Edri aveva cominciato la lettura del taccuino. Andava veloce, ma facendo sforzi disperati per pronunciare ogni sillaba chiaramente. Quom era curvo disperatamente sulle leve. Trehearne sedeva immobile, ma i suoi muscoli fremevano. Il sudore gli colava negli occhi. Era stanco. Era così stanco che la figura di Quorn, lontana da lui un passo, gli appariva vaga e indistinta come fosse sperduta nella nebulosità della distanza. La voce di Edri scandiva le parole senza interruzione.
Quorn disse con voce roca: «Il caccia ci ha intercettati. Stanno già tentando di interferire. Fa in fretta.»
Il volto di Edri divenne quello di una persona braccata. La sua voce si alzò stridula in una gara disperata. Voltò l’ultima pagina. La finì, e poi ritornò al principio e cominciò a ripetere. Quorn si alzò.
«Non serve, ormai, siamo tagliati fuori. Ciò significa che il caccia è vicino; abbastanza vicino da…»
Non ebbe il tempo di pronunciare la frase fino in fondo. La lancia fu scossa improvvisamente come da una mano gigantesca. Quorn fu lanciato contro una parete e Trehearne cadde sul pavimento. Solo Edri curvo sul trasmettitore parlava ancora.
«È stata una bomba» disse Quorn, alzandosi di nuovo. «Ci prendono di mira dall’alto del canyon.» Afferrò il casco. La lancia sobbalzò una seconda volta, più forte. Trehearne arrancava faticosamente per rimettersi in piedi. Tentò di calcare il casco sulla testa di Edri, ma questi si ribellò, aggrappandosi al trasmettitore. Quorn lo prese per le spalle e gridò: «Non serve più! Vieni!» Tolse la corrente. Insieme liberarono le mani di Edri e gli misero in testa il casco. La lancia subì un’altra scossa e qualcosa si ruppe con un fragore di vetri infranti. Trehearne si agganciò il casco. Attraverso il microfono udiva Quorn gridare qualcosa a proposito della chiusura ermetica e dell’urgenza di andarsene prima che la lancia cadesse in pezzi con loro dentro. Quasi trascinando Edri tra l’uno e l’altro, cominciarono a correre. Qualche tavola del ponte era già saltata e si udiva uno spaventoso sibilo acuto di aria compressa. Raggiunsero la porta di sicurezza e la spalancarono.
Sul fondo del canyon una grande luce sbocciò e si spense. Frammenti di roccia urtarono silenziosamente contro la lancia. Il ponte saltò sotto i loro piedi e la porta di sicurezza li proiettò in avanti mentre lo scafo sobbalzava paurosamente. Batterono con violenza sul terreno. Per alcuni secondi giacquero dov’erano caduti e non si udirono altre esplosioni. Trehearne gemette e si mise a sedere. «Penso che sia stata l’ultima. Quorn? Edri? Qualcuno mi risponda.»
Edri taceva, ma Quorn disse con voce sorda: «Sanno che abbiamo interrotto la trasmissione. Dannazione mi sono tagliato il labbro sul bordo del casco e il sangue mi cola addosso.» Trehearne lo udì sputare. Si accostò a Edri e lo scosse. Finalmente Edri disse «Dov’è il taccuino?»
«È rimasto sulla lancia.»
«Dobbiamo andare a prenderlo…»
«Perché?»
«Forse hai ragione. Ci siamo riusciti, Quorn? Abbiamo finito?»
«Non so, non so! Ci hanno sorpresi così presto…»
Si alzò da terra, gli occhi fissi a qualcosa, e poi tese una mano verso il cielo nero. «Fuggiamo» chiese «o aspettiamo?»
Trehearne guardò su e giù per il letto del fiume ostruito da strati d’aria congelata e poi volse gli occhi alla dura nitida linea delle rocce sopra le loro teste. «Potremmo respirare per qualche ora, va bene, fino a esaurire la nostra riserva di ossigeno. Ma non credo ne valga la pena.»
Quorn tornò a sedere. «Penso sia bene aspettare, allora.»
