XXI IL DUELLO MAGICO

La camera posta al di là di quella in cui ero stato imprigionato era identica alla prima, anche se il suo pavimento era posto più in alto. Naturalmente, era immersa nell’oscurità più completa, ma ora che ero certo di non essere più osservato, estrassi l’Artiglio dal sacchetto e mi guardai intorno alla sua luce che, per quanto debole, era sufficiente.

Non c’erano scale, ma una stretta porta dava accesso a. quella che supposi essere una terza camera sotterranea. Riposto l’Artiglio, la superai, ma mi trovai invece in un tunnel non più largo della porta stessa e che descrisse parecchie svolte prima ancora che avessi fatto una mezza dozzina di passi. All’inizio supposi che fosse solo un passaggio tortuoso, avente lo scopo d’impedire che la luce del giorno trapelasse e tradisse l’apertura che si affacciava nella stanza dove ero stato rinchiuso, ma in quel caso non sarebbero state necessarie più di tre svolte; invece le mura parvero continuare a curvarsi ed io rimasi nell’oscurità più impenetrabile. Alla fine, estrassi di nuovo l’Artiglio.

Forse a causa dello spazio ristretto in cui mi trovavo, la sua luce mi parve un po’ più forte, ma non c’era nulla da vedere che le mie mani non avessero già scoperto al tatto: ero solo, e mi trovavo in un labirinto dalle pareti di terra e dal soffitto (ora appena al di sopra della mia testa) di pali grezzi, le cui strette svolte soffocavano presto la luce.

Stavo per riporre ancora una volta l’Artiglio, quando avvertii un odore ad un tempo pungente ed alieno. Il mio naso non è affatto sensibile come quello del lupo del racconto… se mai, il mio odorato è inferiore a quello degli altri, ma mi parve di riconoscere quell’odore, anche se mi ci vollero parecchi istanti prima di identificarlo per quello che avevo percepito nell’Anticamera, la mattina della nostra fuga, quando ero tornato a prendere Jonas dopo aver parlato con la ragazzina. Questa mi aveva detto che qualcosa, un cercatore senza nome, si stava aggirando fra i prigionieri, ed io avevo trovato una sostanza viscida sul pavimento e sul muro vicino al punto in cui era sdraiato Jonas.

Non riposi più l’Artiglio, dopo aver avvertito quell’odore, ma, per quanto incrociassi parecchie volte una pista fetida nell’aggirarmi nel labirinto, non vidi mai la creatura che la lasciava. Dopo aver vagato per un turno di guardia o forse più, raggiunsi una scaletta che conduceva fuori attraverso una piccola porta aperta. Il quadrato di luce solare in cima ad essa era ad un tempo accecante e meraviglioso, e per qualche tempo mi crogiolai al suo tepore senza neppure mettere piede sulla scaletta. Mi sembrava certo che, se fossi salito, sarei stato immediatamente ricatturato, eppure ero talmente affamato ed assetato che riuscivo a stento a trattenermi dal salire, ed il pensiero di quella lurida creatura che mi stava cercando… ero certo che fosse uno degli animaletti di Hethor… mi faceva venir voglia di far tutti i gradini in un solo salto.

Alla fine, salii con cautela e sollevai la testa al disopra del livello del suolo: non mi trovavo, come avevo supposto, all’interno del villaggio che avevo visto; le svolte del labirinto dovevano avermi condotto al di là di esso, fino ad una qualche uscita segreta. I grandi alberi crescevano qui più ravvicinati, e la luce che mi era parsa tanto brillante, era tinta di verde dalle loro foglie. Uscii all’esterno, e scoprii che ero sbucato fuori da un buco fra due radici, un’apertura così ben nascosta che sarei potuto passare ad un passo di distanza da essa senza vederla. Se avessi potuto, avrei bloccato il buco con qualche peso, per evitare o almeno ritardare l’uscita della creatura che mi stava dando la caccia, ma a portata di mano non c’erano pietre o altri oggetti adatti allo scopo.

Seguendo il vecchio trucco di osservare la pendenza del terreno e di camminare il più possibile verso valle, trovai ben presto un ruscello; sopra di esso si vedeva un po’ di cielo aperto, e giudicai che il giorno doveva essere finito da otto o nove turni di guardia. Intuendo che il villaggio non doveva trovarsi molto lontano dalla fonte di acqua corrente che avevo trovato, individuai in breve anche quello. Avvolto nel mio manto di fuliggine e tenendomi dove l’ombra era più fitta, l’osservai per qualche tempo: una volta un uomo… non dipinto come quelli che ci avevano fermati sul sentiero, attraversò lo spiazzo, e dopo un po’ un secondo uomo uscì dalla capanna sospesa, andò a bere al ruscello e tornò indietro.

