7

Il taxi aveva appena superato le vetrine luccicanti del Monstro Multi-Products, dietro cui una fila di robot manichini, molto realistici, marciavano in un interminabile percorso a forma di otto, mostrando l’ultima moda in fatto di vestiti di pelle sintetica, quando Juno si sporse in avanti e grugnì al tassista di fermare. Era rimasta in silenzio per la maggior parte del viaggio, come se il whisky le si fosse fermato sullo stomaco. Phil saltò a terra in fretta, improvvisamente ansioso di vedere che aspetto avesse la casa degli Akeley. Era come se le sue speranze e le sue paure si fossero rimesse in moto nel momento in cui il taxi si era fermato.

L’accenno di Juno al “tempio” l’aveva quasi indotto ad aspettarsi delle colonne greche o un portale egizio. Invece si trovò di fronte a una macchia scura, delimitata dal marciapiede, dalle vetrine lontane, dai negozi e dai sostegni delle strade superiori. Attraversò esitando il marciapiede, come se si trovasse sull’orlo del nulla. Era davvero molto buio, anche per essere al livello inferiore. La luna al sodio era tramontata.

Poi, mentre i suoi occhi si adattavano all’oscurità, la casa cominciò a prendere forma. Era una vecchia costruzione a due piani, e, cosa incredibile, era di legno, con il tetto fortemente inclinato e delle luci che apparivano debolmente attraverso persiane chiuse e bizzarre lunette polverose. Qualcosa scricchiolò sotto i suoi piedi e Phil si accorse che fra lui e la casa c’era un cortile di vera terra, se non proprio di verde. Quello doveva essere stato il livello del suolo della città, qualche centinaio di anni prima. Ora le finestre del secondo piano guardavano, attraverso un varco, la strada del livello superiore, molto al di sopra della testa di Phil. Il varco, a un certo punto, era attraversato da una trave. La casa era così antica e malsicura da aver bisogno di un sostegno.

Ma c’era qualcosa di ancora più strano. Phil sapeva che la casa si trovava nel cuore della città, attorniata da ogni lato da giganteschi edifici. Avrebbero dovuto esserci file e file di finestre illuminate e, molto in alto, un quadrato di cielo notturno. Invece si scorgeva solo buio, come se la casa preatomica sorgesse in una propria notte privata.

I fari di un’auto che procedeva due livelli più sopra illuminarono la parte superiore dell’edificio e Phil si accorse che tutto attorno alla casa c’erano dei pannelli neri e opachi, che la coprivano come un soffitto, poche decine di centimetri sopra le guglie più alte.

— È per via di una faccenda legale — spiegò Juno. — Jack mi ha raccontato qualcosa una volta. Sembra che i vecchi proprietari non abbiano potuto essere sfrattati, così il comune ha reclamato i diritti aerei e gli ha costruito sopra. Fa venire i brividi, sembra che debba andare a pezzi da un momento all’altro. Il posto adatto per gli Akeley. — Poi aggiunse, a voce più alta: — Bene, ho detto che sarei entrata, ed eccomi qui. Andiamo.

Phil la seguì attraverso il cortile fino ai gradini malsicuri che portavano a un porticato. La sua mano incontrò una vecchia ringhiera scrostata. A metà della scala un gatto gli saettò fra i piedi. Per un attimo il cuore gli balzò in gola, poi, mentre la bestiola si fermava in cima ai gradini, vide il pelo chiazzato. Non poteva certo essere Lucky. Il gatto corse a nascondersi dietro un angolo del porticato. Seguendolo, Phil e Juno si trovarono di fronte a una porta a sei pannelli illuminata da un globo sporco che doveva essere una vecchia lampadina a filamento incandescente. Il gatto sembrava sparito non si sa dove, finché Phil non individuò una piccola porta oscillante ritagliata in fondo a quella grande.

Ignorando il batacchio a forma di testa di gatto, incrostato di verderame, Juno batté un tal pugno sulla porta che Phil sì rannicchiò, lanciando occhiate preoccupate al tetto. Ma la casa non crollò.

