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«Mi occorse meno di un secondo per rispondere», raccontò Memnoch e, mentre mi guardava, inarcò le sopracciglia. «Dissi: ‘No, Signore, non potresti mai fare una cosa simile. Siamo tutti tue creature. Quello è un orrore troppo grande per chiunque o per qualunque torto ti sia stato arrecato deliberatamente. No, Si­gnore. Quando gli uomini e le donne della terra mi dissero di aver sognato simili tormenti per quanti erano stati malvagi e ave­vano causato loro dolore e infelicità, ho assicurato che un posto del genere non esisteva né mai sarebbe esistito’. Le risate echeg­giarono in paradiso, da un capo all’altro dei cieli. Ogni angelo stava ridendo; le risate erano melodiose e colme di delizia e me­raviglia come sempre, però erano risate, non canti. Solo un esse­re non stava ridendo. Memnoch. Io. Rimasi fermo lì, avendo par­lato in tutta serietà e sbalordito di sentirli ridere delle mie parole. Ma si era verificato il più strano dei fenomeni: anche Dio aveva riso e stava ridendo, sommessamente, insieme con gli angeli, al­l’unisono o dando il ritmo, e solo quando la sua risata si placò cessarono anche le loro.

«‘Così è questo che hai detto loro, Memnoch. Che non ci sa­rebbe mai stato un inferno di eterna punizione per i malvagi... mai; che un simile luogo non sarebbe mai esistito.’

«‘Sì, mio Signore’,dissi. ‘Non riuscivo a immaginare come mai lo avessero concepito. Solo che talvolta s’infuriano così tan­to coi loro nemici...’

«La risata ricominciò, ma Dio la zittì e mi chiese: ‘Memnoch, hai lasciato tutte le tue cellule mortali sulla terra? Sei in possesso di tutte le tue facoltà angeliche? Non continui a comportarti da ingenuo solo per abitudine?’

«Per sovrastare la risata che era ricominciata, parlai ad alta voce: ‘No, Signore. Ho sognato questo momento. La separazio­ne da te è stata un’agonia. Ho fatto ciò che ho fatto per amore, non è vero? Lo sai sicuramente meglio di me’.

«Temo che tu abbia ragione, si è trattato di amore, questo è vero’,convenne.

«‘Signore, ho sognato che mi avresti permesso di comparirti davanti per spiegare l’intera questione, esporre il mio caso come avevo progettato di fare quando vidi per la prima volta una figlia degli uomini e andai da lei. Questo privilegio mi sarà concesso?’

«Silenzio totale. Non riuscii a udire niente che provenisse dalla Divina Presenza, ma improvvisamente mi accorsi che alcu­ni membri del bene ha elohim si erano avvicinati a me. All’inizio pensai che stessero semplicemente spostandosi e allargando le loro ali nella luce, ma poi mi resi conto che alle mie spalle, poco distante, c’era una piccola legione o gruppo di angeli che erano sempre rimasti ai margini della calca e che in quel momento ve­nivano spinti verso di me. Naturalmente li conoscevo, alcuni molto più intimamente di altri grazie a dibattiti e discussioni, e provenivano da tutti i ranghi. Li osservai, confuso, e poi puntai lo sguardo verso la Divina Presenza.

«‘Memnoch’,disse il Signore. ‘Anche coloro che si trovano dietro di te, le tue coorti, mi stanno chiedendo di esaudire il tuo desiderio e lasciarti esporre il tuo caso, nella speranza che, così facendo, tu riesca a esporre anche il loro.’

«‘Non capisco, Signore.’ Ma in un batter d’occhio capii; notai la tristezza sui loro visi e il modo in cui mi restavano attaccati co­me se fossi il loro protettore. In un attimo capii cos’era successo, capii che, vagando per tutta la terra, questi angeli avevano fatto come me.

«‘Non con altrettanto vigore o altrettanta inventiva’,precisò il Signore Iddio. ‘Ma anche loro hanno visto il calore e il mistero tra l’uomo e la donna nell’unione carnale; e anche loro hanno trova­to affascinanti le figlie degli uomini e le hanno prese in moglie.’

