5

Dopo una rapida doccia per liberarsi dell’odore di vino, Pen si asciugò con un asciugamano pulito. Si mise un cerotto sulla coscia graffiata, calzò i mocassini e indossò la vestaglia. Poi raccolse il bicchiere vuoto e la bottiglia di vino.

Non pensarci più, chissà che tu non possa dormire.

Dormirai, sarai morta per il mondo, ma forse non è un’idea grandiosa.

Potresti avere un visitatore.

Non pensarci nemmeno.

Invece farei meglio a pensarci. Lui ha il mio numero di telefono, perciò deve avere anche l’indirizzo. E sull’elenco telefonico. La segreteria telefonica è spenta, perciò lui sa che sono in casa. E se decide di venire di persona?

Non lo fanno mai, ragionò, e aprì la porta del bagno. Si avviò a passo rapido verso la cucina e mise la bottiglia sul frigorifero. Poi lavò il bicchiere nel lavello.

I maniaci non fanno visite.

Chi lo dice?

I poliziotti. Nei libri, alla TV, nei film. Quello è soltanto un maniaco che telefona, signora. Non c’è bisogno di allarmarsi. Questi individui che telefonano alle donne, sono timidi come topi. Per questo usano il telefono, perché è anonimo e sicuro. Non deve preoccuparsi.

Ecco che cosa dicono i poliziotti nei film e alla TV. E subito scopri che il timido topolino sguscia in casa della ragazza con un coltello da macellaio, deciso a sgozzarla.

Pen chiuse il rubinetto, posò il bicchiere sul lavello. Mentre si asciugava le mani, guardò attraverso la cucina. Nella zona pranzo c’era il tavolo circondato da quattro pesanti sedie dallo schienale alto.

Ne portò una in soggiorno, spostò l’ombrello e piegò la sedia contro la maniglia della porta.

«Questa rallenterà i suoi movimenti», mormorò.

Non aveva bisogno di controllare le finestre, erano chiuse con il chiavistello dall’ultimo week-end. Con quel sistema non si potevano aprire dall’esterno.

Il vetro, pensò Pen.

Se lui vuole entrare…

Avrebbe dovuto essere pazzo. C’erano altri quindici appartamenti nel complesso, tutti con le finestre che si affacciavano sul cortile e la piscina. Se spacca una finestra, se io grido, qualcuno sentirà.

Qualcuno sarebbe venuto in aiuto?

Probabile. Manny Hammond, per esempio. È uno che non vede l’ora di salvarmi. Sarebbe stato meraviglioso. Meglio lui che nessuno, credo.

Pen tornò in cucina. Il ceppo da macelleria sul banco conteneva otto coltelli. Prese i due più grandi e li portò in camera da letto. Ne posò uno sul comodino, poi si inginocchiò e mise l’altro sul tappeto appena sotto il bordo del letto.

Nel caso finissimo sul pavimento.

Dici sul serio? si chiese.

Per forza.

Capì che non voleva lasciare il coltello sul comodino in piena vista. Prese una copia del Publishers Weekly dal portariviste e l’aprì sopra l’arma.

Bene, ora sei in buona compagnia.

Sempre che essere paranoici sia una buona compagnia. Ti comporti come una pazza.

Sì? Meglio mettersi al sicuro che… La sua mente riandò a una foto del coroner, la donna nuda a faccia in giù sul tavolo dell’autopsia, con le natiche color porpora.

Un altro coltello, decise, e tornò in cucina a prenderlo. Posò il coltello sul pavimento sotto l’altro bordo del letto.

Di nuovo in soggiorno staccò la spina dello stereo e rimosse il filo. In ginocchio davanti alla porta della camera da letto, fece passare un’estremità del filo attraverso l’apertura fra la porta e l’intelaiatura, sul cardine più basso. Fece un nodo e tirò. Il nodo resse. Pen lo fece passare attraverso la porta e legò l’altro capo attorno alla gamba posteriore del cassettone.

In piedi, ammirò il suo lavoro.

«Fa’ buon viaggio», borbottò.

Che altro poteva…?

Non basta? Potrebbero dichiararmi pazza.

Basta così, decise.

Spense la luce in camera da letto.

Le altre luci nell’appartamento erano ancora accese, ma così il cordone era chiaramente visibile.

Non serve, se lui lo vede.

Pen scavalcò il filo e si fece strada nell’appartamento.

Avrebbe voluto lasciare tutte le stanze illuminate, ma con il buio lui avrebbe trovato maggiori difficoltà.

Davvero ti aspetti che si faccia vedere?

No, non proprio. E va bene, sì. Credo che lui verrà. Forse.

Era già stata violentata una volta, e non aveva intenzione di ripetere l’esperienza.

Forse dovrei andarmene da qui.

Scavalcò il cordone e sedette sul bordo del letto.