Dopo qualche istante si aprì uno spioncino sopra il batacchio e uri occhio grigio e acquoso ispezionò Juno.

— Voglio vedere quel disgraziato di mio marito — urlò lei, ma la sua voce aveva perso qualcosa della solita sicurezza.

— Calmati, Juno — disse una voce, che Phil riconobbe per quella di Sacheverell Akeley. — La tua aura è tutta offuscata; riesco a stento a vederti.

— Stammi a sentire — muggì Juno — o mi lasci entrare o sbatto giù la tua schifosa catapecchia.

Certo Juno esagerava un po’, pensò Phil, ma quella minaccia non poteva essere presa alla leggera. Sacheverell però non si scompose — No, Juno — disse fermamente. — Non ti posso lasciare entrare con tutte quelle vibrazioni ostili, mentre emani ormoni d’odio. Più tardi, forse, quando potremo aiutarti a ritrovare la tua tranquillità interiore, ma non ora.

— Aspetta — si lamentò Juno con un tono sorprendentemente docile. — Ho portato un amico che deve sbrigare degli affari con te — e si fece da parte.

— Che affari? — chiese Sacheverell scettico.

Phil, guardando dritto nello spioncino, disse: — Il gatto verde.

La porta si aprì e Sacheverell, non più in berretto e pantaloni arancioni, ma in una tunica color bronzo ricamata di verde, fece cenno a Phil di entrare con un braccio coperto di frusciante seta. La sua marcata abbronzatura gli conferiva un’aria da mistico orientale. — Tutte le porte sono aperte per colui che pronuncia questo nome — disse semplicemente. — Siete disposto a garantire di tener quieta la vostra compagna?

— Non ho intenzione di toccare niente e nessuno qui dentro — grugnì sgarbatamente Juno, infilandosi dietro a Phil. — Mi sento già abbastanza sporca.

— Le rose nascono dallo sterco, Juno — le ricordò gentilmente Sacheverell — e dal male fiorisce il bene. Sii felice di poter partecipare al grande mutamento.

Phil si trovò sulla soglia di una grande sala. Nuvole di incenso grigio si avvolgevano a spirale fra mobili vittoriani su cui erano sparsi in gran profusione oggetti e ornamenti appartenenti a tutte le religioni del mondo. Anche qui l’illuminazione consisteva in lampade a incandescenza, che lasciavano ampie zone d’ombre. All’estremità opposta della sala c’era una porta nascosta da pesanti tende di velluto nero. Mescolato all’odore resinoso dell’incenso si avvertiva un tanfo pesante di cibo avariato, di vestiti, di corpi umani e un odore penetrante di animali.

Allora Phil si accorse che la stanza brulicava letteralmente di gatti: neri, bianchi, topazio, argentei, soriani; a strisce, chiazzati, macchiati, a bande; a pelo corto, angora, persiani, siamesi, mutanti. Saltavano dalle spalliere delle poltrone e dagli scaffali; sbirciavano vivacemente da sotto i tavoli o con aria assonnata fra un cuscino e l’altro; si aggiravano a passettini furtivi o stavano immobili in pose regali. Uno era sdraiato per tutta la sua lunghezza sul Corano intessuto al centro di un tappeto di preghiera. Un altro si era sistemato su una stella a cinque punte, in argento annerito, intarsiata sul piano scuro di un tavolino. Un altro giocava con un amuleto che pendeva da una parete, una specie di piccola scatola di cuoio; un altro annusava una statuetta steatopigia, dai molti seni; un altro ancora si stava avvolgendo pigramente in un rosario; due leccavano del latte piuttosto sporco da un calice d’argento tempestato di ametiste.

Allora, per la seconda volta, Phil sentì il cuore balzargli in gola, perché al centro di una mensola, posta su un autentico caminetto, in mezzo fra un’icona dorata e una maschera messicana di latta che rappresentava un demone, era seduto, regalmente immobile, le zampe anteriori dritte come lance… il gatto verde.