Si fece più buio, e lo strano villaggio si destò. Una dozzina di uomini uscirono dalla capanna sospesa e cominciarono ad ammucchiare legna nel centro dello spiazzo; altri tre, ammantati e muniti di bastoni forcuti, uscirono dalla casa nell’albero, mentre altri ancora, che dovevano aver sorvegliato i sentieri della giungla, scivolarono fuori dall’ombra non appena il fuoco fu acceso, e distesero un tessuto davanti ad esso.

Uno degli uomini ammantati si sistemò con la schiena al fuoco, mentre gli altri due si accoccolarono ai suoi piedi; c’era qualcosa di straordinario in tutti e tre, che mi faceva pensare al portamento degli esaltati più che a quello degli Hieroduli che avevo visto nei giardini della Casa Assoluta… il portamento che viene dalla consapevolezza di essere un capo, anche se tale consapevolezza separa forzatamente il capo dal resto della comune umanità. Uomini dipinti e non, sedevano a gambe incrociate al suolo, rivolti verso l’albero, ed udii un mormorio di voci, sormontate da quella più forte dell’uomo in piedi, ma ero troppo lontano per capire cosa dicessero. Dopo qualche tempo, gli uomini accucciati si alzarono in piedi, ed uno di essi allargò il suo manto come una tenda, ed il figlio di Becan, che avevo adottato come mio, si fece avanti. L’altro uomo produsse Terminus Est nella stessa maniera e la snudò, mostrando alla folla la sua lama lucente ed il nero opale dell’impugnatura. Allora, uno degli uomini dipinti si alzò ed avanzò un po’ verso di me (tanto che temetti che mi potesse scorgere, anche se mi ero coperto il volto con la maschera), sollevando una porta inserita nel terreno. Ben presto, l’uomo riemerse da un’altra apertura più vicina al fuoco, e, avanzando più rapidamente, fece il suo rapporto all’uomo ammantato.

Potevano esserci ben pochi dubbi in merito a cosa stesse dicendo, per cui, raddrizzate le spalle, camminai verso la luce del fuoco.

— Non sono là — dissi, — sono qui.

Furono in molti a trattenere il respiro, un suono piacevole ad udirsi, anche se ero convinto che sarei morto presto.

— Come vedi — osservò quello di mezzo dei tre uomini ammantati, — non ci puoi sfuggire. Eri libero, eppure ti abbiamo richiamato indietro. — La sua voce era la stessa che mi aveva interrogato nella cella sotterranea.

— Se ti sei spinto molto avanti sulla Via — replicai, — sai bene di avere su di me meno autorità di quanta possano credere gli ignoranti. — (Non è difficile scimmiottare il modo in cui parlano quegli individui, perché il loro linguaggio scimmiotta a sua volta quello degli asceti e di certe sacerdotesse come le Pellegrine). — Tu hai rubato mio figlio, che è anche figlio della Bestia Che Parla, come devi ormai sapere se lo hai interrogato. Per ottenere la sua restituzione, io ho consegnato la mia spada ai tuoi schiavi, e, per qualche tempo, mi sono sottomesso a te. Ora riprenderò la mia arma.

C’è un punto della spalla che, se pressato con forza con il pollice, provoca la paralisi dell’intero braccio: io posai la mano sulla spalla dell’uomo che teneva Terminus Est, e questi lasciò cadere la spada ai miei piedi. Con maggior presenza di spirito di quanta ne avrei attribuita ad un bambino, il piccolo Severian la raccolse e me la porse. L’uomo ammantato che stava in mezzo sollevò il bastone e gridò: — Alle armi! — Ed i suoi seguaci si alzarono come un sol uomo. Alcuni erano muniti di artigli, ed altri avevano solo coltelli.

Mi sistemai Terminus Est sulla spalla, al solito posto, e dissi:

— Certo non penserete che abbia bisogno di quest’antica spada come arma? Essa ha ben più grandi proprietà, come voi tutti dovreste sapere.

— Così ci ha appena detto Abundantius — replicò in fretta l’uomo che aveva fatto apparire il piccolo Severian; l’altro uomo ammantato si stava ancora massaggiando il braccio.

Fissai l’uomo di centro, che era certo quello a cui si era alluso: i suoi occhi erano astuti, e freddi come pietre.

