Kralick, all’inizio, s’infastidì per quel cambiamento di un itinerario meticolosamente studiato; l’America Meridionale, disse, sarebbe stata molto delusa nell’apprendere che l’arrivo di Vornan era rinviato. Ma si rendeva conto anche degli aspetti positivi del progetto. Pensava che poteva essere utile portare Vornan-19 in un ambiente diverso, lontano dalle folle e dalle telecamere. Credo che accogliesse con gioia la possibilità di allontanarsi lui stesso da Vornan, per un po’. Finì per approvare la proposta.
Allora chiamai Jack e Shirley.
Esitavo a scaricare loro addosso Vornan, sebbene mi avessero implorato tutti e due di organizzare qualcosa del genere. Jack era disperatamente ansioso di parlare con Vornan della conversione totale dell’energia, sebbene io sapessi che non ne avrebbe ricavato niente. E Shirley… Shirley mi aveva confessato di essere fisicamente attratta dall’uomo del 2999. Era per il suo bene che esitavo. Poi mi dissi che toccava a lei risolvere il problema di ciò che provava per Vornan, e che se tra loro fosse accaduto qualcosa, sarebbe successo soltanto con il consenso e la benedizione di Jack. E in questo caso, non dovevo considerarmi responsabile.
Quando riferii loro la proposta, pensarono entrambi che stessi scherzando. Faticai a convincerli che avrei portato veramente Vornan in casa loro. Finalmente si decisero a credermi, e li vidi scambiarsi occhiate fuori campo; poi Jack disse: «E quando verreste qui?»
«Anche domani, se siete disposti.»
«Perché no?» fece Shirley.
La scrutai in viso, cercando di scoprire se tradiva il suo desiderio. Ma non vidi altro che l’eccitazione.
«Perché no?» ripeté Jack. «Ma dimmi una cosa: ci troveremo la casa assediata da giornalisti e poliziotti? Questo non lo sopporterei.»
«No,» dissi io. «L’ubicazione di Vornan verrà tenuta nascosta alla stampa. Non ci sarà un solo giornalista nei dintorni. E immagino che le vie d’accesso alla vostra casa saranno sorvegliate, per prudenza; ma gli agenti del Servizio di Sicurezza non vi daranno fastidio. Farò in modo che stiano alla larga.»
«Benissimo,» disse Jack. «Portalo, allora.»
Kralick rimandò il viaggio nell’America Meridionale, e annunciò che Vornan stava per recarsi in una località tenuta segreta per una vacanza privata di durata indeterminata. Lasciammo capire che sarebbe andato in una villa da qualche parte sull’Oceano Indiano. Molto vistosamente, la mattina dopo un aereo privato lasciò Johannesburg diretto verso l’Isola Mauritius. Bastò per sconcertare e fuorviare la stampa. Un po’ più tardi, quella stessa mattina, Vornan ed io salimmo su un piccolo reattore e attraversammo l’Atlantico. Cambiammo aereo a Tampa e arrivammo a Tucson nel primo pomeriggio. Lì ci aspettava una macchina. Dissi all’autista, che era un dipendente governativo, di scomparire, e guidai personalmente fino da Jack e Shirley. Kralick, lo sapevo, aveva steso una rete di protezione in un raggio di ottanta chilometri intorno alla casa, ma aveva promesso di non lasciare che i suoi uomini si avvicinassero di più, a meno che io chiedessi aiuto. Nessuno ci avrebbe disturbati. Era un meraviglioso pomeriggio di tardo autunno, il cielo era fulgido e piatto, senza nubi, e l’azzurro pareva vibrare. Le montagne sembravano eccezionalmente nitide. Mentre guidavo, notai di tanto in tanto lo scintillio dorato di un elicottero governativo, lassù. Ci sorvegliavano… da lontano.
