Gli animali erano scomparsi nella foresta, appena il terremoto era cessato di intensità. La tregua del pericolo condiviso in comune era finita; Jason dovette accorgersene, quando il loro gruppo si fermò per un po’ di riposo e uno spuntino. Lui e Rhes si avviarono verso un tronco caduto, per sedersi nell’erba. Un cane selvatico vi era arrivato prima di loro. Era steso sotto il tronco, con i muscoli tesi, e la prima luce dell’alba dava ai suoi occhi un riflesso scarlatto. Rhes lo fissò, a circa tre metri di distanza, immobile. Non tentò di afferrare un’arma, o di chiamare aiuto. Anche Jason si immobilizzò, sperando che il grubber non sbagliasse tattica.
Senza il minimo avvertimento, l’animale balzò contro di loro. Jason cadde all’indietro, spinto da Rhes. Anche il grubber cadde, ma nella mano adesso stringeva il coltello, strappato dal fodero che portava assicurato alla gamba. Velocissima, la lama si alzò, sprofondando fra le costole dell’animale, che con il suo stesso peso aperse una ferita mortale.
Rhes ripulì il coltello sulla pelliccia della belva. — Di solito, non danno fastidio — spiegò — ma questo era eccitato. Probabilmente ha perduto il branco. — Sembrava quasi spiaciuto di averlo dovuto abbattere.
Quell’atteggiamento aveva un grande significato. Ora Jason comprendeva perché la battaglia terribile fra gli uomini e il pianeta fosse cominciata, un giorno; e di nuovo pensava a come concluderla. Tutte le morti che avevano insanguinato Pyrrus non erano state inutili. Rimaneva soltanto un gesto, da compiere.
Rhes lo fissava, e Jason capì che condivideva i suoi pensieri. — Spiegatevi — disse il grubber. — Cosa intendevate dire, affermando che eravate in grado di restituirci la libertà?
— Riunite anche gli altri, e ve lo dirò. In particolar modo, desidero parlare con Naxa e con chi come lui sa parlare agli animali.
Si raggrupparono in fretta. Tutti sapevano che Krannon era stato ucciso per salvare Jason, e che in lui riposavano tutte le loro speranze. Jason guardò la folla che lo fissava, e si augurò di saper trovare le parole adatte.
— Vogliamo tutti veder la fine della guerra, su Pyrrus. Un modo c’è; ma costerà qualche vita. Può darsi che qualcuno di voi muoia, per ottenere la pace. Io penso che ne valga la pena; il successo vi darà tutto quanto avete sempre desiderato. — Si guardò attorno. — Dovremo invadere la città, superare il perimetro difensivo. So come fare…
I grubbers mormorarono. Qualcuno sembrava felice, al pensiero di poter eliminare il nemico ereditario; altri fissarono Jason come se lo considerassero impazzito. Ma quando ricominciò a parlare, tacquero tutti.
— So che sembra impossibile — proseguì lui. — Ma è questo, il momento.
Gli abitanti della città possono resistere anche senza i vostri viveri; i loro concentrati hanno un gusto orribile, ma bastano a evitare la morte. A voi, però, toglieranno tutto. Non avrete più metalli da lavorare, o pezzi di ricambio per le radio. È probabile che con l’astronave cerchino di individuare le fattorie, e che le distruggano. Non basta; stanno perdendo la guerra, e sono sicuro che distruggeranno il pianeta, piuttosto che ammetterlo.
— Allora; come possiamo fermarli? — gridò un grubber.
— Colpendoli subito — rispose Jason. — Io conosco bene la città e la disposizione delle difese. Le mura li proteggono dagli animali; ma potremo superarle, se saremo abbastanza decisi.
— E a cosa servirebbe? — interruppe Rhes. — Contrattaccherebbero in forza. Come potremmo resistere alle loro armi?