— Abundantius è saggio — commentai, tentando al contempo di escogitare un modo per poter uccidere quell’uomo senza attirarmi addosso tutti gli altri. — E conosce anche, credo, la maledizione che ricade su chi fa del male ad un mago.

— Allora tu saresti un mago — chiese Abundantius.

— Io, che ho tolto la sua preda dalle mani dell’arconte e sono passato, invisibile, in mezzo al suo esercito? Sì, sono stato chiamato così.

— Provaci allora che sei un mago, e noi ti accoglieremo come un fratello. Ma se fallirai la prova o ti rifiuterai di sottometterti ad essa… noi siamo molti, e tu hai una sola spada.

— Non fallirò alcuna prova onesta — ribattei, — anche se né tu né i tuoi seguaci avete l’autorità d’impormene una.

Il mio interlocutore era troppo astuto per lasciarsi attirare in una trappola del genere.

— Questa prova è nota a tutti i presenti eccetto che a te, ed è anche risaputo che è onesta. Tutti quelli che vedi sono riusciti a superarla o sperano di riuscirci.


Mi condussero in una casa che non avevo ancora visto, un posto costruito con tronchi e nascosto fra gli alberi, che non aveva finestre ma un solo ingresso. Quando le torce furono portate dentro, vidi che la sua unica stanza era arredata soltanto con un tappeto d’erba intrecciata ed era tanto lunga rispetto alla larghezza da sembrare un corridoio.

— Qui combatterai il tuo duello con Decuman — spiegò Abundantius, indicando l’uomo cui avevo intorpidito il braccio, il quale mi parve leggermente sorpreso per essere stato prescelto. — Tu hai avuto la meglio su di lui vicino al fuoco, ed ora lui deve aver la meglio su di te, se può. Tu siederai qui, vicino alla porta, in modo da poter essere certo che non entrerà nessuno ad aiutarlo, e lui siederà all’estremità più lontana. Non vi potrete avvicinare l’uno all’altro, né toccarvi come tu hai toccato lui vicino al fuoco. Dovrete intessere i vostri incantesimi, e domattina vedremo chi dei due avrà sottomesso l’altro.

Prendendo per mano il piccolo Severian, lo condussi fino al lato chiuso della costruzione.

— Io mi siederò qui — replicai. — Sono perfettamente certo che non cercherete di venire in aiuto di Decuman, ma voi non avete modo di sapere se io abbia o meno qualche compagno nella giungla, là fuori. Vi siete offerti di fidarvi di me, quindi io mi fiderò di voi.

— Sarebbe meglio — osservò Abundantius, — che tu lasciassi il bambino alla nostra custodia.

— Devo averlo con me — risposi, scuotendo il capo. — È mio, e quando me lo avete sottratto, sul sentiero, mi avete sottratto metà del mio potere. Non mi separerò di nuovo da lui.

— Come desideri — annuì Abundantius, dopo un momento. — Volevamo solo che non gli accadesse alcun male.

— Non gli accadrà alcun male — ribattei.

C’erano anelli di ferro nelle pareti, e quattro degli uomini nudi vi infilarono le loro torce prima di andarsene. Decuman sedette a gambe incrociate vicino alla porta, il bastone posato in grembo, ed anch’io sedetti, tirando vicino a me il bambino.

— Ho paura — mi disse, nascondendo il visino nel mio mantello.

— Hai ogni diritto di averne: gli ultimi tre giorni sono stati molto brutti per te.

Decuman aveva iniziato un lento canto ritmico.

— Piccolo Severian, voglio che tu mi dica cosa ti è successo sul sentiero. Mi sono guardato intorno e tu non c’eri più.

Dovetti confortarlo e rassicurarlo per qualche tempo, ma alla fine i suoi singhiozzi cessarono.

— Loro sono sbucati fuori… gli uomini colorati come alberi e con gli artigli, ed io ho avuto paura e sono scappato.

— Tutto qui?

— E poi altri uomini colorati come alberi sono venuti fuori e mi hanno preso e mi hanno fatto scendere sotto terra dove era buio. Poi mi hanno svegliato e mi hanno sollevato, ed io mi sono trovato dentro il mantello di un uomo. Poi sei arrivato tu e mi hai preso.

— Nessuno ti ha fatto domande?

— Un uomo, nel buio.

— Capisco. Piccolo Severian, non devi fuggire mai più come hai fatto sul sentiero… lo capisci? Scappa solo se scappo anch’io. Se tu non fossi scappato quando abbiamo incontrato quegli uomini colorati come alberi, ora non saremmo qui.

Il ragazzo annuì.

