Jason guardava il mortale carico entrare dai boccaporti nella stiva dell’astronave. I coloni erano di buon umore, mentre accatastavano armi di ogni specie, granate e bombe e gas. Quando arrivò a bordo una bomba atomica portatile, cominciarono addirittura a cantare un inno di guerra.
Jason, invece, era tetro. Gli sembrava di aver tradito la vita. Forse gli esseri misteriosi che aveva individuato meritavano di essere distrutti… e forse no. Annientarli senza il minimo tentativo di conciliazione gli sembrava un omicidio in massa.
Comparve Kerk, e le pompe dei motori d’avviamento pulsarono nell’astronave. Jason si avvicinò a Kerk. — Vengo con voi. Me lo dovete concedere; sono stato io a individuarli.
Kerk esitò. — Questa è una missione di guerra — esclamò. — Non c’è posto per osservatori. E il peso extra… — Quindi, decidendosi improvvisamente:
— E va bene, salite a bordo! Ma tenetevi fuori dei piedi, d’accordo?
Ora che la destinazione era nota, il volo fu molto più rapido. Meta sollevò l’astronave alla stratosfera, in un arco che si concludeva alle isole.
Kerk sedeva al posto del secondo pilota; Jason, alle sue spalle, teneva d’occhio gli schermi. La pattuglia da sbarco, composta di venticinque volontari, era pronta nella stiva con le armi. L’astronave, pilotata con attenzione da Meta, prese terra vicino all’imboccatura della caverna.
Jason era preparato all’urto dell’onda telepatica ma la sua violenza era ancora quasi insostenibile. Tutti gli animali dell’isola si stringevano attorno all’astronave. Ne furono massacrati a migliaia; ma sembravano arrivare senza interruzione. Un macello orribile.
Dopo mezz’ora, il fuoco rallentò. Gli animali attaccavano ancora, ma gli assalti in massa sembravano terminati. Kerk si accostò all’interfono. — Pattuglia da sbarco… fuori! Tenere gli occhi aperti! Portate la bomba nella caverna, il più avanti possibile. State pronti a rientrare appena chiamo!
Gli uomini sciamarono giù per le scalette, e si disposero in formazione da battaglia. Si trovarono presto attaccati, ma gli animali venivano annientati prima che riuscissero ad avvicinarsi. Non occorse molto tempo, perché l’uomo di testa raggiungesse la caverna. Portava una minuscola telecamera collegata con l’astronave; Kerk seguiva l’avanzata allo schermo.
— È una grande caverna… — brontolò. — Inclinata verso il fondo e all’indietro. Quello che temevo. Se lanciassimo la bomba, servirebbe soltanto a chiuderla, colpendo l’imboccatura. E non avremmo garanzie che chi c’è dentro non potrebbe uscire da un’altra parte. Dovremo scoprire dove finisce.
Nella caverna, adesso, c’era calore sufficiente per l’uso dei raggi infrarossi. Agli schermi, le pareti erano visibili in un contrasto violento di bianchi e di neri.
— Nessun segno di vita — riferì il capopattuglia. — Qualche osso scarnificato, ed escrementi di pipistrelli… per ora.
L’avanzata continuò passo per passo, sempre più lenta. Se pur insensibili alle emanazioni extrasensoriali i coloni avvertivano l’onda di odio che era proiettata senza sosta contro di loro. Jason aveva un forte mal di testa.
A un tratto, Kerk urlò: — Attenzione…! — Fissava gli schermi con orrore.
La caverna era stipata di minuscoli animali senza occhi. Si riversavano da piccoli corridoi laterali, e sembravano emergere dal terreno. Le prime file si dissolsero fra le fiamme lanciate dalle armi, ma altre ne comparvero.
Sullo schermo, la caverna parve ruotare pazzamente, quando l’uomo che portava la piccola telecamera cadde. Una massa di corpi minuscoli coperse le lenti.
— Stringere le file… lanciafiamme e gas! — gridò Kerk.
Neppure metà dei coloni era ancora viva, dopo quel primo assalto. I sopravvissuti lanciarono le bombe a gas. Qualcuno, scavando fra i cadaveri bruciacchiati degli animali, trovò la telecamera.
— Lasciate lì la bomba, e ritiratevi — ordinò Kerk. — Abbiamo già avuto abbastanza perdite.
— Ci spiace, signore — esclamò un colono. Il capopattuglia era morto. — Siamo circondati. Sarebbe più facile avanzare, fin quando abbiamo bombe a gas, che tornare indietro.
