lannister prende quanto gli viene offerto.


Sempre più a nord, sempre più in profondità nella Foresta del lupo.

Fortini e taverne divennero sempre più rari e alla fine qualsiasi tipo di struttura scomparve del tutto e i cavalieri dovettero fare conto sulle loro sole forze.

Tyrion non era mai stato un asso nel preparare o smantellare accampamenti: troppo basso, troppo goffo, troppo impacciato. Così, mentre Benjen, Yoren e gli altri erigevano rifugi spartani, si occupavano dei cavalli e accendevano il fuoco, il Folletto prese l’abitudine di avvolgersi nella sua pelliccia, munirsi di un otre di vino e mettersi in un angolo a leggere.

Diciottesima notte di viaggio. Il suo vino era un raro liquore ambrato delle isole dell’Estate che aveva portato con sé da Castel Granito e il libro era un ponderoso tomo sulla storia e le caratteristiche dei draghi. Proprio in vista dell’escursione verso nord, e con il permesso di lord Eddard Stark, il Folletto aveva preso a prestito alcuni rari testi, dalla biblioteca di Grande Inverno.

Trovò un angolo confortevole appena al di là della portata dei rumori del campo, sulla riva di un torrente dal corso rapido e dalle gelide acque cristalline. Una quercia ancestrale, il tronco contorto in modo grottesco, gli fornì un provvidenziale riparo contro il vento. Si avvolse nella pelliccia, appoggiò la schiena contro il tronco, bevve una sorsata di vino e cominciò a leggere le proprietà delle ossa di drago.

“L’osso di drago è di colore nero a causa del suo elevato contenuto di ferro” spiegava il libro. “E anche resistente come l’acciaio, ma al tempo stesso leggero e flessibile, e naturalmente del tutto inattaccabile dal fuoco. Gli archi di osso di drago sono grandemente apprezzati dai guerrieri dothraki e sono anche delle piccole meraviglie. Un arciere con un arco di osso di drago può colpire più sicuramente e più lontano che con qualsiasi arco di legno.”

Per Tyrion, i draghi avevano un fascino sinistro. Quando era giunto ad Approdo del Re per la prima volta, in occasione del matrimonio di sua sorella con Robert Baratheon, aveva assolutamente voluto vedere i teschi di drago che ornavano le pareti della sala del trono dei Targaryen. Re Robert li aveva fatti rimuovere, mettendo al loro posto bandiere e tappezzerie, ma Tyrion aveva insistito finché non era riuscito a scovarli, ammucchiati in uno scantinato umido.

Si era aspettato di esserne impressionato, forse anche spaventato. Non avrebbe mai pensato di trovarli bellissimi, e invece lo erano. Le loro ossa, nere come l’onice, incredibilmente lisce, parevano scintillare alla luce della torcia. Volevano il fuoco, amavano il fuoco. Lui questo l’aveva percepito. Aveva spinto la torcia nelle mandibole di uno dei teschi più grossi, osservando le ombre balenare contro le pareti del sotterraneo. Le loro zanne erano lunghe lame ricurve di diamante nero. Il calore della torcia era nulla per quelle zanne: erano state immerse in fuochi ben più imponenti. Quando si era allontanato, Tyrion era stato certo che le buie occhiaie vuote l’avevano osservato.

C’erano diciannove teschi. I più vecchi avevano oltre tremila anni, i più recenti solo un secolo e mezzo. Questi erano anche i più piccoli: due crani identici, stranamente deformati, i quali, messi assieme, non raggiungevano neppure la dimensione di quelli dei loro antenati. Erano tutto quello che rimaneva delle creature emerse dalle ultime due uova dischiusesi sulla Roccia del Drago. Gli ultimi draghi dei Targaryen, forse gli ultimi in assoluto. Non erano vissuti a lungo.

Risalendo nel tempo, i teschi diventavano via via più grossi fino ad arrivare ai tre grandi mostri dei quali parlavano le ballate e le leggende, ai draghi che Aegon Targaryen e le sue sorelle avevano scatenato sui Sette Regni dei primordi. I trovatori avevano dato loro nomi di dei: Balerion, Meraxes, Vhaghar. Senza parole, senza fiato, Tyrion era rimasto immobile tra le loro fauci spalancate. Un uomo a cavallo sarebbe potuto entrare nella gola di Vhaghar, ma non ne sarebbe più uscito. Meraxes era ancora più grosso. E Balerion, il Terrore nero, il più immane di tutti i draghi, avrebbe potuto inghiottire un intero bisonte, o addirittura uno dei pelosi mammut che si diceva avessero dominato nelle fredde pianure oltre il porto di Ibben.