Mentre Phil vi si avvicinava come ipnotizzato, udì Sacheverell che diceva gentilmente: — No, quello non è il vero gatto, ma un suo simulacro, l’antico precursore egizio, una statua di Bast, la divinità della vita e dell’amore.

E infatti Phil si accorse di avere davanti una semplice statuetta di bronzo, coperta di verderame, quasi della identica sfumatura di colore del pelo di Lucky. Sacheverell lo raggiunse e disse: — Non appena Lui è venuto ho tirato fuori tutte le nostre reliquie di Bast. La maggior parte sono là — indicò la tenda di velluto nero — attorno all’altare. Altre qui. — E mostrò, vicino alla statua, un piccolo sarcofago contenente la mummia di un gatto, avvolta in bende di lino, che sembrava un sacchetto con una protuberanza in cima. Mentre Sacheverell illustrava il significato di una piccola urna contenente le interiora preservate di un gatto, un siamese a sei polpastrelli saltò sulla mensola e cominciò ad annusare con circospezione la mummia.

Finalmente Phil ritrovò la voce. — Allora Lucky è veramente qui?

Le sopracciglia curve di Sacheverell si inarcarono ancora di più. — Lucky?

— Il gatto verde — spiegò Phil.

Il viso di Sacheverell si fece solenne. — Nessuno ha il gatto verde — disse con tono di rimprovero. — Non sarebbe permesso. È Lui che ha noi. Noi siamo i suoi umili adoratori, i suoi sommi sacerdoti.

— Ma io voglio vederlo — disse Phil.

— Ciò sarà permesso — lo rassicurò Sacheverell — quando Egli si sveglierà e il mondo si trasformerà. Nel frattempo, calmatevi, caro… Phil Gish, vero? Phil… filo… amore… un nome di buon augurio.

— Perché diavolo questo gatto verde è tanto importante? Che cos’è?

I due uomini si voltarono. Juno era ancora ferma sulla soglia. Chinata leggermente in avanti, con le braccia incrociate, la testa incassata fra le spalle, li guardava con aria imbronciata, con un’espressione ribelle sul volto.

— Il gatto verde è amore — le disse dolcemente Sacheverell. — L’amore che sboccia anche dall’odio.

Ci fu un’altra interruzione: una risatina fanciullesca che proveniva da un punto della stanza di fronte al caminetto a cui Phil prima non aveva fatto caso. Scorse un’alcova ampia e profonda con finestre chiuse da persiane grigie, come tutte le altre finestre della stanza tranne quella a fianco del caminetto, che guardava verso il buio. Nell’alcova c’era un divano semicircolare sul quale era sdraiata Mary Akeley, in una posa da adolescente, ancora vestita col maglione nero e la gonna rossa rigida.

— Sapete — disse — non riesco proprio ad abituarmi all’idea di amare tutti. Sacheverell dice che devo comportarmi bene con la mia piccola gente e smettere di punzecchiarli con gli spilloni e cose del genere, ma è difficile.

Per un attimo Phil ebbe la spiacevole sensazione che la donna si riferisse ai gatti. Poi notò una serie di piccoli scaffali alle sue spalle, che iniziavano sopra la spalliera del divano e finivano a metà parete, pieni di bamboline. Avvicinandosi, si accorse che non si trattava di normali bambole, ma di figurine umane estremamente realistiche, alte non più di quindici centimetri. Non aveva mai visto delle bambole modellate e vestite così perfettamente. Ce n’erano due o trecento. Nei loro scaffali, dietro a Mary, sembravano uno spaccato di un’affollata strada a tre livelli in un mondo in miniatura. Davanti al divano c’era un tavolo basso coperto di pezzi di cera, stampi, microattrezzi e lenti d’ingrandimento, parecchie statuette semifinite e quadratini di stoffa così delicata che doveva essere stata tessuta su ordinazione.

