Il lungo tavolo a cavalletti di pino grezzo era stato sistemato sotto la chioma di un olmo e coperto da una tovaglia di tessuto dorato. Era là, a breve distanza dal suo padiglione, che lord Tywin Lannister cenava assieme ai suoi principali cavalieri e ai suoi lord alfieri. Più in alto, sulla sommità della piatta altura che dominava la strada del Re, sventolava il suo grande vessillo porpora e oro.
Tyrion arrivò in ritardo, indolenzito dalla sella e fin troppo consapevole di quanto ridicolo dovesse apparire mentre arrancava su per il pendio con le sue gambette deformi. Il giorno di marcia era stato lungo ed estenuante. Stava seriamente considerando l’idea di ubriacarsi a dovere, quella sera. Attorno a lui, l’aria del crepuscolo era un caleidoscopio di lucciole. I cuochi stavano servendo la portata della carne: cinque maialini da latte, la pelle abbrustolita e croccante, ciascuno con un frutto diverso in bocca. L’aroma gli fece venire l’acquolina in bocca.
«Chiedo venia» esordì, prendendo posto accanto a suo zio.
«Forse dovrei affidare a te il compito di seppellire i morti, Tyrion» disse lord Tywin. «Se arrivi in ritardo sul campo di battaglia quanto a tavola, il combattimento sarà concluso da un pezzo.»
«Non dubito, padre, che mi lascerai uno o due paesani da far fuori. Non troppi, però, non vorrei apparire avido.» Si riempì una coppa di vino e osservò un servitore che tagliava un maialino. La pelle arrostita scricchiolava sotto la lama del coltello, caldo sugo denso colava dalla carne. Era il migliore spettacolo che Tyrion avesse visto da un pezzo.
«Gli esploratori di ser Addam riferiscono che l’esercito degli Stark ha lasciato le Torri Gemelle e si sta spostando verso sud» riferì lord Tywin mentre il suo piatto veniva riempito di carne affettata. «Con loro c’è anche un contingente di lord Frey. Si trovano a non più di una giornata di marcia da noi.»
«Padre, ti prego, sto per mettermi a mangiare.»
«Forse il pensiero di affrontare il ragazzo Stark ti castra? Tuo fratello Jaime sarebbe ansioso di scontrarsi con lui.»
«Io invece preferisco scontrarmi con quel maialetto. Robb Stark non è tenero nemmeno la metà e di certo è molto meno saporito.»
«Mi auguro che i tuoi selvaggi non condividano la tua riluttanza.» Lord Lefford, acido responsabile dei rifornimenti, si protese verso di lui. «Diversamente, si rivelerebbero uno spreco di valido acciaio.»
«I miei selvaggi faranno un eccellente uso del tuo acciaio, lord Lefford» replicò Tyrion. Chiedere a Lefford armi e armature per equipaggiare i trecento uomini che Ulf aveva portato fino al piede delle colline era stato peggio che chiedergli di gettare loro in pasto le sue figlie vergini.
«Ho visto quello grosso e peloso, oggi» proseguì lord Lefford. «Quello che ha insistito per avere due asce da combattimento, entrambe pesanti bipenni d’acciaio, con le lame a semiluna.»
«A Shagga piace uccidere con entrambe le mani» gli spiegò Tyrion, inebriato dal profumo che si levava dal piatto che gli era stato posto di fronte.
«Eppure continua a portare l’ascia di legno di traverso alla schiena.»
«Shagga è dell’opinione che tre asce sono meglio di due.» Tyrion affondò pollice e indice nel piatto del sale e ne lasciò cadere sulla carne una dose consistente.
Ser Kevan si protese in avanti a sua volta. «Abbiamo pensato di mettere te e i tuoi barbari nell’avanguardia, quando si arriverà allo scontro.»
Ben di rado ser Kevan Lannister pensava cose che lord Tywin Lannister non avesse pensato prima di lui.
Tyrion tagliò un pezzo di carne e fece per portarselo alla bocca, ma abbassò la mano. «L’avanguardia?» ripeté in tono dubbioso. I casi erano due: il lord suo padre aveva maturato un nuovo rispetto per le sue abilità, oppure aveva deciso di eliminare una volta per sempre l’imbarazzo di averlo come figlio. Tyrion provava la sgradevole sensazione di conoscere la risposta.
«Sembrano feroci al punto giusto» insisté ser Kevan.
«Feroci?» Tyrion si rese conto che stava ripetendo ogni parola di suo zio come un uccello ammaestrato. Lord Tywin lo fissava, lo valutava, soppesava ogni sua parola. «Lascia che ti dica qualcosa sulla loro ferocia. La notte scorsa, un Fratello della luna ha accoltellato un Corvo di pietra per una salsiccia. Perciò oggi, mentre mettevamo giù l’accampamento, tre Corvi di pietra l’hanno preso e gli hanno aperto la gola. Forse si erano messi in testa di recuperare la salsiccia, difficile saperlo con certezza. Bronn è riuscito a impedire a Shagga di mozzare il cazzo al cadavere, e per fortuna. Ma anche così Ulf continua a richiedere un prezzo di sangue, che Conn e Shagga rifiutano di pagare.»
«Quando i soldati sono carenti di disciplina» disse lord Tywin «la colpa è del loro comandante.»
Suo fratello Jaime non aveva mai avuto problemi nel fare sì che i guerrieri fossero pronti a seguirlo, e anche a morire. Al Folletto, un simile dono mancava. Era con l’oro che lui si comprava la lealtà, ed era con il peso del nome che imponeva l’obbedienza. «Per cui un uomo più grande sarebbe in grado di mettere loro paura, è questo che stai dicendo, mio signore?»
Lord Tywin si rivolse a suo fratello: «Se gli uomini di mio figlio non sono in grado di obbedire ai suoi ordini, forse non è l’avanguardia il posto adatto a lui. Non dubito che si sentirebbe più a suo agio nelle retrovie, a sorvegliare i carri del vettovagliamento».
«Non farmi alcuna gentilezza, padre.» Tyrion sentì una vampata di rabbia. «Se non hai un altro comando, l’avanguardia va benissimo.»
«Io non ho mai parlato di comando.» Lord Tywin studiò freddamente il figlio nano. «Tu servirai sotto ser Gregor Clegane.»
