Quando i particolari della nuova orbita cominciarono a diventare sempre più definiti, nessuno pensava che Rama sarebbe riuscito ad evitare la catastrofe. Solo qualche cometa era passata così vicina al Sole. Al perielio, sarebbe venuto a trovarsi a meno di mezzo milione di chilometri da quell'inferno di idrogeno fuso. Nessun materiale solido poteva resistere a quella temperatura. La lega di cui era composto l'involucro di Rama avrrebbe cominciato a fondersi almeno dieci minuti prima di arrivare a quella distanza.
La Endeavour aveva già superato il perielio della propria orbita, con gran sollievo di tutti, e la sua distanza dal Sole andava lentamente aumentando. Rama era lontanissimo, nella sua orbita angusta e veloce, e già pareva che lo lambissero le propaggini più esterne della corona. Dall'astronave si sarebbe potuto seguire come da un palco di prima fila il gran finale del dramma.
Poi, a cinque milioni di chilometri dal Sole, e continuando ancora ad accelerare, Rama cominciò a ruotare rapidamente. Finora era apparso come una minuscola sbarra luminosa al telescopio della Endeavour, adesso cominciò a brillare a intermittenza come una stella intravista su un orizzonte nebbioso. Pareva che stesse disintegrandosi. Quando notò quel cambiamento nell'immagine, Norton provò una stretta al cuore al pensiero che quella meraviglia andasse distrutta. Ma subito dopo si rese conto che Rama era ancora là, circondato da una nebbia scintillante.
Poi scomparve, e al suo posto rimase un oggetto luminoso, che sembrava una stella, come se Rama si fosse contratto trasformandosi in una piccola sfera.
Ci volle un po' di tempo prima che si rendessero conto di quello che era successo. Rama era proprio scomparso: era rinchiuso all'interno di una sfera riflettente del diametro di circa cento chilometri, tutto quello che si vedeva era il riflesso del Sole sulla parte della superficie curva più vicina a loro. E Rama, chiuso all'interno di quella bolla protettiva, era probabilmente al sicuro dall'inferno solare.
Col passare delle ore, la sfera cambiò forma, l'immagine del Sole risultava allungata, distorta. La sfera si stava trasformando in un ellissoide con l'asse maggiore puntato nella direzione che aveva tenuto Rama. Fu allora che cominciarono ad affluire i primi rapporti anomali dagli osservatori-robot che da quasi duecento anni erano stati posti a permanente guardia del Sole.
Nel campo magnetico solare, e precisamente nella zona circostante Rama, stava succedendo qualcosa. Le linee di forza, lunghe un milione di chilometri, che formavano la corona e lanciavano le loro staffilate di gas ionizzati a velocità tali da superare l'enorme attrazione gravitazionale del Sole, si piegavano intorno all'ellissoide scintillante. A occhio nudo non si poteva vedere niente, ma gli strumenti in orbita riportavano tutti i cambiamenti nel flusso magnetico e nella regione ultravioletta dello spettro.
Poco dopo, si poterono notare anche a occhio nudo i cambiamenti verificatisi nella corona. Si era formato un tubo, o tunnel, debolmente luminoso e lungo centomila chilometri, che si prolungava oltre l'atmosfera del Sole. Era curvo, chino sull'orbita che Rama stava tracciando, e Rama stesso, o meglio il suo bozzolo protettivo, era visibile sotto forma di una sfavillante pallina che si inoltrava velocissima nella corona attraverso quel tunnel spettrale.
Infatti, continuava ad accelerare. Ormai procedeva a più di duemila chilometri al secondo, e non era più il caso di chiedersi se sarebbe rimasto per sempre prigioniero del Sole. Ormai la strategia di Rama era chiara: i ramani si erano avvicinati al Sole col semplice intento di rifornirsi di energia alla fonte, in modo da poter procedere poi a velocità ancora superiore verso la loro meta sconosciuta.
Ben presto fu evidente che non assorbiva solo energia. Non si poteva averne la certezza, perché gli strumenti di osservazione più vicini si trovavano a trenta milioni di chilometri di distanza, ma c'erano indizi probanti che dal Sole a Rama stava avvenendo un travaso di materia, come se i ramani volessero rifarsi dell'usura e delle perdite subite nel corso di diecimila secoli di viaggio nello spazio.
Rama girava sempre più in fretta intorno al Sole, muovendosi a una velocità che nessun corpo aveva mai raggiunto entro l'ambito del sistema solare. In meno di due ore la sua direzione aveva deviato di più di novanta gradi, e questa fu la prova decisiva, quasi sprezzante, del totale disinteresse nei riguardi di tutti i mondi che aveva coinvolto col suo ingresso nel sistema solare.
Stava uscendo dall'ellittica, precipitando nel cielo meridionale molto al di sotto del piano su cui si muovevano tutti i pianeti. Sebbene quella non potesse essere sicuramente la sua meta, puntava direttamente sulla più grande delle Nubi di Magellano, verso i solitari abissi al di là della Via Lattea.