Shirley e Jack ci attendevano davanti alla casa. Jack portava una camicia strappata ed un paio di jeans sbiaditi; Shirley calzoncini e un succinto reggiseno. Non li avevo più visti dalla primavera, ed avevo parlato con loro solo poche volte. Ebbi la netta sensazione che le tensioni osservate in primavera avessero continuato a roderli nei mesi successivi. Sembravano tutti nervosi, carichi, compressi, in un modo che non si poteva attribuire interamente all’arrivo del celebre ospite.
«Questo è Vornan-19,» dissi io. «Jack Bryant. Shirley.»
«È un vero piacere» disse gravemente Vornan. Non porse la mano, ma s’inchinò, quasi alla giapponese, prima a Jack, poi a Shirley. Seguì un silenzio impacciato. Restammo a guardarci, sotto il Sole ardente. Shirley e Jack si comportavano quasi come se non avessero mai creduto all’esistenza di Vornan prima di quel momento; sembravano considerarlo un personaggio romanzesco inaspettatamente portato in vita. Jack strinse le labbra, così forte che le guance gli pulsarono. Shirley, senza distogliere mai gli occhi da Vornan, si dondolava avanti e indietro sui piedi nudi. Vornan, controllato e affabile, studiava la casa, l’ambiente ed i suoi occupanti con serena curiosità.
«Se permette le mostro la sua stanza,» se ne uscì Shirley.
Presi i bagagli: una valigia per Vornan ed una per me. La mia era quasi vuota, poiché c’erano solo due abiti di ricambio: ma faticai a sollevare quella di Vornan. Sebbene fosse entrato nudo nel nostro mondo, aveva accumulato parecchia roba nei suoi viaggi: abiti, gingilli, una miscellanea caotica. Trascinai il bagaglio in casa. Shirley aveva assegnato a Vornan la stanza che solitamente occupavo io; un ripostiglio vicino al terrazzo era stato frettolosamente trasformato in una seconda stanza per gli ospiti, a mio uso. Mi sembrava giusto. Deposi la valigia di Vornan, e lasciai con lui Shirley perché gli insegnasse a usare i vari impianti. Jack mi condusse in camera mia.
Dissi: «Voglio chiarire, Jack, che questa visita può venire interrotta in qualunque momento. Se Vornan ti sembra insopportabile, dimmelo, e ce ne andremo. Non voglio che tu abbia fastidi per causa sua.»
«Va bene. Credo che sarà interessante, Leo.»
«Non ne dubito. Ma potrebbe anche essere un peso.»
Jack sorrise, nervosamente. «Avrò qualche possibilità di parlare con lui?»
«Certamente.»
«Tu sai di che cosa.»
«Sì. Parlane quanto vuoi. Non ci sarà molto altro da fare. Ma non concluderai niente, Jack.»
«Posso tentare, almeno.» E aggiunse, a voce bassa: «È più piccolo di quanto immaginassi. Ma imponente. Molto imponente. Ha una specie di potere di dominazione naturale, no?»
«Napoleone era piccolo,» gli ricordai. «E anche Hitler.»
«Vornan lo sa?»
«Sembra che non sia un appassionato studioso di storia,» dissi; ridemmo entrambi.
Dopo un po’, Shirley uscì dalla stanza di Vornan: l’incontrai nel corridoio. Non credo che pensasse di trovarmi lì, perché per un attimo la vidi in faccia e lei non aveva la maschera che tutti noi portiamo di fronte agli altri. Gli occhi, le narici, le labbra, rivelavano un’emozione cruda, un conflitto bruciante. Mi chiesi se Vornan aveva tentato di combinare qualcosa, in quei cinque minuti che avevano trascorso insieme. Certo, ciò che vidi sul volto di Shirley era puramente sessuale, una marea di desiderio che affiorava alla superficie. Un attimo dopo si accorse che la stavo guardando, e la maschera si assestò rapidamente. Mi sorrise, nervosa. «È sistemato,» disse. «Mi piace, Leo. Sai, pensavo fosse freddo e scostante, una specie di robot. Ma è educato e cerimonioso, un vero gentiluomo, a modo suo.»
