6

La folla che usciva dal corridoio cancellò via da Phil lo spiacevole ricordo degli epiteti di Mitzie. Si fece strada rasentando la parete, schiacciato e pestato, preso a gomitate, semiasfissiato da nuvole grigio-azzurre di tabacco e di cosiddetta erba venusiana, deliziato da commenti del tipo: «Avrebbe potuto sbarazzarsi di lei tutte le volte che voleva.» E: «Proprio non le sopporto quelle stupide donne giudice!»

Finalmente venne risucchiato da un vortice di folla vicino al corridoio laterale. Senza molta speranza boccheggiò: — Juno Jones. — Il Vecchio Bracciodigomma sussurrò raucamente: — Entra pure amico — e inarcò leggermente il suo braccio grigio per lasciare passare Phil, mentre col resto della sua lunghezza si sforzava di trattenere un improvviso flusso di gente e con l’estremità bloccava un tipo vestito di marrone con gli occhi fuori delle orbite che aveva cercato di infilarsi dietro di lui.

Phil si asciugò la fronte e respirò profondamente. Si sentiva un po’ incerto sulle gambe ora che non c’era più la calca. Una donna uscì dalla porta di fronte. Era vestita in modo sciatto, ma vistoso: un lungo abito informe, scarpe coi bottoni, cappello a larghe tese con dei fiori, collo di pelliccia e guanti. Sembrava una donna delle pulizie di una volta, col vestito della festa. Non la riconobbe finché la folla dietro di lui cominciò ad acclamarla, scandendo il suo nome: — Juno! Juno!

Lei li salutò con un gesto della mano, ma i suoi occhi erano fissi su Phil.

— Ehi, sono felice di vederti — disse afferrandolo per un braccio. Poi gli mormorò: — Non fare domande. Vieni con me — e lo trascinò lungo il corridoio, lontano dalla gente.

Le grida della folla si fecero deluse e un po’ irritate. Una voce acuta si udì sopra le altre: — Dove vai con quella mezza cartuccia?

Juno si voltò di scatto e si piantò di fronte a loro: — State a sentire, babbei! — tuonò, e la folla si zittì, mentre il lampo di un flash la illuminava. — Lo so che sono la vostra eroina, e ne sono felice, ma anch’io ho diritto alla mia vita amorosa! E non permettetevi di offenderla!

Mentre la folla scoppiava a ridere e riprendeva ad acclamarla, Juno spinse Phil attraverso una porta. — Spero che non ti spiaccia quello che ho detto. Sono i miei ammiratori, e devo tenermeli buoni.

Phil scosse la testa, un po’ confuso. Si aspettava che lei si fermasse non appena fuori degli sguardi della gente, invece continuò a spingerlo lungo uno stretto corridoio.

— Stai a sentire, ehm… — cominciò con voce ansiosa.

— Phil — disse lui. — Phil Gish.

— Phil, senti, vuoi venire a cena con me?

— Certo — disse Phil.

— Bene. — Sembrò sollevata, ma non smise di guardarsi intorno con fare apprensivo mentre continuava a camminare in fretta. — Conosco un buon ristorante. Un posto tranquillo, dove fanno dell’ottimo coniglio allo spiedo. — Raggiunsero una stretta scala immersa nell’ombra. Juno lo fece voltare da quella parte, ma mentre Phil stava per salire lo tirò indietro. — Non di lì, Phil, per carità — lo avvertì. — Si va dritti da Billig e dalle vespe. Il posto che dico io è al livello inferiore. — Cominciò a scendere. — Potevamo prendere l’ascensore, ma di qui è meglio. Più privato — aggiunse con tono burbero.

Alla fine delle scale una porta stretta immetteva direttamente in una sala buia con un bancone che correva lungo una delle pareti e di fronte si apriva una fila di separé. A giudicare dalle cromature annerite doveva risalire al 1960. I clienti erano camionisti, poliziotti e altri individui meno identificabili. Vicino alla porta da cui erano entrati c’era quella dell’ascensore. Juno agitò una delle sue manone verso un paio di tizi e gridò a qualcuno: — Whisky e braciole, e che siano ben cotte. Tu cosa prendi, Phil?

