Trehearne fissò Joris attonito. Un rivoletto di sangue gli scendeva dal naso alla bocca. Dimenticò di asciugarlo.
«Scherzate» disse.
«Affatto.» Fu Edri che rispose. Era salito sul ponte dietro Trehearne. Gridò di buon umore: «Maledetto te, Joris, che cosa cerchi di fare, ucciderci tutti prima di partire?»
«Ci inseguiranno subito» disse Joris. «Dobbiamo prendere il massimo vantaggio possibile.»
Trehearne domandò: «Perché andiamo a Thuvis?»
«Un poco» disse Edri semplicemente «per salvare gli uomini che se ne stanno là a marcire, ma soprattutto perché dobbiamo prendere con noi Arrin. Vedi, Trehearne, egli fu arrestato prima di poter finire i suoi calcoli. Quando tentai di continuarli, vi aggiunsi parte del mio materiale, ma l’elemento che manca non vi è contenuto. Arrin è l’unico che ne sia a conoscenza. Deve essere così, altrimenti non avrebbe potuto arrivare tanto lontano. Ora, se riuniamo quanto ciascuno di noi sa…» Edri sospirò. «È stata una lunga, interminabile lotta. Mille anni trascorsi a mettere insieme dicerie, leggende e voci popolari, a dar la caccia a frammenti di lettere e documenti segreti, a scavare in un mucchio di corbellerie in cerca di un piccolo brandello di verità. Le autorità vardda di quel tempo soppressero o distrussero ogni testimonianza connessa con l’ultimo viaggio di Orthis. E fecero un buon lavoro. Finora nessuno ha mai saputo in quale zona della Galassia avvenne l’ultimo inseguimento.»
Tacque assorto. «Sì, una lunga lotta. E se ci sbagliassimo, ciò significherebbe la fine di ogni speranza per la nostra generazione. Altri dovrebbero ricominciare da capo le ricerche.»
La domanda gli parve crudele, ma Trehearne non poté astenersi dal farla.
«Vi sono le prove che l’astronave di Orthis esista ancora?»
«No. Sappiamo soltanto che al tempo in cui Orthis sfuggì ai suoi inseguitori e scomparve non era stata distrutta. Perché, come ti ho detto, molto tempo dopo una delle scialuppe della sua astronave fu ritrovata nello spazio con l’ultimo messaggio di sfida che Orthis indirizzò alla Galassia.»
Edri tacque, poi soggiunse: «Ti meravigli che veneriamo un simile uomo?»
«Penso» disse lentamente Trehearne «che tu abbia il suo stesso coraggio.»
«Può darsi» rise Edri «So soltanto che ho una sete spaventosa. Non hai dimenticato di far provvista di vino, Joris?»
«Dio mi guardi!»
«Andiamo a bere.» Edri prese Trehearne per un braccio. «E ora puoi raccontarmi una storia: da dove vieni, che cosa diavolo fai qui?»
«Non ora» disse Trehearne senz’alcun entusiasmo. «Penso che sarebbe meglio per me andare a vedere che ne è di Shairn.»
Edri spalancò la bocca dallo stupore: «Shairn?»
«Sì, purtroppo, Shairn.» Spiegò rapidamente come la passeggera involontaria fosse salita a bordo. Edri parlò a voce bassa e dura. «Questo non semplificherà certo le cose. Non possiamo lasciarla a Thuvis e non possiamo fermarci da nessun’altra parte.»
«Non si è potuto farne a meno» borbottò Joris.
«Ah, no. Bene, penso sia meglio che io venga con te, Trehearne. Non credo sia prudente che tu ci vada solo.»
La trovarono chiusa nella cabina di un ufficiale, nella quale, per quel viaggio improvvisato, non vi era nessuno. Era ancora legata e imbavagliata. Dallo sguardo che lanciò loro, Trehearne pensò che li avrebbe uccisi entrambi se ne avesse avuto la possibilità.
La liberò e lei sedette sulla cuccetta, strofinandosi i polsi. Due segni rossi partendo dagli angoli della bocca le attraversavano le guance pallide là dove era passato il bavaglio. Le davano un’espressione comica come quella della maschera di un clown. Ma non vi era nulla di comico nel suoi occhi.
Ella non disse parola. Si sedette e lo guardò, semplicemente.
Edri disse: «Andiamo, Shairn. Un bicchiere di vino ti farà bene.»
Lo ignorò. Silenzio e i verdi occhi terribili fissi su Trehearne.
Le si avvicinò e le mise una mano su una spalla. «Sii ragionevole, Shairn. So che cosa senti, ma non abbiamo fatto nulla con intenzione. E siamo tutti tuoi amici, tu sia o meno d’accordo con noi.»
Si ritrasse, ma non in tempo. Le unghie di lei gli graffiarono la guancia. Si allontanò. Ella sedette e rimase immobile.
Trehearne girò sui tacchi e uscì. Edri lo seguì e serrò la porta. «Forse Joris riuscirà a parlarle» disse. Nella sua voce non c’era molta speranza.
