La lunga curva di decelerazione era compiuta. L’astronave ora fendeva gli spazi a una velocità planetaria. Aldebaran si era trasformato da un remoto punto di fuoco in un sole gigantesco, spaventosamente vicino. Il piccolo satellite era visibile soltanto come un pallido disco sopra di esso; la sua luce azzurrastra si distingueva appena nel dilagante bagliore dell’astro.
I Vardda si erano affollati nell’osservatorio ansiosi di cogliere una prima visione della patria. Un pesante schermo riparava ora la cupola dalla intensa luce di Aldebaran e all’ombra i viaggiatori si accalcavano a chiacchierare. Trehearne stava tra loro, interessato alla loro eccitazione, sentendosi un po’ sperduto. I loro discorsi erano discorsi di stranieri, pieni di nomi e di riferimenti che non avevano significato per lui, echeggianti di una gioia cui egli non poteva partecipare. Ritornavano a casa, ed egli non aveva casa, era l’uomo più solo della Galassia. Su di lui incombevano i volti immaginati dei membri del Consiglio, nell’atto di pronunciare il verdetto, e, dietro di loro, nelle desolate solitudini dello spazio, il mondo morente di Thuvis lo aspettava.
Shairn lo tirò per una manica. «Eccolo là» gridò. «Eccolo là, Michael, Llirdis!»
Egli seguì la direzione che la mano di lei indicava, socchiudendo gli occhi per difendersi dal fulvo splendore e vide un pianeta dorato roteare intorno a loro, luminoso e bello, accompagnato nel suo moto da tre lune. Improvvisamente la maestà e la magnificenza di questa discesa dagli spazi lo invasero, dissipando i suoi timori. Era una cosa divina, entrare in un sistema solare dall’esterno, e vedere i pianeti da lontano, non più grandi di una palla da gioco, rotanti intorno al loro sole in lente orbite eterne. L’eccitazione dei Vardda si comunicò anche a lui, ma per ragioni differenti. Tra poco egli avrebbe calcato il suolo di un mondo straniero, illuminato dalla luce di un altro sole, e i venti che vi soffiavano sarebbero giunti da vette senza nome e da oceani sconosciuti. Si mise a guardare con gli altri, con la stessa intensità.
Edri gettò un’occhiata al suo viso intento e sorrise. «Mirris è dall’altra parte del sole, ma se aguzzerete lo sguardo là, a destra, lontano, vedrete Suumis, il più esterno dei nostri due prossimi vicini.»
Suumis apparve sullo sfondo delle lontane distese di spazio come una piccola mela rossa, accompagnato da un nugolo di granelli luminosi che, Trehearne lo capì subito, erano lune. Lo fissò a lungo, cercando di convincersi che la piccola mela rossa era un mondo grande come la Terra; vi rinunciò, e volse di nuovo lo sguardo a Llirdis. Si era ingrandito. Come la nave calava parve che balzasse incontro a loro, e Trehearne cominciò a distinguere continenti avvolti nella nebbia, e le grandi ombre degli oceani, immersi in un’atmosfera di vapori che si accendevano di un riflesso dorato nella luce di Aldebaran. Poi si avvicinò ancor più, riempì il cielo, si estese mostruosamente e cominciò a cadere…
Edri rise. «Illusione ottica. Ma impressionante, vero?»
Trehearne si passò le mani attorno alle ginocchia e assentì. Aveva il cuore in gola, le sue viscere erano sprofondate chissà dove e l’astronave piombava a una velocità spaventosa incontro al pianeta. Raggiunse l’atmosfera e vi penetrò come in un bagno di fuoco. Poi vi si affondò, a precipizio, lacerandola con un lungo sibilo trionfante e negli strati più bassi le nubi rotolavano e s’attorcevano in una furia lampeggiante là dove il nero scafo le fendeva. Trehearne chiuse gli occhi. Quando li riaprì l’astronave sorvolava lentamente un oceano colore del peltro e lontano, dinanzi a sé, egli scorse una costa bassa oltre la quale si stendeva un pianoro ondulato, circondato da alte montagne. Su quel pianoro distinse la balenante immensità di una città a paragone della quale New York sarebbe sembrata un villaggio.