Tyrion staccò un morso di carne di maiale, masticò per qualche momento, poi lo sputò con ira. «In fin dei conti, non credo di avere così fame.» Si alzò a fatica dal tavolo. «Miei lord, con permesso.»
Con un secco cenno del capo, lord Tywin lo congedò. Tyrion si voltò e si allontanò. Era consapevole dei loro sguardi su di sé mentre caracollava giù per la collina. Uno scroscio di risate seguì la sua discesa. Non si voltò indietro. Che ci si strozzassero tutti quei ser e quei lord con i maialini da latte.
Nella luce morente del crepuscolo, i vessilli apparivano tutti neri. L’accampamento Lannister si dilatava per miglia, tra il fiume e la strada del Re. In quel labirinto fatto di tende, cavalli e alberi era facile perdersi. E Tyrion finì col perdersi. Superò una dozzina di ampi padiglioni e almeno un centinaio di fuochi. Lucciole svolazzavano tra le tende, simili a stelle vagabonde. Gli arrivò l’odore di salsicce all’aglio, un odore saporito, speziato, così invitante da fargli brontolare lo stomaco vuoto. In distanza, udì le rime di una canzone oscena cantata in coro. Una donna lo superò di corsa, ridacchiando, nuda sotto un mantello nero. Quello che la inseguiva, ubriaco fradicio, incespicava sulle radici degli alberi. Più oltre, lungo la sponda di un piccolo torrente, due lancieri si stavano addestrando con parate e affondi, finte e attacchi, il petto nudo lucido di sudore.
Nessuno lo degnò di un’occhiata. Nessuno gli rivolse la parola. Nessuno gli prestò attenzione. Era circondato da uomini che avevano giurato fedeltà alla Casa Lannister, un enorme esercito forte di ventimila uomini, ma era solo.
Dall’oscurità, venne il profondo rimbombo della risata di Shagga e si fece guidare da quel suono fino ai Corvi di pietra, piccolo gruppo raccolto in un angolo della notte. «Tyrion! Mezzo-uomo!» Conn figlio di Coratt sollevò una grossa caraffa di birra. «Vieni al nostro fuoco, dividi la carne con i Corvi di Pietra. Abbiamo un bue.»
«Lo vedo, Conn figlio di Coratt.» La colossale carcassa era sospesa ad arrostire su fiamme ruggenti, infilzata su uno spiedo grosso quanto un tronco d’albero. Anzi: era un tronco d’albero, nessun dubbio in merito. Ci volevano due Corvi di pietra per farlo ruotare. Sangue e grasso grondavano sul fuoco. «Ti ringrazio. Mandami a chiamare quando sarete riusciti a cuocerlo.» Il Folletto passò oltre. Chissà se avrebbero finito prima della battaglia…
Ogni clan aveva il proprio fuoco. Le Orecchie nere non mangiavano con i Corvi di pietra. I Corvi di pietra non mangiavano con i Fratelli della luna. E nessuno mangiava con gli Uomini bruciati.
La modesta tenda che Tyrion era riuscito a strappare ai magazzini di lord Lefford era stata eretta al centro di quei quattro fuochi. Tyrion trovò Bronn intento a bere vino con i nuovi servitori. Lord Tywin aveva concesso al figlio uno stalliere e un attendente, arrivando addirittura a insistere che prendesse anche uno scudiero. Erano tutti seduti attorno alle braci di un piccolo focolare. C’era anche una ragazza con loro, snella, capelli scuri, non più di diciotto anni. Tyrion studiò il suo viso per qualche istante prima di portare lo sguardo sulle lische di pesce gettate tra le ceneri. «Cos’avete mangiato?»
«Trote, signore» rispose lo stalliere. «Le ha pescate Bronn.»
“Trote. Maialini da latte.” Tyrion fissò le lische con aria sconsolata, mentre il suo stomaco brontolava di nuovo. “Che mio padre sia dannato.”
Il suo scudiero un ragazzo che portava lo sfortunato nome di Podrick Payne, inghiottì qualsiasi cosa stesse per dire. Era un lontano cugino di ser Ilyn Payne, il boia del re… ed era quasi altrettanto silenzioso, anche se non per carenza di lingua. Per esserne certo, Tyrion gliel’aveva fatta tirare fuori. «La lingua ce l’hai» aveva commentato. «Forse un giorno riuscirai anche a usarla.»
Ma in quel momento non aveva la pazienza di cercare di estrarre qualche parola da quel ragazzo. Inoltre, sospettava che suo padre gliel’avesse scaricato addosso quale ennesimo gesto di crudele derisione. Tyrion riportò la propria attenzione sulla ragazza. «È lei?» chiese a Bronn.
Lei si alzò con grazia, guardandolo dall’alto del suo metro e mezzo abbondante. «Sì, mio signore. E lei può anche rispondere da sola, se a te compiace.»
«Sono Tyrion, della Casa Lannister» inclinò il capo da una parte. «Gli uomini mi chiamano il Folletto.»
«Mia madre mi ha dato il nome di Shae. E gli uomini mi chiamano… spesso.»
Bronn rise. Tyrion non trattenne un sorriso. «Nella tenda, Shae, se ti compiace.» Sollevò il lembo dell’ingresso per permetterle di precederlo. Entrò anche lui e s’inginocchiò per accendere una candela.
La vita di un soldato non era del tutto priva di vantaggi. Dovunque sorgesse un accampamento, si poteva stare certi che qualcuno si sarebbe messo al seguito. Al termine del giorno di marcia, Tyrion aveva mandato Bronn a cercargli una puttana decente. «Ne vorrei una ragionevolmente giovane» gli aveva detto. «Quanto più graziosa tu riesca a trovarla. E se magari quest’anno è anche riuscita a lavarsi qualche volta, non potrò che esserne lieto. Dille chi sono. E avvertila di che cosa sono.» Jyck non si era sempre ricordato di dirlo. Nell’incontrare il giovane signore che erano state assoldate per compiacere, c’era un lampo nello sguardo di alcune ragazze, un lampo che Tyrion Lannister avrebbe preferito di vedere mai più.
Sollevò la candela per guardarla meglio. Bronn aveva scelto bene: occhi grandi e corpo sottile, seni piccoli e sodi, e un sorriso in grado di passare dalla timidezza, all’insolenza, alla cruda sensualità. Al Folletto, tutto questo piacque.
«Devo togliermi la veste, mio signore?»
