Il viaggio stava per finire. Dalla lunga fase di decelerazione si erano resi conto che stava per finire e ora le ultime scosse, e i lievi sussulti del caccia che si adagiava dentro il suo dock li avvertirono che erano di nuovo a Llirdis. I campanelli risuonarono e al fremito dei generatori subentrò uno strano silenzio.
Attesero, allora. E nulla accadde. Passarono le ore e nulla accadde.
Infine Trehearne disse: «Non hanno neppure l’intenzione di farci scendere dal caccia. Ci porteranno dove ci hanno destinato senza neppure ascoltarci.»
Edri scosse il capo. «No. La legge dei Vardda non condanna nessuno senza processo formale.»
Non potevano vedere nulla, udire nulla. Finché, infine, la porta si aprì. Vi erano ufficiali e guardie, molte guardie, tutte armate. I loro volti non esprimevano nulla.
«Venite con noi» ordinò il giovane capitano delle guardie.
«Dove?» domandò Joris «Alla prigione di Llirdis o…?»
«È proibito comunicare con i prigionieri» disse seccamente il giovane capitano. «Venite con noi.»
Parve strano a Trehearne camminare ancora su pavimenti, corridoi, ponti immobili, su un pianeta. Aldebaran splendeva nel suo fulvo bagliore quando scesero dal caccia. L’aria pareva umida in modo innaturale, pesante dell’odore del mare.
Egli, Joris e Edri, il primo a uscire, si guardarono attorno con un fremito d’ansia, quasi di speranza. Non potevano vedere gran che. Il caccia era atterrato in un settore isolato e altre guardie erano in attesa là fuori accanto ad alcune macchine lucenti.
Ma Trehearne poteva udire. Poteva udire tutto il consueto brusio, frastuono e rumoreggiare della grande base, il cigolio delle gru e il rombo dei carrelli, il sibilo di una veloce astronave planetaria in arrivo. E poi il ruggito più possente di una grande mole librata in volo, un’astronave in partenza per soli lontani. E all’orizzonte le torri splendenti della città di Llirdis sfidavano ancora i cieli con la loro magnificenza.
Trehearne sentiva un amaro senso di inutilità. Tutto questo ordinato turbinio di organizzazione e di attività, tutto il traffico galattico che si accentrava qui, la millenaria solidità del monopolio commerciale dei Vardda: come aveva potuto sognare che un appello radiofonico, pietosamente debole e mal trasmesso, potesse mai scuotere tutto ciò? I volti dei suoi amici gli rivelarono che la loro estrema speranza stava per svanire.
«Le macchine» disse il giovane capitano. «Voi quattro salirete sulla prima.»
Edri ritrovò la voce. «E Arrin?»
«Sono autorizzato a dirvi che il vostro compagno è stato portato all’ospedale ed è in buone condizioni.»
Joris non disse nulla. Trehearne vide i suoi occhi infossati vagare per la base e pensò che cosa dovesse essere per lui ritornare in quelle condizioni al luogo dove per anni aveva guidato con le sue mani l’andirivieni delle astronavi dei Vardda. Poi la macchina li portò fuori dalla base rapidamente. Trehearne notò che altre macchine con a bordo soltanto delle guardie li precedevano e li seguivano discretamente.
Nulla era cambiato a Llirdis. La città variopinta si pavoneggiava sotto il sole, iridescente, splendida, le strade affollate di Vardda sorridenti e dei rappresentanti di altre razze più strane, echeggianti di musiche, vivide di colori. Oltrepassarono un uomo e una ragazza vardda fermi a parlare e a ridere. E fu allora che Trehearne abbandonò ogni speranza.
«Stiamo andando verso il Palazzo del Consiglio» osservò Edri infine.
Joris annuì cupamente. «Avrei potuto dirvelo. Come membro del Consiglio, devo essere incriminato e destituito prima che si possano sostenere accuse a mio carico.» Aggiunse amaro: «Il vecchio Ristin, il presidente, non piangerà certo per questo. Ci siamo accapigliati piuttosto spesso in passato.»
Il Palazzo del Consiglio sorgeva tra una fitta massa di edifici governativi.
Dominava Llirdis non per imponenza, ma per antichità. Era costituito da un vecchio fabbricato grigio, che pur essendo privo di bellezza, aveva la massiccia solidità delle cose eterne. Trehearne intrawide solo vagamente i suoi cortili, i suoi corridoi e gli ufficiali che li seguivano con sguardi stupiti. Fu come se tutto ciò sfuggisse alla sua visione. E nulla gli parve veramente tangibile finché in un’anticamera il viso di Shairn balzò reale ai suoi occhi.
Aveva atteso per vederlo passare, immaginò. Aveva il viso pallido e tirato, e non parlò, ma i suoi occhi dissero: "Michael! Michael!". Si voltò a guardarla mentre passavano oltre, chiedendosi che cosa ella avesse letto nei suoi occhi. E poi si trovarono nella sala di deliberazione.
