11

Mormorii di scherno lo inseguirono mentre correva lungo il vicolo. Codardo, traditore, sciocco, debole… era tutto questo e qualcosa di più. Ma no. Si disse che non era stato pronto, che non era ancora arrivato al punto da poter troncare l’esistenza di un Servo dello Spirito. Forse se avesse mandato giù un altro whisky…

Ma che razza di coraggio è mai questo? si chiese, mentre sboccava in una strada affollata e bene illuminata. Terrorizzato, continuò a correre per qualche metro, poi si fermò, accorgendosi di attrarre l’attenzione.

TRE GRANDI SOLDATI TRE! Annunciava un’insegna luminosa. C’era una coda di gente davanti al teatro. Lui si mise in fila. Sbirciò all’indietro, temendo di scorgere Carver furibondo che usciva dal vicolo, ma Carver non comparve. La fila si mosse lentamente verso lo sportello dei biglietti. C’erano solo quattro persone davanti a lui, ora. Tre, due, una…

Dietro lo sportello non c’era nessun impiegato. Una macchina lucente lo fissò di rimando e una voce uscì dalla griglia dell’altoparlante: «Quanti biglietti? Mezza unità l’uno. Quanti biglietti?»

Harris guardò, a bocca aperta. Le parole non avevano significato, per lui.

«Non capisco» mormorò. E si accorse di avere parlato in darruuese. Qualcuno in fondo alla coda protestò, impaziente. Una voce appena dietro a lui disse: «Che cosa c’è, maggiore?»

«Io… Sono stato lontano dalla Terra per tanti anni…» ansimò Harris.

«Basta che diate alla macchina il denaro. Mezza unità per biglietto, è tutto.»

Harris si cercò in tasca la banconota e la diede al robot, che lo ricambiò con un biglietto. Lui l’afferrò e si affrettò a sparire nel buio nel teatro.

«Il vostro resto, maggiore!» gridò qualcuno alle sue spalle.

Ma lui non si fermò.

Cercò una poltroncina. Era morbida, calda, abbracciava tutto il corpo. Si sentiva come se fosse tornato nuovamente nel grembo materno. Alzò gli occhi e vide lo schermo illuminato riempire un arco enorme davanti e sopra la sua testa. Vide figure muoversi, sentì pronunciare molte parole.

Ma non capiva.

Se ne stava lì, irrigidito dal terrore, guardando le immagini tridimensionali senza senso agitarsi sulla scena. Poco a poco quella paura cieca si calmò. Le parole ricominciarono ad avere un senso. Era una trama assurda, piena di violenze e di assassinii, che lo interessava ben poco, ma gradualmente cominciò a immedesimarsi nella storia, fino a che la seguì con tutta l’attenzione.

Il corpo si rilassò. I veleni prodotti dalla tensione nervosa abbandonarono il suo organismo, col passare delle ore. Il primo spettacolo finì, e dallo schienale della poltroncina di fronte una voce lo avvertì che poteva procurarsi qualcosa da bere senza muoversi dal suo posto, infilando monete in varie fessure. Ma lui non aveva sete.

Dopo un po’, cominciò il secondo spettacolo. Era anche più stupido del primo, ma Harris lo guardò con interesse, affascinato dalla splendente vitalità delle immagini vivide, che sembravano tanto vere da poterle toccare. Infine ritrovò completamente la calma, e la parte razionale della sua mente riprese il sopravvento.

Gli hai fatto un bel servizio disse a se stesso, con disprezzo. Ora Carver saprà che hai tentato di ucciderlo e ti inseguirà. O ti tenderà un’imboscata quando meno te l’aspetti. Hai sprecato l’occasione buona.

Si aspettava qualche rimprovero del mutante telepate. Ma ci fu solo silenzio. Non lo aveva più sentito da quando, nel vicolo, era stato avvertito che quello era il momento di agire. Poi… più niente, come se non valesse la pena di mantenersi in contatto con lui.

Harris si alzò. Uscì dal teatro, fuori, nelle tenebre.

Era passata la mezzanotte, ormai. Le strade erano abbastanza tranquille. Camminò, guardingo, fino alla rampa degli elitassì.

«Spaceways Hotel» disse. E si sistemò per il lungo tragitto.

Quando scese dalla rampa e attraversò la strada per entrare nell’albergo, si guardò ancora intorno in tutte le direzioni.

Il segnale del comunicatore incorporato nella sua carne non si era fatto sentire da quando aveva lasciato Carver nel vicolo. Brutto segno. Perché Carver non aveva cercato di mettersi in contatto con lui per una spiegazione? Aveva semplicemente deciso di avvicinarlo ed eliminarlo senza una parola?