«A tempo debito. Sei vergine, Shae?»
«Se fa piacere al mio signore» rispose lei, tutta arrendevole.
«Mi piacerà solo se è la verità.»
«Lo è. Ma la verità costa il doppio.»
Tyrion decise che sarebbero andati perfettamente d’accordo. «Sono un Lannister. Per me l’oro non è un problema e sarò generoso. Ma voglio di più di quello che hai tra le gambe, per quanto vorrò anche quello. Condividerai la mia tenda, mi verserai il vino, riderai alle mie battute e mi massaggerai le gambe dopo un lungo giorno passato a cavallo. E che io ti tenga con me per un giorno o per un anno, finché siamo assieme non accoglierai nel tuo letto nessun altro uomo.»
«Lo trovo giusto.» Shae abbassò le mani, afferrò l’orlo del semplice abito di cotone e lo sfilò da sopra la testa, gettandolo di lato con un movimento fluido. Sotto, non c’era altro che Shae. «Mio signore, se non metti giù la candela finirai col bruciarti le dita.»
Tyrion posò la candela, le prese una mano e gentilmente l’attirò a sé. Lei si chinò a baciarlo. La sua bocca sapeva di miele, di chiodi di garofano. Le sue dita non ebbero esitazioni nel trovare i lacci che gli chiudevano gli abiti, nello sciogliere i nodi.
Tyrion la penetrò e lei rispose con sussurri di tenerezza e piccoli sussulti di piacere. Forse quella sua delizia era finta, ma una finzione così perfetta che non aveva importanza. Non pretendeva la verità anche su quello.
In seguito, con Shae stretta quietamente tra le braccia, Tyrion si rese conto di avere avuto bisogno di lei. Di lei o di qualcuno come lei. Era passato quasi un anno dall’ultima volta che era giaciuto con una donna, fin da prima di partire assieme a suo fratello e a re Robert alla volta di Grande Inverno. Forse il giorno dopo sarebbe morto, o forse il giorno dopo ancora. In ogni caso, preferiva andare nella tomba portando con sé il pensiero di Shae, piuttosto che quello di suo padre, o di Lysa Arryn, o di lady Catelyn Stark.
Contro il braccio, sentì la morbida pressione dei seni di Shae. Gli piaceva sentirla. Una canzone tornò nella sua testa. Piano, quasi in un soffio, si mise a fischiettarla. «Che canzone è, mio signore?» sussurrarono le labbra di Shae vicino a lui.
«Niente. Qualcosa che imparai da ragazzo, niente di più. Dormi, piccola.»
Una volta che la ragazza ebbe chiuso gli occhi e il suo respiro fu diventato profondo e regolare, Tyrion si sciolse dal suo abbraccio, gentilmente, in modo da non svegliarla. Uscì nudo nella notte, scavalcò il suo scudiero e aggirò la tenda per farsi una pisciata.
Seduto a gambe incrociate sotto un castagno, a breve distanza da dov’erano legati i cavalli, Bronn era intento ad affilare la spada, del tutto sveglio. Il mercenario sembrava non dormire mai.
«Dove l’hai trovata?» gli chiese Tyrion mentre pisciava.
«L’ho portata via a un cavaliere. Non voleva mollarla, ma il tuo nome gli ha fatto cambiare idea… quello e la mia daga alla gola.»
«Splendido.» Tyrion scosse le ultime gocce dalla punta. «Mi sembra però di ricordare di averti detto di trovarmi una puttana, non di farmi un nemico.»
«Le puttane carine sono tutte prese, ma se proprio insisti, sarò lieto di riportarla dove l’ho trovata e di procurarti qualche megera senza denti.»
«Il lord mio padre giudicherebbe il tuo un atteggiamento d’insolenza» disse Tyrion avvicinandosi al mercenario «e lo punirebbe sbattendoti in una miniera.»
«Fortuna per me che non sei tuo padre, allora. Ne ho vista una col naso pieno di pustole. Che ne dici, te la prendo?»
«Ma come, e spezzarti il cuore? Mi tengo Shae. Putacaso, non è che ricordi il nome del cavaliere al quale l’hai portata via, vero? Non vorrei ritrovarmelo accanto in combattimento.»
«Non ti preoccupare, nano.» Agile e aggraziato come un felino, Bronn si alzò ed esaminò il doppio taglio della spada. «Ti sarò accanto io in combattimento.»
Tyrion annuì. L’aria della notte era tiepida sul suo petto nudo. «Fa’ sì che io sopravviva, Bronn, e qualsiasi cosa chiederai sarà tua.»
Bronn passò la spada lunga da una mano all’altra ed eseguì un fendente di prova. «E chi potrebbe voler far fuori uno come te?»
«Mio padre, tanto per fare un nome. Mi ha messo nell’avanguardia.»
«Io avrei fatto lo stesso. Piccolo uomo con grande scudo. Gli arcieri nemici non capiranno più niente.»
«Ti trovo particolarmente spiritoso questa sera, Bronn. Devo essere diventato pazzo.»
Il guerriero rimise la spada nel fodero. «Non c’è il minimo dubbio.»
Quando Tyrion rientrò nella tenda, Shae lo guardò sistemandosi in appoggio su un gomito. «Mi sveglio, e il mio lord se n’è andato» disse con voce assonnata.
«Il mio lord è tornato, adesso.» Scivolò accanto a lei.
La mano di Shae andò a esplorare tra le sue gambe deformi e trovò quello che cercava, eretto. «Sì che è tornato» gli sussurrò, massaggiandolo.
Le chiese dell’uomo al quale Bronn l’aveva portata via e lei fece il nome di un oscuro vassallo di un ancora più oscuro giovane lord. «Non devi preoccuparti di lui, mio lord» disse Shae senza smettere di lavorarsi il suo uccello. «È un omino piccolo.»
«E io che cosa sarei, un gigante?»
«Oh, sì» fece le fusa lei. «Il mio gigante di Lannister.» Gli montò sopra, e per un po’, Tyrion Lannister quasi ci credette. Si addormentò con il sorriso sulle labbra…
… e si svegliò nelle tenebre, al suono delle trombe. Shae lo stava scuotendo per la spalla. «Mio lord» bisbigliava. «Mio lord, svegliati. Ho paura.»
