— Qui c’è un nemico vero — dissi, — con una vera arma. — Avanzai nella nebbia annaspando davanti a me con la lama della mia spada.
— Anche quelli che vedi nella mia camera delle nubi sono nemici veri — tuonò Baldanders, con voce perfettamente calma. — Solo che essi si trovano all’esterno, nel cortile. Il primo era uno dei tuoi amici, il secondo uno dei miei nemici.
Mentre parlava, la nebbia si dissipò, ed io lo scorsi, quasi nel centro della stanza, seduto su una sedia massiccia. Quando mi volsi verso di lui, Baldanders si alzò, e, afferrata la sedia per lo schienale, la lanciò verso di me come se fosse un canestro, mancandomi per meno di una spanna.
— Ora cercherai di uccidermi — disse, — e tutto per uno stupido incantesimo. Avrei dovuto ucciderti la notte in cui hai dormito nel mio letto.
Anch’io avrei potuto dire la stessa cosa, ma non mi curai di ribattere. Era evidente che, fingendosi impotente, il gigante stava tentando d’indurmi ad uno sconsiderato attacco, e, sebbene sembrasse disarmato, era pur sempre alto il doppio di me, e, avevo ragione di credere, tre o quattro volte più forte. Poi, mentre mi avvicinavo a lui, mi resi conto che noi stavamo ripetendo lo spettacolo che avevo visto fare in sogno dalle marionette, quella notte che lui mi aveva appena rammentato, e che in quel sogno il gigante di legno aveva avuto per arma un randello. Mentre avanzavo, lui indietreggiava dinnanzi a me un passo dopo l’altro, eppure sembrava sempre pronto a venire ad un corpo a corpo.
Improvvisamente, quando eravamo a circa tre quarti della stanza, dalla parte opposta alle scale, si girò e si mise a correre. Era stupefacente, come veder correre un albero.
Era anche molto rapido, per quanto fosse massiccio, ogni passo dei suoi ne copriva due normali, e lui raggiunse il muro, dove c’era una finestra stretta come quella da cui si era affacciato Ossipago… parecchio tempo prima di me.
Per un momento, non riuscii ad immaginare cosa avesse intenzione di fare. La finestra era troppo stretta perché potesse passarvi. Vi infilò entrambe le mani, ed io sentii lo stridio della pietra contro la pietra.
Capii appena in tempo, e riuscii ad indietreggiare di qualche passo. Un istante più tardi, Baldanders aveva in mano un macigno strappato dal muro, e, sollevatolo sul capo, me lo lanciò contro.
Mentre io balzavo da un lato, il gigante staccò un’altra pietra, ed un’altra ancora. Alla terza, dovetti rotolare disperatamente, sempre stringendo la spada, in modo da evitarne una quarta: le pietre arrivavano sempre più in fretta perché la mancanza di quelle già tolte indeboliva la struttura del muro. Per un purissimo caso, tutto quel rotolare mi portò vicino ad una cassettina, non più grande di quella che una modesta casalinga avrebbe potuto usare per riporre i suoi anelli, abbandonata al suolo.
Essa era decorata con piccole manopole, e qualcosa nella loro forma mi rammentò quelle manopole che il Maestro Gurloes aveva girato quando era in corso la tortura di Thecla. Prima che Baldanders avesse potuto staccare un’altra pietra, avevo afferrato la cassetta e girato una delle manopole. Immediatamente, la nebbia svanita emerse di nuovo dal pavimento, raggiungendo rapidamente il livello della mia testa, in modo che venni accecato da quel mare bianco.
— L’hai trovata — disse la voce lenta e profonda di Baldanders. — L’avrei dovuta spegnere. Ora non ti posso vedere, ma tu non puoi vedere me.