«Ecco» disse Edri. «Il perno è il centro della Galassia.»
Trehearne si limitò a scuotere il capo. Ormai non aveva più parole. Osservava i confini della città estendersi sempre più, contemplava le torri dei suoi edifici lanciate verso l’alto come a sostenere il cielo e taceva. Sempre in discesa, ma senza rumore, in un silenzioso scivolare, l’astronave si dirigeva a sud. Laggiù si stendeva per miglia la base di atterraggio delle astronavi, gli imponenti docks tra cui si cullavano i giganti delle stelle. Laggiù era un ordinato incessante, formicolante andirivieni di uomini e di macchine che, visto dal posto di Trehearne pareva ora una specie di spuma in fermento tra le file interminabili dei docks.
I campanelli di allarme squillarono. Trehearne si riscosse dal suo stupore e scese con gli altri ad attendere il momento dell’atterraggio. I secondi trascorrevano implacabili, il sangue gli martellava le tempie e i suoi muscoli si contraevano per l’eccitazione nervosa. Atterrare. Atterrare in un mondo strano, sotto uno strano sole nuovo…
Pianamente, dolcemente la grande chiglia toccò il suolo, reduce dai confini dell’Universo.
Trehearne si alzò. Gli altri si muovevano già, riversandosi nei corridoi, ridendo, parlando, ansiosi che l’uscita di sicurezza si aprisse, ansiosi di essere a casa. Trehearne li avrebbe seguiti, ma la mano di Edri lo tratteneva e Kerrel gli stava di fronte.
«Aspetterete qui» disse Kerrel. «Edri, ne sei responsabile. Bada che non scenda dalla nave.»
Uscì e di colpo per Trehearne quella punta acuta di meraviglioso stupore era svanita. Shairn gli si avvicinò e gli sorrise in modo rassicurante. «Non preoccupatevi, Michael. Il vecchio Joris è mio amico.» Uscì anche lei e Trehearne chiese a Edri: «Chi è Joris?»
«Il coordinatore della base. Quand’era giovane volava agli ordini del padre di Shairn.» Edri si sprofondò di nuovo in una poltrona. «Tanto vale non prendersela. Kerrel è andato a fare rapporto a Joris in persona. Non è il genere di cose a cui si vuol dare troppa pubblicità.»
«Perché a Joris? Pensavo che Kerrel dipendesse direttamente dal Consiglio.»
«Certo. Ma tutto quanto avviene in questa base deve essere notificato all’ufficio del Coordinatore. Sedete Trehearne, mi rendete nervoso.»
«Pensate che Shairn potrà far qualcosa per me?»
«Lo spero. Dannazione, sedete!»
Sedette. Si udivano rumori a bordo, ma erano rumori inconsueti, l’impersonale clangore dei portelli della stiva sbattuti, il fremito delle macchine, i passi invadenti e le voci sconosciute dei portuali. I rumori della base, al di fuori, gli giungevano attutiti e smorzati come l’incessante rombo di un tuono lontano. C’era un’aria di congedo: il viaggio era compiuto. Là fuori un nuovo sole splendeva, circolava un’aria mai respirata da uomini nati sulla Terra, e un intero vasto mondo aspettava, un mondo vardda, suo quanto loro; ma egli ne era tenuto lontano, egli era rinchiuso qui come un criminale, cui si impediva perfino di parlare, mentre degli stranieri stavano decidendo del suo destino. Ne era spaventato e irritato e più si sentiva preso in trappola e impotente a liberarsi, più s’infuriava. Il suo corpo non riusciva a star fermo. Balzò in piedi e si diede a percorrere a lunghi passi il pavimento, mentre Edri lo osservava assorto.
«State in gamba» disse. «Non potrete battervi se non state in gamba.»
«Mi batterò.»