«È un incantatore, sì.»
Chiazze rivelatrici di colore indugiavano sulle sue guance. «Pensi che abbiamo fatto male a dire che poteva venire?»
«Perché dovrebbe essere un errore?»
Si umettò le labbra. «Non si può sapere che cosa accadrà. È bellissimo, Leo. È irresistibile.»
«Hai paura dei tuoi desideri?»
«Ho paura di fare del male a Jack.»
«E allora non far niente senza il consenso di Jack,» dissi; mi sentivo più che mai un vecchio zio. «È molto semplice. Non lasciarti trascinare.»
«E se lo facessi, Leo? Quando ero nella sua stanza… l’ho visto che mi guardava così bramosamente…»
«Guarda così tutte le belle donne. Ma senza dubbio tu sai dire di no, Shirley.»
«Non so certa di voler dire di no.»
Scrollai le spalle. «Devo chiamare Kralick e dirgli che vorremmo andarcene?»
«No!»
«Allora dovrai essere la custode della tua castità, temo. Sei un’adulta, Shirley. Dovresti riuscire a non andare a letto con il tuo ospite, se non lo ritieni saggio. Non è mai stato un problema per te, finora.»
Shirley indietreggiò, sgomenta, a quell’ultima frase gratuita. Arrossì di nuovo, sotto la profonda abbronzatura. Mi guardò come se non mi avesse mai visto chiaramente. M’irritai con me stesso. Con poche parole avevo svilito un rapporto durato un decennio. Ma quel momento di tensione passò. Shirley si rilassò, come se si sforzasse interiormente, e finalmente disse con voce calma: «Hai ragione, Leo. Non sarà un problema.»
La sera fu sorprendentemente immune da tensioni. Shirley servì una magnifica cena, e Vornan fu prodigo di elogi; era, disse, il primo pasto che aveva mangiato in casa di qualcuno, e ne era entusiasta. Poi passeggiammo insieme, nel crepuscolo. Jack camminava a fianco di Vornan, io con Shirley, ma stavamo molto vicini. Jack indicò un toporagno che era uscito dal suo nascondiglio un po’ prima del solito e avanzava a balzi pazzi nel deserto. Notammo qualche coniglio e alcune lucertole. Vornan, come sempre, era sbalordito di vedere gli animali selvatici in libertà. Poi tornammo in casa per bere qualcosa, e ci sedemmo come quattro vecchi amici, senza parlare di niente in particolare. Vornan sembrava adattarsi perfettamente alla personalità dei suoi ospiti. Cominciai a pensare di essermi preoccupato per nulla.
Quella bizzarra tranquillità continuò per diversi altri giorni. Dormivamo fino a tardi, esploravamo il deserto, ci godevamo i quaranta gradi all’ombra, mangiavamo, guardavamo le stelle. Vornan era riservato, quasi guardingo. Tuttavia, lì parlava della sua epoca più di quanto facesse abitualmente. Indicando le stelle, cercò di descrivere le costellazioni che conosceva, ma non riuscì a identificarne nessuna, neppure l’Orsa Maggiore. Parlò dei tabù del cibo, e disse che sarebbe stato temerario, da parte sua, sedersi a tavola con i suoi ospiti, in una situazione analoga nel 2999. Rammentò pigramente i dieci mesi trascorsi nel nostro tempo, come un viaggiatore che sta per concludere il suo itinerario e comincia a ripensare con piacere ai suoi ricordi.
Noi ci guardavamo dall’ascoltare i notiziari televisivi, quando Vornan era con noi. Non volevo sapesse che c’erano stati disordini in Sud America, per la delusione causata dal rinvio della sua visita, o che una sorta di isterismo dilagava nel mondo, e dovunque tutti si attendevano dal visitatore le risposte agli enigmi dell’universo. Nelle sue precedenti dichiarazioni, Vornan aveva orgogliosamente affermato che avrebbe finito per fornire le risposte a tutto, e quella promessa sembrava negoziabile all’infinito, benché in pratica Vornan avesse suscitato più enigmi di quanti ne avesse risolti. Era una gran bella cosa poterlo tenere lì, in isolamento, lontano dalle leve di comando che avrebbe potuto impugnare così facilmente.