Intontito, si mise seduto e gettò da parte la coperta. Le trombe ululavano nella notte, un suono selvaggio, sprezzante, un suono che gridava “presto-presto-presto”. Udì richiami, tintinnare di speroni, nitriti di cavalli, ma nulla che indicasse il combattimento. «Le trombe del lord mio padre» disse. «Adunata di battaglia. Pensavo che il giovane Stark fosse ancora a un giorno di marcia.»
Shae scosse il capo, sperduta, gli occhi sbarrati, opachi.
Con un gemito, Tyrion si costrinse ad alzarsi ed emerse dalla tenda, urlando per chiamare lo scudiero. Dilatandosi dal fiume, lunghi, esili tentacoli di nebbia pallida fluttuavano attraverso la notte. Uomini e cavalli si muovevano a precipizio nel gelo che precedeva l’alba; i sottopancia delle selle venivano agganciati, i carri stipati, i fuochi spenti. Le trombe squillarono di nuovo: “presto-presto-presto”. Cavalieri saltavano in groppa ai destrieri sbuffanti, armigeri si affibbiavano le spade alla cintola correndo. Tyrion trovò Pod che continuava a ronfare. «La mia armatura!» Gli diede un calcio nelle costole con l’alluce nudo. «E darti una mossa!» Dalla foschia emerse Bronn, elmo ammaccato in testa, già in armatura e in sella.
«Bronn, che succede?»
«Il ragazzo Stark ci ha prevenuti. È avanzato sulla strada del Re durante la notte e adesso il suo esercito è a meno di un miglio a nord di qui. Sta assumendo lo schieramento di battaglia.»
“Presto” invocarono le trombe. “Presto-presto-presto.”
«Vedi se i guerrieri dei clan sono pronti.» Tyrion tornò a infilarsi nella tenda. «Dove sono i miei vestiti?» gridò a Shae. «Eccoli… No! È la tunica di cuoio che voglio, maledizione. Sì, quella. Dammi gli stivali.»
Nel tempo che impiegò a vestirsi, il suo scudiero aveva preparato l’armatura, o quel che era. Tyrion possedeva un’ottima armatura d’acciaio pesante, forgiata espressamente per adattarsi al suo corpo malformato. Purtroppo, si trovava al sicuro a Castel Granito, mentre lui al sicuro non era affatto. Era stato costretto a mettere assieme residui assortiti presi dai carri di lord Lefford: corazza e cotta di maglia, gorgiera di un cavaliere defunto, gambali d’acciaio lamellare e stivali di ferro appuntiti. Certe parti erano istoriate, altre lisce: tutte erano scompagnate e della misura sbagliata. La placca toracica era stata fatta per qualcuno ben più grosso di lui; per il suo testone, avevano trovato un colossale elmo a tinozza dotato in sommità di un chiodo a sezione triangolare lungo mezzo piede.
Shae diede una mano a Podrick a sistemare cinghie e a stringere fibbie. «Se crepo» disse Tyrion alla sua puttana «fatti almeno un pianto, d’accordo?»
«Come farai a saperlo? Sarai morto, no?»
«Lo saprò, lo saprò…»
«Suppongo di sì, dopotutto.» Shae gli calò l’elmo sulla testa, Pod gli allacciò la gorgiera. Tyrion affibbiò la cintura, appesantita dalla spada corta e dalla daga. Lo stalliere portò il cavallo, uno splendido corsiero protetto da armatura quanto lui. A Tyrion pareva di pesare più di un macigno. Gli servì aiuto per montare in sella. Pod gli tese lo scudo, una massiccia piastra di legno-ferro con bande d’acciaio. Infine, gli diedero l’ascia da combattimento. Shae fece un passo indietro per ammirarlo. «Il mio lord ha un aspetto che incute terrore.»
«Il mio lord ha l’aspetto di un nano con un’armatura balorda» replicò acido Tyrion. «Però apprezzo la cortesia. Podrick, in caso la battaglia volga a nostro sfavore, provvedi tu a che la signora arrivi a casa sana e salva.» Fece un cenno di saluto con l’ascia, girò il cavallo e si allontanò al trotto. Sentiva lo stomaco talmente accartocciato da fargli male. Alle sue spalle, i servi si diedero da fare a levare la tenda al più presto. Pallide dita purpuree stavano allargandosi a oriente, via via che i primi raggi del sole facevano la loro comparsa. A occidente il cielo era di un porpora intenso, punteggiato di stelle. Si chiese se era l’ultima alba che vedeva… e forse era proprio questo pensiero il segno del codardo. Suo fratello Jaime pensava anche lui alla morte prima di una battaglia?
In distanza, un corno da guerra lanciò il proprio richiamo: una nota profonda, luttuosa, che pietrificava l’anima. I barbari dei clan salirono sui loro scarni cavalli, gridando imprecazioni e battute di spirito. Molti di loro apparivano ubriachi. Il sole stava disperdendo i veli della nebbia quando Tyrion li guidò verso le prime linee. La poca erba lasciata dai cavalli era pesante di rugiada, e pareva che un dio errante avesse disseminato la terra di diamanti. I barbari delle montagne, ciascun gruppo dietro il suo condottiero, seguirono il Folletto.
Nella luce dell’alba, l’esercito di lord Tywin Lannister si dischiuse come una rosa di ferro dalle spine luccicanti.
Ser Kevan Lannister guidava il centro dello schieramento e i suoi vessilli sventolavano sulla strada del Re. Faretre alla cintura, gli arcieri appiedati si distribuirono su tre lunghe linee, a est e a ovest della strada, e là rimasero in attesa, tendendo gli archi. Fra di loro, in formazioni quadrate, andarono a disporsi i picchieri, dietro venivano i ranghi di guerrieri armati di lance, di spade e di asce. Trecento cavalli corazzati circondavano ser Kevan e i lord alfieri Lefford, Lydden e Serrett, assieme ai loro cavalieri giurati.
L’ala destra era interamente composta da cavalleria: quattromila uomini in armatura. Là erano ammassati, simili a un immane pugno d’acciaio, i tre quarti dei cavalieri dell’esercito del leone. Al loro comando c’era ser Addam Marbrand. Tyrion vide aprirsi il suo vessillo: un albero incendiato, fiamme arancioni in campo grigio fumo; l’alfiere lo scuoteva. Dietro di esso venivano l’unicorno purpureo dei Flement, il cinghiale pezzato dei Crakehall, il gallo selvatico dei Swyft e tanti altri ancora.