Tyrion era rimasto per molto tempo nel sotterraneo umido, lo sguardo fisso nelle tenebre che dominavano all’interno del gigantesco teschio di Balerion. Aveva cercato di immaginare le dimensioni dell’intero mostro quando era in vita, il suo aspetto nel momento in cui dispiegava le membranose ali nere per lanciarsi nei deli vomitando fuoco e fiamme. Era rimasto finché la sua torcia non si era consumata.

Uno dei suoi remoti antenati, re Loren di Castel Granito, aveva tentato di opporsi al fuoco e alla conquista dei Targaryen alleandosi con re Mern dell’Altopiano. Era accaduto tre secoli prima, quando i Sette Regni erano ancora separati e non province di un unico, più vasto reame. Le forze congiunte dei due re erano composte da seicento vessilli, cinquemila cavalieri in armatura e dieci volte tanti tra cavalleggeri e fanti. L’esercito di Aegon, il Signore del drago, raggiungeva a stento un quinto di quel numero, dissero gli estensori delle cronache, e la maggior parte erano coscritti di incerta lealtà che Aegon aveva incorporato dai ranghi del re precedente, sgozzato da lui in persona.

Le due annate si erano affrontate nelle vastità dell’Altopiano, in mezzo a campi di grano dorato pronto per il raccolto. Sotto la carica combinata dei due re, l’esercito dei Targaryen si era frantumato ed era fuggito in disordine. La guerra di conquista della Casa Targaryen parve giunta alla fine, scrissero i cronisti. Ma si trattò solo di pochi momenti: poi Aegon e le sue sorelle scesero in campo.

La battaglia dell’Altopiano fu l’unica nella quale Meraxes, Vhaghar e Balerion vennero scatenati tutti assieme. In seguito, i cantastorie chiamarono quella battaglia Campo di fuoco.

Quasi quattromila uomini bruciarono vivi, tra loro anche re Mern dell’Altopiano. Re Loren di Lannister riuscì a scampare e a vivere abbastanza a lungo da arrendersi, giurare fedeltà alla Casa Targaryen e infine generare un figlio. Cosa della quale Tyrion Lannister gli era immensamente grato.


«Perché leggi così tanto?»

Tyrion alzò lo sguardo. Jon Snow era in piedi a qualche passo dalla vecchia quercia contorta e lo osservava pieno di curiosità.

«Guardami, ragazzo.» Tyrion chiuse il volume infilando l’indice tra le pagine per tenere il segno. «Guardami e dimmi quello che vedi.»

«Cosa sarebbe, una specie di trucco?» Lo sguardo di Jon era sospettoso. «Vedo te: Tyrion Lannister.»

«Sei sorprendentemente ben educato per un bastardo, Snow» sospirò il Folletto. «Quello che vedi è un nano. Quanti anni hai, dodici?»

«Quattordici.»

«Quattordici anni, e sei già più alto di quanto io potrò mai sperare di essere. Le mie gambe sono corte e storte. Cammino con difficoltà. Per evitare di cadere da cavallo, sono costretto a usare una sella speciale che io stesso ho ideato, forse t’interesserà sapere. L’alternativa era andare in giro in groppa a un pony. Le mie braccia sono abbastanza forti ma, di nuovo, troppo corte. Perciò non potrò mai essere uno spadaccino. Se fossi nato tra i bifolchi, mi avrebbero lasciato morire oppure venduto a un baraccone di fenomeni viventi. Purtroppo sono un Lannister di Castel Granito, e dove sono nato i fenomeni viventi sono di altro genere. Da me ci si aspettano grandi imprese. Mio padre Tywin è stato per vent’anni Primo Cavaliere del re. Più tardi mio fratello Jaime ha ucciso quel medesimo re. Le grandi imprese delle Case nobili, si sa, sono sempre piene di piccole ironie. Mia sorella Cersei ha sposato il nuovo re e quel mio repellente nipotino Joffrey sarà re dopo di lui. Devo fare anch’io la mia parte a maggior gloria della mia casata, non sei d’accordo, Jon Snow? Giusto, molto giusto. Ma fare la mia parte in che modo? Mettiamola così: ho le gambe troppo corte rispetto al corpo, e la testa è certamente troppo grossa. Io però preferisco pensare che è appena sufficiente per il mio cervello. Ho una visione quanto mai realistica sia delle mie debolezze sia dei miei punti di forza. Come arma, mio fratello ha la spada e re Robert la mazza da combattimento. Io ho la mente, e per continuare a essere un’arma valida, la mente ha bisogno dei libri quanto una spada ha bisogno della pietra per affilarla.» Il corto pollice di Tyrion picchiò ritmicamente sulla rilegatura di cuoio. «Per questo, Jon Snow, io leggo così tanto.»

Il ragazzo assorbì con attenzione le sue parole rimanendo in silenzio. Non ne portava il nome, ma il suo volto era quello degli Stark: lungo, solenne, guardingo. Un volto che non lasciava trasparire nulla. Chiunque fosse stata la madre, assai poco di lei era passato al figlio.