— È un ordine! — urlò ancora Kerk. Ma l’avanzata proseguì.
Sullo schermo, le pareti bianche e nere della caverna si spostavano con movimento costante. Ogni volta che gli animali tornavano all’attacco, qualche bomba a gas li tratteneva.
— C’è qualcosa davanti a noi… sembra diverso… — ansimò a un certo punto il capopattuglia. La caverna s’era allargata in una sala enorme, di cui non si scorgevano il soffitto e le pareti.
— Che roba è? — domandò Kerk. — Puntate un faro sulla destra!
L’immagine allo schermo, adesso, era confusa. I particolari non si potevano distinguere.
— Non so, non ho mai visto roba del genere… Sembrano piante… alte almeno dieci metri… e si muovono! Puntano i rami verso di noi, e provo una sensazione in testa…
— Eliminatene una, vediamo cosa succede — ordinò Kerk.
La pistola sparò, e nello stesso momento un’onda intensa di odio mentale sommerse gli uomini, facendoli cadere a terra. Si rotolarono su se stessi, poi furono sopraffatti, incapaci di resistere agli animali che si lanciavano in un nuovo attacco.
Nell’astronave, anche Jason sentì la potenza dell’urto telepatico, come Kerk e Meta; Kerk mandò un grido. — Indietro! Ritiratevi!
Era troppo tardi. Gli uomini si agitavano appena, mentre le bestie li ricoprivano a ondate; soltanto un colono riuscì ad alzarsi, e respingeva i mostri con le mani nude. Con un colpo di spalle, sollevò un compagno. Era morto, ma aveva ancora lo zaino assicurato alle spalle. Con dita sanguinanti, manovrò un pulsante, poi tutti e due furono sommersi di nuovo.
— Era la bomba! — gridò Kerk. — Esploderà fra dieci secondi! Via, subito!
Jason ebbe appena il tempo di buttarsi in cuccetta, e i razzi dell’astronave avvamparono. La pressione la schiacciò, aumentando ancora; vide nero, ma senza perdere i sensi. Il sibilo dell’aria cessò, quando uscirono dall’atmosfera.
Nell’attimo in cui Meta toglieva il contatto, una vampata accecante esplose negli schermi. Premendo un pulsante, la donna inserì una serie di filtri neri.
Sotto di essi, sul mare ribollente, una nube di fiamma a forma di fungo giganteggiava sul punto dove s’era trovata l’isola. La fissarono, in silenzio.
Kerk fu il primo a riprendersi.
— Torniamo, Meta; comunica al quartier generale che abbiamo avuto venticinque morti, ma che la missione è riuscita. Hanno annientato i mostri, e la guerra è finita. Sono caduti da eroi.
Meta inserì il pilota automatico, poi chiamò per radio la città.
— C’è qualche guaio… — rispose. — Sento un segnale di contatto, ma nessuno risponde.
Poi un uomo comparve allo schermo. Era coperto di sudore, e aveva uno sguardo stravolto. — Kerk — disse con voce rotta — siete voi? Tornate subito.
Abbiamo bisogno di una maggiore potenza di fuoco, al perimetro. Qui è scoppiato l’inferno; un minuto fa, è cominciato un attacco generale, il peggiore che abbia mai visto.
— Cosa diavolo… — balbettò Kerk, incredulo. — La guerra è finita.
Abbiamo distrutto il quartier generale del nemico!
— La guerra continua, più di prima — ribatté l’altro. Non so cos’abbiate fatto voi, ma piantatela di discutere e tornate subito!
Kerk si voltò verso Jason, con il volto contratto. — Voi! Siete stato voi!
Da quando siete arrivato qui, non avete fatto altro che seminare la morte in tutte le direzioni! E mi sono lasciato convincere! Avete ucciso Welf, e avete fatto morire i miei uomini nella grotta! — Lo colpì con un manrovescio, che lo fece cadere a terra. La mano di Jason tastò un tubo sigillato, che conteneva le matrici di rotta.
Vedendosi perduto, Jason strinse, e con tutta la sua forza, colpì Kerk sulla faccia. Gli produsse una lacerazione sulla fronte e sullo zigomo; ma Kerk, sanguinante, non si fermò. Sorrise senza pietà, mentre Jason si rialzava.
— Bene — esclamò — fate pure. Avrò tanto più piacere, uccidendovi. — Alzò un pugno enorme.