«Sapete che condotta tenere. Non abbiate paura di imporvi.»
«Potete star certo.»
Il tempo passò. Edri se ne stava seduto e fumava. Trehearne camminava, sedeva e riprendeva a camminare. Passò un’eternità e poi un’altra, e poi un energico giovanotto dall’aria indaffarata, molto sicuro di sé entrò e si rivolse ai due.
«Dovete venire all’ufficio del Coordinatore» annunciò e fissò Trehearne con franca curiosità. Poi si volse a Edri. «Il suo aspetto è normalissimo. È poi vera questa storia?»
«Non importa» rispose Edri. «Venite, Trehearne.»
Egli li seguì giù per il lungo corridoio e nella camera di compressione, lasciando l’astronave così come vi era salito un tempo infinitamente lontano. Uscì fuori sul vasto dock e l’intenso frastuono, l’assordante confusione del più grande porto dello spazio nella Galassia lo colpirono come un’esplosione.
Fila su fila, e da tutti i lati, i torreggianti docks si stendevano a perdita d’occhio. Astronavi erano ormeggiate nella maggior parte di essi, mostri adagiati in riposo, folle di uomini e poderosi complessi di macchine attendevano alle riparazioni. L’aria sonora era pesante di profumi, strane specie sottili, inidentificabili odori misti al vapore dell’olio e dei metalli ardenti: inimmaginabili ricchezze provenienti da mondi inimmaginabili. Trehearne se ne stava immobile, sentendo vibrare in sé quel meraviglioso pulsare di vita, quasi inconscio del fatto che Edri cercava di dirigerlo verso un chiosco all’estremità del dock o che il giovane Vardda osservava divertito il suo stupore.
In file interminabili gli uomini si arrampicavano per gli scafi poderosi, andavano su e giù indaffarati per i docks provando, controllando, guidando e manovrando le macchine. Non erano Vardda. Erano abitanti di altri mondi, che non potevano volare tra le stelle. Molti di essi — e Trehearne spalancò ancor di più gli occhi per la sorpresa, poiché, anche per chi sa, vedere è un’altra cosa — non erano affatto ciò che egli avrebbe chiamato esseri umani. Ma nonostante la loro singolarità, gli apparivano familiari.
Essi erano simili, in fondo, a tutti gli altri meccanici dal volto allegro e dalle mani callose, che si vedono in qualsiasi porto della Terra addetti alle navi e agli aeroplani. Il rumore continuo era assordante. Gigantesche gru ruotavano pesantemente sui perni, sollevando carichi tra cinghie di elevatori e stive spalancate. Carrelli veloci scomparivano e riapparivano nella confusione. A intervalli tra i docks vi erano file di botteghe, dove fucine azionate dall’energia atomica forgiavano parti nuove, placche e rivestimenti. Qui un grappo di uomini lavorava su uno scafo con saldatori abbaglianti; là una grande sezione d’arco veniva calata lentamente al posto destinatole con un clangore assordante.
La voce di Edri gli giunse lieve e fioca. «Affari grossi, Trehearne. I più grossi sulla Galassia. Fa impressione, non è vero?»
Sospinse Trehearne oltre, verso il chiosco che si trovava un poco più avanti. Percorrevano un passaggio fiancheggiato da rotaie e a un tratto Trehearne vide venire alla loro volta dal lato opposto delle rotaie una grande macchina molto complicata che sembrava procedere lentamente lungo lo scafo dell’astronave, guidata da un piccolo essere umano: seduto nell’interno ce n’era un altro circondato da quadranti, leve di controllo e piccoli schermi.
«È un rivelatore a raggi X» gli spiegò Edri. «Piombano immediatamente su ogni astronave che atterra. Con il tempo queste ultravelocità intaccano il metallo. I rivelatori indagano la struttura cristallografica dei metalli o ogni altra variazione molecolare. Le astronavi diventano poco sicure dopo un certo periodo di servizio, generalmente piuttosto lungo, e vengono continuamente sottoposte ad accurati controlli. Non è piacevole che uno scafo si spezzi in due nel bel mezzo di non so dove.» Spinse Trehearne verso l’ingresso del chiosco. Il giovane Vardda aveva l’aria di divertirsi. Edri disse: «C’è un ascensore qui. Scendiamo.»