«Scoppiò di nuovo un grande tumulto; alcuni stavano ancora ridendo con la stessa disinvoltura e gaiezza, come se tutto ciò fosse una forma insolita di divertimento, altri erano sbalorditi; gli osservatori che si aggrappavano a me, che in confronto ai membri del bene ha elohim sembravano pochi, mi guardavano con aria disperata, in qualche caso persino accusatoria, e da loro si levò un sussurro: ‘Memnoch, te l’abbiamo visto fare’. Dio sta­va ridendo? Non riuscii a sentirlo. La luce sgorgò, coi suoi im­mensi raggi, dietro le teste, le spalle e le sagome sfumate dei serafini e dei cherubini, e la profusione d’amore parve eterna e co­stante com’era sempre stata.

«‘In tribù disseminate in tutto il mondo, i miei figli del para­diso sono scesi a conoscere la carne così come tu volevi conoscerla, Memnoch’,mi disse Dio. ‘Benché, come ho già detto, ri­velando molto meno talento e desiderio di agitare la densa atmo­sfera della natura e disturbare così deliberatamente il mio piano divino.’

«‘Signore, Dio, perdonami’,sussurrai. E dalla legione che era con me si levò lo stesso coro sommesso e rispettoso.

«‘Ma ditemi, voi che vi trovate dietro Memnoch, cos’avete da dichiarare sul motivo per cui l’avete fatto e su ciò che avete sco­perto, e quale caso presentereste alla corte celeste?’

«Gli rispose solo il silenzio. Questi angeli si prostrarono da­vanti al Signore, implorando il perdono con un abbandono così totale da non richiedere nessuna eloquenza. Rimasi in piedi lì da solo.

«‘Ah, a quanto pare, Signore, sono solo’,constatai.

«‘Non lo sei sempre stato? Il mio figlio del paradiso, il mio angelo che non confida nel Signore.’

«‘Signore, io confido in te!’ risposi subito, improvvisamente irato. ‘Davvero! Ma non capisco queste cose e non riesco a pla­care la mia mente o la mia personalità, mi è impossibile. No, non impossibile, ma non... non mi sembra giusto restare in silenzio. Mi sembra giusto esporre il caso. Apparentemente la cosa più sublime che posso fare è esporre il caso, e la cosa più sublime che posso fare è compiacere Dio.’ A quanto pareva c’erano profonde divisioni tra gli altri: non tra gli osservatori, che non osavano rial­zarsi in piedi, piedi invisibili, e tenevano le ali ripiegate sopra di sé come uccelli impauriti nel nido, ma nell’intera corte. Si udiro­no mormorii, brevi canti, accenni di melodia e risate, e pregnanti domande sommesse; c’erano molti visi rivolti verso di me con occhi colmi di curiosità e persino velati di rabbia, tanto che le so­pracciglia aggrottavano loro la fronte.

«‘Esponi il tuo caso!’ concesse il Signore. ‘Ma, prima di co­minciare, ricorda, per il mio bene e per quello di tutti i presenti, che io conosco tutte le cose. Conosco l’umanità come tu non potrai mai conoscerla. Ho visto i suoi altari insanguinati e le sue danze della pioggia e i suoi sacrifici maleodoranti; e ho sentito le grida dei feriti, degli afflitti, di quelli annientati lentamente. Ve­do la natura nell’umanità così come la vedo nella selvatichezza dei mari o delle foreste. Non sprecare il mio tempo, Memnoch. Per dirla più chiaramente affinchè tu possa capire, non sprecare il tempo che ti concedo di trascorrere con me.’

«Il momento era quindi arrivato. Rimasi immobile e in silen­zio, preparandomi. Mai, nel corso della mia intera esistenza, ave­vo percepito l’enorme importanza di un avvenimento così come adesso percepivo il significato di questo. Provavo quella che for­se definiresti eccitazione o euforia. Avevo il mio pubblico, e non sapevo come avrei potuto dubitare di me stesso! Ma ero già furi­bondo con tutta la legione ferma alle mie spalle, col viso posato a terra e silenziosa! E all’improvviso, nella mia furia, mi resi conto che fintanto che restavano lì, lasciandomi solo ed esposto davan­ti a Dio e alla sua corte, non avrei detto una sola parola. Incrociai le braccia e aspettai. Dio cominciò a ridere, una risata lenta, gen­tile e crescente, e poi tutto il paradiso si unì a essa, senza potervi resistere. Così Dio disse agli angeli caduti, agli osservatori: ‘Alza­tevi, figli miei, o resteremo tutti qui sino alla fine dei tempi’.

