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TUTTI I PIACERI DEL TERZO MILLENNIO!
TRECENTO METRI DI CADUTA LIBERA!
BACI E ABBRACCI A VOLONTÀ
Stringete tra le braccia
la stella preferita
Meglio della sensoradio.
OGNI MENTE SGOMBRA IN DIECI MINUTI!
Rivivete l’infanzia!
Tornate in piena forma!
MISURATEVI CON UN BEM!
AMMAZZATE UN MARZIANO!
BERSAGLIO VIVENTE: UNA BELLA RAGAZZA!
TATUAGGI FLUORESCENTI

Ecco alcune delle insegne, sfavillanti e urlanti, che accolsero Phil che entrava nel Parco dei Piaceri, camminando sul terreno di gomma elastica, cosparso di bottiglie di plastica.

La chiusura della Divertimenti SpA da parte del governo aveva prodotto pochi cambiamenti nel Parco, almeno da quel che poteva giudicare Phil facendo un confronto con la sua ultima visita. I sexy juke box burlesque erano stati chiusi con lucchetti, e le figure di gomma che si contorcevano orgiasticamente per un quarto di dollaro erano nascoste alla vista. I vestiti delle ragazze ai baracconi erano forse più alti di qualche centimetro sul petto. Non c’erano tracce, apparentemente, degli individui dallo sguardo sfuggente che reclutavano volontari per incontrare robot giocatori, o per qualche altro divertimento illegale. Di fronte a un tendone, qualcuno stava cancellando con vernice l’insegna che diceva: VENITE A VEDERE LA DONNA CON QUATTRO GHIANDOLE MAMMARIE. Phil notò che Dion osservava l’avviso con uno sguardo bramoso.

Eppure si notava un senso di disagio nel parco, e non soltanto a causa della scarsa folla. I banditori gridavano troppo e smettevano troppo presto. I clienti esitavano di fronte ai baracconi, poi se ne andavano con aria scontenta. Al tiro a segno, le ragazze non più giovani, pronte a schivare pietre di gomma o a farsi strappare gli indumenti a ogni centro, incitavano i possibili clienti con voci isteriche. Le grida che giungevano debolmente dalla torre della caduta libera non erano i soliti strilli terrorizzati ma felici, sembravano piuttosto dei lamenti.

Forse la chiusura della Divertimenti SpA aveva indotto gli interessati in cerca di emozioni, o del denaro che se ne può ricavare, a chiedersi: “Cosa succederà adesso?”. Forse i discorsi sconnessi e apocalittici del Presidente Barnes avevano finalmente avuto effetto, costringendo molti a domandarsi quale fosse il frutto dei cosiddetti piaceri della vita, specialmente di quelli più reclamizzati. Forse le direttive del governo sulla distruzione dei gatti diffuse in quel momento da tutti gli altoparlanti pubblici avevano fatto sì che la gente si sentisse più sicura a casa.

O forse il disagio del Parco era solo parte di una sensazione più generale che attanagliava l’America, prima inconsciamente e ora anche consapevolmente: la sensazione che c’era qualcosa di invisibile in agguato dietro ad ognuno, qualcosa di benigno o di maligno, che neppure il governo poteva individuare.

Per Phil, naturalmente, la minaccia era costituita da due figure ben concrete: Carstairs e Buck, che in quel momento conducevano i loro malcapitati assistenti attraverso la pupilla di uno dei molti occhi surrealistici cher servivano da entrate al Bug-Eyed Bar.

Quella sera l’appariscente taverna era ancora più vuota del Parco. Il suo famoso Highball Dieci-G e il Cocktail Paralizzatore non erano molto richiesti. Le sue entraîneuses notoriamente assetate brillavano per la loro assenza. Gli unici due clienti stavano bevendo gassose servite dal più piccolo dei due camerieri. Non fu difficile pertanto a Juno, a Phil, a Mary e a Dion trovar posto sugli sgabelli pneumatici di fronte all’altro cameriere. Carstairs e Buck si fermarono alle loro spalle.

Phil trovava difficile credere che l’uomo di fronte a loro fosse Moe Brimstine. Tanto per cominciare aveva i capelli rossi, come pure rossi erano i peli che gli spuntavano sul mento e sulle guance. Inoltre gli occhi che prima erano sempre nascosti dietro gli occhiali neri, apparivano ora piccoli e strabici come quelli di un maiale. Ma benché Moe dovesse riconoscere parecchi di loro, non lo dette a parere. Si limitò a guardarli mentre sfregava il piano immacolato del bar con il classico straccio umido. Anche il resto del locale, anzi, aveva lo stesso aspetto che avrebbe potuto avere cinquanta o cent’anni prima: i robot non potevano sorvegliare le ragazze e neppure erano mai stati legalizzati come buttafuori.