«Che cosa leggi?» chiese Jon.

«Draghi.»

«A che scopo? Non esistono più, i draghi» disse Jon con la sicurezza propria dell’adolescenza.

«Questo è quanto si dice» ribatté Tyrion. «Triste, non trovi? Quando avevo la tua età, sognavo di avere un drago tutto per me.»

«Sul serio?» Il tono di Jon era sospettoso, forse temeva che Tyrion stesse prendendosi gioco di lui.

«Molto sul serio. In groppa a un drago, perfino un ragazzino tutto storto e molto brutto può guardare il mondo dall’alto in basso.» Tyrion spinse da parte la pelle d’orso e si alzò. «Accendevo dei fuochi nei sotterranei di Castel Granito e rimanevo a guardare le fiamme per ore, facendo finta che fossero l’alito di un drago. Certe volte immaginavo che potessero incenerire mio padre. Altre volte mia sorella…»

Jon Snow continuava a fissarlo, e negli occhi aveva un misto di repulsione e d’incantamento.

«Non guardarmi a quel modo, bastardo» sogghignò il Folletto. «Io conosco il tuo segreto. Non dirmi che non hai avuto visioni simili.»

«No.» Jon Snow era inorridito. «Io non…»

«No? Mai?» Tyrion inarcò un sopracciglio. «Ma certo che no! Non c’è dubbio alcuno che gli Stark con te siano stati sempre incredibilmente buoni. E non c’è dubbio alcuno che lady Stark ti tratti proprio come uno degli altri suoi pargoletti. E anche tuo fratello Robb, sempre così gentile, giusto? E perché non dovrebbe? A lui Grande Inverno e a te la Barriera. Non dimentichiamo tuo padre. Deve certamente avere le sue ragioni per imballarti ben bene e spedirti ai Guardiani della notte.»

«Basta!» I lineamenti di Jon Snow era alterati dall’ira. «Quello dei Guardiani della notte è un nobile dovere!»

«Sei un tipo troppo sveglio per credere a una frottola del genere» rise Tyrion. «I Guardiani della notte sono il ricettacolo per la peggior feccia del regno. Credi che non abbia visto le occhiate che lanci a Yoren e ai suoi due baldi nuovi acquisti? Eccoli lì, i tuoi confratelli, Jon Snow. Che te ne pare, eh? Cafoni, debitori, bracconieri, stupratori, ladri… E bastardi come te. Tutti finiscono sulla Barriera, a fare la guardia agli elfi maligni e ai mostri-talpa dei quali ti ha riempito il cranio la tua balia. Solo che non esistono né elfi maligni né mostri-talpa. Peccato, vero? La notìzia buona è che i pericoli sulla Barriera sono rari, quella cattiva è che ti si ghiacciano le palle alla grande. Ma visto che nella confraternita non è concesso figliare, non è che avere o non avere palle efficienti faccia poi tanta differenza. Vero?»

«Ho detto basta!…»

Il ragazzo, mani strette a pugno, gola chiusa dalle lacrime, sembrava sul punto di saltargli addosso.

E d’un tratto, assurdamente, Tyrion si sentì in colpa. Fece un passo verso Jon, intenzionato a dargli una pacca rassicurante sulla spalla e a dire qualche parola di scusa.

Nemmeno si rese conto di ciò che gli arrivò addosso. Un momento stava muovendosi verso Snow, il momento dopo si ritrovò con la schiena contro le radici sporgenti della quercia, il libro sui draghi che volava chissà dove, senza fiato a causa del duro, improvviso impatto, la bocca piena di terriccio gelido e foghe marce e del sapore acre del sangue.

Il meta-lupo albino incombeva su di lui, gli occhi rossi fiammeggianti, il fiato rovente di cose ancestrali, selvagge, letali. Non l’aveva visto muoversi, non sapeva da dove fosse spuntato. Cercò di raddrizzarsi, mentre fitte di dolore gli percorrevano la schiena. Doveva averla picchiata malamente nella caduta. Digrignò i denti pieno di frustrazione, afferrò una radice e si mise seduto. Tese una mano verso Jon. «Aiutami…»

E di nuovo, il pallido lupo fu in mezzo a loro. Non ringhiò. Quel maledetto animale non emetteva mai il benché minimo suono. I suoi occhi simili a braci ardenti tornarono a scintillare nell’oscurità e con essi le arcuate zanne messe a nudo. Più che sufficiente per Tyrion della nobile Casa Lannister.

«Come non detto: non aiutarmi.» Abbandonò la schiena dolorante contro le radici. «Vorrà dire che me ne starò qui finché non te ne andrai.»

Adesso Jon Snow stava sorridendo. Accarezzò il pelo candido del meta-lupo. «Chiedimelo con gentilezza.»