— Non sarà necessario. Io conosco il punto esatto dove si trova la loro astronave. Sarà lì, che attaccheremo. Ci impadroniremo dell’astronave. Chi la possiede, domina Pyrrus! Poi, minacceremo di distruggerla, se non accettano le nostre condizioni. Spero che avranno tanto buon senso da cedere.
Per un attimo i grubbers tacquero, poi si alzò un coro di commenti. Rhes rimise l’ordine. — Silenzio! Non sappiamo ancora come potremo effettuare l’invasione che Jason ci propone.
— Il mio progetto si basa su Naxa — rispose il terrestre. — È qui? — Aspettò sin quando il grubber comparve in prima fila. — Voglio sapere di più delle tue capacità, e di quelli come te. So che potete parlare ai doryms e ai cani… potete anche con gli animali selvatici? Sapete costringerli a fare ciò che volete?
— Son sempre animali… Certo che possiamo parlare con loro. Dipende dal nostro numero. Più siamo, più potenza abbiamo.
— Allora tutto andrà bene — concluse Jason. — Potete riunirvi tutti dal lato della città opposto allo spazioporto, e scatenare gli animali contro la città?
Fargli attaccare le difese perimetrali?
— Se possiamo? Gli animali arriveranno da tutte le parti! Sarà l’assalto più terribile che hanno mai visto!
— D’accordo, dunque. Scatenerete l’attacco. Se vi tenete nascosti, le guardie non immagineranno che accada qualcosa di anormale. Ho visto come fanno. Quando la situazione è grave, chiamano riserve dalla città, e tolgono gli uomini dalle altre zone difensive. Al culmine dell’assalto, noi cattureremo l’astronave. Questo è il mio progetto; e funzionerà.
Jason si lasciò cadere su un masso, esausto. Ascoltò le discussioni dei grubbers; nessuno riuscì a trovare difetti importanti nel piano. Volevano riuscire, e ce l’avrebbero fatta.
Finalmente, gli uomini guidati da Naxa partirono. Rhes si avvicinò a Jason.
— È tutto predisposto — comunicò. — Gli uomini di Naxa avvertiranno tutti quelli come loro. I telepatici sono la nostra arma principale, e più ne avremo, meglio sarà. Non usiamo la radio, perché i coloni potrebbero intercettare il messaggio. Fra cinque giorni, potremo scattare.
— Certo, dà una sensazione strana — mormorò Jason. — Mai avevo visto la cinta difensiva da questa parte. — Sdraiato sul ventre accanto a Rhes, guardavano da dietro un riparo di foglie. Malgrado il caldo di mezzogiorno, erano avvolti in pesanti pellicce. Davanti a loro, oltre una zona di terra bruciata, si stendevano le difese perimetrali: una muraglia alta, fatta dei materiali più disparati. Era impossibile riconoscere le parti originali; generazioni di assalitori l’avevano danneggiata, rovinata, minata.
Era stata riparata alla svelta, con rattoppi improvvisati, che erano diventati definitivi. Pezzi in cemento si sgretolavano, mostrando l’intelaiatura di travi; alcune decine di metri erano di piastre metalliche, fermate da bulloni.
Ma anche l’acciaio era stato intaccato, e sacchi di sabbia bucati riversavano il loro contenuto da un grosso foro frastagliato. I cavi dell’impianto di avvistamento, e altri cavi irregolari, lanciafiamme automatici sporgevano dal parapetto, e ripulivano la base della muraglia.
— Quelli possono darci fastidio — esclamò Rhes.
— Oh, no — lo assicurò Jason. — Sembra che funzionino senza una regola, ma non è così. L’intervallo cambia appena abbastanza per ingannare gli animali; è di uno, due, quattro, tre minuti. Poi ricomincia.
Strisciarono indietro, verso la cavità dove Naxa e gli altri aspettavano. Il gruppo riuniva soltanto trenta uomini. L’azione sarebbe potuta riuscire grazie alla rapidità; la loro arma più efficace sarebbe stata la sorpresa. Le armi di cui disponevano non avrebbero resistito un attimo, contro quelle dei coloni. Sembravano tutti a disagio per il peso delle pellicce.