Non era vasta, né affollata: si trattava di un salone a forma di mezzaluna, in cui erano assisi poco più di un centinaio di Vardda. Del confuso ondeggiare di visi rivolti verso di lui, alcuni erano gravi, altri curiosi, altri esprimevano apertamente l’odio.
Ristin, il presidente, era un maestoso vecchio luciferino dai capelli bianchi, che sdegnava la meschina presunzione di trattare il caso come un affare di ordinaria amministrazione.
«Questo Consiglio non è un organo di giustizia» informò i quattro. «I crimini di cui vi si accusa — pirateria; resistenza all’autorità — verranno giudicati da corti regolari. Noi siamo qui riuniti per approfondire una questione di estremo interesse per lo stato.»
Joris si alzò, sporgendo in avanti la grigia testa simile a quella di un vecchio mastino. Brontolò: «Dal momento che si tratta di un’investigazione, non potete effettuarla legalmente, senza sentire noi.»
Ristin disse arcigno: «Il Coordinatore della base è sempre riuscito ottimamente a farsi ascoltare qui. Ma questa volta dovrete aspettare, Joris.» Alzò lo sguardo sui volti intenti dei Vardda, soggiungendo: «Il problema delle vostre colpe personali, non è il più importante. Quello che ci interessa più urgentemente è la politica generale che il Consiglio dovrà adottare.»
Trehearne udiva appena. La rapida visione di Shairn l’aveva profondamente colpito e la sua mente errava lontano. Confusamente si chiedeva perché Edri che fin allora era rimasto pesantemente afflosciato accanto a lui, si fosse irrigidito d’improvviso, perché gli afferrasse improvvisamente il polso.
Ristin continuava: «Perciò sottolineo di nuovo che noi del Consiglio non permetteremo che nessuna ombra di risentimento incida sul nostro giudizio. Noi siamo stati eletti per servire i veri interessi dei Vardda come comunità nel loro insieme e non dobbiamo permettere che considerazioni d’altro genere influenzino le nostre decisioni.»
Allora Joris rise. Alzò il capo, e la sua tonante risata echeggiò ripercossa dal soffitto a volta. Si volse vivacemente a Trehearne, Edri e Quorn e gli occhi gli splendevano ora. «Per Dio! Ce l’avete fatta dopotutto!»
Trehearne che ancora comprendeva solo a metà, sentì un brivido d’emozione. Edri era scosso da violenti tremiti.
La voce fredda di Ristin riprese: «Credetemi, la vostra esultanza è prematura, cionondimeno non avrebbe senso celare il fatto che le vostre azioni ci hanno messo di fronte a un problema di una gravità senza precedenti.»
Quorn si rivolse a Trehearne con voce roca: «Non capisci? Il nostro messaggio è arrivato!»
Allora Trehearne capi. La gravità dei visi in ascolto, l’odio profondo che si leggeva in alcuni di essi, la dimostrazione d’autorità che il vecchio presidente stava dando per dominare la crisi, tutto ciò incrinava l’apparenza quotidiana, normale di Llirdis che era stata come una campana a morto per le sue speranze.
Ristin stava dicendo: «Finora non si tratta che di voci vaghe, di dicerie. I radiotelegrafisti che possono aver sentito la trasmissione sono stati diffidati dal ripeterla, ma è indubbio che tra essi vi siano degli Orthisti. Il fatto che mondi non appartenenti ai Vardda siano in possesso di ricevitori ultrasonici di cui si servono normalmente per i rapporti commerciali con noi, è un fatto anche più grave. Sta di fatto che, malgrado il servizio informazioni d’attualità agisca in cooperazione con noi, la notizia che il segreto di Orthis è stato scoperto e trasmesso sta diventando di pubblico dominio. Sono state rinvenute finora tre registrazioni in dischi e due scritte. Possiamo esser certi che ne esistono altre.»
Joris intervenne, con voce dura: «In altre parole il segreto è svelato, e presto tutti sapranno che… e che cosa farete voi?»
«Il Coordinatore della base ha fatto il punto della situazione» disse Ristin freddamente, annuendo. «Che cosa faremo noi?»
Un Vardda di alta statura balzò in piedi e gridò: «Propongo di uccidere per prima cosa questi traditori!»
Ci fu un vivace coro di assenso di una mezza dozzina di voci. Ristin richiamò energicamente all’ordine.
«Vi ho ricordato che in questo momento noi dobbiamo pensare soprattutto ai veri interessi del nostro popolo! Che simili interruzioni non si ripetano.»