La quarta mattina ci svegliammo nella fulgida luce del Sole. Tolsi gli opacizzatori alle finestre e vidi che Vornan era già in terrazza. Era nudo, comodamente disteso su una sdraio di piumaplastica, e si crogiolava al Sole. Bussai sul vetro. Alzò gli occhi, mi vide, sorrise. Uscii mentre lui si alzava. Il suo corpo snello e liscio sembrava fatto di una sostanza plastica, senza suture; la pelle era perfetta, e non aveva peli. Non era né muscoloso né flaccido, e sembrava nel contempo fragile e poderoso. So che può sembrare un paradosso. Ed era anche formidabilmente maschio. «Qui fuori c’è un calduccio meraviglioso, Leo,» disse. «Togliti quella roba e tienimi compagnia.»
Esitai. Non avevo parlato a Vornan del disinvolto nudismo delle mie precedenti visite a quella casa; e fino a quel momento era stata scrupolosamente rispettata la decenza. Ma naturalmente, Vornan non aveva tabù contro la nudità; e adesso che aveva fatto la prima mossa, Shirley si affrettò a imitarlo. Uscì sul terrazzo, vide Vornan nudo, me in pigiama e disse sorridendo: «Sì, è giusto. Volevo proporlo ieri. Qui non ci vergognamo dei nostri corpi.» Dopo questa dichiarazione di liberalismo, si tolse la leggera vestaglietta e si sdraiò a prendere il sole. Vornan osservò con una curiosità che mi parve straordinariamente distaccata, mentre Shirley rivelava il suo corpo agile e magnificamente dotato. Mi sembrava interessato, ma solo in teoria. Non era il Vornan famelico che conoscevo. Ma Shirley tradiva un profondo disagio interiore. Il rossore le arrivò fin quasi alla base della gola. I suoi movimenti erano esageratamente disinvolti. I suoi occhi corsero con espressione colpevole sull’inguine di Vornan, poi si ritrassero in fretta. I capezzoli la tradirono, rizzandosi in un’eccitazione improvvisa. Lei se ne accorse, e si affrettò a stendersi sul ventre, ma io ebbi il tempo di notarlo. Quando Shirley ed io e Jack avevamo preso insieme il Sole, era stato tutto innocente come nell’Eden; ma l’irrigidirsi di quei fiorellini di tessuto erettile annunciavano sfacciatamente ciò che lei provava nello stare nuda di fronte a Vornan nudo.
Jack apparve un po’ più tardi. Valutò la situazione con un’occhiata divertita: Shirley distesa a natiche in su, Vornan spogliato e dormicchiante, io che camminavo inquieto avanti e indietro. «Una bellissima giornata,» disse, con troppo entusiasmo. Aveva addosso i calzoncini e li tenne. «Vado a prendere la colazione, Shirl?»
Né Shirl né Vornan si presero il disturbo di vestirsi, quella mattina. Lei sembrava decisa a stabilire la stessa informalità che era stata il segno distintivo delle mie visite; e dopo i primi momenti di confusione, finì per accettare la situazione in modo più naturale. Stranamente, Vornan sembrava del tutto indifferente al suo corpo. Me ne accorsi molto tempo prima che se ne rendesse conto Shirley. Le sue piccole civetterie, i movimenti sottilmente abili, il modo di flettere una coscia formosa o di gonfiare la cassa toracica per sollevare i seni, erano del tutto sprecati, con lui. Poiché evidentemente lui proveniva da una cultura in cui la nudità tra persone pressoché estranee non era niente di straordinario, la cosa non era strana… solo che l’atteggiamento di Vornan verso le donne era sempre stato così predetorio, nei mesi precedenti, ed era misterioso il fatto che non reagisse per nulla agli incanti di Shirley.
