8

Bodie stava ai piedi del letto. Melanie, accanto a lui, fissava suo padre, mentre Pen si era avvicinata all’uomo e gli teneva una mano.

Un lenzuolo copriva il petto del paziente. Dei tubi erano conficcati nelle narici e nelle braccia. La testa era avvolta nelle bende.

Il monitor che controllava il battito cardiaco mostrava una linea verde frastagliata e mandava suoni regolari come certi apparecchi alla televisione. Bodie li conosceva solo per averli visti in TV. Il respiratore mandava un suono stridulo mentre pompava aria nei polmoni dell’uomo.

Tutto molto interessante.

Non vedeva l’ora di uscire di lì.

Il dottore aveva parlato con ottimismo, come se il coma fosse solo un ostacolo minore, ma il vecchio bendato e intubato da tutte le parti, sembrava l’esperimento di Victor Frankenstein in una giornata storta.

«Papà, sono Penny. Il dottore dice che guarirai presto. C’è qui anche Melanie.»

«Ciao, papà», disse Melanie.

«Guarirai presto», ripeté Pen.

Il ferito sollevò e abbassò il petto, ma non batté ciglio. Il monitor mandava il suo bip con lo stesso ritmo.

Meno male che questo non è uno spettacolo televisivo, pensò Bodie, altrimenti la linea sullo schermo dell’apparecchio diventerebbe piatta e si sentirebbe quel lungo rumore monotono.

Finora tutto bene.

Lui, però, non voleva trovarsi lì quando sarebbe successo.

Parve che fosse trascorso parecchio tempo prima che il dottor Gray suggerisse loro di andarsene. «Potreste tornare stasera alle otto e vederlo per qualche minuto. Forse le sue condizioni saranno migliorate allora.»

Pen strinse la mano di suo padre. «Ci vediamo stasera, papà.» Gli lasciò la mano e si tirò indietro.

Melanie non disse niente, come se sapesse che era del tutto inutile.

Uscirono dalla stanza. Il dottor Gray li accompagnò all’ascensore e cercò ancora una volta di rassicurarli prima di congedarsi.

Quando le porte dell’ascensore cominciarono a chiudersi, una voce gridò: «Potete aspettare?» Bodie tenne le porte aperte. Un inserviente fece girare un lettino e lo spinse nell’interno. Sul lettino c’era una vecchia dalla faccia scavata, con i capelli unti. Bodie, che avrebbe preferito chiudere le porte, cercò di trattenere il respiro mentre l’ascensore scendeva.

Ospedali. Bei posticini.

Finalmente le porte si aprirono e lui si precipitò fuori. L’inserviente e la sua spettrale paziente rimasero nella cabina. Scendevano ancora. Che cosa c’era nel sotterraneo? Non era lì che gli ospedali tenevano i morti? Però la donna non era ancora morta.

Bodie proseguì con Melanie fino alle porte dell’atrio. E finalmente vide la luce del sole, respirò aria fresca. Be’, c’era un leggero odore di fumo proveniente dai tubi di scappamento delle auto che sfrecciavano sul Pico, ma era sempre meglio che l’aria dell’ospedale con i suoi odori di cera per pavimenti e di disinfettante, e peggio ancora, di quel latente odore di morte.

«È bello esser fuori di qui», osservò Pen.

Aspettarono all’angolo. Scattò il verde per i pedoni. Un autobus attraversò l’incrocio come se i semafori fossero installati solo per le auto. Bodie ripensò alla Porsche che aveva quasi inchiodato Pen.

Una città pericolosa.

Se le cose fossero andate diversamente, il dottor Gray avrebbe passato la mattinata a operare la testa di Pen.

Ho bisogno di dormire, pensava Bodie mentre attraversava la strada. «Forse dovremmo cercare un motel», disse a voce alta.

«Perché non restate a casa mia?» suggerì Pen. Aveva parlato con voce monotona. «Potete usare il mio letto. Io dormirò sul divano.»

Bodie provò una punta di eccitazione. «Per me sta bene.»