— Fate bene attenzione — ordinò Jason. — Il pericolo vero non sono gli animali; ci pensa Naxa, con i suoi. Ogni foglia, qui, ogni filo d’erba è velenoso. Le punture degli insetti sono mortali.
Aspettarono, affilando su qualche pietra le punte delle frecce, già acutissime. Soltanto Naxa non condivise quel riposo. Con gli occhi persi nel vuoto, seguiva i movimenti degli animali nella giungla che li circondava.
— Arrivano — esclamò. — Mai vista una cosa simile… Non c’è una belva, fra qui e le montagne, che non stia correndo verso la città.
Jason avvertiva una tensione strana, nell’aria, e un’ondata di odio e di rabbia più intensi. Il loro piano avrebbe avuto successo, pensò, se fossero riusciti a concentrare l’attacco su una zona delimitata delle difese perimetrali. Naxa e i telepatici si erano dichiarati sicuri del fatto loro.
Avevano cominciato a lanciare il messaggio mentale sin dal mattino.
— Ecco, cominciano! — avvertì infine Naxa.
Gli uomini scattarono in piedi. Dalla città venne un frastuono di detonazioni. Fili sottili di fumo si alzarono oltre le cime degli alberi.
Attorno a loro, la giungla sembrava mormorare un coro furibondo. Le piante si torcevano, e l’aria era piena di insetti ronzanti. Naxa sudava, per lo sforzo di respingere gli animali che avrebbero potuto attaccarli.
Quando raggiunsero la terra di nessuno, sotto le mura, avevano già perduto quattro uomini, punti dagli insetti o lacerati da una spina velenosa.
Ma prima di scattare, occorreva aspettare il segnale.
Installarono l’apparecchio radio; era accuratamente schermato, perché nessuna perdita di potenza potesse tradirli. Dall’altoparlante venne un sibilo di elettricità statica.
— Avremmo potuto fissare un’ora… — mormorò Rhes.
— No — ribatté Jason. — Dobbiamo attaccare nel momento più favorevole.
Anche se sentiranno il messaggio, non avrà senso, per loro.
Proprio in quel momento, una voce alla radio pronunciò una breve frase.
— Portatemi tre barili di farina.
— Andiamo! — Rhes scattò.
— Un momento! — Jason lo prese per il braccio. — I lanciafiamme… Ecco!
— Una vampata lambì il piede della muraglia, poi si spense. — Abbiamo quattro minuti di tempo, adesso!
Corsero, inciampando nei mucchi di cenere e nelle ossa carbonizzate.
Due uomini afferrarono Jason, trasportandolo di peso. Risparmiarono così alcuni attimi preziosi. Lo lasciarono alla base della muraglia. Jason estrasse le bombe che aveva fabbricato. Le cariche della pistola di Krannon erano state collegate con un circuito.
Aveva scelto per l’attacco la parte di muraglia protetta da lastre d’acciaio.
Offriva la resistenza maggiore alla vita animale, perciò c’erano buone probabilità che non fosse rinforzata da altre difese.
Gli uomini avevano impiastrato contro la parete alcune masse resinose.
Jason vi premette le cariche, e formarono una specie di rozzo rettangolo, dell’altezza di un uomo. Intanto, veniva steso il filo per il detonatore, e gli uomini si appiattivano ai piedi della muraglia. Jason corse inciampando fra la cenere, verso il detonatore; vi cadde sopra, e premette.
Uno schianto scosse la muraglia, e si alzò una vampata di fiamme. Rhes arrivò per primo sulla breccia. Era piena di fumo, e dall’altra parte non si vedeva niente. Jason si tuffò nell’apertura, rotolò su un mucchio di macerie e urtò qualcosa di solido. Quando il fumo si dissolse, si guardò attorno. Era dentro la città.
Anche gli altri si precipitarono all’interno, e lo raccolsero. Qualcuno individuò l’astronave, e corsero in quella direzione.