Anch’io mi spogliai completamente. Perché no? Era comodo, e poi era di moda. Mi accorsi, però, che non riuscivo a rilassarmi. In passato non mi ero mai accorto che prendere il Sole insieme a Shirley generasse in me un’ovvia tensione. Adesso però un tor rente di desiderio mi ruggiva nel sangue, talvolta, dandomi le vertigini, e dovevo aggrapparmi alla ringhiera del terrazzo e distogliere lo sguardo.
Anche il contegno di Jack era strano. Per lui, lì, la nudità era del tutto naturale; ma continuò a tenere i calzoncini per un giorno e mezzo, dopo che Vornan aveva indotto me e Shirley a spogliarci. Sembrava lo facesse per sfida… lavorava in giardino, potava un arbusto, con il sudore che gli colava giù per l’ambia schiena, macchiando la cintura degli short. Alla fine, Shirley gli chiese perché era così pudico. «Non so,» disse lui, stranamente. «Non me n’ero accorto.» E continuò a tenere i calzoncini.
Vornan alzò la testa e disse: «Non sarà per me, vero?» Jack rise. Toccò il fermaglio degli short e se li sfilò, voltandoci castamente la schiena. Benché da quel momento andasse in giro senza, sembrava decisamente infastidito.
Jack pareva affascinato da Vornan. Parlavano a lungo, con citatamente, davanti a bicchieri di bevande ghiacciate; Vornan ascoltava pensoso, dicendo qualcosa di tanto in tanto, mentre Jack snocciolava un torrente di parole. Facevo poco caso a quelle discussioni. Parlavano di politica, di viaggi nel tempo, di conversione dell’energia e di molte altre cose, e ogni conversazione diventava ben presto un monologo. Mi chiedevo perché Vornan fosse tanto paziente, ma senza dubbio lì c’era poco d’altro da fare. Dopo un po’, mi chiusi in me stesso e mi limitai a starmene disteso al Sole a riposare. Mi rendevo conto di essere terribilmente stanco. Quell’anno era stato molto faticoso per me. Sonnecchiavo. Mi crogiolavo al Sole. Sorseggiavo bibite ghiacciate. E lasciavo che la distruzione ingoiasse i miei amici più cari, senza intuire neppure lontanamente l’approssimarsi degli eventi.
Vedevo la vaga insoddisfazione che cresceva in Shirley. Si sentiva ignorata e respinta, e potevo capire perché. Voleva Vornan. E Vornan, che aveva requisito tante dozzine di donne, la trattava con rispetto glaciale. Come se avesse abbracciato un po’ tardi la morale borghese, Vornan rifiutava di accettare le avances di lei, indietreggiando con molto tatto. Qualcuno gli aveva spiegato che era scorretto sedurre la moglie del proprio ospite? La correttezza non aveva mai costituito un pensiero per lui, in passato. Potevo attribuire quella miracolosa dimostrazione di continenza, adesso, solo alla sua vena innata di malizia. Era capace di portarsi a letto una donna per capriccio, come nel caso di Aster, diciamo; ma adesso lo divertiva deludere Shirley solo perché lei era bella e nuda e chiaramente disponibile. Era una reviviscenza del vecchio, diabolico Vornan, pensavo: il classico dispetto.