Sigillò la porta della sua stanza. Nessuno poteva entrare ora, a sua insaputa.

Prese la bottiglia di vino darruuese. Era quasi vuota, ormai. Ne aveva bevuto troppo la notte precedente. Con la mano che gli tremava un poco, se ne versò una piccola quantità e la sorseggiò come se fosse un elisir di lunga vita.

Il comunicatore chiamò.

Lui si affrettò a rispondere, nervosamente. Era Carver.

«Dove siete finito?» chiese Carver, con violenza. «Cosa è successo?»

«Ho avuto paura.»

«Paura? E vi sembra una parola che possa usare un Servo dello Spirito? Ditemi che cosa è successo.»

«Siete svenuto» improvvisò Harris. «Il robot vi ha portato fuori, nel vicolo. Ho creduto che vi avessero avvelenato o qualcosa del genere, e che i Medlinesi fossero vicini. Così mi è sembrato che la cosa migliore fosse darsela a gambe.»

«E piantarmi lì?»

«Non sarebbe servito alla causa di Darruu lasciarci catturare o uccidere entrambi» osservò Harris. Si stava rilassando rapidamente. Sembrava che Carver non sospettasse la causa reale dello svenimento. A meno che non stesse recitando.

«Dove siete, adesso?» chiese Carver.

«Nella mia camera, all’albergo.»

«Venite immediatamente in sede.»

«A quest’ora?»

«Immediatamente.»

Poi Carver soggiunse: «Il vostro comportamento è stato molto strano, maggiore. Molto strano davvero.»

«Ho ucciso cinque Medlinesi, stasera» replicò Harris. «Non posso riposarmi un po’?»

«Vi aspettiamo entro un’ora.» E Carver troncò il contatto.

Harris si strinse la testa fra le mani. Stava male. Aveva fatto troppe cose negli ultimi giorni, aveva percorso troppa strada. Voleva semplicemente riposare… riposare…

Ma non c’era requie per lui. Si alzò in piedi, sfinito. Il pensiero di attraversare la città per recarsi in quell’edificio roso dalle intemperie lo riempiva di cattivi presentimenti. Aveva la sensazione di andare verso la morte che lo aspettava nella stanza polverosa di un quartiere in piena decadenza.

Scese da basso e uscì dall’ascensore come un cadavere ambulante. Gli sembrava di avere trascorso tutta quella settimana salendo e scendendo dagli elitassì, sfrecciando da una parte della metropoli all’altra. Si sentiva sfinito e coi nervi a fior di pelle. Fece cenno al portiere di chiamargli un elicottero.

Una figura uscita da chissà dove gli si avvicinò, sussurrandogli piano: «Non ci siete riuscito, vero?»

Lui si girò di scatto, aspettandosi il colpo d’un assassino.

«Beth!»

Lei sorrise. Si era cambiata di nuovo, indossava la vestaglia seducente: era tornata ad essere la splendida creatura che lui aveva conosciuto il primo giorno del suo arrivo sulla Terra. La fissò. I loro sguardi s’incrociarono e lui rivide alcuni dei ricordi di Beth.

Arrossì. Era in possesso della sua personalità, conosceva i segreti più intimi della sua anima. Non aveva il coraggio di fissarla negli occhi.

«Avevate già in mano la pistola» disse la ragazza. «Che cosa è successo?»

«Mi è mancato il coraggio. Non ero pronto.»

«Forse vi abbiamo forzato troppo.»

«Forse.»

Un fattorino d’albergo si avvicinò. «L’elitassì aspetta sulla rampa, maggiore.»

Harris annuì e diede una moneta al ragazzo.

«Dove andate, ora?» chiese Beth.

«Da Carver. Mi ha chiamato.»

«Dove?»

«Al quartier generale darruuese. Fuori, tra le case più povere.»

«Siete armato?»

«Certo.»

«Vi uccideranno, Abner. Sospettano di voi. Ma prima devono accalappiarvi con uno stratagemma. Il dispositivo subsonico innestato nel vostro fianco vi protegge da ogni attacco. Nessuno può avvicinarsi a oltre un metro di distanza contro la vostra volontà. Così vi tendono un’imboscata. Ho pensato che vi facesse comodo saperlo.»

Lui annuì. «Me lo immaginavo.»

«Ancora una cosa» disse lei. «Una cosa importante.»

«Sì?»

«Abbiamo intercettato un messaggio. Altri dodici Darruuesi stanno viaggiando verso la Terra. Arriveranno scaglionati nei prossimi due mesi.»

«E con questo?»

«Il nostro compito diventerà più difficile. Dovremo acciuffarli appena arrivati… sradicarli. Non dobbiamo lasciarli attecchire qui. Potremo cominciare stanotte, però, se ci aiuterete.»