Il lord suo padre andò a sistemarsi sulla cima della collina dove aveva posto il proprio padiglione. Attorno a lui c’era la riserva. Era una forza possente: cinquemila uomini, metà a cavallo e metà a piedi. Come sempre, lord Tywin aveva scelto di comandare la riserva, sistemandosi in posizione elevata per seguire gli sviluppi della battaglia sotto di lui, in modo da essere pronto a intervenire dove e quando fosse stato necessario.
Perfino da lontano, lord Tywin Lannister risplendeva. La sua armatura svergognava quella di Jaime. L’ampia cappa intessuta di strati multipli di fibra dorata era tanto pesante che si muoveva a stento perfino nel vento del galoppo e tanto ampia da coprire il posteriore del cavallo quando montava in sella. Nessun fermaglio normale sarebbe riuscito a trattenere un simile peso, così sulle spalle dell’armatura c’erano due fermagli a forma di leonessa pronta al balzo. Il loro compagno, un leone ruggente dalla formidabile criniera, trovava posto sull’elmo di lord Tywin, un artiglio proteso a mezz’aria. Tutti e tre i felini erano d’oro lavorato, con occhi di rubino. L’armatura era d’acciaio pesante con ornamenti di smalto color cremisi scuro, bracciali e gambali erano istoriati da elaborate spirali d’oro. Le rondelle alle articolazioni dei gomiti e delle ginocchia erano a raggiera dorata, e dorate erano tutte le fibbie. L’acciaio rosso era lucidato al punto da brillare come fuoco nella luce dell’alba.
Tyrion cominciò a udire il rombo dei tamburi del nemico. Gli tornò in mente Robb Stark, quell’ultima volta che l’aveva incontrato, seduto sull’alto scranno del lord suo padre nella sala di Grande Inverno, la spada sguainata che gli scintillava tra le mani. E gli tornarono alla mente i meta-lupi emersi dalla penombra, e gli parve di rivederli, ringhianti, che gli serravano le zanne a un palmo dalla faccia. Il ragazzo Stark li aveva portati in guerra con sé? Il pensiero lo inquietò. Gli uomini del Nord dovevano essere esausti dopo la lunga marcia notturna. Cosa si era messo in testa, quel ragazzo, forse di sorprendere i Lannister nel sonno? Le probabilità erano assai scarse. Qualsiasi cosa si dicesse di lui, Tywin Lannister era tutt’altro che stupido.
L’avanguardia si stava ammassando sulla sinistra dello schieramento. Per primo vide il vessillo: tre mastini neri in campo giallo. E dietro il vessillo vide ser Gregor Clegane, la Montagna che cavalca, in sella al cavallo più mastodontico che Tyrion avesse mai visto. Bronn gli scoccò un’occhiata e sogghignò: «In battaglia, sempre stare dietro a quello più grosso di tutti».
Tyrion lo guardò senza capire. «E perché?»
«Perché sono magnifici bersagli. Quello lì si tirerà addosso gli occhi di tutti gli arcieri sul campo.»
Il Folletto si fece una risata e guardò la Montagna con altri occhi. «Lo confesso: a questo proprio non avevo pensato.»
Di magnifico Clegane non aveva nulla. La sua armatura era d’acciaio grigio opaco, priva di qualsiasi sigillo, di qualsiasi ornamento. Stava indicando la posizione agli uomini con la sua lama, una spada lunga da impugnarsi a due mani che lui maneggiava con una mano sola. «Decapiterò con le mie mani chiunque si ritira!» stava gridando quando notò Tyrion. «Folletto! Prendi il fianco sinistro. Tieni il fiume. Se ce la fai.»
Il lato sinistro del lato sinistro. Per riuscire ad aggirarli, gli Stark avrebbero dovuto avere cavalli in grado di galoppare sull’acqua. Tyrion condusse i suoi uomini verso la riva. «Là!» indicò con l’ascia. «Il fiume…» Un pallido velo di nebbia fluttuava ancora sulla superficie liquida e l’opaca corrente verde scuro fluiva sotto di esso. Il fondale era basso in quel punto, fangoso e intasato di canne. «Il fiume è nostro. Qualsiasi cosa accada, tenetevi vicini all’acqua. Non perdetela mai di vista. Non lasciate che il nemico passi tra noi e il fiume. E se ci sporcano l’acqua, tagliategli via il cazzo e datelo da mangiare ai pesci!»
Shagga aveva un’ascia in ogni pugno e le fece cozzare una contro l’altra. «Mezzo-uomo!» urlò.
Altri Corvi di pietra raccolsero il grido, e assieme a loro anche le Orecchie nere e i Fratelli della luna. Gli Uomini bruciati non gridarono, ma fecero risuonare spade e picche. «Mezzo-uomo! Mezzo-uomo! Mezzo-uomo!»
Tyrion fece ruotare il proprio corsiero, in modo da avere una prospettiva completa del terreno di scontro. Il suolo era ondulato e scabroso. Dal molle fango lungo la sponda, saliva in leggera pendenza verso la strada del Re, oltre la quale, a est, si faceva accidentato e sassoso. Qualche albero punteggiava le pendici delle colline, ma la maggior parte della terra era stata diboscata e coltivata.
Il cuore gli martellava nel petto, al ritmo dei tamburi del Nord. Sotto gli strati di cuoio e acciaio, la sua fronte era madida di sudore freddo. Osservò ser Gregor muoversi avanti e indietro lungo la prima linea, gridando e gesticolando. Anche quest’ala era composta da cavalleria, ma mentre l’ala destra era il pugno d’acciaio dei cavalieri e dei lancieri pesanti, l’ala sinistra era formata dalla feccia dell’Ovest: arcieri a cavallo in tuniche di cuoio, una tumultuosa e indisciplinata massa di mercenari, contadini su cavalli da tiro armati di falci e delle spade arrugginite dei loro padri, ragazzi male addestrati dei bassifondi di Lannisport… più Tyrion e i suoi barbari delle montagne.
«Carne per corvi» borbottò Bronn dando voce ai pensieri di Tyrion. Non poté fare altro che annuire. Il lord suo padre era forse uscito di senno? Niente picche, troppo pochi arcieri, uno scarno manipolo di cavalieri, e poi gente male armata e senza armatura, guidati da un bruto privo di cervello che comandava con la ferocia… Come poteva suo padre aspettarsi che quella farsa di schieramento riuscisse a tenere il fianco sinistro?