— Decuman — chiamai. — Decuman, possiamo parlare?

Egli m’ignorò, salvo forse che per il fatto che la sua cantilena si fece più forte. Il suo volto era sollevato, come se stesse fissando il soffitto, ma gli occhi erano chiusi.

— Cosa sta facendo? — chiese il ragazzo.

— Sta intessendo un incantesimo.

— Ci farà del male?

— No — risposi. — Simili magie sono per lo più imbrogli… come il sollevarti attraverso un buco in modo che sembri che quell’uomo ti faccia apparire sotto il mantello.

Eppure, mentre parlavo, ero consapevole dell’esistenza di qualcosa di più. Decuman stava concentrando la sua mente su di me come pochi sono in grado di fare, ed a me sembrava di essere nudo in un posto fortemente illuminato dove migliaia di occhi mi osservavano. Una delle torce tremolò e si spense, e, mentre la luce nella stanza diveniva più tenue, l’altra luce, che non potevo vedere, parve diventare più vivida.

Mi alzai. C’erano metodi per uccidere che non lasciavano alcuna traccia, e li ripassai mentalmente mentre camminavo.

All’improvviso, dai muri scaturirono su entrambi i lati alcune picche lunghe più di un metro. Non era il tipo di lancia usato dai soldati, armi ad energia dalle cui cime scaturiscono globi di fiamma, ma semplici pali di legno dalle punte di ferro, come quelli dei contadini di Saltus, anche se erano ugualmente in grado di uccidere a distanza ravvicinata. Tornai a sedermi, ed il ragazzo osservò:

— Credo che siano fuori, e che stiano guardando dalle fessure.

— Sì, adesso lo so anch’io.

— Cosa possiamo fare? — chiese, e, quando non risposi, aggiunse: — Chi sono queste persone, Padre?

Era la prima volta che mi chiamava così, ed io lo strinsi maggiormente a me: mi parve che questo indebolisse la rete che Decuman stava intessendo intorno alla mia mente.

— È solo una supposizione — spiegai, — ma direi che si tratta di un’accademia di maghi… di quei cultisti che praticano quelle che essi ritengono arti segrete. Si suppone che abbiano seguaci dovunque, anche se io ne dubito, e che siano molto crudeli. Hai sentito parlare del Nuovo Sole, Severian? È l’uomo che i profeti dicono verrà a ricacciare indietro i ghiacci ed a porre rimedio alle ingiustizie del mondo.

— Egli ucciderà Abaia — rispose il bambino, con mia sorpresa.

— Sì, si suppone che debba fare anche questo, e molte altre cose. Si dice che avesse già cominciato a farlo una volta, molto tempo fa. Lo sapevi, questo?

Il bambino scosse il capo.

— Allora, il suo scopo era quello di stabilire la pace fra l’umanità e l’Increato, ed era chiamato il Conciliatore. Si è lasciato alle spalle una famosa reliquia, una gemma chiamata l’Artiglio. — Mentre parlavo, portai la mano al petto e strinsi la gemma, e, sebbene non allentassi i legacci del morbido sacchetto che la conteneva, ne potei ugualmente sentire i contorni. Nel momento stesso in cui la toccai, l’invisibile rete che Decuman aveva intessuto intorno alla mia mente si dissolse quasi completamente. Non so immaginare per quale motivo avessi supposto per così tanto tempo che l’Artiglio dovesse essere estratto dal suo nascondiglio per avere efficacia: quella notte scoprii che non era così, e risi.

Per un momento, Decuman interruppe la sua cantilena ed aprì gli occhi.

— Non hai più paura? — Il piccolo Severian si strinse maggiormente a me.

— No. Si vedeva che avevo paura? — chiesi, ed egli annuì con aria solenne.

— Quello che stavo per dirti è che l’esistenza di quella reliquia sembra aver suggerito ad alcuni popoli l’idea che il Conciliatore usasse Artigli come armi. Ho spesso dubitato della sua esistenza, ma se una simile persona è mai vissuta davvero, sono certo che ha usato le sue armi in prevalenza contro se stesso. Capisci cosa sto dicendo?

Dubito che capisse, ma annuì ugualmente.

— Quando eravamo sul sentiero, abbiamo trovato un incantesimo contro la venuta del Nuovo Sole. Gli uomini colorati come alberi, che suppongo siano quelli che hanno superato questa prova, usano artigli d’acciaio. Io credo che vogliano ritardare l’avvento del Nuoyo Sole in modo da poter prendere il suo posto e forse usurpare i suoi poteri. Se…

All’esterno, qualcuno urlò.

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