— Desiderate? — chiese il grosso cameriere dai capelli rossi.

Phil sentì la pistola di Carstairs che gli affondava fra le costole. Si inumidì le labbra.

— Signor Brimstine, vorrei il mio gatto verde — disse con voce gracchiante.

Moe Brimstine sollevò le sopracciglia. — Quello con crema di menta, chartreuse, o fuoco verde?

— Voglio dire il mio gatto, quello vivo — disse Phil.

— Non serviamo da bere agli ubriachi — rispose Brimstine senza scomporsi. — Il vostro amico ne ha bevuto uno di troppo — continuò rivolto agli altri. — E voi, signore e signori, cosa desiderate?

Mary Akeley aprì la borsa e posò la statuetta di Moe Brimstine sul bancone. L’osservò pensierosa per un momento, poi le tolse meticolosamente gli occhiali neri. La statuetta aveva gli occhi di un maialino. Mary sorrise. Rimise a posto gli occhiali ed estrasse dalla borsa uno spillone, un paio di forbici, un coltellino, un paio di pinzette, un minuscolo fornellino, un ferro con l’impugnatura isolata, una bottiglietta nera con delle incrostazioni bianche, e sistemò il tutto ordinatamente davanti a sé.

— Questa non è la toilette, signora — disse Brimstine. — Ordinate da bere.

Phil non poté fare a meno di restare impressionato dall’autocontrollo dell’uomo. Poi, improvvisamente, sentì un brivido di terrore che non aveva niente a che fare con le pistole puntate alle sue spalle, e che difficilmente poteva essere suscitato dal puerile armamentario di magia nera messo in campo da Mary Akeley.

Si accorse che il brivido aveva colpito anche Moe Brimstine, perché l’omone lasciò cadere lo straccio e si appoggiò allo scaffale pieno di bottiglie alle sue spalle.

Mary Akeley disse: — Signor Brimstine, voi avete rubato il Gatto Verde, che mio marito adora come Bast. Voi soffrirete finché non l’avrete restituito. — La sua voce, dapprima tremante, si fece fredda, crudele e monotona. — Mi spiace di non aver potuto portare il mio piccolo tavolo di tortura, ma questi attrezzi saranno sufficienti. — Accese il fornello e mise il ferro sulla fiamma.

Phil sentì Juno trattenere il respiro e Carstairs emettere un buffo grugnito. L’estremità del ferro divenne rossa. Mary Akeley rovesciò la bambolina sullo stomaco e la sfiorò col ferro, facendole fumare i pantaloni.

Moe Brimstine emise un rantolo e allungò le mani dietro di sé. Poi tremando cercò di afferrare la bambolina, ma Mary Akeley le strinse la mano intorno alle braccia. Immediatamente le braccia di Brimstine si tesero ai suoi fianchi restando immobilizzate. Poi lei spostò la bambola di qualche centimetro, allontanandola da sé. E Brimstine indietreggiò verso lo scaffale. Il sudore gli colava dalla fronte. A un tratto Mary Akeley colpì la bambolina sulla guancia col ferro rovente. Moe Brimstine emise un altro rantolo di dolore e ritrasse di scatto la testa.

— Continuerò finché non ci ridarete il Gatto Verde — disse la giovane strega, imperturbabile. Phil vide che sulla guancia scura di Moe Brimstine era apparsa una striatura rossa.

— Solo che presto diventerà molto peggio — continuò Mary, prendendo la bottiglietta. Moe Brimstine fece per dire qualcosa, ma lei appoggiò il pollice sulla bocca della bambolina.

— Fra un po’ sarò più disposta a credere alle cose che mi direte — spiegò. La faccia di Brimstine diventò rossa, mentre gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite.

Poi un’ombra apparve sul bancone. Phil si girò ritraendosi istintivamente, e vide che l’ombra era verde, vellutata e che aveva un viso saggio e amabile. In una frazione di secondo tutto gli fu chiaro. Era stato Lucky a infondere in loro quel terrore senza nome, proprio com’era successo alla Fondazione Humberford; era stato Lucky ad aprire la mente di Moe Brimstine a quella di Mary, suggestionandolo a tal punto da fargli provare su di sé tutto quello che veniva fatto alla bambola.