«Cercherò.»

Lei gli afferrò una mano, la trattenne un momento, la strinse. Harris ricambiò la stretta. Non provava più ripugnanza pensando che sotto a morbida pelle rosea stava a corteccia ruvida di una medlinese. Le aveva visto dentro, ormai, nell’intimo, e non poteva più odiarla.

«Attento» mormorò la ragazza. «Contiamo su di voi. Venite nella nostra sede, quando tutto sarà finito. Vi aspetteremo là.»

«Beth…»

Ma era troppo tardi. Lei era sparita, rapidamente come era apparsa. Harris sentì all’improvviso un pulsare doloroso sotto lo sterno, Pensò che i Medlinesi non lo avevano abbandonato. Non erano disgustati per la sua vigliaccheria, perché non aveva ucciso Carver quando gli era capitata l’occasione di farlo. Capivano — Beth, almeno, capiva — che una trasformazione simile non poteva verificarsi in un istante, che lui doveva annaspare verso la luce, avanzando a zig-zag nel buio.

Uscì e salì sull’elicottero. Diede l’indirizzo al pilota, poi si appoggiò allo schienale e attese che il velivolo si alzasse nell’aria.


A quell’ora il quartiere dove i Darruuesi avevano la loro sede era ancora più deserto del solito. Non si vedeva anima viva. Harris s’incamminò cautamente verso l’edificio malandato, aspettandosi da un momento all’altro un’imboscata. Il cuore gli batteva all’impazzata. Non era normale temere la propria gente… Pensò che non si era ancora abituato al pensiero di doversi difendere dai Servi dello Spirito.

Si udì un fruscio. Harris sobbalzò, portò la mano al fianco e cominciò a premere il dispositivo subsonico. Un animaletto peloso sbucò da un vicolo, lo guardò con occhi fosforescenti e miagolò.

Harris sorrise, rassicurato. L’hai scampata bella, micino. Un attimo ancora e non saresti più qui.

S’inginocchiò un attimo, accarezzò la pelliccia morbida della bestiola e tirò innanzi. Il suono dei suoi passi riecheggiava, sinistro, nelle strade vuote. La Luna terrestre, alta nel cielo, splendeva intensamente con il suo faccione bizzarro e butterato, che gli dava un’impressione come di disgusto.

Ora Harris era a un solo isolato dalla sede di Aragon Boulevard. E non era successo ancora niente. Attraversò la strada larga, camminando piano, con una mano sul fianco, poi entrò nell’edificio.

Salì.

L’ascensore protestò, scricchiolando, mentre sollevava il suo peso alla velocità di trenta metri ogni dieci secondi.

La tensione nervosa gli bloccava il cervello, l’apparato respiratorio, l’intestino. Sentiva i pori chiudersi, il sudore grondare sulla pelle sintetica. Un dolore sottile, a fitte, lo tormentava in fondo ai bulbi oculari.

La cabina si fermò. Lui uscì, pronto ad attivare il subsonico con una pressione dalla mano alla minima minaccia di pericolo. Il corridoio era vuoto. E scuro. Ma gli occhi di un darruuese, abituati a contemplare un mondo dove la luce solare diretta era una rarità, scrutavano facilmente nelle tenebre. Si diresse verso le stanze occupate dai cospiratori.

Le aveva quasi raggiunte, quando una figura uscì dall’ombra e lo chiamò per nome.

«Harris!»

Era Reynolds, il chirurgo. Il viso pallido luccicava di sudore. Harris lo squadrò, temendo che portasse un’arma, ma in mano non aveva niente.

«Salve, Reynolds.» Guardò perplesso il corpo grassoccio del chirurgo. «Che fate qui fuori?»

«Ero sceso per bere qualcosa. Ho sentito che la vostra missione è riuscita.»

«Cinque morti. Peccato che voi e gli altri non abbiate potuto aspettare.»

«Peccato. Be’, venite dentro con me, che vi estraggo il dispositivo subsonico dalla gamba…»

«Oh! Vorreste toglierlo?»

«Certo. Mica potete continuare a circolare con un congegno simile addosso, no?»

«E perché no?»

«È pericoloso. Lo si aziona troppo facilmente. Uno vi urta per sbaglio e voi…»

«Io sono schermato. Se non vi spiace, vorrei tenerlo. È un aggeggino utile. Non capisco perché tutti gli agenti non ne vengano dotati fin dall’inizio della missione.»

Reynolds lo guardò, allibito. «Non volete che ve lo tolga?»

«No.»

Le labbra dell’altro si mossero un attimo, senza emettere suoni. Poi, terrorizzato, Reynolds girò sui tacchi e attraversò con un balzo la soglia, sbattendosi la porta alle spalle.