— Vi piace il mio piccolo popolo? — sentì che gli chiedeva Mary. — Piace quasi a tutti. Ho cominciato facendo delle bamboline che riproducevano delle spogliarelliste, ma queste, sono tutte mie, e sono molto più divertenti. Sacheverell, caro, io credo che loro siano contente di farsi infilzare da me. Penso che sia questo il modo in cui vogliono essere amate.

— Forse, mia cara — disse Sacheverell con un risolino affettuoso — ma adesso dobbiamo vedere come la pensa Lui.

Phil si accorse che le bamboline erano delle copie perfette di persone reali. Tanto perfette che per un attimo Phil si chiese quale fosse il mondo reale: quello grande, o questo in miniatura di Mary. Riconobbe il Presidente Barnes, e quello sovietico Vanadin, la mascella quadrata di John Emmet del Federal Bureau of Loyalty, molte celebrità della televisione e della sensoradio, Sacheverell e almeno otto versioni della stessa Mary, Jack Jones coi suoi pantaloni neri, Juno vestita di marrone, il dottor Romadka e — trattenne il fiato — Mitzie Romadka in un abito da sera molto simile a quello che le aveva visto addosso poche ore prima.

— Riconoscete qualche amico? — chiese Mary dolcemente, allungando verso di lui il suo giovane viso, tutto naso e mento, con espressione interrogativa.

Si udirono dei passi pesanti. Juno si era decisa a entrare nella stanza e si era messa alle spalle di Phil per guardare le bambole. Mary fissò lo sguardo su di lei con un sorriso innocente. — Sono spaventosamente belline, vero? — osservò.

— Ugh! — disse Juno.

— Cerca di essere felice! — disse Sacheverell, ammonendola col dito. — Sforzati. Presto sarà tutto molto più facile. Quando Lui si sveglierà, voglio dire. Ora devo andare a vedere se c’è stato qualche cambiamento. Divertitevi. — E dopo aver affidato loro questo meraviglioso compito, si affrettò a uscire dalla stanza, facendo frusciare la sua tunica verde contro la tenda di velluto.

— Sacheverell è stato efficientissimo da quando Lui è arrivato — osservò Mary. — Un grande piccolo manager. Non l’ho mai visto così pieno di energia. Si era già entusiasmato per altre cose, sapete — continuò lei. — Cristianesimo semantico, neo-mitraismo, Bhagavad-Gita, il Vangelo secondo San Isherwood, folklore bradburiano, la Triplice Dea di Creta, il satanismo e l’adorazione del diavolo (questi sono quelli che piacciono anche a me) e non so che altro. Ogni volta che ne trova uno nuovo, si entusiasma moltissimo, ma come questa volta mai. L’ha presa molto sul serio. Da quando Jack gli ha dato il gatto verde, tutto raggomitolato che dormiva…

— Non dormiva — l’interruppe Phil piuttosto duramente. — Era stato colpito da una pistola paralizzante.

— Non siate ridicolo — disse Mary. — Jack l’ha trovato che dormiva. Bene, non appena Sacheverell l’ha toccato ci ha annunziato che il mondo sarebbe cambiato e sarebbe iniziata una nuova era d’amore e comprensione, e da allora è stato affaccendato come un’ape. Arrivato a casa ha tirato fuori tutti gli aggeggi di Bast. Gli ho detto che dal momento che Bast è una dea femmina, forse non dovremmo chiamarlo “Lui”. Ma Sacheverell ha detto che no, che era così e doveva essere così. E immagino che abbia ragione, perché quando l’ha portato a casa, addormentato, tutti i gatti si sono precipitati attorno a lui, ma le gattine correvano ancora di più che i maschi. In ogni modo io mi fido sempre delle intuizioni di Sacheverell, perché è così bravo in fatto di percezioni extrasensoriali che ne ricaviamo la metà delle nostre entrate.