Non ebbe più il tempo di pensarci. I tamburi erano tanto vicini da propagare le loro vibrazioni alle sue ossa, da fargli tremare le mani. Bronn sfoderò la spada lunga, e d’un tratto eccolo, l’esercito del Nord. Traboccava dalla sommità delle colline, avanzava con passo controllato, dietro una barriera di scudi e di picche.
“Che gli dei siano dannati: guardali!…” pensò Tyrion, pur sapendo che suo padre aveva più uomini sul campo. I comandanti dell’Inverno guidavano le truppe in sella a cavalli da guerra, e i portabandiera cavalcavano accanto a loro innalzando i vessilli. Riconobbe l’alce degli Hornwood, il sole dei Karstark, l’ascia da guerra di lord Cerwyn, il pugno guantato di maglia di ferro dei Glover… e le torri gemelle dei Frey, blu in campo grigio. Addio anche alla certezza che lord Walder non si sarebbe mosso. E dovunque sventolava il drappo bianco degli Stark, i meta-lupi grigi che parevano saltare e avventarsi ogni volta che gli stendardi si attorcigliavano nel vento sui pennoni. “Dov’è il ragazzo?” si chiese Tyrion.
Un corno da guerra fece udire la propria voce: Harooooooooooo. Un lamento basso, raggelante come i gelidi venti del Nord. Con squillante sfida, le trombe dei Lannister risposero: Da-DAAA, da-DAAA, da-DA, da-DA, da-DAAAAAA. Un suono che Tyrion trovò in certo qual modo meno forte, quasi ansioso. Sentì qualcosa agitarsi nel proprio ventre, qualcosa di liquido, acido, e sperò di non sentirsi male.
Un sibilo dilagò nell’aria, spazzando via quanto restava delle ultime note del corno e delle trombe. Una vasta nube di frecce si levò dalla sua destra, dallo sbarramento di arcieri lungo la strada del Re. I soldati del Nord vennero all’attacco di corsa, urlando, ma le frecce Lannister piovvero su di loro come grandine, a centinaia, a migliaia e le grida si tramutarono in un coro di sofferenza. Molti caddero, e già una seconda ondata di frecce volava nell’aria mentre gli arcieri Lannister incoccavano per la terza ondata.
Le trombe squillarono di nuovo: Da-DAAA, da-DAAA, da-DA, da-DA, da-DAAAAAA. Ser Gregor mulinò l’enorme spada e urlò un comando. Dietro di lui, migliaia di voci gli risposero. Tyrion diede di speroni e aggiunse la propria voce alla cacofonia. L’avanguardia si lanciò all’attacco. «Il fiume!» si sgolò Tyrion rivolto ai barbari delle montagne. «Ricordate di coprire il fiume!» Fu alla loro testa, ma non per molto: Chella lanciò un urlo assordante e lo sorpassò al galoppo. Shagga lo superò a sua volta, gridando. Gli altri clan tennero loro dietro, lasciando Tyrion nella polvere.
Di fronte a loro aveva preso forma una mezzaluna di lancieri, una specie di porcospino con aculei d’acciaio che emergevano dalla barriera di alti scudi di quercia con il sole dei Karstark. Gregor Clegane, alla testa di un cuneo di veterani in armatura, fu il primo ad arrivare loro addosso. All’ultimo secondo, metà dei cavalli esitò, interrompendo la carica davanti alle lance. L’altra metà venne fatta a pezzi dal porcospino di lance, il torace squarciato dall’acciaio. Tyrion vide una dozzina di uomini cadere. Lo stallone della Montagna che cavalca si rizzò sulle zampe posteriori, gli zoccoli annasparono nell’aria mentre una lancia lo infilzava alla gola. Impazzito dal dolore, l’animale sfondò i ranghi. Lance, tante altre lance, affondarono nel suo corpo da tutti i lati, ma sotto il suo peso lo sbarramento cedette e i soldati del Nord arretrarono davanti ai frenetici sussulti di agonia dello stallone. Mentre il suo cavallo cadeva perdendo sangue dalla bocca e dalle narici, le mascelle serrate negli ultimi spasmi, la Montagna che cavalca si rialzò incolume, menando fendenti con l’enorme spada.
Shagga s’infilò nella breccia prima che questa tornasse a chiudersi, e altri Corvi di pietra passarono a loro volta.
«Uomini bruciati!» urlò Tyrion. «Fratelli della luna! Dietro di me!…» Ma la maggior parte di loro erano davanti a lui. Vide Timett figlio di Timett piroettare a terra in pieno galoppo mentre il cavallo gli moriva sotto. Vide un Fratello della luna impalato su una lancia Karstark, vide il cavallo di Conn sfondare il petto a un lanciere con un calcio. Da chissà dove, Tyrion non riuscì a capirlo, piovve su di loro un altro nugolo di frecce. Piovve sugli Stark e sui Lannister, indistintamente, e rimbalzò sulle corazze o penetrò nella carne. Tyrion sollevò lo scudo e si protesse sorto di esso.
Lo schieramento Karstark aveva ceduto. I soldati del Nord furono costretti ad arretrare sotto l’impeto di un attacco di cavalleria. Tyrion guardò Shagga abbattere un lanciere, povero idiota che gli si era gettato contro. L’ascia del barbaro demolì corazza, maglia di ferro, torace e polmoni. L’uomo morì in piedi, la lama della bipenne intrappolata nel petto, eppure Shagga continuò a cavalcare e aprì in due lo scudo di un altro nemico con la seconda ascia, mentre il cadavere che si trascinava dietro sussultava e sobbalzava come un pupazzo. Finalmente il cadavere si staccò. Shagga urlò e picchiò le due asce una contro l’altra.
Il nemico arrivò addosso a Tyrion Lannister, e per lui il campo di battaglia si ridusse a pochi piedi attorno al suo cavallo. Un armigero tentò un affondo al petto, ma Tyrion lo deviò mulinando l’ascia. Il soldato arretrò per un secondo tentativo, ma Tyrion diede di speroni e lo schiacciò sotto gli zoccoli. C’erano tre nemici attorno a Bronn: il mercenario decapitò il primo lanciere e aprì in due la faccia di un altro con il fendente di ritorno.