Lui si ricordò che non mangiava dal giorno prima e mormorò qualcosa a proposito di un sandwich di fermenti e di un bicchiere di latte di soia. Lei gli lanciò una strana occhiata ma non fece commenti, poi lo prese nuovamente a rimorchio. Rispose ad alcuni saluti ma senza intrattenersi, e sembrò sollevata di scaricare Phil nel separé vicino alla porta d’ingresso, dove più forte era il rumore dei camion. Le luci dei fari, mescolate con quella dello specchio al sodio, lampeggiavano attraverso il plastivetro graffiato e polveroso. Ma, cosa straordinaria, non c’era traccia di jukebox o di radio di sorta nel locale. I bottoni sulla parete a fianco del tavolo portavano l’indicazione di cibi sintetici ormai inesistenti, con un cartello di FUORI SERVIZIO che doveva avere almeno vent’anni.

Phil studiò la sua compagna, seduta di fronte a lui, e si rese conto che doveva averle prese parecchio. Sulla mascella portava ancora i segni di un brutto colpo, malamente coperto da un trucco frettoloso. Juno aprì la borsetta, agitata come una ragazzina timida, e cominciò a incipriarsi la mascella. Poi ci rinunciò, mise via la cipria e si piegò in avanti appoggiando sul tavolo i grossi gomiti.

— Non crederci se ti dicono che gli incontri sono truccati — disse accigliata. — Zubek si è fatto scoppiare le budella per cercare di battermi stanotte.

— Hai vinto? — chiese Phil.

— Oh, certo. Due cadute, un avvitamento e una caduta libera… Vuol dire che l’ho fatto volare fuori e non è più tornato indietro.

Un vassoio scivolò lungo il banco del bar. Juno si alzò e lo prese ancor prima che Phil si rendesse conto che era per loro. A giudicare dalla velocità con cui era stato eseguito l’ordine, Phil decise che dovevano servirsi ancora del forno a raggi infrarossi. I pezzi di coniglio di Juno erano grossi quanto delle piccole bistecche (doveva essere come minimo un coniglio ottoploide), mentre il whisky era scuro e abbondate. Phil assaggiò il sandwich e lo trovò passabile, sebbene si sentisse sempre a disagio quando mangiava in un ristorante non meccanizzato.

Mentre Juno masticava le braciole e beveva whisky gli accennò alla storia della sua vita. Phil seppe così che era una ragazza di campagna, venuta ancora giovane in città, che aveva sofferto le solite disillusioni. — Come fa una ragazza a cavarsela di questi tempi? — chiese a Phil. — Specialmente una grande e grossa come me? Non che avessi un brutto personale, ma anche allora ero troppo grossa e forte. Facevo spaventare gli uomini, e a quel tempo non conoscevo ancora quelli a cui potevano piacere le mie doti. Allora provai per un po’ a fare la madre di fatica (sai cos’è, dare alla luce i bambini per le signore ricche che non hanno voglia di portarseli per nove mesi), ma sapevo che non c’era futuro in quella professione. Tempo dieci anni e mi sarei ritrovata a frugare nei bidoni dei robot spazzini, cercando di far durare un mese un vestito di carta gettato via. Allora mi ricordai che al mio paese ero capace di stendere nove ragazzi su dieci e mi iscrissi a delle gare per dilettanti. Dopo un po’ presi ad addestrarmi per diventare una professionista. — Scosse tristemente la testa. — Avresti dovuto vedermi allora; ero veramente bella prima che fossi costretta a fare la cura di ormoni. — Si guardò con un certo schifo le mani, ancora coperte dai guanti bianchi, macchiati di sugo. — Mi hanno dato anche la pituitrina, quei bastardi. — Sospirò e scosse le spalle. Ormai le erano rimaste solo le ossa nel piatto e stava scolando il secondo whisky. — Ecco com’è andata, Phil. Naturalmente dovevo finire per innamorarmi di un lottatore e sposarlo, quel piccolo farabutto. La maggior parte delle ragazze nel nostro mestiere fa questo errore. Ma almeno posso permettermi di mangiare coniglio, e anche carne, e ci sono un sacco di imbecilli che mi rispettano.