Trehearne entrò e si volse. Proprio prima che la porta gli si chiudesse dolcemente in faccia, scorse di sfuggita in lontananza un’alta torre bianca dominante l’intero orizzonte e capì subito senza che nessuno glielo dicesse che si trattava della sede dell’amministrazione del porto, del luogo quindi in cui si sarebbe deciso il suo immediato destino.
Una volta ancora il senso di meravigliato stupore svanì, bruscamente l’ascensore discese rapido, il suo cuore con esso.
Fu un viaggio breve. L’ascensore li depositò in un passaggio molto al di sotto del livello del suolo, e il passaggio li condusse a una sotterranea: dovunque regnava una grande quiete in contrasto con il frastuono del porto. Un piccolo vagone monorotaia li portò in pochi minuti al piano sottostante la torre, dove trovarono un altro ascensore privato che, questa volta, saliva. Trehearne aveva in bocca un sapore amaro, i palmi delle mani gli sudavano.
Gli pareva che l’ascensore non si dovesse mai fermare, ma si fermò infine al piano più elevato. Il giovanotto energico fece loro cenno di uscire e si trovarono in un ufficio nudo e spazioso, con pareti-finestre che si affacciavano in tutte le direzioni sul porto. Trehearne pensò fugacemente che, più che un ufficio, pareva il ponte di un’astronave pateticamente incatenata al suolo.
C’erano Shairn e Kerrel che si tenevano ben lontani l’una dall’altro in atteggiamento di distacco, un’espressione di ostinata determinazione sul viso Kerrel non si voltò, ma Shairn si avvicinò a Trehearne e gli prese la mano con aria di sfida. Un po’ appartato, un altro energico giovanotto trafficava intorno a un apparecchio registratore. In quel luogo pareva gravare un grande silenzio, prodotto forse dall’arrivo dell’ascensore perché nessuno aveva l’aria di voler tacere, meno di tutti l’uomo che stava loro di fronte, al di là di una massiccia scrivania. Trehearne vide un canuto gigante dalle potenti spalle che pareva impossibile potesse lavorare in un ufficio. Le pareti, anche di quel tipo, sembravano opprimerlo perché definivano un orizzonte. Le sue grandi mani, segnate da cicatrici, posavano inquiete sul legno lucido, come insofferenti delle carte che vi erano ammucchiate, e i suoi occhi parevano più abituati a guardare le stelle che gli uomini. Quei suoi occhi di un azzurro chiaro come il ghiaccio scrutarono Trehearne senza mai distogliersene finché non ebbero individuato ogni minimo particolare.
«Non ci credevo» disse Joris «ma ora capisco perché non vi andò l’idea di ucciderlo, è troppo simile a noi. Ma dannazione! Kerrel, tu più di tutti, avresti dovuto ricordare la legge. Nessun personale non-Vardda in nessuna circostanza può salire a bordo di un apparecchio destinato a voli interstellari. Che ti ha preso?»
Prima che Kerrel potesse rispondere, Shairn parlò in sua vece «Un eccesso di sensibilità» disse «e un dubbio. Penso che ora li rimpianga entrambi. Vedi, Joris, si trattava di un dubbio legale. Guardando Trehearne potresti dire che non è un Vardda?»
«Ma voi lo sapevate…»
«Oh, no» esclamò Edri piccato «non lo sapevamo. Non ne sapemmo nulla finché non sopravvisse alla partenza, e allora non lo si poteva certo classificare come non-Vardda… non è vero, Joris?»