«Non so», disse Melanie. Anche lei parlava con voce stanca. «Forse è meglio un motel.»

«Non c’è fretta», tagliò corto Pen. «Potete decidere più tardi. Ora credo che dovremmo andare a trovare Joyce.»

«Per far che cosa?»

«E la moglie di papà.»

«Te la raccomando. Non era nemmeno all’ospedale. Perché non c’era? Una moglie non dovrebbe stare con il marito quando è mezzo morto in un ospedale?»

«Non è mezzo morto.»

«Davvero? Tre quarti? Sette ottavi?»

«Piantala, Mel.»

«La mamma sarebbe rimasta con lui.»

«Ci hanno lasciato restare solo per cinque minuti.»

«C’è una sala d’attesa.»

«Senti, per quello che ne sappiamo, Joyce potrebbe essere rimasta tutta la notte.»

«Ci scommetto.»

«Forse sarà meglio che tu non la veda, se hai intenzione di comportarti in questo modo.»

«Mi è venuta un’idea grandiosa. Perché non vai a trovarla senza di noi? Salutala per me.»

«D’accordo.»

Raggiunsero il furgone di Bodie e salirono. Lui avviò il motore. «Dove vado?» chiese.

«A casa mia», disse Pen. «Prendo la mia auto per andare a casa di papà, così voi due potrete dormire un po’.»

«Non fa niente», intervenne Melanie. «Voglio vedere Joyce, dopo tutto.»

«Sei sicura?»

«Sono sicura. Ho un paio di domande da farle.»

Pen si girò sul sedile. Il movimento tese la camicetta, formando un’apertura fra due bottoni. Bodie vide la pelle liscia di un seno. «Per esempio?» volle sapere Pen.

«Per esempio dov’era lei quando papà è stato investito.»

«Era con lui», spiegò Bodie. «Era presente quando è stato portato al Pronto Soccorso.»

«Come mai non è rimasta ferita?»

«Lo sapremo», replicò Pen. La camicetta si tendeva sul seno. La stoffa leggera aderiva completamente al seno rotondo che aveva la forma di un disco. Bodie guardò di nuovo la pelle che si vedeva dall’apertura. «Ma non facciamole un processo», aggiunse Pen. «Joyce è la moglie di papà, a prescindere da quello che pensi di lei, papà le vuol bene, perciò dobbiamo trattarla con rispetto. Okay?»

«Penso di sì.»

Pen tornò a voltarsi sul sedile.

«Da che parte vado?» chiese Bodie guardandola in faccia, attento a non abbassare gli occhi. Il viso di lei era uno spettacolo.

«Al semaforo svolta a sinistra.»

Lui annuì, guardò nello specchietto retrovisore per controllare il traffico e si allontanò dal marciapiede.

Si accorse di sentirsi abbastanza bene, ora, un bel cambiamento rispetto a pochi minuti prima.

Guardare Pen lo tirava su di morale.

Se ci fermiamo da lei, avrò un sacco di opportunità.

Si pentiva di aver nominato un motel. Era abbastanza chiaro che Melanie preferiva alloggiare in un motel piuttosto che nell’appartamento di sua sorella.

Funzionerà, pensò Bodie.

Dirò che non c’era posto.


Tranne Pen che dava istruzioni occasionali sulla direzione da seguire, le sorelle rimasero silenziose durante la corsa. Bodie ne dedusse, che entrambe stavano riflettendo sulla situazione, chiedendosi come il loro padre s’era fatto investire e se sarebbe guarito. Forse ricordavano i momenti che avevano trascorso assieme a lui.

Melanie aveva qualcosa di più di una tragedia su cui riflettere. Aveva anche il suo fardello di colpa.

Melanie aveva portato rancore al padre, lo biasimava per la morte della madre, si era accanita contro di lui quando aveva sposato Joyce.

Probabilmente desiderava di non esser stata così dura.

«Ora svolta a destra», disse Pen.