Shirley sembrava quasi disperata. La sua goffaggine irritava me, che ero il testimone involontario. La vedevo strusciarsi contro Vornan, per premergli un seno sodo contro la schiena mentre fingeva di prendere la bottiglia vuota che lui aveva posato per terra; la vedevo invitarlo sfacciatamente con gli occhi; la vedevo stendersi in pose studiatamente provocanti che in passato aveva sempre evitato per istinto. Non serviva a nulla. Forse, se fosse entrata nella stanza di Vornan, di notte, e gli si fosse buttata addosso, avrebbe ottenuto ciò che voleva; ma il suo orgoglio le impediva di spingersi a tanto. E così diventava volgare per la frustrazione. Ritornò quella sua brutta risatina stridula. Rivolgeva a Jack o a Vornan o a me osservazioni che rivelavano un’ostilità malcelata. Rovesciava o lasciava cadere gli oggetti. A me, tutto questo faceva un effetto deprimente, perché io avevo mostrato molto tatto con lei, non per pochi giorni, ma per dieci anni interi; avevo resistito alla tentazione, mi ero negato il piacere proibito di prendere la moglie del mio amico. Non mi si era mai offerta come adesso si offriva a Vornan. Non mi piaceva vederla così, e l’ironia della situazione non mi divertiva.
Jack era totalmente ignaro del tormento di sua moglie. Era così affascinato da Vornan che non riusciva ad osservare quanto accadeva intorno a lui. Nel suo isolamento in mezzo al deserto, Jack non aveva avuto occasione di farsi nuovi amici, in tanti anni, e aveva avuto pochi contatti con quelli vecchi. Adesso si era attaccato a Vornan esattamente come un bambino solitario si attaccherebbe ad un nuovo venuto nel quartiere. Scelgo volutamente questo paragone; c’era qualcosa di adolescenziale o addirittura di subadolescenziale nella resa di Jack a Vornan. Parlava incessantemente, presentandosi sullo sfondo della sua carriera universitaria, descrivendo le ragioni del suo ritiro nel deserto, portando persino Vornan giù, in quel laboratorio dove io non ero mai entrato, e dove mostrava al suo ospite il manoscritto segreto dell’autobiografia. Per quanto si trattasse di argomenti intimi, Jack ne parlava liberamente, come un ragazzino che mette in mostra i suoi giocattoli più cari. Comprava l’attenzione di Vornan con uno sforzo frenetico. Sembrava che lo considerasse un caro amico. Io, che avevo sempre giudicato Vornan indicibilmente alieno, ed ero arrivato ad accettarlo come autentico soprattutto perché m’ispirava uno sgomento misterioso, trovavo sconvolgente vedere Jack soccombere in quel modo. Vornan sembrava soddisfatto e divertito. Di tanto in tanto sparivano in laboratorio per ore ed ore. Mi dicevo che era un sistema escogitato da Jack per estorcere a Vornan le informazioni desiderate. Era furbo, no, costruire un rapporto così intenso allo scopo di poter sondare la mente di Vornan?
Ma Jack non otteneva informazioni da lui. E nella mia cecità, io non mi accorgevo di niente.
Come potevo non vederlo? Quell’espressione di confusione assorta e sognante che Jack aveva ormai quasi sempre? I momenti in cui abbassava gli occhi, distogliendoli da Shirley o da me, con le guance accese da un imbarazzo sconosciuto? Anche quando vedevo Vornan posare la mano, in un gesto possessivo, sulla spalla nuda di Jack, rimanevo cieco.
Shirley ed io trascorrevamo insieme più tempo, in quei giorni, che nelle mie visite precedenti, perché Jack e Vornan se ne andavano sempre per i fatti loro. Non approfittai dell’occasione. Parlavamo poco, ma stavamo sdraiati fianco a fianco, crogiolandoci al Sole. Shirley sembrava così tesa e nervosa che non sapevo mai cosa dirle, e perciò tacevo. L’Arizona era avvolta da un’ondata di calore autunnale. Il caldo saliva bollendo dal Messico verso di noi, e ci stordiva. La pelle nuda di Shirley brillava come uno splendido bronzo. La stanchezza mi abbandonava. Parecchie volte, lei mi sembrò sul punto di parlare, ma poi le parole le morivano in gola. Si creò una sorta di tensione. Istintivamente, sentivo un guaio nell’aria, come si sente l’avvicinarsi d’un temporale estivo. Ma non capivo cosa non andasse; ero chiuso in un bozzolo di calore, captavo le emanazioni incerte di un imminente cataclisma, eppure fino al momento del disastro non mi resi conto della situazione.