Potrei andare a casa di papà e trascorrervi la notte. O andare da un’amica. Da Abby, Loretta o Jane, qualsiasi amica sarebbe contenta che mi fermassi da lei. Però non posso piombare in casa loro. Dovrei prima telefonare. Riattaccare un telefono, chiamare, vestirmi, correre fuori con la pioggia.

Che cosa risolvo? Si chiese.

Mi farebbe passare la notte tranquilla.

Ma domani notte, e dopodomani?

«All’inferno», borbottò.

Se proprio deve venire, lascialo venire.

Si alzò e spense la luce. Si sfilò la vestaglia, l’appoggiò su una sedia, si levò i mocassini e si infilò nel letto. Le lenzuola fresche e lisce erano meravigliose. Lei le scaldò con il calore del corpo e affondò la faccia nel cuscino.

Hai davvero intenzione di dormire nuda?

Lo faccio sempre.

Adesso non è sempre. Vuoi farti trovare nuda, se ti salta addosso?

Se. Se.

Pen si sentiva a suo agio. Non voleva scendere dal letto. Ma si costrinse a mettersi seduta, accese la lampada sul comodino e posò i piedi sul pavimento.

Ecco una donna nuda allo specchio che camminava verso Pen. La sua faccia aveva un ghigno, le labbra tirate, i denti scoperti.

«Sì, ti conosco. È tutta colpa tua.»

Quello sporco bastardo non sa neppure che aspetto ho, pensò. Probabilmente ha scelto il mio nome a caso. Potrei essere una profuga, e lui continuerebbe a tormentarmi.

Sono una donna, a lui importa soltanto questo.

Un paio di seni e una vagina.

Voglio parlarti…

Pen fu scossa da un brivido.

Si chinò e aprì un cassetto. Tirò fuori un pigiama azzurro di seta, e lo indossò. La stoffa fredda scivolò sulla sua pelle come l’olio. Le aderì al corpo rivelando le forme.

Meglio questo che la camicia da notte, ragionò.

È molto meglio di niente.

Si sfregò le braccia sentendo la pelle d’oca attraverso la stoffa.

La donna allo specchio sogghignò, chiaramente disgustata dalla situazione.

Pen si levò il pigiama e lo rimise nel cassetto. Aprì il primo cassetto, vide che erano rimaste solo quattro paia di mutandine nuove e frugò in fondo finché trovò quelle vecchie. Erano rammendate, l’elastico non teneva. Perfetto.

Trovò un vecchio reggiseno e se lo mise. Poi un paio di jeans. I più stretti che aveva.

Se li infilò.

La donna allo specchio rovesciò gli occhi. Sei un pagliaccio.

Okay, sono un pagliaccio.

Indossò una vecchia felpa.

Le gambe strette nei jeans le impedivano di chinarsi come voleva, ma riuscì ugualmente a mettersi un paio di calzini. Poi si avvicinò all’armadio e tirò fuori un paio di stivali da cowboy. Li calzò. Erano appuntiti. Fantastici per tirar calci.

Si guardò e scosse la testa.

Grazie al cielo sono sola. Così soltanto io so che sono impazzita.

Vestita a quel modo, non poteva certo infilarsi sotto le lenzuola. Rifece il letto lasciando fuori il cuscino, poi spense la luce e si sdraiò. Sulla schiena.

Fantastico. Come schiacciare un sonnellino sul divano.

Qual è l’alternativa? Fingere che non sia successo niente? Non fermare la porta, non tendere la trappola sulla porta della camera da letto, non armarmi? Rannicchiarmi nuda e tranquilla sotto le lenzuola come se là fuori non ci fosse nessun individuo che probabilmente vuole violentarmi?

Pen chiuse gli occhi. Le palpebre sembravano caricate a molla. Tenerle abbassate richiedeva uno sforzo. Si tirò il cuscino sulla faccia e allacciò le mani sul ventre.

Così non mi addormenterò mai.

Forse è meglio.

Posso dormire domani, dopo che s’è fatto giorno. Allora sarò al sicuro. Resta sdraiata e rilassati. Cerca di pensare a cose piacevoli.

Invece di pensare a cose spiacevoli, Pen si ritrovò a chiedersi se c’erano altre precauzioni che poteva prendere. Chiamare la polizia? Probabilmente le avrebbero detto di cambiar numero di telefono. Ma questo non avrebbe impedito al verme di introdursi in casa, quando avesse sentito il bisogno prepotente di farlo.

Se soltanto avessi una pistola.

Be’, non ce l’hai.

Forse vado a prenderne una domani.

C’è da aspettare per avere una pistola, lo sapeva da una ricerca che aveva fatto. Circa due settimane.

Ma domani potrei uscire con un fucile da un negozio di armi. Il periodo di attesa vale solo per le pistole.

Allora compera un fucile.

E poi? Dormo con il fucile?

Sì…


Pen aprì gli occhi. Era rannicchiata sul fianco, le gambe allargate come se stesse correndo. La gamba di sotto era intorpidita. I jeans aderenti avevano bloccato la circolazione.

S’era addormentata, ma non abbastanza a lungo.