Un colono girò l’angolo di un edificio. La rapidità dei suoi riflessi lo fece scattare al riparo, appena vide gli invasori; ma anche i grubbers erano svelti. L’uomo ricadde in strada, con tre frecce piantate addosso.
Continuarono a correre, piegati in due verso l’astronave.
Qualcuno era riuscito a raggiungerla prima di loro; videro lo sportello esterno che si chiudeva. Una nube di frecce l’urtò senza conseguenze.
— Avanti! — gridò Jason. — Dobbiamo arrivare allo scafo prima che possano usare i cannoni!
Questa volta, tre grubbers non ci riuscirono. Tutti gli altri erano già al sicuro sotto la massa d’acciaio, quando tutte le armi di bordo fecero fuoco assieme. I tre ritardatari scomparvero. Chiunque si trovava nell’astronave aveva cercato di annientarli, chiamando contemporaneamente aiuto. In quel momento, senza dubbio lanciava un appello radio. Non c’era tempo da perdere.
Jason si protese, cercando di aprire il portello. Era chiuso dall’interno.
Un grubber lo spinse da parte, e afferrò la maniglia. Si spezzò fra le sue dita possenti; ma il portello non si aperse.
I cannoni tacevano, adesso.
— Qualcuno ha preso la pistola del morto? — domandò Jason. — Basterebbe per aprire.
Non aveva ancora finito di parlare, che già due grubbers correvano verso l’edificio dov’era caduto il colono. I cannoni dell’astronave tuonarono; un grubber fu ridotto a brandelli, ma l’altro era già arrivato alla meta.
Si lanciò nel ritorno, allo scoperto, e da trenta metri lanciò la pistola.
Poi, cadde.
Jason raccolse l’arma. Si udiva il gemito dei turbocarri che si avvicinavano. Sparò contro il portello. La lastra d’acciaio si contorse, aprendosi. Erano entrati tutti, prima che i coloni comparissero. Naxa rimase ultimo, con la pistola, per difendere l’entrata sin quando i compagni non avessero raggiunto la centrale di comando. Con un gesto, Jason aveva indicato la strada, e i grubbers l’avevano preceduto; lo scontro era già terminato, quando lui arrivò. Il colono che aveva tentato di difendere l’astronave sembrava un cuscinetto puntaspilli. Un grubber aveva afferrato i comandi delle artiglierie di bordo e sparava selvaggiamente.
— Qualcuno dica per radio ai telepatici di interrompere l’attacco — ordinò Jason. Lui, con un gesto, inserì il teleschermo. Vi comparve Kerk, con gli occhi sgranati.
— Voi! — esclamò, come per imprecare con una sola parola.
— Sì — rispose Jason, senza alzare gli occhi, dandosi da fare con le dita al pannello dei collegamenti. — Fate attenzione… È probabile che non sappia come far volare quest’arnese, ma so bene come farlo esplodere. Sentite questo rumore? — Girò un interruttore, e si alzò il ronzio lontano di una pompa. — È la pompa principale del carburante. Se la lascio in funzione, riempirà la camera di scoppio di carburante grezzo. Finirà per uscire dai tubi di scarico. Cosa credete che succederà della vostra unica astronave, se poi premerò il pulsante dei reattori? Non vi domando cosa sarà di me… so che non ve ne importa… ma pensate all’astronave!
Nella cabina, adesso, c’era silenzio. La voce di Kerk risuonò rauca.
— Cosa volete, Jason? Che intenzioni avete? Perché avete portato lì quelle bestie…? — La collera lo soffocava.
— Badate a quello che dite, Kerk — ribatté Jason. — Gli uomini di cui parlate sono gli unici a Pyrrus che posseggano un’astronave. Se volete che la dividano con voi, fareste meglio a venir qui subito… Portate anche Brucco e Meta.
Kerk fece per ribattere, ma tacque. Si allontanò dallo schermo, senza spegnerlo. Tutta la città poteva seguire la scena.