Accadde il dodicesimo giorno della nostra visita. Era l’ultimo giorno di ottobre, ma il caldo eccezionale perdurava; a mezzogiorno il Sole era un occhio sfolgorante di cui non si poteva reggere lo sguardo, ed io non resistevo più a restare all’aperto. Mi scusai con Shirley (Jack e Vornan non si vedevano) e andai in camera mia. Mentre rendevo opaca la finestra, indugiai per guardare Shirley, distesa torpidamente sul terrazzo, con gli occhi schermati, il ginocchio sinistro sollevato, i seni che si alzavano e si abbassavano lentamente, la pelle luccicante di sudore. Era l’immagine del rilassamento totale, pensai, la bella donna languida che sonnecchia nel calore del meriggio. E poi notai la sua mano sinistra, stretta rabbiosamente a pugno, che tremava al polso, facendo pulsare i muscoli di tutto il braccio. E compresi che la sua posa era una conscia finzione di tranquillità, mantenuta per pura forza di volontà.
Oscurai la stanza e mi stesi sul letto. L’aria fresca, in casa, era ristoratrice. Forse mi addormentai. Aprii gli occhi quando sentii il rumore di qualcuno alla mia porta. Mi levai a sedere.
Shirley si precipitò nella stanza. Sembrava fuori di sé: gli occhi sbarrati per l’orrore, le labbra contratte, i seni scossi dall’ansito. Aveva il volto cremisi. Lucide gocce di sudore, notai con bizzarra chiarezza, le coprivano la pelle, e c’era un rivoletto scintillante nella valle del petto. «Leo…» disse con voce rauca, soffocata. «Oh Dio, Leo!»
«Cosa c’è? Cos’è successo?»
Avanzò barcollando e crollò, con le ginocchia contro il materasso. Sembrava quasi in stato di shock. Muoveva le mascelle, ma non ne usciva alcun suono.
«Shirley!»
«Sì,» mormorò lei. «Sì. Jack… Vornan… oh, Leo, avevo ragione! Non volevo crederlo, ma avevo ragione. Li ho visti! Li ho visti!»
«Ma cosa stai dicendo?»
«Fra il momento del pranzo.» disse lei, deglutendo, cercando di calmarsi. «Mi sono svegliata sul terrazzo e sono andata a cercarli. Erano nel laboratorio di Jack, come al solito. Quando ho bussato non mi hanno risposto, ed ho aperto l’uscio, e ho visto perché non rispondevano. Erano occupati. Uno con l’altro… Uno… con… l’altro. Le braccia e le gambe, uno addosso all’altro. Li ho visti. Sono rimasta lì quasi un minuto a guardare. Oh, Leo, Leo, Leo!»
La sua voce divenne un grido penetrante. Si gettò avanti, disperata, singultando, distrutta. L’afferrai mentre mi cadeva addosso. I globi pesanti dei seni premettero con punte di fiamma contro la mia pelle fresca. Con l’occhio della mente potevo vedere la scena che mi aveva descritta; adesso che l’evidenza mi colpiva, gemetti per la mia stupidità, per la cattiveria di Vornan, per l’ingenuità di Jack. Fremetti, mentre immaginavo Vornan avvinto addosso a lui come un gigantesco invertebrato predatore e poi non ebbi tempo di pensare ad altro. Shirley era tra le mie braccia, tremante e nuda e appiccicosa di sudore e piangente. La consolai e lei si aggrappò a me, cercando un’isola di stabilità in un mondo improvvisamente sovvertito; e l’abbraccio del conforto che le avevo offerto divenne rapidamente qualcosa di ben diverso. Non riuscivo a dominarmi, e lei non resisteva: accolse la mia invasione, per sollievo o per vendetta, e finalmente il mio corpo penetrò il suo, e cademmo, congiunti e ansimanti, sul cuscino.