«Oh, ne uscirà» replicò Trehearne. «Nessuno può insistere per sempre in una simile pazzia.»
Edri scosse il capo. «La conosco più di te. Non ci conterei.»
Il segnale di chiamata rimbombò sopra le loro teste. Era Joris che li convocava alla cabina di comando.
«Edri, tu e Trehearne salireste un momento quassù? C’è una brutta notizia.» I servizi di comunicazione erano sul ponte di poppa. Joris aveva lasciato i comandi al secondo ed era nel ristretto spazio alle spalle dell’operatore, intento ad ascoltare la sottile voce metallica che proveniva dal ricevitore ultrasonico.
"Linea Uno-Attenzione. Tutte le navi in Zona M 29… chiedono conferma radar su nave creduta in navigazione come segue…"
«Il radar della base avrà individuato le nostre coordinate al momento della partenza, naturalmente» osservò Joris. «Stanno solo controllando.»
«Ascolta» disse Edri.
La voce metallica finiva di ripetere le coordinate. Continuò: "Tutte le navi la identificheranno immediatamente se richieste. Tutte le navi la identificheranno…".
«Un astrocaccia» concluse Edri.
Joris si accigliò. «Ne possono equipaggiare almeno uno di fretta. Ve l’ho detto che dovevamo prenderci un buon vantaggio.»
Ritornò sul ponte per dare un’occhiata ai quadranti e dar ordine di accelerare i generatori.
«Dovremo raggiungere il culmine dell’accelerazione in metà del tempo normale o sarà come se fossimo rimasti a Llirdis. Vado a vedere che indicazioni dà il radar.»
Trehearne lo seguì; preoccupato dall’idea dei caccia. I Vardda non avevano navi da guerra vere e proprie, essendo nell’invidiabile posizione di non averne bisogno. Ma il Consiglio manteneva una flottiglia di apparecchi armati con un massimo di velocità notevolmente superiore a quello dei cargo, allo scopo di reprimere qualche occasionale manifestarsi di traffici illegali tra i Vardda stessi o di proteggere gli agenti inviati su pianeti barbari e pericolosi.
Sugli schermi del radar tridimensionale appariva il solito numero di piccole scintille rosse, gli impulsi di energia più veloci della luce, dei generatori dall’astronave. Joris li esaminò con occhio esperto.
«Ancora nulla di preoccupante. È troppo presto per dire qualcosa. La zona immediatamente alle nostre spalle è troppa gremita di astronavi provenienti dalla base.» Si volse a Quorn, l’ufficiale addetto ai servizi di comunicazione.
«In guardia, a poppa. Chiamatemi quando vedrete qualcosa di anormale. Possiamo sostituirvi di tanto in tanto, ma avrete ben poco tempo libero.»
La libertà era un problema in quel viaggio. Nessuno poteva goderne molta. Il numero degli uomini superava di poco la metà di quello normalmente richiesto da un equipaggio al completo in circostanze normali e alcuni non erano tecnici addestrati. Trehearne si trovò a dover fare un turno di otto ore nella cabina di comando a interpretare i quadranti e un altro ai servizi di comunicazione. Poiché, evidentemente, non c’erano trasmissioni da fare, poteva manovrare il ricevitore abbastanza bene da cavarsela.
La Linea Uno che era la voce ufficiale di maggior autorità del Consiglio dei Vardda continuò a chiedere conferma sulla loro rotta e a ottenerla.
Non passò molto che Quorn riferì che il radar indicava un punto rosso a poppa che sembrava seguire la rotta.
Calcolando la distanza dall’intensità era possibile stabilire la velocità media con cui si avvicinava. Joris ordinò che si aumentasse l’impulso dei generatori, incurante del fremito d’agonia dello scafo e delle reazioni ugualmente penose dei suoi uomini.
«Finché non caricheremo Arrin» disse «bisogna filare alla massima velocità. Thuvis è il primo posto che bloccheranno e solo una puntata diretta da parte nostra impedirà loro di farlo.»
Raggiunsero il culmine dell’accelerazione, la punta massima sopportabile dalla struttura dell’astronave. Joris la superò. Si raccomandarono a Dio.
Dall’oblò d’osservazione si cominciò a scorgere un diradarsi di astri più avanti. Sempre più vaste si fecero le zone d’oscurità e le colonie di soli meno numerose e più sparse. Le rosse scintille sullo schermo dei radar tremolarono e svanirono, finché rimasero soltanto due o tre mercantili isolati diretti a quei remoti sistemi planetari. Quei due o tre: e quell’unico che balenava costantemente a poppa.
Le ore divennero una lenta monotona continuità di osservazione, di tensione. Intontito per il sonno, Trehearne sbrigava meccanicamente le sue mansioni, dimenticandosi perfino di arrovellarsi su quanto stava per accadere. Ieri era lontano un’eternità, domani perduto nel nulla. C’era soltanto l’oggi ed egli era stanco.
La stessa cosa accadeva a tutti gli altri. Joris non era particolarmente provato e Trehearne si meravigliava della forza del vecchio.