Phil annuì con forza. — Ti sei fatta una posizione nella vita. Una posizione sicura.

— Stai scherzando? — chiese lei. — Fra cinque anni sarò finita. Dieci al massimo, se riesco a diventare un personaggio. — Scosse la testa e si piegò in avanti. — Anzi, le cose stanno molto peggio. I combattimenti fra maschi e femmine hanno vita breve. Il governo vuole proibirli.

— Lo dicono sempre — cercò di rassicurarla Phil — e non lo fanno mai.

Lei si strinse nelle spalle con aria rassegnata. — Questa volta lo faranno.

— Ho sentito il Presidente che diceva qualcosa del genere, stasera — disse Phil — ma sembrava ubriaco.

Lei alzò ancora le spalle.

— Si dice che la Divertimenti SpA abbia un sacco di agganci nel governo — obiettò Phil.

Lei sorrise con aria strana. — Giusto. I migliori agganci che un’organizzazione abbia mai avuto. Ma ormai ha fatto il suo tempo. Da qualche settimana Moe è preoccupato, molto preoccupato. Te lo dico io.

— Moe?

— Moe Brimstine. Quello che hai visto questo pomeriggio.

— Ah, sì — disse Phil, mentre gli ritornava vividamente alla memoria l’immagine della sua figura massiccia, dalla mascella quadrata, che riempiva il vano della porta. — Sai, sono rimasto sorpreso quando mi sono accorto che la sua voce era quella del Vecchio Bracciodigomma — continuò con una piccola risata. — Mi sembrava un uomo troppo importante per fare il portiere.

— Sicuro che lo è! — esclamò Juno, riacquistando per un attimo la sua voce tonante. — Non crederai davvero, Phil, che lui passi il suo tempo a spiare attraverso un buco, manovrando quell’affare di gomma? Si è solo servito della sua voce per registrare le domande e le risposte di Bracciodigomma. Si diverte un mondo a fare cose del genere. — Inarcò le folte sopracciglia. — Non sai neanche chi è Moe Brimstine?

Phil scosse la testa.

— Ma dove sei vissuto per tutto questo tempo? Scusa, Phil, ma Moe Brimstine è… accidenti, è uno dei capi dell’organizzazione, un pochino più sotto solo al signor Billig in persona!

Quando Phil mostrò di non conoscere neppure quest’ultimo, lei ci rinunciò. — Non importa, Phil — disse in tono amichevole. — Sappi che Moe Brimstine è praticamente il capo della Divertimenti SpA, che controlla i centri di lotta e di divertimenti, i robot venditori, i sexy-jukebox e un sacco di altre cose di cui non si parla molto. Ed è preoccupato, molto preoccupato. Io conosco Moe, lui vive solo per l’organizzazione. Per questo dico che le cose vanno davvero male. — Fece una pausa, poi aggiunse enigmaticamente, come se la cosa la riguardasse personalmente: — Un sacco di cose vanno male.

Phil annuì. Rimasero un po’ in silenzio.

— Dimmi, Phil — fece Juno alla fine a bassa voce, guardandosi le grosse dita macchiate di sugo che stringevano il bicchiere vuoto. — Era proprio una… come si dice… un’allucinazione, vero, quella del gatto verde?

— Prima pensavo di sì — rispose Phil a bassa voce. — Ora non ne sono tanto sicuro.

Lei tirò un profondo respiro e lo guardò. — Sai una cosa — disse con improvviso calore — neanch’io ne sono sicura. Dimmi, Phil, quanto può valere quel gatto, ammesso che ci sia? Diecimila dollari?

Phil spalancò gli occhi, ma contemporaneamente pensò che il valore di Lucky non avrebbe mai potuto essere misurato in denaro. — Diecimila dollari? — mormorò. — Non ne ho la più pallida idea. Perché ti è venuta in mente una simile cifra?

— Ecco — disse Juno lentamente — dopo che gli Akeley (che gli venga un colpo!) se ne sono andati, Jack è venuto da me e ha cominciato a dirmi che mi ero comportata come una stupida, non perché ti avevo lasciato entrare, ma perché ti avevo lasciato andar via. Mi dice: «Tu sei stupida, Juno, completamente stupida. Non sai riconoscere le buone occasioni. Io sarei in grado di ricavare diecimila dollari da quella mezza cartuccia, solo che non lo farò, almeno non subito» dice «perché ci sono cose più importanti, Juno, cose più importanti» — finì lei facendo roteare gli occhi, come se fosse sul ring, sul punto di affrontare il marito nei panni di Swish Jack Jones, lo Scannafemmine.