Si udì un grugnito soffocato e poi di nuovo il rumore pesante di passi. Mary sorrise furtivamente, seguendo Juno con gli occhi, ma continuò a chiacchierare:

— Sapete, penso che ci sia qualcosa di vero in quello che dice Sacheverell su una nuova èra di amore e di comprensione, perché i gatti avevano l’abitudine di azzuffarsi continuamente, ma da quando Lui è in casa sono buoni come angioletti, come una piccola ONU felina senza la Russia e i satelliti. Persino io mi sento più dolce, e questo è davvero straordinario, anche se mi spezzerà il cuore non odiare più nessuno. — Sospirò. — Comunque, se tutti quanti cominceranno ad amarsi fra di loro, dovrò rassegnarmi e mettermi a far pratica fin da ora.

Phil, che si era chinato verso di lei, si ritirò di scatto a quelle parole. La sua faccia, nonostante le labbra invitanti e la pelle morbida, era un po’ troppo simile a quella di una giovane strega. Ma Mary si limitò ad allungare una mano dietro le spalle e a prendere la bambola di Juno. — Dovrò amare perfino lei! — disse.

I passi cambiarono direzione e si avvicinarono. La faccia di Juno era rossa come un peperone, stravolta per la rabbia.

— Mettimi giù! — ordinò. — Lo so che sei una strega. Ce n’era una anche in una fattoria vicina alla mia, quand’ero in Pennsylvania. Solo le streghe fanno delle statuette di cera della gente e poi le infilzano.

Per tutta risposta Mary accarezzò affettuosamente la bambolina. — No, Juno, io dovrò amarti e tu dovrai abituarti all’idea. — Rivolse uno sguardo dolce a Juno, che rabbrividiva a ogni carezza data alla bambola. — Tra parentesi, io sono davvero una strega. E se potessi scegliere, preferirei di molto infilzarti.

— Mettimi giù! — tuonò Juno sollevando le braccia, con i muscoli tesi che premevano contro le maniche strette della camicetta, come se avesse sollevato una grossa pietra, e si apprestava a scagliarla contro Mary.

Mary, senza fretta, l’accontentò e prese un’altra figurina. — Preferisci che manifesti il mio amore per Jack? Sei tu che mi costringi a farlo.

— Non toccarlo! — La faccia di Juno era quasi paonazza. — Sono anche troppe le moine che gli fai di solito, ma questo è ancora peggio. Smettila di toccarlo in quel modo! Aaaaaah!

Phil si fece da parte mentre Juno, con un urlo terribile, dava un calcio al tavolino facendo cadere tutto quello che c’era sopra e costringendo i gatti a rifugiarsi sotto i tavoli e le sedie. — Ora le faccio a pezzi una per una — gridò.

Mary balzò immediatamente in ginocchio sul divano, la schiena rivolta al suo piccolo popolo, le braccia spalancate.

— Dritto negli occhi — sibilò col viso contorto dall’ira. — Negli occhi te li infilerò gli aghi! Accorri al mio richiamo, Satana!

Phil non riuscì mai a capire se Juno fosse davvero, come sembrava, un po’ intimorita dalla diabolica minaccia di Mary, perché proprio in quel momento si udì uno scalpiccio affannoso di piedi sulla scala e dall’ingresso sbucarono Jack Jones e Cookie.

— Juno! — gridò Jack. — Ti avevo avvertita che ti avrei uccisa se avessi messo piede qui dentro!

Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Cookie confermò solennemente: — E lo farà.

Juno si voltò verso il marito assumendo la posa di un orso. — Sentimi bene, piccolo fetente, tu vieni subito a casa con me. — Cominciò a sollevare la gonna e a rimboccarsi, o piuttosto a strapparsi, le maniche del vestito. Il collo di pelo le era già caduto a terra, e il cappello le si era messo tutto di sbieco.

Nel frattempo Jack si stava guardando in giro, rendendosi conto dei danni.

