22

Per chissà quanto, da quel momento, ebbe soltanto ricordi confusi.

Movimento, bestie grandi attorno… Pareti, fumo di legna, un mormorio di voci. Cosa importava? Meglio dormire.

— Era quasi ora — esclamò Rhes. — Due giorni ancora, e avremmo dovuto seppellirvi.

Jason lo fissò, sforzandosi di mettere e fuoco la vista. Lo riconobbe, infine, e volle rispondere; ma subito un accesso di tosse lo scosse tutto.

Qualcuno gli avvicinò alle labbra una coppa di liquido dolciastro.

— Siete qui da otto giorni proseguì Rhes. — Perché non avete obbedito a quello che vi avevo detto? Avreste dovuto rimanere vicino alla scialuppa.

Non ricordavate che vi avevo chiesto di scendere in un punto qualsiasi del continente? Ma ormai è inutile parlarne. Però la prossima volta, datemi retta. La mia gente è arrivata al relitto prima di buio! Un cane trovò le vostre tracce, ma poi le perse nella palude. È scesa la neve… Il giorno dopo, i miei stavano già per mandare a chiedere aiuti, quando vi hanno sentito sparare. Hanno fatto appena in tempo, da quanto mi hanno detto.

Per fortuna, uno di loro sapeva parlare ai cani selvatici, e li ha costretto ad allontanarsi. Altrimenti, avrebbero dovuto ucciderli tutti, e sarebbe stato un male.

— Grazie — riuscì a dire Jason. — Poi cos’è successo? Mi ricordo che avevo la polmonite. Sembra che i vostri rimedi non siano poi tanto inutili.

Gli mancò la voce, quando Rhes scosse la testa, adagio. No. Rughe profonde gli si incidevano sul volto. Jason si guardò attorno, e vide Naxa e un altro individuo. Sembravano egualmente preoccupati.

— Cos’è…? — domandò. — Se i vostri rimedi non sono serviti… cos’è stato?

Il mio pronto soccorso era esaurito.

— Morivate — rispose Rhes con voce lenta. — Non saremmo riusciti a curarvi, con i nostri mezzi. Soltanto un apparecchio dei coloni avrebbe potuto farlo. Abbiamo usato quello del guidatore del turbocarro.

— Ma come…? — domandò Jason, sbalordito. — Non ve l’avrebbe consegnato mai, di sua volontà.

Rhes annuì. — Certo. Era morto… L’ho ucciso io. Con piacere.

Jason si abbandonò contro i cuscini. Quanti erano morti, per lui! — Ma non capite…? — proruppe. — Per la morte di Krannon, i coloni vi attaccheranno!

— Certo, lo sappiamo. Non è stato facile decidere. I rifornimenti erano l’ultimo legame col mondo, per noi.

— E l’avete spezzato per salvarmi… Perché?

— Soltanto voi potete rispondere. Abbiamo visto che la città era attaccata; contemporaneamente, l’astronave lanciava bombe sull’oceano… abbiamo visto il lampo. Poi l’astronave è tornata, e voi ne siete uscito, in una scialuppa. Vi hanno sparato contro… Cosa poteva significare, tutto questo?

Abbiamo intuito soltanto che si trattava di fatti importanti, vitali. Se non vi avessimo curato, sareste morto senza spiegarli. La scialuppa poteva essere riparata, e volare ancora; forse era per quello, che l’avevate presa. No, non potevamo lasciarvi morire, a nessun costo. Ho spiegato la situazione a tutti i miei che potevo raggiungere per radio, e hanno deciso di salvarvi. Io allora ho preso il pronto soccorso di Krannon… Ma adesso spiegatemi qual è il vostro piano?

Un sentimento di colpa chiuse la bocca di Jason. I tre grubbers si protesero verso di lui. Chiuse gli occhi, per non vederli. Cos’avrebbe potuto dire…?

All’esterno, si udì un rumore di corsa, e un grido soffocato. Soltanto Jason parve accorgersene. Gli altri erano troppo intenti alla sua risposta.

La porta si aperse di schianto. Un individuo tarchiato, rosso di collera, comparve sulla soglia.

— Siete tutti sordi? — gridò. — Corro tutta la notte e grido fino ad asciugarmi i polmoni, e voi state qui seduti come femmine! Fuori! Il terremoto! Sta per esserci un terremoto!

Scattarono in piedi. — Tu Hananas! Quanto tempo abbiamo?

— Tempo! E chi lo sa! — imprecò il vecchio. — Uscite, o morirete tutti.

Non so altro!

Nessuno si fermò a discutere. Jason fu strappato dal letto, e lo legarono su una specie di barella, in groppa a un dorym. — Cos’è, successo? — domandò al grubber che stringeva le cinghie.

— Si avvicina un terremoto — rispose quello, senza fermarsi. — Hananas riesce a sentirlo prima che cominci. Se tutti si sbrigano, riescono a salvarsi.

Era diventato buio, e il sole era appena un riflesso rossastro nel cielo.

Udì un rombo lontano, più con l’istinto che con le orecchie, e il terreno vibrò. I dorym partirono di galoppo, senza bisogno di essere incitati.

Traversarono una palude, e appena l’ebbero oltrepassata Hananas mutò bruscamente direzione. Qualche attimo dopo, verso sud, il cielo parve esplodere. Vampe abbaglianti illuminarono la scena, e una pioggia di cenere e di lapilli colpì gli alberi. Soltanto il fatto che fino a poco prima piovesse impedì che la foresta andasse a fuoco.

Una sagoma enorme giganteggiava al loro fianco, e Jason la osservò con attenzione, alla luce riflessa dal cielo, mentre traversavano una radura.

— Rhes…! — chiamò, con voce soffocata. Ma il grubber guardò l’animale, il suo corpo irsuto e le corna contorte, alte come un uomo, poi distolse gli occhi. Non dimostrò di aver paura, e neanche di provare il minimo interesse.

Gli animali in fuga non facevano rumore, ecco perché Jason non li aveva scorti prima. Ma sui due lati del gruppo forme scure correvano fra le piante. Per qualche minuto, furono accompagnati da torme di cani selvaggi, che si mescolavano a quelli domestici. Gli uccelli volavano bassi.

Sotto la minaccia comune, ogni altra ostilità era dimenticata. La vita rispettava la vita. Un gregge di animali grassi, simili a maiali, muniti di zanne ricurve, bloccò il passo; i dorym rallentarono per non calpestarli.

Animali di piccola taglia si aggrappavano al dorso di quelli più grossi, indisturbati.

Scosso senza pietà dalla barella, Jason si addormentò. Il suo sonno fu traversato dalle visioni di animali in fuga, che correvano silenziosi per sempre. Con gli occhi aperti, o gli occhi chiusi, lo spettacolo era sempre identico.

Ciò significava qualcosa, e si sforzò di capire. Animali che correvano.

Animali di Pyrrus.

Si mise seduto di scatto, torcendosi in barella, completamente sveglio.

— Che c’è? — domandò Rhes; avvicinandosi.

— Continuiamo — rispose Jason. — Usciamo di qui, mettiamoci al sicuro.

So come far terminare la guerra. C’è un modo; e so come usarlo.

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