Bodie seguì l’indicazione. Si trovavano a San Vicente, l’aria che entrava dal finestrino abbassato era più fresca di qualche minuto prima. Bodie pensò che si stavano avvicinando all’oceano, sebbene non se ne vedesse nessun segno.

La strada aveva un’ampia striscia erbosa nel mezzo, probabilmente riservata agli appassionati di jogging.

Dev’essere fantastico per i polmoni, pensò Bodie, correre in mezzo a una strada trafficata.

«Meglio che rallenti», lo avvertì Pen. «Ci siamo quasi e non si vede la strada finché non ci sei sopra.»

Bodie controllò lo specchietto e rallentò. La zona era circondata da boschi. Non vedeva ancora la strada.

Mise la freccia, premette leggermente il freno e notò la strada laterale nascosta fra alberi e cespugli. Svoltò. Proseguì sul viale a corsia unica. Sebbene non vedesse case, notò le tracce: tratti di recinti visibili dietro i cespugli, cassette per le lettere sui paletti, di tanto in tanto un garage, un viale d’ingresso con un cancello, poche auto parcheggiate per metà sulla strada. Dovette sterzare per evitarle.

Tutte auto di lusso: una Jaguar, una Porsche, una Ferrari, una Mercedes che sembrava immensa e fuori posto fra le snelle auto sportive.

«Puoi fermarti dietro la Mercedes», suggerì Pen.

A proposito di note stonate… il suo furgone fra quei veicoli stratosferici. La gente avrebbe pensato che apparteneva a qualche domestico. O a un ristorante con servizio a domicilio. Un party in casa Conway.

Una veglia.

Fermò l’auto sulla destra, il più lontano possibile dalla strada. I cespugli graffiarono il fianco della vettura. Era ancora abbastanza vicino al centro del viale, ma non più alla Mercedes.

Bodie saltò giù. Invece di uscire schiacciandosi contro la portiera del sedile del passeggero, Pen volteggiò le gambe sul sedile di guida e si spinse avanti. Afferrò il volante per scendere. Bodie cercò di non guardare la camicetta.

Le tese la mano. Pen la prese e lui l’aiutò a uscire.

«Grazie.»

Lui le lasciò la mano, un po’ troppo precipitosamente, forse. Melanie aveva spinto avanti lo schienale. Bodie l’afferrò gentilmente all’avambraccio e la sostenne mentre scendeva.

Passarono di fianco alla Mercedes grigia. Melanie la guardò corrugando la fronte.

Vicino al muso dell’auto c’era una cassetta per le lettere come le altre lungo la strada. Questa portava il nome CONWAY a lettere metalliche nere.

Attraverso un’apertura fra i cespugli si vedeva un cancello di legno. Più avanti, sulla strada, in una breccia nel fogliame si intravvedeva un garage. La porta chiusa del garage era solo a poco più di un metro dalla strada.

Dev’essere un bel casino uscire a marcia indietro, pensò Bodie.

Pen, che faceva strada, aprì il cancello centrale. Lo attraversò seguita da Melanie. Ultimo Bodie, che lo chiuse.

Il prato era un magnifico tappeto d’erba, per la maggior parte nascosto dagli alberi, che bloccavano la vista del piano superiore della casa. Il vialetto fiancheggiava una piccola fontana di cemento. Al centro della fontana un cherubino con un malizioso sorriso, vestito di niente. L’acqua sgorgava dal pene del cherubino.

Bodie si chiese se fosse stata un’idea di Whit. Era il simbolo, pensò, di una classe aristocratica e sofisticata, oppure di una persona dotata di senso dell’umorismo. Meglio quest’ultima ipotesi, concluse.

La casa di stucco bianco aveva l’aspetto di una hacienda. Un portico vi correva tutt’intorno, riparato da un piccolo tetto di regole rosse. Alcuni vasi di fiori erano sospesi al soffitto con le funi. Dietro i vasi alcune sedie di ferro battuto e una panca, che non doveva essere molto comoda, ma offriva una nota di allegria. Grandi finestre si aprivano ai lati della porta d’ingresso.

Pen salì sul portico e suonò il campanello.