Rimasi in silenzio perché sapevo che aveva in mano un blocco di pietra ed era pronto a tirarlo: aspettava solo di udire il suono della mia voce. Dopo aver tratto forse due dozzine di respiri, cominciai a muovermi verso di lui più silenziosamente che potevo. Ero certo che, nonostante tutta la sua abilità, non poteva camminare senza che io lo sentissi. Avevo mosso appena quattro passi quando la pietra si abbatté al suolo alle mie spalle, e sentii il rumore di un’altra che veniva divelta dalla parete.
Era una pietra di troppo: ci fu un rombo assordante ed io compresi che l’intera sezione di muro al disopra della finestra doveva essere crollata. Per un breve istante osai sperare che il crollo avesse ucciso Baldanders, ma la nebbia cominciò a diradarsi immediatamente, fuoriuscendo dall’apertura nel muro e dissolvendosi nella notte e nella pioggia, ed io lo vidi, ancora in piedi vicino al buco.
Doveva aver lasciato cadere la pietra che aveva divelto quando il muro era crollato, perché era a mani vuote. Scattai verso di lui con la speranza di poterlo attaccare prima che si accorgesse che gli ero addosso, ma, ancora una volta, il gigante fu più svelto. Lo vidi afferrare quel che rimaneva del muro e proiettarsi fuori, e, quando finalmente raggiunsi il buco, era già ad una certa distanza, più sotto. Quello che aveva fatto mi sembrava impossibile, ma, quando osservai con maggiore attenzione la parte della torre illuminata dalle luci della camera in cui mi trovavo, notai che le pietre erano tagliate rozzamente ed erano prive di calce, cosicché fra di esse vi erano spesso crepe utilizzabili, e che il muro s’inclinava verso l’interno man mano che saliva.
Fui tentato di rinfoderare Terminus Est e di seguirlo, ma se lo avessi fatto sarei stato completamente vulnerabile, dal momento che Baldanders avrebbe certo raggiunto il suolo prima di me. Gli lanciai dietro la scatoletta e presto lo persi di vista nella pioggia. Senza che mi rimanesse altra scelta, tornai annaspando fino alle scale e le discesi fino al livello che avevo visto quando ero entrato nel castello.
Allora esso era stato silenzioso e disabitato, salvo che per la presenza dei meccanismi, mentre ora era un pandemonio. Sopra, sotto, fra le macchine si muovevano dozzine di esseri orrendi simili alla cosa spettrale il cui fantasma avevo visto nella stanza che Baldanders chiamava la camera delle nubi. Come Typhon, alcuni avevano due teste, altri avevano quattro braccia, molti erano afflitti da arti sproporzionati… gambe lunghe due volte i loro corpi, braccia più grosse delle loro cosce. Tutti erano muniti di armi, e, a quanto pareva, erano pazzi, poiché si colpivano a vicenda così come colpivano gli isolani che lottavano contro di loro. Mi rammentai allora di ciò che Baldanders mi aveva detto, e cioé che il cortile sottostante era pieno dei miei amici e dei suoi nemici. Era certo stato esatto: quelle creature lo avrebbero attaccato a vista, così come si attaccavano a vicenda.
Ne abbattei tre prima di raggiungere la porta, e riuscii a chiamare a me gli uomini del lago che erano entrati nella torre, spiegando che il vero nemico si trovava all’esterno. Quando vidi quanto temevano i mostri lunatici che continuavano a scaturire dall’oscura tromba delle scale (e che essi non riuscivano a riconoscere per ciò che erano… e cioè i resti rovinati dei loro fratelli e figli), rimasi stupito che avessero avuto il coraggio di entrare nel castello. Fu meraviglioso, tuttavia, notare come la mia presenza li rincuorò; mi permisero di prendere il comando, ma nei loro occhi lessi che mi avrebbero seguito dovunque li avessi condotti. Quella fu la prima volta, credo, che compresi il piacere che la sua posizione doveva aver dato al Maestro Gurloes, piacere che fino ad allora avevo creduto consistesse solo nella celebrazione della sua abilità d’imporre ad altri la propria volontà. Compresi anche come mai tanti giovani abbandonassero le fidanzate, le mie amiche nella vita che avevo vissuto come Thecla, per accettare le commissioni loro assegnate in oscuri reggimenti.