«‘Scherno, Signore, me lo merito, ma ti ringrazio’,dichiarai. Con un grande fruscio di ali e tuniche, li sentii rialzarsi dietro di me, per sembrare almeno alti ed eretti, come avrebbero potuto fare degli umani coraggiosi sulla terra sottostante. ‘Signore, il mio caso è semplice, ma non puoi certo ignorarlo’,esordii. ‘E lo illustrerò il più semplicemente e magistralmente possibile. Fino a un determinato punto del suo sviluppo, il primate sotto di noi fu parte della natura e vincolato a tutte le sue leggi. Grazie al suo cervello più grande, divenne più astuto e le sue battaglie con altri animali divennero più feroci e cruente di quanto la corte celeste abbia mai visto. Tutto ciò è vero. E insieme con la sua intelligen­za giunse anche un incremento dei modi e dei mezzi con cui l’u­manità poteva infliggere atroci sofferenze ai suoi membri. Ma mai, in tutte le guerre e le esecuzioni e persino le devastazioni di interi insediamenti o villaggi che ho osservato, ho visto qualcosa che superasse la mera violenza del regno degli insetti o dei rettili o dei mammiferi inferiori, che lottano ciecamente e stupidamen­te per fare solo due cose: sopravvivere e moltiplicarsi.’ M’inter­ruppi, per gentilezza e anche per fare una pausa a effetto. Il Si­gnore non disse nulla. Ripresi a parlare. ‘Ma poi arrivò il momento in cui questi primati, che ormai erano giunti a somigliare notevolmente alla Tua Immagine come la percepiamo in noi stes­si, si differenziarono dal resto della natura in modo assai netto. E quando la logica della vita e della morte apparve loro evidente, non fu un mero momento di coscienza di sé, Signore, non fu af­fatto così semplice. Anzi, la coscienza di sé nacque da una nuova e innaturale capacità di amare. E fu allora che l’umanità si suddi­vise in famiglie, tribù e clan compatti, uniti dall’intima consape­volezza dell’individualità altrui più che dal semplice riconoscimento della specie. Ed erano tenuti insieme, nella sofferenza e nella felicità, dal legame dell’amore. Signore, la famiglia umana travalica la natura. Se mai tu dovessi scendere laggiù e...’

«‘Memnoch, attento!’ sussurrò Dio.