— No — rispose Jason, immobilizzandosi. — Non resisterò. Uccidetemi pure. Ma non dite che è giusto! Welf è morto per salvarmi. Ma gli uomini della pattuglia sono morti per causa vostra. Io volevo la pace! Voi avete scelto la guerra. Ce l’avete, adesso. Uccidetemi perché non riuscite a sopportare la verità!
Con un urlo di rabbia, Kerk abbassò il braccio.
Meta l’afferrò per il polso, e deviò il colpo. — No! — gridò. — Jason non voleva che la pattuglia uscisse! L’idea è stata vostra! Non potete ucciderlo per quello!
Ma Kerk, cieco di rabbia, non ascoltava più. Si strappò Meta di dosso.
La donna poté resistere soltanto un attimo. Bastò perché Jason raggiungesse la porta.
La superò inciampando, e chiuse di schianto il portello. Una frazione di secondo dopo che aveva tirato il catenaccio, Kerk la urtava con tutto il suo peso. Il metallo cedette, stridendo. Un cardine fu strappato, e l’altro rimase trattenuto soltanto da un brandello d’acciaio. Al prossimo colpo, sarebbe caduto.
Jason non rimase ad aspettare. Alla maggior velocità possibile, corse lungo il corridoio. Sull’astronave, non avrebbe potuto salvarsi; dunque, avrebbe dovuto uscirne. Le scialuppe di salvataggio erano davanti a lui.
Sin da quando le aveva viste la prima volta, vi aveva pensato. Pur non prevedendo una situazione simile, sapeva che sarebbe venuto un momento in cui avrebbe avuto necessità di un mezzo di trasporto. Ma Meta gli aveva detto che erano prive di carburante… Effettivamente, la scialuppa in cui era entrato il giorno della ricognizione non ne aveva; ma Jason aveva riflettuto ancora.
Quella era l’unica astronave di Pyrrus. I coloni non erano mai riusciti a acquistarne un’altra, perché qualche nuova spesa militare aveva sempre avuto la precedenza. L’astronave dunque doveva volare a pieno ritmo; e mai un colono avrebbe pensato di abbandonarla, perché la sua fine avrebbe significato la fine del pianeta.
Da quel punto di vista, non era affatto necessario tener pronte le scialuppe. Non tutte, almeno. Ma sembrava ragionevole che una, almeno, ne avesse abbastanza, nei serbatoi, per un breve volo, che l’astronave non avrebbe affrontato, per economia.
Ora, a Jason non rimaneva tempo per controllare tutte le scialuppe.
Pensò che se una doveva essere in condizione di partire, doveva trattarsi di quella più vicina alla cabina di comando. Vi si diresse con un salto.
Alle sue spalle, la porta cedette con uno schianto. Kerk si lanciò urlando.
Jason rotolò nella scialuppa. Con tutt’e due le mani afferrò la leva di lancio, e premette.
Una sirena d’allarme ululò, e il portello si chiuse di scatto in faccia a Kerk. Soltanto la sveltezza dei suoi riflessi gli evitò di restarne schiacciato.
Il carburante si accese, proiettando la scialuppa lontano dall’astronave.
La breve accelerazione premette Jason sul fondo; poi egli galleggiò in aria, quando la scialuppa iniziò la caduta libera. I razzi principali non entrarono in funzione.
In quell’attimo, si sentì morto. Priva di carburante, la scialuppa sarebbe caduta nella giungla, come una pietra.
Poi i razzi si accesero a un tratto, e Jason cadde ancora sul ponte…
Si trascinò al posto di pilotaggio. L’altimetro, collegato al sistema automatico di guida, aveva mantenuto la scialuppa a livello del terreno. I comandi erano molto semplici, previsti per essere usati da chiunque. Jason effettuò una brusca virata, e l’autopilota la corresse…
Dall’oblò vide che l’astronave descriveva invece una manovra molto più brusca. Jason non pensò a chi poteva essere ai comandi. Cercò di scendere in picchiata; e imprecò quando ancora una volta il pilota automatico rallentò la manovra. L’astronave si tuffò su di lui. La torretta prodiera aperse il fuoco, e un’esplosione scosse la scialuppa.
Forse il pilota automatico ne fu danneggiato. La picchiata si accentuò.
Jason ebbe appena il tempo di correggere la manovra e di portare le braccia davanti al volto, prima dell’urto.
Lo schianto dei reattori e quello degli alberi infranti si confusero. Seguì il silenzio, e il fumo svanì. Alta nel cielo, l’astronave sembrò esitare. Perse un po’ quota, come per indagare. Poi tornò ad alzarsi, mentre una nuova richiesta urgente di aiuto giungeva dalla città.