Tyrion della nobile Casa Lannister sentì la rabbia aggrovigliarsi dentro di lui, ma la controllò con la forza della volontà. Non era la prima volta che subiva un’umiliazione, e non sarebbe stata l’ultima. Forse in questo caso se l’era meritata.

«Ti sarò molto grato per la tua assistenza, Jon» disse in tono conciliante.

«Spettro: riposo» ordinò il ragazzo. Il meta-lupo sedette sulle zampe posteriori, ma gli occhi rossi non lasciarono mai Tyrion. Jon aggirò i grovigli di radici, prese il Folletto sotto le ascelle e lo mise in piedi facilmente. Poi raccolse il libro dal punto in cui era caduto e glielo diede.

Con il dorso della mano, Tyrion si ripulì le labbra dal terriccio ghiacciato e dal sangue, scoccando al lupo un’occhiata timorosa. «Perché mi ha attaccato?»

«Forse ti ha preso per uno di quegli elfi maligni.»

Tyrion scrutò il ragazzo, poi scoppiò a ridere, una risata nasale che gli venne fuori come per volontà propria. «Ah, per gli dei.» Quasi si strozzò per la sua stessa risata, scuotendo il capo. «Vero, potrei essere scambiato per un elfo maligno. E ai mostri-talpa il tuo lupo che cosa farebbe?»

Jon raccolse l’otre di vino e gli ridiede anche quello. «Quanto ci tieni a saperlo?»

Per tutta risposta, Tyrion tolse il tappo, inclinò la testa e si lanciò un lungo sorso in bocca. Fu un fresco fuoco che gli colò lungo la gola e gli riscaldò il ventre.

Tese la sacca a Jon Snow. «Ne vuoi un po’?»

Il ragazzo accettò e bevve un breve sorso. «Però è tutto vero, non è così?» Jon restituì la sacca. «Quanto hai detto riguardo alla confraternita dei Guardiani della notte, intendo.»

Tyrion annuì.

«Se così è» le labbra di Jon assunsero una piega amara «significa che così dev’essere.»

«Molto bene, bastardo.» Tyrion gli sorrise scoprendo i denti. «Piuttosto che accettare una dura verità, la maggior parte degli uomini la negherebbe.»

«La maggior parte degli uomini» sottolineò il ragazzo. «Ma non tu.»

«No» ammise Tyrion. «Non io. Ormai sogno i draghi molto di rado. Come dice qualcuno, non esistono più, i draghi.» Raccattò la pelle d’orso. «Coraggio, ragazzo, sarà meglio che rientriamo prima che tuo zio chiami a raccolta i vessilli di guerra.»

Non era una lunga distanza quella che dovevano coprire, ma il terreno era accidentato e quando furono a destinazione le arcuate gambe di Tyrion erano tormentate dai crampi. Jon Snow gli offrì una mano per superare un altro spesso groviglio di radici, ma Tyrion rifiutò. Ce l’avrebbe fatta da solo, come sempre. Tuttavia si sentì sollevato alla vista dell’accampamento.

I rifugi erano stati eretti contro la muraglia crollata di un fortino abbandonato da molto tempo, in modo da essere al riparo del vento. I cavalli erano stati nutriti e un fuoco ardeva nel buio. Seduto su una roccia, Yoren era intento a scuoiare uno scoiattolo.

L’odore seducente della carne stufata riempì le narici di Tyrion. Caracollò fino a Morrec, uno dei due uomini della sua scorta, che si stava occupando della pentola. Senza dire una parola, l’uomo gli offrì il mestolo. Tyrion assaggiò e gli restituì l’attrezzo. «Altro pepe» disse.

«Eccovi, finalmente.» Benjen Stark emerse dal rifugio che condivideva con il nipote. «Dannazione, Jon, non te ne andare in giro da solo. Ho temuto che ti avessero preso gli Estranei.»

«Invece sono stati gli elfi maligni» rise Tyrion.

Jon Snow sorrise e Benjen scambiò un’occhiata perplessa con Yoren. L’anziano Guardiano della notte si strinse nelle spalle e tornò a dedicarsi al suo sanguinoso compito.

Lo scoiattolo fornì altra carne per lo stufato. Lo mangiarono più tardi, attorno al fuoco, con pane nero e formaggio stagionato. Tyrion condivise il vino della sua sacca con tutti e perfino Yoren divenne meno acido. Uno a uno, gli uomini si ritirarono nei loro rifugi, tranne Jon Snow, al quale era toccato il primo turno di guardia.

Tyrion fu l’ultimo a ritirarsi, come sempre. Quando raggiunse il rifugio che i suoi uomini gli avevano costruito, si girò per guardare Jon Snow. Il ragazzo era immobile, in piedi accanto al fuoco, e scrutava le fiamme con i lineamenti tesi.

Tyrion Lannister ebbe un sorriso triste e andò a dormire.

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