Poi si rese conto che a Brimstine non sarebbe accaduto nient’altro di spiacevole, e che nessuno avrebbe causato alcun guaio, neppure Carstairs e Buck. All’improvviso la sensazione di terrore era svanita, sostituita da una di amicizia e di invincibile benevolenza, che sgorgavano da Lucky come il whisky da una bottiglia. Phil si accorse che la nuova sensazione penetrava anche nelle menti degli altri. Si udirono dei sospiri e delle risatine. Le dita magre di Mary lasciarono la bottiglia incrostata di bianco, poi riposero rapidamente tutti gli strumenti nella borsa.

Lucky si fermò di fronte a Phil e si stirò, pigramente e voluttuosamente, tendendo i muscoli del collo e della schiena. Moe Brimstine sorrise al gatto verde, e le rughe che gli si formarono attorno agli occhi sembravano quelle di Babbo Natale. — Permettete? — chiese a Phil, e allungò una mano per accarezzare il pelo vellutato.

— Sei proprio arrivato al momento giusto per salvare zio Moe — disse a Lucky, grattandolo dietro le orecchie. — Mi spiace tanto per tutto quello che ti ho fatto. Non capisco neanch’io come sia successo, e sono davvero contento che tu ti sia svegliato, anche se non capisco come hai fatto.

Poi si raddrizzò e disse con voce tonante: — Cosa prendete, amici? Offre la casa! — E infatti la bottiglia fece parecchi giri, fra l’allegria generale. Anche Lucky ebbe il suo cocktail, composto di latte, bianco d’uovo, zucchero in polvere e gin. Dietro suggerimento di Phil, Moe glielo mise dietro il bancone, in modo che Lucky lo potesse leccare in pace.

Buck, con una risata infantile, porse a Brimstine le due pistole, dalla parte del calcio.

— Queste credo che sia meglio metterle via — spiegò col suo modo spiccio. Moe le prese, ne provò una sparando a un lampadario, poi le mise in un cassetto. Anche Carstairs consegnò le sue pistole, con l’ingiunzione di venderle per procurare da bere quando il bar si fosse esaurito.

Juno, con in mano un bicchiere traboccante di whisky, si chinò attraverso il tavolo per dire a Mary: — D’ora in poi crederò a ogni parola che mi diranno gli svitati, specialmente tu e Sash.

— E io ti dirò sempre quando stiamo mentendo — le rispose Mary, con voce non molto ferma, dal momento che Dion la stava sbaciucchiando.

Man mano che nuovi clienti, singoli o in coppie, entravano nel bar, Brimstine li chiamava perché si unissero alla compagnia. E non appena lo facevano, diventavano allegri e amichevoli come gli altri. Dopo un po’ si era formata una piccola folla, e Moe non faceva altro che versare, agitare, servire. Dopo un po’ non si preoccupò più neppure di agitare.

Mary si liberò di Dion e prese la bambola di Brimstine, abbracciandola e baciandola. — Tesoro mio — disse. Moe interruppe per un attimo il suo lavoro di barista e chiuse gli occhi con un brivido di piacere.

Poi Lucky uscì da sotto il tavolo e vi saltò sopra. Camminò su e giù con un’andatura maestosa, ma decisamente malsicura. Dopo un po’ balzò a terra e la folla si scostò per lasciarlo passare. La verde creatura, completamente ubriaca, si avviò zigzagando con dignità verso l’uscita.

Moe si issò sul bancone del bar rovesciando parecchi bicchieri e gridò: — Venite tutti, divertiamoci. Tutto è gratis nel Parco!

E così un corteo bacchico cominciò a snodarsi attraverso il Parco dei Piaceri, con Moe nella parte di Bacco, Lucky in quella di un leopardo (“Se solo sapessero di Dion”, pensò Phil.).

Ben presto vi fu anche una schiera di ninfe, perché Moe incitava le ragazze a lasciare i loro baracconi, dopo che tutti quelli che lo volevano avevano provato a giocare, e Moe aveva spiegato loro che erano truccati, e tutti i premi erano stati distribuiti, o almeno offerti.

Una volta o due i proprietari dei baracconi avevano protestato indignati al grido di Moe: — È tutto gratis, gente! — Ma le loro proteste si erano spente all’arrivo di Lucky.

La processione s’ingrossava sempre più. Di tanto in tanto qualche gruppetto si staccava per andarsene in giro da solo, ma questo accadeva più raramente di quanto ci si potesse aspettare, e di solito ritornavano tutti dopo breve tempo.

Moe sembrava divertirsi strordinariamente. Scorrazzava come un agnellino sulla pavimentazione di gomma. Era pronto a scherzare con tutti, e non gli mancava mai la battuta. Raggiunse forse il suo apice quando liberò una tigre e due pantere nere dallo zoo. Senza intimorire nessuno, i tre animali si aggirarono fra la gente, accettando carezze da tutti, ma ricavando apparentemente il piacere maggiore dallo strofinarsi contro Lucky.