La pioggia era rallentata, anche se cadeva ancora in veli argentei. Uomini morti e molte creature del gigante giacevano sugli scalini, cosicché fui costretto a gettarne alcuni a calci giù dalla rampa per timore di cadere se avessi tentato di camminare su di loro. Nel cortile si combatteva ancora, ma nessuna delle creature di laggiù venne ad attaccarci, e gli uomini del lago difesero la scala contro i mostri che avevamo lasciato all’interno. Non vidi traccia di Baldanders.
Ho scoperto che è difficile descrivere un combattimento, anche se esso è eccitante nel senso che ti fa dimenticare di te stesso. E quando è finito, ciò che uno ricorda meglio… perché al momento della lotta la mente è troppo impegnata per registrare molte cose… non sono i fendenti e le parate, bensì le pause fra i vari scontri. Nel cortile del castello di Baldanders, scambiai colpi frenetici con quattro dei mostri che questi aveva creato, ma non avrei saputo dire quando combattevo bene e quando male.
L’oscurità e la pioggia favorivano lo stile selvaggio di combattimento che mi veniva imposto dalla linea di Terminus Est. Non solo un duello formale, ma ogni combattimento con la spada o la lancia richiede una buona visibilità, dal momento che ciascun antagonista deve poter vedere l’arma dell’avversario. Qui non c’era quasi luce per nulla, ed inoltre le creature di Baldanders possedevano un coraggio suicida che le danneggiava. Esse tentavano di balzare sopra o di schivare da sotto i miei fendenti, e, nella maggior parte dei casi finivano per essere colte dal controfendente che seguiva. In ciascuna di quelle schermaglie, gli uomini del lago fecero la loro parte, ed in un’occasione eliminarono per me il mio avversario, mentre in altre lo distrassero oppure lo ferirono prima che io lo affrontassi. Nessuno di quegli scontri era soddisfacente nel modo in cui lo è un’esecuzione ben eseguita.
Dopo il quarto, non ce ne furono più, anche se i loro morti e moribondi giacevano da ogni parte. Radunai gli isolani intorno a me: eravamo tutti in quello stato di euforia che accompagna una vittoria, ed eravamo disposti ad attaccare il gigante, non importava quanto fosse grosso. Ma anche coloro che si erano trovati nel castello quando le pietre avevano iniziato a cadere, giurarono di non aver visto nessuno. Poi, proprio quando io stavo cominciando a pensare che fossero ciechi, e loro, indubbiamente, a ritenere che io fossi matto, fummo salvati dalla luce della luna.
Com’è strano. Tutti cercano il sapere nel cielo, sia per scoprire nelle costellazioni l’influenza che esse hanno sugli eventi, sia per tentare, come Baldanders, di sottrarlo a quegli esseri che gli ignoranti chiamano cacogeni, sia, come nel caso di contadini, pescatori ed affini, solo per predire il tempo che farà. Eppure, nessuno cerca mai nel cielo un aiuto immediato, anche se spesso lo riceviamo, come accadde a me quella notte.
Non fu nulla di più che un’apertura nelle nubi. La pioggia, che si era fatta irregolare, cessò completamente, ma, per un brevissimo istante la luce della luna (molto alta, e, sebbene solo piena a metà, molto brillante), cadde sul cortile del gigante come la luce di una delle più grandi lampade dell’auditorio del livello onirico della Casa Assoluta era solita cadere sul palcoscenico. Sotto di essa, le pietre lisce e bagnate della pavimentazione brillarono come polle d’acqua scura ed immota, ed in esse vidi riflessa una cosa talmente fantastica che mi chiedo come abbia potuto evitare di non far altro che fissarla fino a morire… il che sarebbe accaduto rapidamente.
Perché Baldanders stava cadendo su di noi, ma stava cadendo lentamente.