«‘Sì, Signore’,dissi, annuendo, e intrecciai le mani dietro la schiena per non fare gesti inconsulti. ‘Quello che avrei dovuto dire è che quando mi sono trovato a esaminare la famiglia, in di­versi punti e in tutto il mondo che hai creato, cui hai permesso di sbocciare magnificamente, ho visto la famiglia come un fiore nuovo e senza precedenti, Signore, un fiore di emozione e intel­letto che nella sua fragilità fu reciso dagli steli della natura da cui aveva tratto nutrimento, e allora si trovava in balia del vento. L’a­more, Signore, lo vidi; sentii l’amore degli uomini e delle donne, l’amore che provavano gli uni per le altre e per i loro figli, e la di­sponibilità a sacrificarsi per il prossimo, affliggersi per i defunti, cercarne le anime nell’aldilà, e immaginare, Signore, un aldilà dove avrebbero potuto riconciliarsi nuovamente con quelle ani­me. Era grazie a questo amore e alla famiglia, grazie a questo fio­re raro e senza precedenti — così creativo, Signore, che sembrava ispirato alla tua immagine delle tue creazioni —, che le anime di questi esseri sopravvivevano dopo la morte! Cos’altro in natura ne è capace, Signore? Tutto restituisce alla terra ciò che ha preso. La tua saggezza è manifesta ovunque; e tutti coloro che soffrono e muoiono sotto la volta dei tuoi cieli sono misericordiosamente immersi nella bruta ignoranza del disegno che alla fine compor­tava la loro morte. Ma non l’uomo! Non la donna! Nel loro cuo­re, amandosi l’un l’altro, compagno con compagno, famiglia con famiglia, hanno immaginato il paradiso, Signore. Hanno imma­ginato il paradiso e il momento di riunione delle anime in cui i loro consanguinei saranno restituiti a loro e agli altri, e tutti into­neranno canti ispirati alla beatitudine! Hanno immaginato l’e­ternità perché il loro amore lo richiede, Signore. Hanno concepi­to queste idee così come concepiscono i figli di carne! Questo ho visto io, l’osservatore.’ Un’altra pausa di silenzio. Tutto il paradi­so era talmente silenzioso che gli unici suoni provenivano dalla terra sottostante, il ronzio del vento, e la fioca agitazione dei ma­ri, e le grida, le flebili grida distanti delle anime sulla terra così come di quelle a Sheol. ‘Signore, bramano il paradiso’,ripresi. ‘E, immaginando l’eternità o l’immortalità — non so quale delle due —, patiscono l’ingiustizia, la separazione, la malattia e la mor­te come nessun altro animale potrebbe fare. Le loro anime sono grandi. E a Sheol travalicano l’amore di sé e l’egoismo in nome dell’amore. L’amore va e viene in eterno tra la terra e Sheol. Si­gnore, hanno creato un altro rango, il più basso, della corte invi­sibile! Signore, stanno cercando di placare la tua ira, perché sanno che sei qui! E vogliono sapere tutto di te! E di se stessi. Sanno e vogliono sapere!’ Questo era il fulcro della mia arringa, e ne ero consapevole. Ma, ancora una volta, da Dio non arrivò nessu­na risposta o interruzione. Perciò proseguii: ‘Non potevo certo non considerarlo il tuo più brillante risultato, questo umano au­tocosciente, capace di concepire il tempo, con un cervello già ab­bastanza grande per un apprendimento talmente rapido che noi osservatori potremmo a stento stargli dietro. Ma la sofferenza, il tormento, la curiosità erano un lamento chiaramente emesso per le orecchie degli angeli, e di Dio, se mi è concesso dirlo. Il caso che sono venuto a esporre, Signore, consiste nel chiederti se a queste anime, nella carne o a Sheol, non si può concedere parte della nostra luce. Non si può dare loro la luce così come si dà l’acqua agli animali quando hanno sete? E queste anime, una volta accolte nella divina confidenza, non saranno forse degne di occupare un posto in questa corte che non ha fine?’ Il silenzio parve onirico ed eterno, come il tempo prima del tempo. ‘Non si potrebbe tentare, Signore? Perché, in caso contrario, quale sarà il destino di queste anime invisibili impegnate a sopravvivere, se non quello di diventare più forti e sempre più intrappolate nella carne così da originare non rivelazioni della vera natura delle co­se, bensì idee corrotte, basate su prove frammentarie e su timori istintivi?’ Stavolta rinunciai all’idea di una pausa educata e proseguii senza fermarmi. ‘Signore, quando sono entrato nella carne e sono andato con la donna è stato perché lei era bella, sì, e ci as­somigliava, e offriva un tipo di piacere carnale a noi sconosciuto. Lo ammetto, Signore, quel piacere è incommensurabilmente piccolo in confronto alla tua magnificenza, ma voglio dirti che quando ho giaciuto con lei, e lei con me, e abbiamo sperimentato insieme quel piacere, quella minuscola fiammella ha ruggito con un suono molto simile ai canti più alti! I nostri cuori si sono fer­mati insieme, Signore. Nella carne abbiamo conosciuto l’eter­nità, l’uomo in me ha capito che la donna conosceva l’eternità. Abbiamo conosciuto qualcosa che trascende tutte le aspettative terrestri, qualcosa che è puramente divino.’ Tacqui. Cos’altro potevo dire? Avrei potuto soltanto abbellire il mio caso con esempi inutili per qualcuno che sapeva tutto. Incrociai le braccia e abbassai gli occhi in segno di rispetto, riflettendo e ascoltando le anime di Sheol; per un attimo le loro fioche grida lontane mi di­strassero, mi allontanarono dalla presenza celeste per un istante, mentre mi accorgevo che si stavano appellando a me, rammen­tandomi la mia promessa e sperando nel mio ritorno. ‘Signore Iddio, perdonami’,dissi. ‘Le tue meraviglie mi hanno intrappo­lato. E ho torto se quello non era il tuo piano.’