Un Vardda più anziano si alzò tra i banchi e disse pianamente: «Prima di fare la mia proposta devo ammettere di aver sempre avuto una segreta simpatia per gli Orthisti. Non credo di essere il solo qui dentro a poter fare questa affermazione. Dovete ammetterlo.» Proseguì: «Da tempo mi sono auspicato la fine di questo assurdo monopolio. Ora ci hanno forzato la mano. A mio parere la migliore e più saggia linea di condotta che possiamo adottare è di agire subito, di dichiarare pubblicamente che noi Vardda intendiamo rivelare il segreto a tutta la Galassia.»
S’interruppe per dare più enfasi alla sua affermazione. «Il segreto è ormai di pubblico dominio in ogni caso. Ma agendo prontamente possiamo guadagnarne in credito. Possiamo affermare che la trasmissione è stata fatta con il nostro consenso. Ricordate: che a noi piaccia o no, nel giro di alcune generazioni gli abitanti di altri mondi saranno in grado di volare negli spazi interstellari, e non vogliamo che allora coltivino contro di noi un retaggio di odio.»
Trehearne, ascoltando, sorrideva amaramente: «La politica è la stessa in ogni parte della Galassia.»
«Ma è proprio quanto avevamo sperato» bisbigliò Edri. «E avrà anche il suo effetto!»
Si erano scatenate dispute e aspri dibattiti, che continuarono ininterrottamente, in un clamore di voci che accusavano e negavano, mentre Ristin manteneva fermamente l’ordine, riportando di volta in volta la discussione al tema principale. Infine, approfittando di una pausa, Joris si fece improvvisamente avanti ad affrontare il Consiglio.
«Ora ascoltatemi» tuonò il vecchio. «Dal modo come qualcuno di voi ha parlato pare siate convinti che questo significa la fine dei Vardda, la fine di Llirdis, la fine di tutto. È una poderosa sciocchezza. In primo luogo, le mutazioni non si compiono da un giorno all’altro. Ci vorranno una o due generazioni prima che altre razze comincino ad avventurarsi tra le stelle.»
Trehearne notò che il discorso faceva il suo effetto. Il Consiglio dei Vardda, essendo composto di esseri umani, non poteva preoccuparsi profondamente di un lontano futuro di cui non sarebbero stati spettatori.
«E inoltre» urlò Joris «quando tutte quelle mezze intelligenze dei popoli della Galassia intraprenderanno il volo interstellare, questo significherà forse che il grande commercio dei Vardda sarà rovinato per sempre? Ascoltate! Noi Vardda fummo i primi ad avventurarci tra le stelle. I primi! Pensate che tutti quegli zotici popoli della Galassia possano competere con noi lassù? Lo pensate?»
Li incantò con questo, con l’orgoglio dei Vardda, la gloria dei Vardda.
Trehearne vide i volti contratti mutare espressione. Non tutti, ma molti.
Joris fece una pausa, prima di concludere: «Pensate che verrà mai un tempo in cui i Vardda perderanno la loro autorità?»
Non si parlò molto, dopo questo. Vi furono domande, proteste, dubbi, ma poche discussioni. Tutti i punti principali erano già stati toccati.
«Dobbiamo deciderci ora o mai più» disse Ristin. «Se indugiamo troppo non vi sarà più possibilità di scelta.»
Trehearne udì la lettura della delibera, la votazione e il risultato. I Vardda non potevano piegarsi tanto facilmente! Quarantatré furono i voti contrari alla delibera. Ma settantanove erano in favore.
Infine Ristin proclamò: «Stasera verrà annunciato con una trasmissione su tutte le linee che, in vista dei progressi della civiltà sui pianeti di molti sistemi solari, i Vardda ritengono giunto il momento di far partecipi del segreto della mutazione altre razze scelte.»
Quom esultò: «È fatta, Trehearne, è fatta.»
Trehearne non poteva ancora afferrare in tutta la sua realtà il fatto che quella semplice affermazione segnava un definitivo cambiamento nella Galassia. Che con essa tutte le razze umane cominciavano il grande mutamento verso l’Uomo Galattico.
«E questi criminali che ci hanno obbligati ad adottare questa risoluzione?» domandò un Vardda riluttante, fissando Trehearne e i suoi compagni.
«Non abbiamo scelta» disse Ristin seccamente. «Se li punissimo per quanto hanno fatto, sveleremmo le vere ragioni del nostro annuncio. Le accuse di procedura normale vengono considerate nulle.»
«Così che non saranno puniti del loro crimine?»
Ristin sospirò con rammarico: «Gli interessi dello stato lo richiedono. No.»
I compagni di Trehearne stavano per venir meno a metà sbigottiti, a metà increduli della vittoria che avevano creduto impossibile. Ma stranamente Trehearne non pensava alla conquista che avevano fatto in nome delle razze della Galassia, sentiva in sé l’orgoglio che la frase di Joris "Noi Vardda" vi aveva acceso.