La porta fu aperta da una giovane donna con la faccia segnata dal dolore, che rimase a bocca aperta. «Oh, tesoro!» esclamò e gettò le braccia al collo di Pen. Dopo un rapido abbraccio e un bacio sulla guancia, la donna parve notare l’altra sorella. «Melanie?»

Melanie ricevette abbraccio e bacio restando immobile con le braccia penzoloni. Non oppose resistenza, li accettò come una bambina salutata da una parente lontana e noiosa.

Concluse le effusioni, Joyce scosse la testa. «È terribile. Sono contenta che siate qui.»

«Melanie è arrivata ieri sera», spiegò Pen. Si guardò attorno e soggiunse: «Questo è il suo ragazzo, Bodie».

«Lieto di conoscerla», disse Bodie e si fece avanti per stringere la mano della donna.

La matrigna aveva l’età giusta per essere una sorella maggiore e aveva i lineamenti e il fisico da modella. In quel momento portava una tuta sportiva bianca allacciata in vita. La tuta aveva tasche con la lampo ai seni e alle cosce, e una più lunga sul davanti. Ciascuna lampo aveva una linguetta dorata.

La donna aveva una sottile catena d’oro al collo.

Era leggermente abbronzata, aveva guance rotonde, grandi occhi e sottili sopracciglia, un po’ più scure dei capelli biondi. I capelli erano tagliati alla maschietta e mettevano in mostra le orecchie. Portava dei grandi orecchini.

Whit, era chiaro, era stato un uomo molto fortunato, prima di quella notte.

«Entrate, vi prego», invitò Joyce.

Precedette gli ospiti attraverso un foyer a mattonelle rosse. Nonostante la tuta fosse comoda, la donna camminava tendendo la stoffa sulle natiche.

Nel soggiorno un magnifico tappeto dello stesso color borgogna della camicetta di Pen. Sul divano era seduto un uomo, che si alzò quando entrarono.

Melanie si fermò di botto.

«Harrison», disse Pen a voce bassa.

«È stato un tesoro in questa occasione», intervenne Joyce.

«Pen», disse l’uomo, poi prese la mano della ragazza e le diede un colpetto. «Mi dispiace tanto.»

Lei ritrasse la mano.

Harrison si rivolse a Melanie, scuotendo la testa. Le prese la mano e gliela strinse. «Una cosa terribile», mormorò. «Terribile.»

«Questo è il ragazzo di Melanie, Dobie», presentò Joyce.

«Bodie», la corresse lui e strinse la mano a Harrison.

L’uomo aveva una stretta salda. Era più alto di Bodie. Magro, ma con solidi muscoli sotto la polo. Bodie gli strinse la mano un po’ più energicamente del necessario. «Harrison Donner», si presentò l’altro. «Sono il socio di Whit e un vecchio amico di famiglia.»

Il vecchio amico di famiglia non doveva avere più di trent’anni.

«Lieto di conoscerla», disse Bodie, infondendo alla sua voce un vigore eccessivo.

L’uomo aveva un atteggiamento sicuro e calmo, ai limiti dell’arroganza.

Sono sicuro che è un individuo formidabile, pensò Bodie. Un vero uomo.

Senza dubbio era il proprietario della Mercedes parcheggiata fuori, sebbene una Porsche sembrasse più appropriata.

«Perché non ci sediamo e ci mettiamo comodi?» suggerì Joyce. «Vado a preparare il caffè.» La donna uscì.

Harrison riprese il suo posto sul divano. Pen si guardò attorno nella stanza finché lui fu seduto, poi andò all’estremità opposta del divano. Bodie prese posto su una poltroncina imbottita. Melanie sedette sul tappeto ai suoi piedi. Gli appoggiò un braccio sul ginocchio e lui glielo accarezzò.

«Siete stati all’ospedale?» s’informò Harrison.

«Sì», rispose Pen.

«Joyce e io abbiamo assistito all’operazione. Lei si è comportata proprio bene, date le circostanze.»