Harris aspettò, non volendo seguirlo in un eventuale vicolo cieco. Il comportamento del medico era buffo: la trappola non aveva funzionato, e lui si era lasciato sopraffare dal panico. Un Servo dello Spirito pensò con scherno. La creatura più nobile dell’Universo.

«Harris?»

Era la voce di Carver, che risuonava al di là della porta chiusa.

«Harris, mi sentite?»

«Vi sento. Che c’è? Perché non mi fate entrare, Carver?»

«Reynolds dice che non volete lasciargli estrarre il subsonico.»

«È vero.»

«Il subsonico non fa parte dell’equipaggiamento normale di un agente. È stato installato su di voi per uno scopo preciso, che ora avete raggiunto. Dev’essere tolto subito. Capito?»

«Gli agenti Medlinesi non sono ancora tutti morti» disse Harris. «Cinque, su cento…»

«Il dispositivo deve essere estratto. È un ordine, Harris… Aar Khiilom! Sfidando questo ordine, sfidate lo Spinto stesso.»

«E va bene» replicò lui, con disinvoltura tinta d’ironia. «Mandate fuori Reynolds con i suoi ferri, che venga a toglierlo.»

Ci fu una lunga pausa. Ad Harris sembrò di sentirli confabulare. Certo i cinque si erano barricati oltre i dodici metri di portata del subsonico e ora Reynolds si rifiutava di avvicinarsi. La discussione si protrasse ancora per un po’. A tratti sentiva Carver imprecare rabbiosamente.

Poi Carver gridò: «Toglietevi il subsonico da solo. Non possiamo rischiare di perdere un uomo.»

«Mica sono un chirurgo.»

«Basta aprire lo sportello della coscia e staccare il dispositivo. Reynolds finirà il lavoro, quando avrete fatto questo.»

«Spiacente, ma la risposta è no, Carver.»

«Non vorrete sfidare lo Spirito!»

«Non voglio suicidarmi» replicò Harris. Sapeva che cosa sarebbe successo, una volta staccato il subsonico. Gli avrebbero bruciato il cervello con l’annientatore, dieci secondi dopo.

«È un ordine!» tuonò Carver.

«Non posso ubbidire a quest’ordine. E ora vengo dentro. Finiremo la conversazione faccia a faccia.»

«State fuori! Siamo armati!»

«Lo immagino.»

Si mosse. Avevano gli annientatori, ma la portata di quelle armi era di soli sei, sette metri. Lui poteva raggiungerli e tramortirli per primo. Probabilmente avevano anche le stordi-pistole, ma quelle perdevano la maggior parte della loro efficacia oltre i dodici metri.

Spalancò l’uscio.

Intravvide i cinque che se la davano a gambe, terrorizzati, in uno degli uffici interni. Si accinse a seguirli, ma una fiammata e uno spruzzo di metallo fuso contro lo stipite della porta, a pochi centimetri dalla sua testa, gli fecero cambiare idea.

Pistole e proiettili!

Pallottole!

Era buffo, in un certo senso, tornare ai rozzi proiettili in un momento tanto drammatico. Tuttavia bisognava ammettere che i proiettili avevano i loro vantaggi. Erano efficaci anche a grande distanza. E potevano causare danni gravi. Irreparabili, a volte.

Si gettò a terra, e una seconda pallottola andò a conficcarsi nella parete sopra di lui. Alzò la testa e calcolò la lunghezza del locale… nove metri abbondanti. E loro stavano nella stanza attigua, che era ancora più grande. Dunque avevano molto spazio per muoversi prima che lui arrivasse alla distanza giusta. E potevano colpirlo coi proiettili prima che lui riuscisse a tramortirli col subsonico.

Avanzò cautamente, strisciando sul pavimento. Si udì un’altra esplosione e un altro proiettile tagliò l’aria e andò a conficcarsi nel pavimento accanto a lui, in una nuvola di schegge.

«Questo è un sacrilegio, Harris» gridò Carver. «Vi ordino di fermarvi.»

Lui si morse un labbro. Una carica disperata pensò. È l’unica cosa da fare. Spero solo di non beccarmi una pallottola in pieno petto…

«Ve lo ordino in nome dello Spirito, Harris! Per tutto ciò che avete di sacro! Allontanatevi! Togliete quel subsonico! Aar Khiilom, state distruggendo la vostra anima! Farete appassire le radici dell’albero della vostra nascita! Mi sentite, Aar Khiilom?»

«Vi sento» rispose Harris.

«Obbedite!»

«Non posso» rispose lui, calmo. Si fermò un attimo, per raccogliere tutto il suo coraggio.

Poi balzò in piedi e caricò in un assalto disperato.

Загрузка...