Sentì un penoso formicolio alla gamba, quando rotolò sulla schiena.

Chiuse di nuovo gli occhi.

E sentì un rumore di passi. Il cuore le batteva così forte da mozzarle il respiro. Giacque irrigidita, ascoltando. Sentì solo il battito del suo cuore. Poi un altro leggero rumore di passi. Non nell’appartamento, ma sul marciapiede di cemento proprio sotto la sua finestra.

La finestra era sopra la sua faccia.

Lei rotolò, cadde in ginocchio sul pavimento e prese il coltello sotto la rivista. Sempre in ginocchio, strisciò lontano dal letto. Si rialzò e si appoggiò contro la parete all’estremità della finestra.

Con un dito scostò la tendina di un centimetro. Nessuna faccia. Allora scostò la tenda quanto bastava per vedere con tutti e due gli occhi.

Là fuori c’era qualcuno.

Tirò un respiro così profondo che il petto si tese contro il reggiseno e l’indumento cedette. Lasciò uscire l’aria lentamente. Improvvisamente stanca, appoggiò la spalla alla parete e continuò a sbirciar fuori dalla finestra.

Alla porta dell’appartamento d’angolo, solo un paio di metri oltre la lunga finestra di Pen, Alicia Bonner stava abbarbicata al suo boyfriend. La diciottenne Alicia, che evidentemente si ispirava alla moda dei film di Mad Max, calzava stivali che facevano un leggero rumore sul marciapiede, mentre aggiustava la sua posizione contro la porta di casa.

Il tetto sporgente riparava Alicia e il suo amico dalla pioggia.

La ragazza spinse una mano sotto la cintura dei jeans di lui. Poi si contorse, le cosce strette attorno alla gamba sollevata del ragazzo.

Il mio grosso cazzo e la tua calda figa.

Dev’esserci un modo per cancellarlo dalla mente, pensò Pen. Riavvolgere il nastro, premere un tasto, cancellare la voce come la si cancella da un nastro magnetico.

Sentiva bisbigliare dietro la finestra.

Per quanto tempo continueranno?

Il tempo che ci vuole. Giusto.

Pen posò il coltello sul tavolo, si sdraiò sul letto, sistemò il cuscino sulla faccia e sospirò.

Finché rimangono là fuori, concluse, non devo preoccuparmi del mio amico.

Amico?

Cerca di dormire.

Nonostante il cuscino sulla testa, sentiva la pioggia, certi momenti un rumore di stivali sul cemento, qualche bisbiglio.

Grazie per fare da sentinelle, ragazzi.

Si accorse di rilassarsi, stava quasi per addormentarsi.

Va meglio, ma devo andare in bagno.

Con un gemito soffocato, si costrinse a scendere dal letto. Si slacciò i jeans mentre attraversava la stanza buia e stava abbassando la lampo quando si fermò a metà strada.

Ah, già.

Il cordone.

All’inferno.

Un piede avanti per non perdere l’equilibrio, ma il cordone lo trattenne.

Inciampò, tese le braccia mentre si tuffava oltre la porta. Andò a sbattere contro la parete del corridoio con la testa.

Le stelle. Una galassia. Che turbinavano.


Suonare. Pen sentì suonare.

Meglio che risponda al telefono.

Ma qualcuno le conficcava una forchetta nel cervello attraverso un foro rotondo nel cranio. Che scavava intorno tirando fuori pezzetti di materia grigia.

Meglio che risponda al telefono mentre mi rimane abbastanza cervello per…

Un momento. Ho staccato i due telefoni.

Lui.

Come può far squillare il telefono se l’apparecchio è staccato?

Non è il telefono, è il campanello della porta.

Le si strinse lo stomaco. Il suo cuore batteva all’impazzata, i colpi le rintronavano nella testa.

Si serrò la testa fra le mani con un gemito.

Non c’era nessun buco. Solo un bernoccolo delle dimensioni di una pallina da golf.

Il suono cessò.

Pen aprì gli occhi. Il corridoio era appena rischiarato dal riflesso delle prime luci del mattino.

Giaceva a stomaco in giù sul pavimento, la guancia contro il tappeto. Si tirò su appoggiandosi a mani e piedi, strinse forte gli occhi mentre una fitta di dolore le dilaniava la testa.

Fortuna che non ti sei ammazzata, da come…

Rumori dalla porta d’ingresso. Qualcuno tentava di forzare la maniglia? Un leggero grattare e il clic di metallo contro metallo.

Pen liberò i piedi dal cordone e si alzò. Corse in camera e afferrò il coltello sul comodino. Le batteva la testa. La nuca bruciava a ogni passo quando di corsa scavalcò il cordone, balzò nel corridoio fino in soggiorno.

La porta d’ingresso era aperta!

Solo di pochi centimetri, ma abbastanza da lasciar passare una mano.

La mano stringeva lo schienale della sedia, scuotendola, nel tentativo di allontanarla da sotto la maniglia.

Загрузка...