«Ancora una volta il silenzio fu assoluto, dolce e vuoto. Era un vuoto che quanti vivono sulla terra non possono concepire. Non mi arresi perché non potevo fare altro che ciò che avevo fatto e in cuor mio sentivo che ogni mia parola era stata sincera e non con­taminata dalla paura. Capii molto chiaramente che se il Signore mi scacciava dal paradiso... capii che, in realtà, mi sarei meritato qualunque cosa avesse deciso. Ero il suo angelo, creato e soggetto al suo comando. E Dio poteva distruggermi, se lo desiderava. E, ancora una volta, sentii le grida di Sheol nella mia memoria e mi chiesi, come potrebbe fare un umano, se Dio mi avrebbe al più presto mandato là oppure avrebbe fatto qualcosa di più spaven­toso, perché in natura esistevano innumerevoli esempi di distru­zioni e catastrofi atroci, e Dio poteva infliggermi, nella mia qua­lità di angelo, qualunque sofferenza desiderasse, lo sapevo.

«‘Confido in te, Signore’,esclamai all’improvviso, pensando e parlando simultaneamente. ‘Altrimenti mi sarei prostrato col capo chino come hanno fatto gli altri osservatori. E con questo non intendo dire che loro non confidino in te, ma solo che credo tu voglia farmi comprendere la bontà e che la tua essenza stessa è bontà, e non permetterai che queste anime si tormentino nella desolazione e nell’ignoranza. Non permetterai che l’ingegnosa umanità continui a non avere nessun sentore del divino.’

«Per la prima volta, Dio parlò in tono molto sommesso: ‘Memnoch, le hai donato ben più di un sentore del divino’.

«‘Sì, Signore, è vero. Ma le anime dei defunti hanno fornito agli umani molta ispirazione e incoraggiamento; e quelle anime si trovano al di fuori della natura, come abbiamo visto, e diventa­no di giorno in giorno più forti. Se esiste una specie di energia, Signore, naturale e troppo complessa per la mia capacità di com­prensione, allora sono colto del tutto alla sprovvista, perché sem­bra che siano fatti della nostra stessa sostanza, l’invisibile, e ognuno di loro è un individuo e possiede una sua volontà.’

«Di nuovo silenzio. Poi il Signore parlò: ‘Benissimo. Ho ascoltato la tua arringa. Adesso ho una domanda da porti. In cambio di tutto quello che le hai donato, Memnoch, cosa ti ha dato l’umanità, di preciso?’

«La domanda mi sbalordì.

«‘E adesso non parlarmi di amore, Memnoch’,aggiunse. ‘Della loro capacità di amarsi l’un l’altro. In proposito la corte celeste è ben informata e perfettamente concorde. Che cosa ti hanno dato gli umani, Memnoch? Che cosa hai ottenuto in cam­bio dei rischi che hai corso entrando nel loro regno?’

«‘La conferma alla mia teoria, Signore’,risposi in fretta, pro­tendendomi verso la più profonda verità senza esitazione. ‘Han­no riconosciuto un angelo, quando ne hanno visto uno. Proprio come mi aspettavo che facessero.’

«‘Ah!’ Un tonante scroscio di risate calò dal trono celeste e ancora una volta si diffuse rapidamente nel paradiso, così frago­roso che raggiunse sicuramente le deboli orecchie in lotta di Sheol. L’intero paradiso venne scosso da risate e canti. All’inizio non osai parlare o fare alcunché, ma poi, all’improvviso, forse con rabbia oppure, dovrei dire, con caparbietà, alzai la mano. ‘Ma dico sul serio, Signore! Non ero un essere che andava al di là dei loro sogni più sfrenati! Signore, è per questo che hai piantato il seme quando hai creato l’universo, affinchè questi esseri levas­sero le loro voci fino a te? Vuoi dirmelo? In un caso o nell’altro, posso saperlo?’