Noi Vardda, ed egli era uno di loro. Era uno dei signori delle stelle, i primi, i più grandi degli stellari.
Edri pensava a qualcos’altro. Si era spinto avanti tra il frastuono generale per parlare a Ristin. «C’è un’altra cosa. Orthis…»
«Abbiamo inviato un caccia a sorvegliare la sua astronave» lo interruppe Ristin.
Edri annuì tristemente. «Ma Orthis non era neppure figlio di un pianeta. Era figlio delle stelle, ha sempre vissuto tra le stelle. È rimasto tanto tempo su quel remoto pianeta. Se la sua astronave potesse di nuovo librarsi nello spazio…»
Ristin annuì pensosamente: «Una buona idea. Dando alla sua astronave un’orbita intorno al nostro sistema creeremo un monumento che ricorderà a tutta la Galassia che furono i Vardda a dar loro la possibilità di volare tra le stelle.»
Edri si volse a Trehearne e a Joris. Aveva le lacrime agli occhi. Disse: «Orthis torna a casa.»
Il messaggio lasciato per Trehearne diceva semplicemente che Shairn sarebbe stata alla Torre d’argento. Glielo consegnarono quando finalmente uscirono dal Palazzo del Consiglio. Joris gli procurò una macchina e un autista. Trehearne esitò, con una improvvisa ripugnanza a separarsi dal vecchio. Edri, Quorn e gli altri avevano i loro tanto accarezzati piani. Ma per Joris la vittoria non rappresentava una gioia.
«Se tutto questo fosse accaduto una generazione fa, mio figlio sarebbe ora il capitano di un’astronave» mormorò in risposta alle incerte parole di Trehearne. «Bene…»
La macchina lo condusse fuori dalla città, lieve e veloce; la gran luce di Aldebaran s’immerse nel mare e calò il crepuscolo. Le stelle fiorirono nel cielo e Trehearne alzò lo sguardo a esse. Guardò la vaga scintilla remota del piccolo Sole e pensò alla Terra e a un trovatello di laggiù che per miracolo aveva ritrovato la via di casa.
Quella verde lontana Terra non sapeva ancora nulla delle battaglie combattute e vinte ai confini estremi della Galassia. Ma era stata una battaglia combattuta anche in suo favore ed essa l’avrebbe saputo in tempo. Tra una generazione le astronavi avrebbero cominciato a recarsi apertamente sulla Terra. E superati i loro mortali conflitti, anche i giovani della Terra si sarebbero avventurati tra le stelle per unirsi alla grande marcia dell’Uomo Galattico. Chi poteva mai dire dove questa marcia li avrebbe portati? Fino ad altre galassie, ad altri continenti astrali… I pensieri di Trehearne ritornarono alla realtà dalle immensità del futuro quando scorse la Torre d’argento balenare al lume delle stelle. Uscì dalla macchina e si avviò verso di essa e poi vide una pallida figura sulla spiaggia in ombra, accanto al lento sciacquio del mare e mutò direzione.
La prese tra le braccia, ma lei lo allontanò. Poi gli parlò, la voce chiara, il viso un’incerta macchia bianca nell’ombra. «Non voglio che tra noi rimangano dei malintesi. Voglio che tu lo sappia. Ti odio per quanto hai fatto ai Vardda. Ti odierò sempre per questo.»
Egli fece un passo indietro e lasciò cadere le braccia. «In questo caso» disse «sarà meglio che me ne vada.»
«No, aspetta.» Gli si avvicinò e gli prese il viso tra le mani, molto dolcemente e disse: «Ti amo, malgrado tutto, non so perché. La mia ragione continua a ripetermi i motivi per cui non dovrei, ma… è strano, Michael, non sono mai stata innamorata prima d’ora. Mi accetti a questi patti?»
Egli l’abbracciò questa volta, la tenne stretta contro di sé, sfiorandole le labbra con le sue, mentre rispondeva: «La vita con te non sarà certo un’oasi di pace. Ne sono sicuro, ma lo seppi subito quando t’incontrai.»
Indugiando con lei nella penombra, mentre il vento del mare le gonfiava l’abito bianco e le scompigliava i capelli, il gioco della memoria lo riportò a quella notte sulla spiaggia bretone, secoli prima. Da allora aveva percorso un così lungo cammino, eppure di tutto quanto era accaduto, questo era quasi il suo ricordo più nitido.
Seppe allora, con una saggezza che non aveva mai avuto prima, che a un uomo sarebbe accaduto sempre così, non erano i conflitti e la pena e il trionfo, non gli imperi e le stelle e lotte ciò a cui la memoria aderiva più a lungo. Erano le piccole cose, l’eco del riso di una ragazza, il grido degli uccelli portato dal vento marino, lo splendore di un lontano tramonto, che un uomo ricordava, che avrebbe sempre ricordato quando ogni altra cosa fosse scomparsa.