Da sinistra, un giavellotto andò a conficcarsi con un tonfo nello scudo di Tyrion. Il Folletto si girò corse verso il lanciere, ma questi si riparò sotto lo scudo. Tyrion gli girò attorno pestando con l’ascia lo scudo di legno e strappando fontane di schegge a ogni colpo. L’altro barcollò sotto i colpi e cadde sulla schiena, sempre sotto la protezione dello scudo. Era fuori portata della lama dell’ascia e smontare sarebbe stato un problema, perciò lo lasciò lì e corse contro l’avversario successivo. Un unico colpo alla schiena abbatté il fante Karstark. Questo diede a Tyrion un momento di respiro. Fece voltare il cavallo e guardò in direzione del fiume. Adesso il fiume era alla sua destra: nella furia del combattimento, aveva finito col girarsi dalla parte sbagliata.
Un Uomo bruciato lo superò, accasciato sulla sella, il corpo perforato da parte a parte da una lancia. Per lui era finita, ma quando uno del Nord cercò di afferrare le redini del cavallo, Tyrion andò all’attacco.
L’avversario lo affrontò con la spada in pugno. Era alto, snello, protetto da una lunga cotta di maglia e da guanti d’acciaio. Aveva però perduto l’elmo, e il suo volto era coperto dal sangue che colava da una ferita alla fronte. Tyrion mirò alla faccia, ma il guerriero deviò con la spada. «Nano!… Muori!» gridò.
Girò attorno al cavallo e Tyrion lo seguì nel movimento, cercando di colpirlo alla testa, alle spalle. Acciaio cozzò contro acciaio. Tyrion si rese conto che quell’uomo era più rapido e forte di lui. Per i sette inferi, dov’era Bronn? «Muori!» esclamò il guerriero, lanciando un altro brutale attacco.
Tyrion riuscì appena in tempo ad assorbirlo sullo scudo, il cui legno parve scoppiargli in faccia sotto l’impeto dei colpi. Pezzi di quercia si distaccarono, l’intero scudo in frantumi gli venne strappato dal braccio. «Sei finito!» Lo spadaccino si avvicinò, pestò Tyrion alla testa e la lama gli picchiò sulla tempia, contro l’elmo, con tanta forza da lasciarlo rintronato. La lama produsse un orrido suono raschiante quando l’uomo la tirò indietro sogghignando… ma poi il cavallo di Tyrion morse, rapido come una serpe, e strappò metà della faccia dell’uomo fino all’osso. L’uomo urlò. Tyrion gli affondò l’ascia nel cranio, aprendoglielo in due.
«Tu muori» gli disse. E l’altro morì.
Stava liberando l’ascia quando udì un grido: «Eddard!». Qualcuno stava urlando. «Per Eddard e per Grande Inverno!» Il cavaliere gli stava arrivando addosso al galoppo con una mazza ferrata vorticante sopra la testa. Tyrion aprì la bocca per chiamare Bronn, ma i due cavalli da guerra si scontrarono come arieti. La mazza ferrata picchiò e il gomito destro del Folletto esplose in una fiammata di accecante dolore quando i rostri perforarono la sottile protezione. La sua ascia era svanita. Afferrò la spada, ma la mazza vorticava puntando alla sua faccia. Uno schianto da fare rivoltare le viscere e Tyrion cadde. Non ricordò di avere colpito il suolo, ma quando guardò in alto, non vide altro che il cielo. Rotolò sul fianco, cercò di rialzarsi. Un’altra fiammata di dolore lo costrinse a terra, il mondo intero pareva pulsare. Il cavaliere che l’aveva abbattuto portò il proprio cavallo a torreggiare su di lui.
«Tyrion il Folletto» esclamò. «Sei mio. Ti arrendi, Lannister?»
“Mi arrendo!…” pensò Tyrion, ma quelle parole gli rimasero come inchiodate in gola. Emise un suono gutturale, lottò per mettersi in ginocchio, frugò alla ricerca di un’arma: la sua spada, il suo pugnale, qualsiasi arma…
«Ti arrendi?» Il cavaliere torreggiava su di lui dal suo cavallo corazzato. Uomo e animale apparivano immensi. La palla chiodata della mazza roteava in cerchi lenti, pigri. Tyrion aveva le mani intorpidite, la vista offuscata, il fodero vuoto.
«O ti arrendi o muori» avvertì il cavaliere, e la mazza chiodata ruotò più rapida.
Tyrion schizzò in piedi e assestò una testata nel ventre del cavallo. La bestia emise un nitrito orribile e indietreggiò. Cercò di sottrarsi al tremendo dolore, e una calda, repellente cascata di sangue e viscere inondò Tyrion. Il cavallo si abbatté al suolo.
Quando le sensazioni del mondo esterno tornarono ad affluire, Tyrion si rese conto di avere la celata incrostata di fango e qualcosa che gli schiacciava il piede. Riuscì a districarsi, la gola così contratta da riuscire a parlare a stento. «…arrend…» balbettò debolmente.
«Sì» gemette una voce incrinata dalla sofferenza. Tyrion raschiò via il fango dall’elmo e tornò a vedere. Il cavallo era crollato lontano da lui, schiacciando il suo cavaliere. La gamba di quest’ultimo era intrappolata e il braccio che aveva usato per attutire la caduta appariva piegato in un’angolazione grottesca. Il cavaliere del Nord armeggiò con il braccio sano, estrasse la spada e la gettò ai piedi di Tyrion. «Mi arrendo, mio signore.»
Ancora intontito, il Folletto s’inginocchiò per afferrare la spada. Nel movimento, una vampata di dolore gli risalì lungo tutto il braccio. La battaglia sembrava essersi spostata più avanti. Su quel tratto di terreno rimanevano solamente cadaveri, tanti cadaveri. I corvi stavano già calando.
Ser Kevan aveva portato le sue truppe di rinforzo all’avanguardia e l’immane massa di picchieri costringeva i soldati del Nord alla ritirata su per le colline. Combattevano in salita, cozzando contro una barriera di scudi di legno di quercia ovali e muniti di rostri d’acciaio. Mentre Tyrion guardava, dal cielo venne giù una nuova, sibilante ondata di frecce. Gli uomini dietro gli scudi barcollarono e caddero sotto la grandinata. Tyrion si girò verso il suo prigioniero. «Direi che state perdendo, cavaliere.» L’uomo non rispose.