Con l’altra mano, Melanie coprì quella di Bodie, e la premette dolcemente.

«Eri presente all’incidente?» volle sapere Pen.

Harrison scosse la testa. «Joyce mi ha telefonato dal Pronto Soccorso. Prima ti aveva chiamato, ma evidentemente non c’era in casa nessuno, perciò ha lasciato un messaggio sulla segreteria telefonica. Aveva bisogno di avere vicino qualcuno.»

«Perciò ha chiamato te», osservò Melanie.

«Tu non eri disponibile, signorina. Infatti Joyce ti ha chiamato al numero di Phoenix, ma inutilmente.»

«Probabilmente eravamo già in viaggio», disse Bodie.

Harrison parve perplesso.

Entrò Joyce con un vassoio d’argento. Lo posò sul tavolino davanti a Harrison e cominciò a versare il caffè nelle tazzine. Compiuta l’operazione, chiese chi voleva latte e zucchero. Nessuno. Lei distribuì le tazzine. Tremava tanto da farle sbattere sui piattini.

Ne prese una per sé e sedette su una sedia accanto a Pen, lontano da Harrison quanto lo permetteva la disposizione dei mobili.

Per Bodie, la scelta aveva un significato di colpevolezza.

Chiaro che la donna immaginava che impressione avesse fatto alle due sorelle trovarla in casa con Harrison.

Bodie si sentì dispiaciuto per lei.

Harrison aveva sempre un’espressione perplessa. Si rivolse a Pen. «Fammi capire se afferro la sequenza degli avvenimenti. Melanie e il suo ragazzo erano già in viaggio per Los Angeles quando Joyce ha tentato di telefonare. Pertanto, tu hai telefonato a tua sorella con la notizia dell’incidente. Dimmi, allora, dove sei stata fino allora? Non eri preoccupata delle condizioni di tuo padre?»

«Harrison, smettila», intervenne Joyce.

Pen parve grata per l’aiuto inaspettato. «Il fatto è», disse, «che non ho ricevuto il messaggio fino a stamattina.» Corrugò la fronte in direzione di Harrison. «Non capisco perché ne discutiamo. Quello che conta in realtà è papà. Voglio dire, Mel e io non sappiamo neppure come è stato investito.» E rivolgendosi a Joyce soggiunse: «Eri con lui?»

La donna annuì.

«Di questo ne parleremo a suo tempo», riprese Harrison. «Vorrei capire come Melanie ha saputo dell’incidente, se tu non glielo hai detto ieri sera.»

«Perché t’interessa tanto?» domandò Melanie.

«Diciamo che le incoerenze mi impensieriscono. Sono un avvocato, dopo tutto. Dedico la maggior parte del mio tempo ad analizzare le incoerenze. È così che si scopre la verità.»

«Vuoi la verità?»

Harrison annuì.

«L’ho visto accadere.»

«Oh!»

«Ho avuto una visione.»

«Fammi capire, stiamo parlando di telepatia o cose del genere?»

«Esatto», confermò Melanie.

«E la tua visione ti ha spinto a compiere questo lungo viaggio?»

«Prima ha telefonato», intervenne Bodie. «In casa non c’era nessuno.»

Harrison si sporse in avanti, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e fissò la ragazza. «Sorprendente», disse. «A che ora hai avuto la visione?»

Melanie si strinse nelle spalle.

«Fra le cinque e le nove», rispose per lei Bodie. «Vale a dire fra le quattro e le otto, ora del Pacifico.»

Harrison inarcò un sopracciglio e guardò Joyce.

«È proprio quando è successo», confermò Joyce. Sembrava leggermente spaventata.

«Che cosa hai visto, esattamente?»

«Ho visto papà che veniva investito da un’auto.»

«Puoi descrivere la macchina?»

«Credo di no.»

«Il conducente?»

Melanie scosse la testa.

«Peccato che la tua visione non fosse più dettagliata. Queste informazioni non sarebbero da tenere in considerazione, ma se si potesse stabilire l’identità del guidatore, potremmo trovare prove sufficienti a inchiodarlo. Detesto l’idea che qualcuno se la cavi dopo quanto è accaduto.»