Attesero, e il caccia calò silenzioso dal cielo. Le ripide pareti rocciose sovrastanti facevano da schermo alla luce della Galassia, e il canyon era buio, ma gli oblò del caccia splendettero di un vivido bagliore. Trehearne fu quasi lieto di vederli. Erano umani. Davano un senso di conforto, dopo tutta la notte e la desolazione di quel pianeta spento. Lo sportello si aprì e una nitida lama di luce ne uscì, diritta, senz’aria che ne diffondesse il riflesso, andando a colpire la parete opposta del canyon accanto alla lancia. Uomini in scafandro cominciarono a uscire dallo sportello. Trehearne si alzò in piedi. S’avviò per il vivido fascio di luce, muovendo lentamente incontro agli uomini. Edri lo seguì, Quorn pure.
Una voce sconosciuta gli giunse attraverso l’interfonico del casco. «Dite i vostri nomi.»
Dissero i loro nomi e Trehearne soggiunse: «Non siamo armati. Siamo sfiniti.» C’era un certo sollievo in quell’essere sfiniti. Qualunque cosa fosse accaduta da allora in poi non dipendeva più da loro. Potevano starsene tranquillamente passivi, rilassarsi, lasciare che qualunque cosa accadesse. Guardò l’astronave e pensò al calore, al cibo, al riposo, e a un buon sonno. A Shairn e Kerrel si poteva pensare più tardi.
Gli uomini del caccia erano armati di fucili disgregatori assai più pericolosi dei piccoli disgregatori a tubo che avevano come unico effetto la parziale perdita dei sensi. Avanzarono per un breve tratto verso le tre goffe figure che seguivano cautamente il fascio di luce. La prima voce che aveva parlato diede un ordine e i due uomini si accostarono alla lancia per perlustrarla, le torce oscillanti. Poi la voce si rivolse a Trehearne e agli altri. «Tenete le mani più in alto che potete. Benissimo, va bene così.»
Trehearne disse: «Ve l’ho detto, non siamo armati.»
«Misura di prudenza. Restate dove siete.»
Obbedirono e furono perquisiti.
«Benissimo» disse la voce dell’ufficiale. «Venite a bordo.»
«No.»
Una parola secca pronunciata pianamente da una voce che Trehearne conosceva. Una voce che non udiva da un tempo immemorabile, ma che ricordava. La voce di Kerrel. La mortale stanchezza che pesava su di lui si allentò un poco e subentrò l’ira. Gli uomini erano ritti nel fascio di luce, ma gli volgevano le spalle, faccia a faccia com’erano con i prigionieri. Il nitido bagliore li investiva lasciando tuttavia i loro visi nell’ombra, invisibili dietro il visore dei caschi. Trehearne cercò di identificare Kerrel, ma non vi riuscì.
L’ufficiale obiettò, seccato: «Ma non ha senso star qui fuori più a lungo.»
L’avventura era stata lunga e dura anche per lui. «Appena la squadra in perlustrazione ritornerà, decolleremo.»
«Sì» disse Kerrel. «Ma loro no. Loro resteranno qui.»
Le forme avvolte negli scafandri, inumane forme senza volto, che erano rimaste vicine, si scostarono un poco e si volsero l’una all’altra, come tentassero di perforare l’oscurità con le balenanti lenti dei caschi. Ci fu un silenzio di stupore e poi Edri disse. «Questo è un assassinio.»
La voce dell’ufficiale, alterata dall’ira, domandò: «Kerrel, che diavolo… Sei impazzito?»
«La giustizia è una pazzia.» C’era qualcosa di strano nella voce di Kerrel. Era sorda e atona, priva di passione, la voce di un uomo che non può resistere a quello che gli grava dentro, a cui non basta più per trovar scampo nessuna normale via di sfogo. «Può darsi che siano riusciti nell’impresa. Lo capite? Può darsi che abbiano attuato i loro piani. Sapete che cosa significherebbe tutto ciò?»
«Lo so quanto te e non preoccuparti della giustizia, saranno puniti. Ma, secondo le leggi, sarà il Consiglio a far giustizia, a Llirdis.»