Shairn era chiusa nella cabina. Non rivolgeva la parola a nessuno tranne al giovane che le portava da mangiare, ed era solo per mormorargli un secco grazie.
Davanti a loro l’oscurità si faceva più fonda. L’asse maggiore della Via Lattea passava sotto di loro. Al di là dei sistemi isolati si intravedeva il gorgo spento del vuoto assoluto. La sua buia inconsistenza riempiva Trehearne di un sottile orrore. Era come vedere il Caos originario prima della creazione.
Infine un nebuloso sole rosso apparve nel centro e cominciò a ingrandire. Gli schermi del radar rimanevano vuoti tranne che per l’implacabile scintilla rossa che era divenuta quasi una fiamma, paurosamente lucente.
Joris fece i suoi calcoli e di nuovo si raccomandarono a Dio.
In un tempo un poco minore del nonnaie compirono la manovra di decelerazione. Durante quel tempo nessuno mangiò e solo quelli che vi erano obbligati rimasero in piedi.
Thuvis apparve nel cielo, dinanzi a loro: un sole malato, che consumava le sue ultime forze, fissando con un vacuo occhio rosso la cosmica presenza della morte. Un solo pianeta ruotava intorno a esso.
«Dobbiamo fare in fretta» disse seccamente Joris. «Tienti pronto, Edri.»
La Mirzim atterrò su un arido tavolato battuto da rigidi venti. Quorn rimase in assidua vigilanza accanto agli schermi del radar ma tutti gli altri uscirono, lieti di calpestare il terreno, sia pure per pochi minuti.
La polvere portata dal vento sferzò Trehearne, penetrandogli nella carne come una miriade di piccoli pugnali gelidi. Il cielo era fosco, pur in pieno giorno, ma vi era qualche stella. Anche di notte non vi sarebbero state che quelle rade stelle. Il tetro bagliore di Thuvis si rifletteva rosso su quel sabbioso mondo deserto e là, dove un profondo burrone incideva il tavolato, l’ombra s’insinuava fitta come sangue rappreso. Trehearne non poteva immaginare un luogo più simile all’inferno.
Edri si era affrettato verso l’orlo del burrone. Trehearne lo seguì e guardò giù. Ai piedi delle ripide pareti, ai piedi delle paurose pietraie vi erano un groviglio di anemica vegetazione, alberi stenti e macchie che fumavano come piccoli crateri nell’aria gelida. C’era un abitato laggiù, tre o quattro costruzioni in plastica circondate da un muro e al di là del muro una patetica distesa di terra coltivata.
«Vengono» gridò Edri. «Hanno visto l’astronave…»
Uno stretto sentiero saliva ripido dal fondo del burrone. Alcuni uomini vi si stavano inerpicando. Trehearne li contò. Otto, dieci, undici uomini, tutti gli abitanti di questo mondo di estremo esilio.
Edri urlava. La sua voce echeggiava nel burrone con un sordo rimbombo. Altre urla gli risposero. Gli uomini sul sentiero cominciarono a correre. Scivolavano e incespicavano nella fretta, arrancando con le mani e coi piedi. Trehearne scorse i loro pallidi visi tesi verso di lui.
Li osservò arrivare: smunte disperate figure d’uomini battute dal vento con il grigiore della morte vivente addosso, faticosamente emergenti da quella profonda prigione illuminata di rosso in risposta ai richiami di Edri. Vide i loro occhi, gli occhi di uomini risveglati improvvisamente da quel terribile intorpidimento della mente che è peggiore di una completa distruzione.
Edri gettò le braccia al collo dell’uomo che si inerpicò per primo sull’orlo del precipizio. Non si trovava là da molto tempo, come gli altri, e l’effetto non era così profondo in lui. Si voltò e gridò ai suoi compagni di affrettarsi. La sua barba e i suoi capelli scarmigliati si gonfiavano al vento e la sua voce suonava selvaggia.
Edri gli gridò: «Non c’è tempo per parlare ora, Arrin, siete tutti qui?»
C’erano tutti. La fila di quei barbuti fantasmi s’affrettò verso la Mirzim. Mani si stesero prontamente ad aiutarli.
La voce di Quorn urlò nell’altoparlante: «Sono proprio sopra di noi. Fate in fretta!»
Joris si era precipitato sul ponte. Stava al suo posto, attendendo che il portello si chiudesse.
«Preparatevi alla partenza! State attenti!»
La sua mano si alzò per trasmettere i segnali. E poi Trehearne la vide esitare e ricadere. Dalla porta aperta della cabina di trasmissione giunse un’altra voce perfettamente intelligibile a quella breve distanza. La voce metallica del ricevitore.
"Abbiamo la vostra posizione. Non tentate di partire. Abbiamo la vostra posizione. Non tentate…"
Al di sopra delle spalle improvvisamente incurvatesi di Joris, Trehearne scorse attraverso l’oblò della cabina di comando la lunga forma agile di un astrocaccia, planare verso uno spiazzo non lontano.