Joris si agitò in tutta la sua mole, a disagio. «Un capriccio della natura» brontolò. «Un bastardo. Non gli avete fatto un piacere a portarlo qua. Shairn, ho l’impressione che ci sia la tua mano in tutto questo. In effetti conoscendoti…»
Shairn sbottò. «Quel che faccio è affar mio. E quanto a Michael è un Vardda come te. Ma non hai ancora risposto alla mia domanda. Mi permetterà di tenerlo in mia custodia fino a che si radunerà il Consiglio?»
«No! Ed è una risposta definitiva.»
«Ma, Joris…»
«Hai sempre combinato guai, Shairn. Sempre, dal giorno che sei nata. Ma che io sia dannato se riuscirai a mettere nei guai anche me!»
«E io che pensavo che tu fossi mio amico. Joris, ti dovresti ricordare…»
«Ero agli ordini di tuo padre al tempo in cui volavo con le sue astronavi, ma tu non sei l’uomo che egli era! E inoltre non lavoro per te adesso, lavoro per il Governo. È chiaro?»
«Perfettamente» rispose Shairn, e soggiunse, in tono ammirato: «Comunque non hai perso la tua abitudine di urlare.»
Con grande sorpresa di tutti Joris rise. «No» ammise «non più di quanto tu abbia imparato le buone maniere.» Volse lo sguardo da Shairn al viso irrigidito di Kerrel che se ne stava tuttora fermo come un sasso senza dir parola — Trehearne ne dedusse che doveva aver già detto quanto gli pareva necessario — e poi di nuovo a Edri e al Terrestre. «Riconosco che questo è un accidente di pasticcio e sono lieto di non dover prendere la decisione finale. A mio avviso il mio dovere al momento è di tenerlo in custodia come qualsiasi altro indesiderabile, finché il Consiglio non se ne occupi a sua volta.» Gettò a Shairn un’occhiata severa. «Questa è la legge e così deve essere.»
Kerrel parlò, infine. «Bene, di questo volevo essere sicuro.»
Joris aggrottò le sopracciglia. «In genere si può contare su di me nell’adempimento dei miei uffici.» Fece un cenno al giovanotto energico che aveva scortato Trehearne ed Edri. «Compilate il solito modulo di fermo provvisorio per persone sospette secondo il codice dell’autorità della base, Articolo C…»
Trehearne disse: «Un momento, prego.» Si fece avanti fino a trovarsi a faccia a faccia con Joris al di là del tavolo. «Non avete diritto di arrestarmi.»
Joris lo fissò meravigliato. Poi scosse il capo irritato come se pensasse che il suo udito gli stesse giocando un brutto scherzo, e lo fissò ancora. Le guance gli s’imporporarono. Trehearne continuò: era venuto il momento di lasciarsi andare ai propri impulsi e non tentò neppure di controllarsi.
«Se non è formalmente accusato di un delitto, nessun Vardda può esser arrestato contro la sua volontà. Io non ho commesso delitti, né sono stato accusato di averne commessi.»
Ci volle un po’ di tempo perché Joris ritrovasse la voce per parlare. Quando vi riuscì, le vetrate quasi ne tremarono. «Voi non siete un Vardda!»
«No? Pensateci un minuto. Qual è l’unico carattere distintivo che rende un Vardda diverso da tutti gli altri uomini?»
«Benissimo, vi risponderò! Per un caso o per l’altro siete riuscito a sopravvivere al volo, ma questo non cambia il fatto che voi siete un Terrestre, nato e cresciuto sulla Terra e perciò non un Vardda.»
Gli occhi di Trehearne avevano ora una luce dura. «Allora supponiamo» disse «che voi arrestiate me: un Terrestre che ha attraversato la Galassia dal Sole ad Aldebaran ed è sopravvissuto. Ciò farà una grande impressione, non è vero? Tutti i non-Vardda si sentiranno molto interessati alla faccenda. Così pure il partito orthista. Non dubito che diffonderanno la notizia in tutta la Galassia: I VARDDA HANNO AMMESSO DI NON ESSERE GLI UNICI A POTER TRASVOLARE GLI SPAZI INTERSTELLARI.»