— Da parte mia, comunque — continuò dopo un po’, con voce meno indignata — non mi sono mica stupita troppo, perché lui cerca sempre di stuzzicarmi da quando ha conosciuto Sashy (Jack non vuole che lo chiami così) Akeley. Ma questa sera, appena scesa dal ring, Moe Brimstine comincia a farmi un sacco di domande su un gatto verde. Si vede che aveva risentito i nastri del Vecchio Bracciodigomma, e inoltre io avevo accennato qualcosa a proposito di un gatto verde parlando con te. Lui faceva finta che fosse tanto per curiosità, come si dice, ma Moe Brimstine non fa mai niente senza scopo. Io naturalmente gli ho detto che tu eri solo un povero matto innocuo coi gatti per la testa, ma lui non sembrava del tutto soddisfatto. — Guardò Phil perplessa. — Anche tu credevi di essere matto questo pomeriggio, vero? Non ci credevi mica ai gatti verdi? Dopo che noi ti abbiamo convinto, voglio dire.

Phil annuì.

— Ma adesso hai cambiato idea?

— Sì. Vedi, alla fine ho seguito il consiglio di tuo marito e sono andato dallo psicoanalista.

— Quel maledetto psicologo degli Akeley! — disse lei con disprezzo.

Phil le raccontò del suo incontro col dottor Romadka. Quando ebbe finito, Juno esplose. — Ho capito tutto. Se ti ha chiuso a chiave, e ha chiamato dei gorilla, e quelli hanno anche infranto il codice per correrti dietro, allora di sicuro il gatto non te lo sei sognato, amico!

— Non sembravano dei gorilla — obiettò Phil dubbioso. — E poi la signorina Romadka non ha dato grande importanza al gatto verde.

— Quella schifosa sgualdrinella! — disse Juno con un gesto di disprezzo.

Phil ci restò di sasso. Non si era reso conto di averle detto tanto di Mitzie.

— E poi — continuò Juno come se questo chiudesse la questione — Moe si interessa al gatto verde, altrimenti non mi avrebbe fatto tante domande, e di qualsiasi cosa si interessa Moe. stai sicuro che deve essere vera. Ah, quel povero scemo!

— Chi? Moe? — chiese Phil confuso.

— Certo che no. Volevo dire Jack. Vedrai quando Moe si accorge che ha preso il gatto verde e se l’è tenuto. — Inarcò le sopracciglia eccitata. — Sta’ a sentire, Phil, secondo me è andata così: Moe dice a Jack e a qualcuno degli altri: «Ragazzi, ci sono diecimila dollari per chi mi porta un gatto verde». Diecimila è la cifra preferita di Brimstine quando tratta coi furbastri come Jack. Poi…

— Ma cosa se ne fa Moe Brimstine di un gatto verde? — obiettò Phil. — Perché non glielo hai chiesto?

— Amico, nessuno chiede mai niente a Moe Brimstine — rispose Juno.

— Allora credi che tuo marito e Cookie mi abbiano rubato il gatto verde mentre il Vecchio Bracciodigomma mi tratteneva nel corridoio?

Juno gli diede un’occhiata come per dire che quella era una cosa ovvia.

— Ma il signor Brimstine ha interrogato anche tuo marito?

— Jack non era in programma questa sera — spiegò Juno. — Se ne è andato da qualche parte.

— Dagli Akeley? — chiese Phil, mentre gli ritornava in mente un ricordo confuso.

— No, questa non è la sera di ricevimento — disse Juno. La sua voce per un attimo divenne amaramente affettata. — Loro ricevono solamente una volta alla settimana. Jack sarà andato da qualche parte con Cookie.

— Ma se è vero, come dici tu, che Brimstine ha offerto diecimila dollari per un gatto verde, perché Jack non glielo ha dato, invece di tenerselo?