«All’inizio, gli angeli si zittirono a gruppi, poi la risata si affie­volì, e qualcos’altro la sostituì, un sommesso canto di lode a Dio per la sua indulgenza, un sommesso riconoscimento della sua pazienza nei miei confronti. Non mi unii al canto. Guardai le ampie propaggini esterne dei raggi della luce emanata da Dio e in un certo senso il mistero della mia ostinazione, della mia rab­bia e della mia curiosità mi domò, senza però gettarmi nella di­sperazione nemmeno per un istante.

«‘Confido in te, Signore. Sai quello che fai. Devi per forza sa­perlo. Altrimenti noi siamo... perduti.’ M’interruppi, sbalordito da quanto avevo appena detto. Superava di gran lunga la sfida che avevo lanciato a Dio fino a quel momento, superava di gran lunga qualunque proposta io avessi mai fatto. E, orripilato, fissai la luce, pensando all’eventualità che Lui non sapesse cosa stava facendo e che non l’avesse mai saputo. Mi coprii il viso con le mani per impedire alle mie labbra di dire qualcosa di avventato e quindi ordinai al mio cervello di inibire quei pensieri imprudenti e blasfemi. Conoscevo Dio! Lui era lì e io gli stavo dinanzi. Co­me osavo pensare una cosa del genere? Eppure Lui aveva dichia­rato: ‘Non ti fidi di me’,e diceva sul serio.

«La luce di Dio parve diventare immensamente più brillante, si espanse; le sagome dei serafini e dei cherubini divennero pic­cole e trasparenti, e la luce riempì me e i recessi di tutti gli angeli. In comunione con loro sentii che tutti noi eravamo amati da Dio in modo così totale che non avremmo mai potuto desiderare o immaginare niente di più. Poi il Signore parlò, le sue parole completamente diverse perché gareggiavano con questo fulgore d’a­more che sopraffaceva la mente pensante. Tuttavia le udii, e mi penetrarono nel cuore. E anche tutti gli altri le udirono.

«‘Memnoch, vai a Sheol e trova soltanto dieci anime che, tra tutti quei milioni, siano degne di unirsi a noi in paradiso. Di’ loro quello che vuoi quando le esamini, ma trovane dieci che a tuo parere siano degne di vivere con noi. Poi conducile da me, e ri­partiremo da quello’,sentenziò.

«Rimasi estasiato. ‘Signore, posso riuscirci, lo so!’ gridai. E improvvisamente vidi i volti di Michele, Raffaele e Uriel, prima quasi oscurati dalla luce di Dio, che adesso si stava ritraendo en­tro confini più sopportabili. Michele dava l’impressione di aver paura per me e Raffaele stava piangendo. Sembrava che Uriel stesse solo osservando, senza emozione, senza stare dalla mia parte né solidarizzare con me o con le anime o con chicchessia. Il suo era il viso che gli angeli avevano prima che iniziasse il tempo.

«‘Ora posso andare? E quando devo tornare?’ chiesi.

«‘Quando vuoi, e quando puoi’,rispose il Signore.

«Ah, se capii. Se non avessi trovato quelle dieci anime, non sarei più tornato. Annuii, una logica ineccepibile. La capii e la accettai.

«‘Sulla terra passano anni mentre noi parliamo, Memnoch. Il tuo insediamento e quelli visitati da altri si sono trasformati in città; il mondo ruota nella luce del paradiso. Cosa posso dirti, mio caro, se non che adesso dovresti andare a Sheol e tornare il prima possibile con quelle dieci anime?’

«Stavo per parlare, per chiedere cosa ne sarebbe stato degli osservatori, di questa piccola legione di mansueti angeli educati alla carne e riuniti dietro di me, quando il Signore rispose: ‘Aspetteranno il tuo ritorno nella debita zona del paradiso. Non conosceranno la mia decisione, né il loro destino, finché tu non mi porti queste anime, Memnoch, anime che io giudicherò de­gne di risiedere nella mia casa celeste’.

«‘Capisco, Signore, me ne vado col tuo benestare!’ E senza chiedere altro, né accennare una domanda su restrizioni o limiti, io, Memnoch, l’arcangelo e l’accusatore di Dio, lasciai subito il paradiso e scesi tra le grandi e ariose nebbie di Sheol.»

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