— Juno! — esclamò esterefatto, facendosi avanti — hai rotto tutto, hai rovinato anche il piccolo popolo, hai perfino portato qui quello scimunito! — e passando diede a Phil un colpo tale che lo spedì contro la parete, facendogli battere i denti. — Non vedi quello che hai fatto, Juno? — continuò Jack con crescente indignazione, come se dovesse convincere Juno dell’enormità del suo delitto prima di liquidarla. — Hai fatto l’unica cosa che loro non perdoneranno mai, che li farà rivoltare persino contro di me. — Era sul punto di scoppiare a piangere. — Non ti rendi conto che loro sono le due uniche persone al mondo che significano qualcosa per me? Non capisci che all’infuori di Mary e Sacheverell a me non importa niente di nessuno?

Con sorpresa di Phil la risposta a quest’ultima affermazione non venne da Juno, che aveva minacciosamente sollevato le braccia nude, ma da Cookie.

— Oh, allora non t’importa niente neppure di me? — disse con voce acuta. — È da un pezzo che lo sospettavo, ma ora l’ammetti tu stesso.

— Sta’ zitto, sei solo uno stupido leccapiedi — disse Jack.

— Oh, così io sono solo uno stupido leccapiedi, vero? Bene, lascia che ti dica una cosa: Juno ha ragione, e io avrei dovuto ammetterlo da molto tempo. Questi Akeley ti hanno montato la testa. Ti hanno rincitrullito.

In quel momento Sacheverell rientrò all’improvviso nella stanza, con un fruscio di seta. — Smettetela subito! — ordinò alzando le braccia. — Disturberete il Suo risveglio. Sollevatevi al di sopra dell’odio. Non vi rendete conto che le vostre aure sono così scure che riesco a distinguervi soltanto come macchie d’inchiostro? Neppure Lui riuscirebbe a raggiungervi.

— Smettila tu con queste sciocchezze su di “Lui” — disse Cookie con disprezzo. — Non voglio più sentire quella parola; sono stufo di far finta di credere a tutte quelle stupidaggini sui vostri culti. Avete già fatto abbastanza danni a Jackie. Lo sai che avremmo potuto guadagnare diecimila dollari con quel gatto che stai usando per le tue buffonate? Jackie l’aveva appena paralizzato ed era pronto a consegnarlo a Moe Brimstine per diecimila dollari, quando sei capitato tu con tutte le tue arie da grande mago e quella orribile strega di tua moglie. Hai fatto credere a Jackie che sarebbe diventato il fondatore di una nuova religione o qualcosa del genere e l’hai convinto a forza di chiacchiere a darti il gatto. Ti odio. Ti farei a pezzi — e cominciò a camminare verso di lui sulla punta dei piedi, gonfiando il torace come un galletto da combattimento.

Ancora una volta Phil ebbe una sorpresa, perché lo sguardo scandalizzato di Sacheverell si rivolse non a Cookie ma a Jack.

— Jack — boccheggiò — vorresti dirmi che Gli hai sparato con un paralizzatore e che hai perfino pensato di poterLo vendere per denaro? Giuda!

— Guarda cos’hai combinato — si lamentò Jack, rivolto non a Cookie ma a Juno. — Hai rovinato tutto.

— Ti rovino io a te, razza di intellettualoide da strapazzo — ruggì lei, e gli si gettò addosso con l’irruenza di una principiante. Sul viso di Jack si dipinse una smorfia astuta, mentre si scansava con agilità, allungando contemporaneamente una mano. Ma proprio in quell’istante l’addestramento professionale di Juno prese il sopravvento. Rallentò, afferrò abilmente il polso di Jack, si piegò con una rotazione e fece volare Jack al di sopra della schiena, mandandolo a finire contro il tavolo con la stella a cinque punte, che si rovesciò con un gran fracasso mentre vari oggetti religiosi cadevano dal muro.

Nel frattempo Mary Akeley aveva afferrato una piccola morsa che si trovava accanto a lei e l’aveva scagliata con grande precisione verso la testa di Cookie, proprio nell’istante in cui questi si gettava d’improvviso alla gola di Sacheverell. La morsa volò per la stanza e mancò di poco la testa di Cookie.