«Le leggi» ripeté Kerrel a bassa voce. «Trehearne ha già beneficiato una volta delle nostre leggi. Io dissi allora ai membri del Consiglio che avevano torto a favorirlo. Le leggi sono giuste, le ho servite tutta la vita. Ma ci sono casi in cui si deve andare oltre la lettera della legge, se si vuol continuare a servirla. Lasciali qui.»
Trehearne parlò, per la prima volta. «Non sarebbe bene che io ritornassi a Llirdis, vero, Kerrel? Non sarebbe bene che in pieno Consiglio raccontassi come e perché Yann morì.»
La voce di Kerrel gli rispose e non avrebbe saputo dire quale fosse a parlare delle forme avvolte negli scafandri parlasse forme dal viso celato. Era pazzesco non saperlo.
«E avevo torto, Trehearne? Potresti presentarti in pieno Consiglio e dimostrare che avevo torto nel tentare ciò che tentai?»
«Ascolta» riprese l’ufficiale. «Non sono né un giudice né una giuria. Sono stato inviato dal Consiglio per riportare a Llirdis questi uomini e intendo eseguire gli ordini. Per amor di Dio, Kerrel, smetti di volerti caricare sulle spalle il peso dell’intero universo. Nessun uomo ne è in grado. Venite, voi tre… salite a bordo.»
«No.»
Una delle figure si staccò. Una delle figure abbandonò il resto del gruppo e si frappose tra esso e l’astronave, il disgregatore tra le mani.
«Non vedi abbastanza lontano. Supponi che non siano riusciti. Se venissero processati, secondo una legge e un sistema per abbattere il quale hanno rischiato la vita, se fosse loro permesso di rivelare a tutta la Galassia quanto hanno fatto, di divenire eroi e martiri, una sorgente di sventura per tutti i tempi a venire?»
«Ci sono stati in passato altri processi a Orthis.» L’ufficiale si dirigeva verso Kerrel. «Penso faresti meglio a darmi quell’arma, prima che ti faccia portar via di qui.»
La bocca del disgregatore si alzò, e Kerrel disse: «Aspetta, non ho finito.» L’ufficiale fece un altro passo e poi esitò e parve che un improvviso disagio invadesse lui e gli altri uomini del caccia. Il ventre di Trehearne si contrasse in un fremito di furia impotente e le sue mani si tesero in un inutile gesto avido, come ad afferrare qualcosa. Quorn imprecava in tono monotono, così basso che la sua voce era come la trama in cui si inserivano le voci degli altri.
Kerrel disse: «Il caso di questi uomini è diverso. Hanno trovato l’astronave, il loro reliquiario. Vi sono penetrati, hanno toccato i taccuini, per quel che ne so, hanno visto il corpo stesso di Orthis. Hanno dimostrato che l’impresa era possibile. Tutto ciò sarà mai dimenticato?»
«Non me ne importa un accidente» sbottò l’ufficiale. «Nessuno deve uccidere dei prigionieri. Dammi l’arma.»
Kerrel arretrò, di poco, un passo o due. Quel gruppetto d’uomini cominciò ad allargarsi lentamente, lasciando a uno a uno il fascio di luce finché ne rimasero soltanto tre, un piccolo schermo tra Kerrel e i prigionieri. Le gambe di Trehearne si piegarono. Teneva gli occhi fissi sul disgregatore.
Kerrel non si arrese: «Supponi che non abbiano fallito. Supponi che sia tutto finito, i mille anni di vita dei Vardda. Dovremmo permetter loro di godersi quanto hanno conquistato?»
«Sante parole» interloquì Trehearne. L’oscurità era profonda e fitta, fuori dal fascio di luce. «Nobili parole. Quasi ti credo. Ma tu hai altri motivi.»
«Lo ammetto. Ma non c’entra con questo. Nessuna donna è mai stata così importante da interferire in faccende come questa.» Chiese pianamente all’ufficiale. «Li lasceremo qui?»
«Vuoi deporre quell’arma?»