Alle sue spalle ci fu un martellare di zoccoli al galoppo. Tyrion roteò su se stesso, anche se riusciva a malapena a sollevare la spada per il dolore al braccio. Bronn tirò le redini e lo guardò.
«Tanti ringraziamenti per il tuo aiuto» lo rimbeccò il Folletto.
«Sei andato benissimo anche da solo. Peccato che tu ti sia perso il chiodo dell’elmo.»
Tyrion sollevò una mano a tastare la cima dell’elmo. Il chiodo era svanito, spezzato di netto all’innesto. «Non l’ho perso. So esattamente dove l’ho messo. Il mio cavallo, l’hai visto?»
Trovarono il suo cavallo mentre le trombe suonavano di nuovo e la riserva di lord Tywin arrivava lungo la riva del fiume. Tyrion osservò suo padre superarlo al galoppo. Sulla sua tonante scia, il vessillo porpora e oro dei Lannister garriva nel vento. Assieme a lui c’erano cinquecento cavalieri in piena armatura e i raggi del sole scintillavano sulle punte delle loro lance. Sotto la loro carica, i resti dell’esercito Stark si frantumarono come vetro preso a martellate.
Con il gomito che si gonfiava e pulsava entro il bracciale danneggiato, Tyrion non fece neppure il tentativo di unirsi al massacro. Lui e Bronn andarono alla ricerca dei barbari delle montagne. Ne trovarono molti tra i morti. Ulf figlio di Ulmar giaceva in una pozza di sangue che si andava coagulando, il braccio mozzato al gomito. Attorno c’erano i corpi di una dozzina di altri Fratelli della luna. Shagga giaceva sotto un albero, il corpo crivellato di frecce, la testa di Conn in grembo. Tyrion smontò di sella e si avvicinò a loro, certo che fossero entrambi morti, ma gli occhi di Shagga si spalancarono. «Hanno ucciso Conn figlio di Coratt» disse. C’era una sola chiazza rossa sul petto dell’uomo attraente che era stato Conn: il rosso foro della lancia che l’aveva ucciso. Bronn aiutò Shagga a rimettersi in piedi e il gigantesco barbaro sembrò notare solo allora le frecce che gli spuntavano da tutte le parti. Le strappò via una a una, bestemmiando per i buchi nella maglia di ferro e nella tunica di cuoio, gemendo come un bambino per quelle che erano arrivate ad affondare nelle sue carni. Chella figlia di Cheyk arrivò a cavallo che loro stavano ancora strappando frecce. Piena d’orgoglio, sventolò le quattro orecchie che si era conquistata. Trovarono anche Timett, intento a depredare i cadaveri con gli altri Uomini bruciati.
Dei trecento barbari che avevano seguito Tyrion, ne erano sopravvissuti a stento la metà.
Lasciò i vivi a occuparsi dei morti, mandò Bronn a recuperare il cavaliere che aveva catturato e andò alla ricerca di suo padre. Lord Tywin era accomodato sulla riva del fiume e sorseggiava vino da una coppa tempestata di pietre preziose mentre uno scudiero gli slacciava le cinghie dell’armatura toracica.
«Una bella vittoria» disse ser Kevan nel vedere Tyrion avvicinarsi. «I tuoi selvaggi hanno combattuto bene.»
Gli occhi di suo padre erano su di lui. Occhi verde chiaro, venati d’oro, così raggelanti da mettere i brividi.
«Questo ti sorprende, padre? Questo ha forse buttato all’aria i tuoi piani? L’idea era che venissimo fatti a pezzi, no?»
«Ho collocato gli uomini meno disciplinati sull’ala sinistra, è esatto.» Lord Tywin vuotò la coppa. «Avevo previsto che non avrebbero retto. Robb Stark è un ragazzo ingenuo, più valoroso che saggio. Avevo contato sul fatto che, vedendo la nostra ala sinistra crollare, si sarebbe avventato nella breccia, deciso a sbaragliarci. Una volta che fosse avanzato in profondità, le picche di ser Kevan gli sarebbero arrivate addosso dal fianco, spingendolo verso il fiume. Io avrei dato il colpo di grazia con la riserva.»
«Per cui hai pensato che il posto migliore in cui mettere me fosse nel mezzo del carnaio, lasciandomi però all’oscuro del tuo piano.»
«Una sconfitta simulata è meno convincente» ribatté suo padre. «Inoltre, sono poco incline a parlare dei miei piani con qualcuno che fa consorteria con mercenari e barbari.»
«Un vero peccato che i miei barbari ti abbiano rovinato la festa.» Tyrion si tolse il guanto e lo gettò a terra sussultando per il dolore.
«Per qualcuno della sua età, il ragazzo Stark si è rivelato molto più cauto di quanto mi aspettassi» ammise lord Tywin. «Ma una vittoria è pur sempre una vittoria. Mi sembri ferito.»
«Lieto che tu lo abbia notato.» Il braccio destro di Tyrion era fradicio di sangue. «Posso disturbarti affinché tu mandi a chiamare il tuo maestro?» continuò Tyrion a denti stretti. «A meno che tu non gradisca avere un figlio nano e con un braccio solo…»
«Lord Tywin!» Il grido allarmato gli impedì di completare la frase. Tywin Lannister si alzò mentre ser Addam Marbrand volteggiava giù dal cavallo e metteva un ginocchio a terra. L’animale era coperto di schiuma e perdeva sangue dalla bocca. Ser Addam era un uomo tozzo, con capelli color rame scuro che gli ricadevano sulle spalle; sul pettorale dell’armatura d’acciaio ramato spiccava l’emblema in nero dell’albero fiammeggiante della sua Casa. «Mio signore, abbiamo catturato alcuni dei loro comandanti. Lord Cerwyn, ser Wylis Manderly, Harrion Karstark, quattro Frey. Lord Hornwood è caduto, e temo che Roose Bolton ci sia sfuggito.»
«E il ragazzo?» chiese lord Tywin.
«Mio signore…» Ser Addam esitò. «Robb Stark non era con loro. Dicono che ha superato il Tridente alle Torri Gemelle assieme al grosso della cavalleria e che sta galoppando ventre a terra verso Delta delle Acque.»
“Un ragazzo ingenuo, più valoroso che saggio” ricordò Tyrion. Si sarebbe piegato in due dal ridere, se non fosse stato tanto male.