In mezzo a tutta quella baraonda, Phil, con strana calma e freddezza, si avvicinò agli scaffali con le bambole, scelse con cura quella di Mitzie e se la mise nella tasca della giacca.

Quando si voltò vide che Jack aveva raccolto, fra gli oggetti caduti, un coltello sacrificale azteco di vetro nero e si dondolava sulle ginocchia come un cobra. Juno aveva in mano un Buddha di bronzo, piccolo ma massiccio.

Vicino alla tenda di velluto Cookie stava cercando di strozzare Sacheverell steso a terra che gli menava grandi colpi sulla testa con il calice d’argento che serviva da abbeveratoio per i gatti.

Mary, afferrati alcuni spilloni, si era lanciata in avanti. Esitò prima di decidere chi attaccare, poi si lanciò verso Cookie, non tanto, pensò Phil, per aiutare il marito, quanto perché i suoi insulti le bruciavano ancora.

Mai prima di allora, neppure nelle trincee, Phil Gish aveva visto così forte il desiderio di uccidere su un viso umano.

Ora lo vedeva su cinque.

Poi, all’improvviso, ogni rancore sembrò sparire nel nulla.

La stanza divenne silenziosa. Il coltello di vetro nero e il calice caddero dalle mani di Jack e di Sacheverell. Gli spilloni di Mary colpirono il suolo con un lieve, vibrante tintinnio. Il Buddha di Juno piombò sul tappeto di preghiera con un tonfo. Le mani di Cookie si allentarono e si ritirarono come vergognose, prima ancora di ricevere un messaggio dal cervello.

Anche le espressioni si rilassarono. Le rughe scavate dall’odio si ammorbidirono e svanirono. Le labbra che avevano lasciato scoperti i denti si ricomposero. Gli occhi si riempirono di una dolorosa comprensione.

Jack fu il primo a parlare con voce bassa e stupita: — Juno, tu mi ami davvero. Non vuoi soltanto possedermi ed umiliarmi come uomo.

Juno disse: — Ti importa davvero di quello che penso, vero, Jack?

Cookie disse: — Non l’avevo capito, Sacheverell: c’è del vero in quello che dici. Non è tutta una montatura.

Mary disse: — E tu vuoi davvero che Jack sia felice, Cookie. Non è solo vanità e invidia.

Sacheverell disse: — Mio Dio, sta succedendo. E io che credevo di aver preparato soltanto una messa in scena, o poco più.

In quanto a Phil, gli sembrava di essere ritornato in quel mare d’oro in cui aveva nuotato nel pomeriggio. Gli sembrava che il suo cuore fosse unito da fili sensibili con quelli delle cinque persone che gli stavano intorno. Gli pareva addirittura che dei fili sottili e delicati lo unissero alle bamboline e gli permettessero di capire Romadka, Barnes, Vanadin, forse perfino se stesso.

Poi, insieme a tutti gli altri, si voltò verso la tenda di velluto. A una decina di centimetri dal pavimento aveva fatto capolino la testolina verde di Lucky. Sembrava un grande gioiello verde, sospeso, che li illuminava a turno con i suoi raggi. Poi Lucky avanzò nella stanza. Subito, da sotto i tavoli e le sedie, dal caminetto e da dietro i libri, apparvero tutti gli altri gatti e si raccolsero in cerchio attorno a Lucky.

— È cominciato — mormorò felice Sacheverell. — Il mondo sta cambiando.

— San Francesco d’Assisi — disse Mary debolmente — reincarnato in un gatto.

Lucky camminava lentamente, gli altri gatti gli fecero ala e lo seguirono, mantenendo sempre una rispettosa distanza. Passò davanti a Mary e a Cookie, superò anche Sacherevell, che sembrò un tantino deluso, e balzò leggermente fra le braccia di Phil.