Shairn esultò: «Benissimo, Michael! Avanti!» Edri si era un poco appartato. Il suo sguardo era fermo e attento. Kerrel parlò e la sua voce suonò acuta. «Siete stato mal consigliato, Trehearne. Questo genere di discorsi non vi servirà a nulla.»
Joris gli fece cenno di tacere. Poi disse a Trehearne. «Che ne sapete del partito orthista?»
«Abbastanza da capire che potrebbero creare ogni sorta di guai. O sono un Vardda o non lo sono. E se non lo sono, potrei dare l’avvio a tutto un nuovo movimento. Il primo nonVardda a compiere voli interstellari, la prima incrinatura nel monopolio.»
Joris scosse il capo. «Potreste essere tolto di mezzo con tanta rapidità e segretezza che nessuno mai udrebbe parlare di voi.»
«Bene» disse Trehearne. «Toglietemi di mezzo. Togliete di mezzo tutti gli ufficiali della nave. Togliete di mezzo tutti i passeggeri. Togliete di mezzo tutta la ciurma. C’è una quantità di gente da far tacere.»
Shairn interruppe trionfante: «Sì Joris! Come potrai far tacere me?»
«E» disse Edri «me.»
Joris volse lo sguardo dall’uno all’altro, poi lo distolse, le sopracciglia corrugate in un’espressione irritata. Ma non disse nulla. Kerrel si curvò sulla scrivania.
«Joris» disse «capisci? Quest’uomo tenta di ricattarti con un’aperta minaccia di tradimento.»
«Sì» confermò Trehearne. «È così.» La sua voce era divenuta improvvisamente molto piana e parlò rivolgendosi direttamente a Joris. «Sopravvivendo a quel volo, ho conquistato il mio diritto alla libertà delle stelle. Ho conquistato il mio diritto a volare per gli spazi profondi e userò qualsiasi arma mi capiterà sottomano contro chiunque tenterà di impedirmelo.»
Poi, per qualche istante nessuno parlò.
«Dannazione!» disse Joris lentamente «ritiro quanto ho detto. Non ci può essere in voi sangue bastardo. Solo un Vardda potrebbe essere così insolente.» Si alzò e girò intorno alla scrivania. «Tu, Shairn, malgrado le tue opinioni politiche lo sosterrai?»
«Certo e sarà probabilmente l’unica vera conquista che gli Orthisti riusciranno a fare.»
«E tu, Edri?»
«Anch’io.»
Kerrel imprecò. Era la prima volta che Trehearne lo udiva imprecare e l’imprecazione era diretta a Shairn. «Dannazione, bada a quel che dici! Joris, non lo pensa sul serio e non lo farà. Conosco troppo bene i suoi sentimenti in merito.»
Shairn lo sfidò: «Mettimi alla prova.»
Joris si era fatto molto pensoso.
«Sai» disse a Kerrel «qualunque atteggiamento essa prenda, c’è una gran parte di verità in quello che quest’uomo dice. Troppa, temo, perché la si possa trascurare.»
«È un bluff» disse Kerrel. «Senti, Joris, se tu lasci libero quest’uomo, dovrò riferire…»
«Oh, riferisci e va’ all’inferno! La legge dice che io devo arrestarlo e io lo arresterò, e il mio dovere si limita a questo e non c’è bisogno che tu mi dica quel che devo fare.»
Si avvicinò al registratore, ne tolse il rullo, lo gettò sul pavimento e lo schiacciò sotto i piedi. «Ora fuori di qui, tutti. Vi congedo. E raccomando a tutti di tenere la bocca chiusa, specialmente a voi» disse, rivolgendosi ai due giovanotti. «Avete abbastanza lavoro da tenervi impegnati. Andate e occupatevene. Voi rimanete qui, Trehearne.»
Trehearne rimase, e in lui c’era l’amara convinzione di aver perso la partita. Le facce degli altri, mentre se ne andavano, erano molto dubbiose. Finalmente si trovò solo con Joris nel fascio di luce dorata delle vetrate. Dal settore orientale della base Trehearne vide una grande astronave levarsi in volo e librarsi verso lontani astri.