Arretrò di un altro passo. «Voi tre, in faccia ai prigionieri, scostatevi.»
«Benissimo» esclamò l’ufficiale. «Prendetelo!»
Trehearne balzò nell’oscurità. Vide i tre uomini di faccia a lui scomparire. L’arma crepitò e fece fuoco, contro nessuno in particolare: un avvertimento. E poi la notte fu tutta un trambusto frenetico.
Disteso sulla roccia nera, sulle dure creste di aria congelata, Trehearne osservava la goffa danza di quegli uomini avvolti in informi scafandri e tondi caschi bruniti, dentro e fuori il nitido fascio di luce in cui ormai rimanevano soltanto loro. Avevano accerchiato Kerrel nell’oscurità e, silenziosi, l’avevano sorpreso alle spalle, ma avevano le mani impacciate dai guanti ed era difficile tenere la presa sul liscio tessuto della tuta di Kerrel. Egli sfuggì loro, e poi fu di nuovo parte del gruppo e non si riconoscevano l’un l’altro e le loro voci si levarono in mozze grida furibonde. Solo Kerrel non parlava. Trehearne strisciò pancia a terra lontano dal fascio di luce e le ombre che erano Quorn e Edri lo seguivano. D’un tratto Edri gli batté sul casco e poi fece un cenno e Trehearne vide la solitaria figura di un uomo lasciare la zona illuminata e addentrarsi nell’oscurità, pur rimanendo distinguibile nei suoi contorni dalla loro posizione, verso il luogo dove prima si trovavano i prigionieri.
Trehearne gridò forte: «Parla Trehearne. Sta dirigendosi verso di noi, alla nostra destra, proprio fuori della zona illuminata.»
Gli uomini cominciarono a correre, disseminandosi qua e là e poi il disgregatore fece fuoco più volte, insistente, sistematico; rastrellando tutto il terreno dove avrebbero dovuto trovarsi i prigionieri, i lampi azzurri crepitavano negli interfonici come violente tempeste.
Trehearne e gli altri fuggirono ancor più lontano, arrancando sull’aspro terreno e i lampi azzurri li inseguivano. Poi due uomini si gettarono su Kerrel prendendolo alle spalle. Cadde e il disgregatore gli sfuggì di mano
I due uomini si rialzarono dopo un momento con una certa lentezza. Qualcuno si avvicinò con una torcia e poi altri, e poi tutti, compresi Trehearne, Quorn ed Edri. Rimasero tutti a guardare la figura che giaceva ancora dove era caduta, immota. C’era una sporgenza rocciosa che finiva in un dente acuminato, emergente da uno strato d’aria congelata.
«Ha battuto forte» disse uno degli uomini. «Proprio sul viso e la glassite si è infranta.»
L’ufficiale imprecò con rabbia. «Che disgustoso pasticcio! Perché doveva comportarsi così? Doveva essere pazzo.»
«Non so» disse Edri lentamente. «Qual è il limite esatto tra la pazzia e la fede? Se ci fossero stati più uomini come lui, non avremmo potuto fare quello che abbiamo fatto.»
Sollevarono il corpo di Kerrel e lo trasportarono sul caccia e Trehearne seguì lentamente secondo gli ordini. A bordo egli e gli altri furono spogliati degli scafandri e perquisiti di nuovo. Poi le guardie li portarono giù per un corridoio: stanchi uomini amareggiati che avevano resistito troppo a lungo a una estenuante fatica. Una di esse disse: «Abbiamo catturato la Mirzim. Tutti i vostri amici sono qui.» E poi soggiunse: «È un peccato dover salvare la vita di uomini come voi.»
Giunsero dinanzi a una pesante porta e si fermarono, e Shairn era lì davanti. Aveva un aspetto patito, gli occhi cerchiati e intorno alla bocca segni che non vi erano mai stati prima. Non era la vecchia Shairn. Era una persona nuova. Non vi fu gioia in questo incontro. Ella guardò Trehearne e disse: «Michael, che cosa hai fatto?»
Egli scosse il capo e rispose: «Al diavolo! È come se non avessimo fatto nulla.»