Phil non aveva mai tenuto fra le mani qualcosa che pesasse così poco, né aveva mai toccato un pelo così elettrizzante. Gli sembrò che il suo petto fosse troppo piccolo per contenere il cuore.

Sacheverell disse a voce bassa ma squillante: — Voi siete il prescelto. — Phil lo guardò, poi, in un impeto irragionevole e quasi mistico di angoscia, volse gli occhi alla finestra alle sue spalle.

Il vetro stava vibrando, onde grigie, circolari, che si allargavano da un punto centrale.

Nello stesso istante sentì la mano sinistra, quella che stringeva Lucky, diventare insensibile. Lucky balzò in aria convulsamente e cadde a un paio di metri da lui, restando immobile.

Il vetro della finestra si spezzò di colpo e cadde tintinnando a terra, lasciando soltanto alcuni frammenti attaccati allo stipite.

Il corteo di gatti si disperse e i suoi membri corsero nell’ingresso e su per le scale.

Moe Brimstine scavalcò il davanzale con un’agilità insospettata per un uomo della sua mole. Si fermò a un passo dalla finestra stringendo un paralizzatore nella mano gigantesca. A Phil sembrò che avesse la mascella macchiata dell’oscurità alle sue spalle, mentre le ellissi nere degli occhiali sembravano due frammenti della stessa oscurità.

— Fuori ci sono un paio di ragazzi con gli ortho — disse, mettendosi di fianco alla finestra. — So che non volete farvi tagliare a fette.

A quanto pareva nessuno lo voleva, anche se Phil non aveva la più pallida idea di cosa potesse essere un ortho.

— Ascoltatemi attentamente, tutti quanti — disse Moe. — Se vi dimenticherete tutto questo, se penserete e vi comporterete come se non fosse mai successo nulla, a cominciare dal fatto di aver trovato il gatto questo pomeriggio, allora io mi dimenticherò di voi. Questo vale per te, Jack, anche se sei più stupido di quanto avessi mai creduto e ti sei lasciato scappare un buon affare da diecimila; e anche per te, Juno, e per Cookie. Ma se non ve ne dimenticate, se dovessi avere il più piccolo indizio che non ve ne siete dimenticati… Be’, non parliamone. — Scrutò attentamente la loro faccia. — Allora siamo d’accordo — disse, e cambiando di mano la pistola paralizzante venne avanti e raccolse Lucky.

— Lui… Lui… — mormorò Sacheverell disperato. Moe lo guardò e Sacheverell non disse più niente.

— Per quanto tempo ha dormito dopo che l’hai colpito? — chiese Moe a Jack.

Jack si inumidì le labbra. — Quasi fino a ora — disse. — Fino a cinque minuti fa. — Moe indietreggiò fino alla finestra.

Phil sentì qualcosa dentro di sé che lo tormentava costringendolo a muoversi, perché lui certamente non voleva spostarsi di un millimetro.

Avanzò verso Moe, tremando, prima un passo, poi un altro. Sentiva un dolore lancinante attanagliargli il petto, come se venisse fatto a pezzi da immaginari ortho.

— Metti giù quel gatto — riuscì a dire.

Moe lo guardò con aria profondamente annoiata.

— È solo un pazzo — sentì Jack dire a Moe con un sussurro ansioso. — Non darà alcun fastidio.

— Su questo non ho dubbi — disse Moe seccamente, e trasferì la pistola nella mano che teneva Lucky.

Ma Phil continuò ad avanzare verso la figura torreggiante. Cercò di fermarsi, ma il tormento che provava dentro non glielo permise. E ancora una volta, suo malgrado, aprì le labbra e parlò.

— Mettilo giù. Non puoi averlo. Nessuno può. — Sollevò i pugni, ma il sinistro era come morto.

Moe lo guardò disgustato. Il grosso pugno si mosse verso la mascella di Phil, molto lentamente. Eppure, per qualche ragione, non ebbe il tempo di scansarsi.

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