Phil si stava divertendo un mondo, specialmente da quando aveva fatto la conoscenza di una rossa dello spettacolo I vizi di Venere. Ma di tanto in tanto il pensiero di pericoli in agguato e di doveri trascurati si affacciava alla sua mente. In una di queste occasioni Juno gli gettò le braccia al collo, staccandogli quasi la testa. — Hai delle preoccupazioni, Phil? Dille a Mamma Juno, che ci pensa lei. Ragazzo mio, come mi piace quella scimmietta verde! Possiede proprio l’elisir della felicità! Ehi, guarda là!

Stava indicando Carstairs e Buck, che avevano scoperto un padiglione dall’allettante insegna rossa fosforescente UNA BOTTA ALLA BIONDA: VI CADRÀ FRA LE BRACCIA e stavano disputandosi il possesso di un enorme martello che apparentemente aveva qualcosa a che fare con la bionda. Dopo essersi scervellato un po’, Phil riuscì a capire come funzionava il gioco: si trattava della solita prova di forza, che consisteva nel colpire col martello un bersaglio posto a terra, il quale a sua volta faceva salire una freccia su un palo. Ma al gioco era stata fatta un’aggiunta, tipica del ventunesimo secolo: se la freccia raggiungeva la cima del palo, non soltanto faceva suonare una campana e accendere delle luci, ma metteva in moto anche una grossa gamba, dotata di una scarpa imbottita, che dava un sonoro calcione a una bella ragazza, posta su un trespolo al di sopra del vincitore, e la faceva cadere fra le sue braccia, se lui era pronto a riceverla.

Su quest’ultima parte del programma non c’era troppo da contarci, dal momento che la “bella ragazza” era più sui cinquant’anni che sui quaranta. In quel momento stava guardando con aria torva Carstairs e Buck, che parevano più interessati al martellone che a lei. Non era ancora sotto l’influenza di Lucky, perché il gatto verde si era temporaneamente spostato, in compagnia delle pantere, verso la coda della processione.

I due banditi si misero finalmente d’accordo e vibrarono parecchi colpi sul bersaglio. La freccia salì molto in alto, ma si fermò sempre esitando a un capello dalla cima. Gli spettatori accolsero il risultato con grida di disapprovazione. Ormai il grosso del corteo bacchico si era radunato attorno al baraccone, piazzato strategicamente fra due bar e di fronte allo stand che prometteva castamente, con un’abbagliante insegna fluorescente, la PULIZIA MENTALE. A fianco di questo si apriva una lugubre caverna chiamata PALAZZO DI PLUTONE, che portava come insegna un’approssimativa riproduzione del Sistema Solare, con i pianeti che ruotavano in orbite pazze.

Moe Brimstine si stava ristorando con un boccale di birra che una delle sue ninfe gli aveva portato da un bar. Due forme nere, flessuose, apparvero tra la folla inseguendo una scattante sagoma verde. Era Lucky che tornava a prendere la guida del corteo, seguito dagli altri felini.

In quel momento, mentre Carstairs stava per gettar via il martello con un’amabile smorfia di sconfitta, arrivò di corsa Dion da Silva. Si strappò di dosso giacca e camicia, rivelando un petto e una schiena estremamente villosi.

— Quel Dion è davvero un tipo mascolino — mormorò Mary a Phil con ammirazione, osservando il suo eroe. — Con quelle orecchie a punta sembra proprio un satiro.

Dion tese i muscoli potenti, prese il martello e lo abbatté con tale forza che fece tremare i denti agli spettatori. La campana suonò, le luci si accesero e il grosso piede cominciò la sua discesa.

Nello stesso istante Dora Pannes, uscendo dal Palazzo di Plutone, sbucò dalla folla. Passò di fianco a Dion, senza degnare di uno sguardo né lui né alcun altro, diretta verso Lucky con la determinazione di una sonnambula.

Senza curarsi della bionda che gli era stata catapultata fra le braccia, Dion balzò addosso a Dora Pannes, se la strinse al petto e cominciò a coprirla di baci. Phil, cavalierescamente, si fece avanti e afferrò la “bella ragazza” al volo. Le ginocchia si piegarono. Lei, entrata ormai nella sfera d’influenza di Lucky, gli offrì invitante le labbra, ma Phil la posò subito a terra, atterrito da un nuovo evento.

Con un improvviso ululato d’ira, Dion aveva allontanato da sé Dora Pannes facendola cadere. Prima che qualcuno potesse fermarlo, prese il martello e diede una violenta mazzata sulla testa della stupenda biondo-viola.