Juno roteò gli occhi come un toro infuriato. — Oh, devono essere stati quegli Akeley; l’avranno convinto a fare qualcosa; magari si sono fatti dare anche il gatto. Se lo rigirano come vogliono, quei due.

Phil si sentiva sempre più confuso. — Ma cosa se ne fanno gli Akeley di un gatto verde?

— Che cosa se ne fanno dei matti come quelli di qualunque cosa? Cosa se ne fanno di Jack? — sbuffò, fissando Phil negli occhi. — Ricordati bene di una cosa — disse burbera. — Io amo Jack, quel piccolo sorcio. Ne ho sopportate di tutti i colori da lui, ma non me la sono mai presa eccessivamente. Certo, è stato brutto quando mi sono accorta che gli importava più di Cookie e di quelli come lui che di me, ma non l’ho mai dato da vedere. Dopo tutto, a un uomo non fa piacere sapere che puoi stenderlo come vuoi. Ma quando gli Akeley l’hanno scoperto e hanno cominciato a fargli venire delle strane idee, questo è stato troppo per me. Sono degli intellettuali quelli, capisci, l’hanno montato, gli raccontano un sacco di balle sul suo talento artistico nascosto, gli dicono che lui è Zeus, o che so io, in lotta contro il principio femminile, eccetera. Be’, lui c’è cascato, hai capito? È andato giù in caduta libera. Ha cominciato a comprare dei nastri, perfino dei libri stampati! Poi ha preso a insultarmi, a dirmi un sacco di parole che io non avevo mai sentito. Non la finisce mai di raccontare quant’è grande Mary, con le sue arti magiche e tutte quelle cose lì, e quant’è meraviglioso Sashy con le sue idee sulla comprensione e l’amore e un sacco di altre scemenze. Mi ha detto in faccia che sono una tonta e una stupida in senso semantico. — Ed essendo riuscita a pronunciare l’ultima parola, Juno finì di trangugiare il suo whisky. — Vedi, Phil — continuò — posso combattere contro Cookie e gli altri, perché sono al mio livello, ma non posso combattere contro quei cervelloni. Mi stanno portando via Jackie e io non posso fare niente per impedirlo. Ma adesso l’hanno cacciato in un guaio davvero grosso, ci scommetto, con questa faccenda del gatto verde. Perché Moe Brimstine non si fa mica impressionare dagli intellettuali, o da qualunque altra cosa. — Appoggiò adagio il bicchiere e strinse i pugni. — Se ce l’avessi fra le mani glielo farei vedere io, gli farei tornare il buon senso. Ma prima di parlare con Moe Brimstine non sospettavo neanche lontanamente una cosa del genere, e ormai non posso fare più niente.

Il ricordo confuso di Phil sì schiarì all’improvviso. Disse a Juno di come, mentre correva dal dottor Romadka, avesse visto Jack, Cookie, Sacheverell e Mary sulla vecchia auto elettrica.

Juno diede un gran colpo sul tavolo con entrambi i pugni facendo voltare la gente. — Quel carro funebre! — ruggì. — Dovevo immaginarlo. È una occasione così importante questa che ricevono fuori programma. — Balzò in piedi e afferrò Phil per un polso, mentre cercava il proprio bicchiere prese per sbaglio quello di Phil, ma se ne accorse appena in tempo per non bere l’ultimo goccio di latte di soia, lo rimise giù rabbrividendo e trascinò Phil fuori dal separé. — Vieni — disse. — Andiamo dagli Akeley! Al tempio!

Nell’istante in cui Juno apriva la porta che conduceva alla sottostrada, all’estremità opposta della sala si aprì l’ascensore e apparve una figura massiccia, con. occhiali scuri che formavano due macchie nere.

Fu allora che Phil ebbe una dimostrazione fuori programma della forza di Juno Jones. Venne sollevato da terra e scagliato attraverso la porta a tre metri di distanza, sulla sottostrada piena di traffico pesante.

— Era Moe Brimstine — boccheggiò Phil.

— Lo so — disse Juno trascinandolo verso la scala mobile che portava ai livelli superiori e alle cabine telefoniche. — Non ci ha visti.

Ma Phil non ne era tanto sicuro.

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