Pen si rivolse a Joyce. «Tu eri là. Hai visto che cosa è successo?»

«Non molto bene. Era buio e pioveva. Quello che so per certo è che si trattava di un’auto sportiva. Non mi ricordo neppure il colore.»

«Non hai preso il numero di targa?»

«È successo così in fretta.»

«Come è successo?» volle sapere Melanie.

«Eravamo andati a cena da Gerard’s

«Un locale di Beverly Hills», spiegò Harrison. «Sul Cañon.»

Pen annuì. «Ci sono stata. È il ristorante preferito di papà.»

«Ci siamo andati quest’anno per il tuo compleanno», riprese Joyce. «Ti ricordi dove aveva parcheggiato?»

«Nel parcheggio della banca di fronte.»

«È là che ha parcheggiato ieri sera. Mette sempre la macchina in quel punto, quando andiamo da Gerard’s.» Joyce guardò Harrison. «Whit preferiva percorrere qualche isolato a piedi piuttosto che lasciare l’auto nelle mani di un addetto al parcheggio.»

«Non lo sapevo», disse Harrison.

«Relitti della società», aggiunse Pen, citando probabilmente suo padre.

«A ogni modo, poiché pioveva, lui mi ha lasciato fuori dal ristorante. Gli ho detto che poteva farsi portare la macchina dal ragazzo del locale. Pioveva, si sarebbe inzuppato. Ma lui ha replicato: ‘La pioggia si asciuga. Non ho nessuna intenzione di affidare la mia macchina a quel cretino’. Comunque, io sono uscita e sono rimasta ad aspettarlo sotto la pensilina. Lui aveva parcheggiato dietro la banca. È proprio all’angolo. La banca, non il parcheggio. Questo è sul retro. Credo che non abbia voluto andare fino all’angolo e usare il passaggio pedonale perché era fuori strada. Così ha attraversato. Il semaforo all’angolo era rosso e non c’erano auto. Non in senso contrario, comunque. Poi all’improvviso questa macchina lo investe.» Joyce serrò le labbra in una linea sottile e fissò la tazzina del caffè che teneva sulle ginocchia. Quando riprese a parlare, la sua voce era più acuta di prima e tremava. «Non ho visto l’auto finché non lo ha colpito. Mi pare che stessi guardando da un’altra parte. L’ho visto scendere dal marciapiede, non c’era traffico, e poi ho sentito un colpo spaventoso, ho guardato e lui stava rotolando sopra questa macchina sportiva. L’auto non ha neppure rallentato dopo averlo investito. Whit… giaceva sulla strada, era scattato il verde, altre auto cominciavano ad avanzare verso di lui. Sono corsa fuori e… nessuna lo ha colpito. Io agitavo disperatamente il braccio.»

«Dio santissimo!» mormorò Pen.

«Nessuno nelle altre auto ha visto quando è stato investito?» domandò Bodie.

«Non lo so. Le prime hanno rallentato, mi sono passate di fianco e hanno proseguito. Tre o quattro. Poi qualcuno si è fermato, ma non aveva visto niente.»

«E l’addetto al parcheggio o il portiere del ristorante?» chiese Pen.

«Non hanno visto. Il portiere stava facendo entrare alcuni clienti e i ragazzi del parcheggio erano occupati a sistemare le vetture. A ogni modo, qualcuno ha chiamato la polizia, credo. Sono arrivati, gli agenti e un’ambulanza.» Joyce sospirò profondamente. Rimase silenziosa per qualche secondo fissando la tazzina del caffè, poi disse: «È così difficile credere che una cosa simile sia potuta accadere!»

«Come?» insistè Melanie. «Quell’auto che sbuca dal nulla…»

«Indubbiamente ha fatto una curva dal Cañon», ragionò Harrison, «e il conducente l’ha visto quando era troppo tardi.»

«Bastardo», sussurrò Melanie. «Non se la caverà.»

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