— Io innamorato di cosa come questa! — gridò. — Aah! — e continuò a menare martellate sulle deliziose forme della ragazza, facendola rimbalzare sul selciato di gomma.

Phil era doppiamente stupito per il fatto che tutto questo stava accadendo alla presenza di Lucky. Anzi, il gatto verde, seduto calmo di fronte a Phil, sembrava guardare la scena con approvazione.

Dora Pannes cominciò a contorcersi lascivamente sotto i colpi, cantando Prendimi a schiaffi, amore, con una gioia raccapricciante nella voce. Poi la testa, sotto i ripetuti colpi, si spaccò. Ma invece del cervello ne uscirono frammenti di vetro, plastica e metallo, con tanti fili elettrici attaccati. La voce si impennò in un ultimo gracidìo privo di senso, e il corpo rimase immobile.

Una serie di cose si chiarirono nella mente di Phil. Dora Pannes non era un essere umano, ma il più avanzato manichino creato dalla Divertimenti SpA. Perfino il suo nome era preso dalla mitologia greca: non era che un anagramma di Pandora, la fanciulla di metallo costruita per ordine di Zeus, se ben ricordava la spiegazione del dottor Romadka.

Mentre Dion abbassava finalmente il martello, una ragazza uscì dalla folla e afferrò il braccio di Phil. Era Mitzie Romadka, ansimante e sconvolta. Alle sue spalle apparve Sacheverell Akeley.

— Jack e Cookie sono riusciti a sopraffare Llewellyn — disse — e hanno cercato di fare lo stesso con noi, ma siamo scappati. Sono andati ad avvertire Billig.

Con una rapida occhiata Phil si rese conto che l’avevano già fatto. In piedi di fronte al lugubre ingresso del Palazzo di Plutone c’era il signor Billig, affiancato da una mezza dozzina di lucenti robot venditori. Solo che dalle loro torrette spuntavano le canne di fucili. Billig portava a tracolla una cassetta.

— Se qualcuno si azzarda a fare qualche scherzo, do ordine di sparare — disse, tenendo la mano appoggiata alla cassetta. — Dora, paralizza quel gatto e portalo qui.

La folla si fece da parte, mostrando a Billig i resti di Dora Pannes e Lucky tranquillamente accovacciato vicino. Phil vide un’espressione di orrore dipingersi sul viso di Billig, mentre l’ondata di pace che emanava da Lucky lo raggiungeva. L’uomo alzò l’ortho e sparò.

Il raggio blu sollevò schizzi di gomma liquefatta a tre o quattro metri da Lucky, poi si spense senza fare altri danni. Ma mentre il raggio svaniva, Phil si accorse che la sua propaggine posteriore aveva trovato un bersaglio. Billig cadde in avanti con un grosso foro in testa.

Poi, come se la sua caduta fosse stata un segnale, un piccolo uomo grassoccio apparve dalla tenda della Pulizia mentale. Anche se indossava una specie di maschera a gas Phil riconobbe il dottor Romadka. L’uomo puntò un paralizzatore e Lucky cadde a terra, restando immobile. La bizzarra pace notturna si trasformo di colpo in un terrore scatenato, che per Phil assunse la forma di una vibrazione quasi palpabile, di un lamentoso ruggito.

Romadka scattò verso Lucky. Vicino a Phil, Mary Akeley prese qualcosa dalla borsa e l’agitò in aria. — Anton! — gridò minacciosamente; e quando lo psichiatra guardò dalla sua parte, gettò con forza la bambolina sul piede, staccandole la testa.

Per un attimo Phil credette che lei fosse davvero una strega, perché Romadka cadde a faccia in giù.

Poi si accorse che il ruggito lamentoso era quello di una dozzina di auto della polizia che stavano convergendo sulla folla, frenando con retrorazzi così vicino che vi furono parecchie grida di dolore e gambe bruciacchiate. Dalle macchine sbucarono uomini in uniforme e in borghese, che a forza di urla e di manganellate riportarono una parvenza di ordine tra la folla. L’uomo sceso dalla prima macchina abbassò il paralizzatore con cui aveva abbattuto Romadka. Era Dave Greeley.

Per un attimo Phil si chiese se per caso Billig non aveva fatto un patto col governo, indicando quel luogo per l’incontro. Poi alle spalle dell’agente dell’FBL apparve Morton Opperly, guardandosi intorno con grande interesse. Phil decise che in un mondo come quello non ci si poteva fidare neppure dei vecchi scienziati dall’aspetto nobile che facevano finta di essere grandi liberali, e raccontavano segreti di stato per guadagnarsi la fiducia della gente.

Allungò i polsi alle manette.

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