Riuniti nel bazar di Harry, i gatti decisero che il piccolo non poteva restare nell'appartamento di Zorba. Là correva troppi rischi, il maggiore dei quali non era tanto la minacciosa presenza dei due gatti poco di buono, quanto quella dell'amico di famiglia.
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Dopo una breve consultazione decisero che Zorba e il pulcino avrebbero vissuto nel bazar finché quest'ultimo non avesse imparato a volare. Zorba sarebbe andato nel suo appartamento tutte le mattine in modo che l'umano non si allarmasse, e poi sarebbe tornato indietro a prendersi cura del piccolo.
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<<È esattamente ciò che stavo per proporre. Temo che questo vizio di togliermi i miagolii di bocca sia più forte di lei>> si lamentò Colonnello.
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Non fece in tempo a chiudere la bocca che Diderot aveva già tirato giù dallo scaffale un tomo dell'enciclopedia. Il diciannovesimo volume, corrispondente alla lettera S, e sfogliava le pagine cercando la parola 'sesso'.
Disgraziatamente l'enciclopedia non diceva nulla su come distinguere il sesso di un piccolo gabbiano.
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<<È esattamente quello che stavo per miagolare. Le proibisco di continuare a togliermi i miagolii di bocca!>> brontolò Colonnello.
Mentre i gatti miagolavano, il pulcino faceva una passeggiata tra dozzine di uccelli imbalsamati. C'erano merli, pappagalli, tucani, pavoni, aquile, falchi, che lui guardava impaurito. All'improvviso un animale con gli occhi rossi, che non era affatto imbalsamato, gli sbarrò la strada.
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Il primo ad arrivare fu Zorba, e appena in tempo, perché in quel preciso istante un topo di fogna stava allungando le zampe anteriori verso il collo del pulcino.
Quando vide Zorba, il ratto fuggì dentro una fessura del muro.
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Zorba si avvicinò alla fessura. Dentro era molto buio, ma riuscì a scorgere gli occhi rossi del ratto.
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Sentì che il topo si allontanava. I suoi arti gli graffiavano i tubi su cui correva. Dopo qualche minuto vide ricomparire i suoi occhi rossi nella penombra.
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Zorba scese nello scantinato. Cercò dietro il baule e vide che nel muro c'era un foro dal quale poteva passare. Scostò le ragnatele ed entrò nel mondo dei topi. Puzzava di umidità e di sudiciume.
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Obbedì. Man mano che si spingeva avanti strisciando sentiva che la pelliccia gli si riempiva di polvere e di sporco.
Avanzò nell'oscurità finché non arrivò in un pozzetto illuminato a stento da un fioco fascio di luce del giorno. Zorba suppose di essere sotto la strada e che i raggi filtrassero dal tombino della fognatura. Il posto puzzava, ma era abbastanza alto da poter stare in piedi su tutte e quattro le zampe. In mezzo scorreva un rigagnolo di acque immonde. Poi scorse il capo dei topi, un grosso ratto dalla pelliccia scura, con il corpo pieno di cicatrici, che ammazzava il tempo passando e ripassando un artiglio sugli anelli della coda.
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Allora Zorba saltò sul capo dei topi. Gli atterrò sul dorso, imprigionandogli la testa con gli artigli.
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< Noi gatti dobbiamo badare al nostro prestigio>> spiegò Zorba lasciandogli la testa. Uscì dalla fogna camminando all'indietro senza perdere di vista né il capo dei topi né le dozzine di occhi rossi che lo fissavano con odio.