Joris misurava la camera a grandi passi, senza dir parola. Il silenzio era pesante, opprimente. I rumori del porto così lontani là sotto non lo rompevano: ne erano al di fuori e il volto di Joris era una maschera pesante, cupa. Trehearne guardò fuori al cielo diverso, dove le nuvole ardevano come piccole nebulose, e poi alle navi laggiù. Dalla sua posizione poteva vedere il settore di arrivo delle squadriglie dei vari pianeti, i lenti apparecchi da carico provenienti dai mondi esterni ad Aldebaran, e improvvisamente gli balenò alla mente che cosa dovevano sentire i poveri bastardi a bordo, vedendo le astronavi andare e venire convinti che non le avrebbero mai potute seguire. Al di là della base sorgevano le torri della città, e Trehearne si chiese se l’avrebbe mai vista.
Joris smise di camminare e ordinò: «Venite qui.»
Trehearne obbedì. Gli occhi chiari, duri e intensi come quelli di una vecchia aquila lo scrutarono a lungo, pesandolo, valutandolo. Egli non disse nulla. Non c’era altro da aggiungere.
«Sangue vardda» mormorò Joris tra sé. «Indiscutibile. E vuole librarsi a volo tra le stelle.» Chiese all’improvviso. «Siete un trovatello?»
«No» disse Trehearne. E aggiunse lentamente. «Ma è come se lo fossi stato.»
Joris si volse altrove, le sopracciglia corrugate, la testa e le spalle massicce sullo sfondo del cielo ardente. «Quanti anni avete?»
«Trentatré, in anni terrestri.»
Sempre voltando le spalle a Trehearne, Joris parlò. «Mi sembra di vedere una via d’uscita. Se vi servirà o no non lo so dire. Il Consiglio si radunerà di nuovo tra cinque giorni; allora mi si chiederà di fare un rapporto su di voi e farò del mio meglio. Nel frattempo dovrete andare dove vi dirò e rimanervi senza far chiasso. È chiaro?»
«Sì.» Il lieve pulsare della speranza era ricominciato in lui.
«Bene. E, Trehearne…»
«Sì?»
«Se tutto andrà bene, vi librerete in volo tra le stelle!»
Era una minaccia e una promessa insieme.
Mezz’ora più tardi, dopo un viaggio in sotterranea che gli tolse ogni nozione del luogo in cui si trovava, Trehearne fu scortato in un nitido stanzino quadrato, confortevole sotto ogni aspetto, ma pur sempre una cella. La serratura magnetica scattò con un lieve suono secco alle sue spalle; rimase solo.
Non c’erano finestre. Non sapeva neppure se si trovava sopra o sotto il livello del suolo. Non c’era né giorno né notte né tempo. Egli percorse da capo a fondo il breve pavimento e mangiò i cibi inconsueti che gli giungevano automaticamente attraverso una fessura della parete e cercò di dormire. Fumò le ultime sigarette, risparmiate a stento. Sperò e la speranza si trasformò lentamente in cupa disperazione.
Nessuno veniva. Shairn l’aveva dimenticato. L’amicizia di Edri si era allentata. A ogni ora che passava gli pareva sempre più chiaro che Joris gli aveva teso una trappola. Li odiava tutti. S’infuriava, attendeva e ricordava le parole del vecchio.
"Potreste esser tolto di mezzo con tanta rapidità e segretezza che nessuno mai udrebbe parlare di voi."
E questo era il suo arrivo a Llirdis, il frutto del suo viaggio attraverso l’Universo. Questa era la fine del sogno.
La sua furia cadde.
Venne il momento in cui si svegliò d’improvviso da un sonno inquieto per udire lo scatto della serratura e un passo lieve, attutito che si avvicinava. Balzò in piedi e vide che era Shairn. Ella gridò: «Michael!» e le sue parole gli giunsero con un suono di irrealtà, come una voce udita nell’incubo della febbre.
«Tutto è finito, Michael, sei libero!»