CAPITOLO UNDICESIMO

I campi di forza si spostarono. Non erano tubi e schermi statici. Ciò che li formava era l’incessante azione reciproca di legami elettromagnetici, la cui produzione, propagazione ed effetto eterodinico dovevano essere tenuti sotto controllo ad ogni nanosecondo, dal livello quantico a quello cosmico. Poiché le condizioni esterne — densità della materia, radiazione, forze di campo che venivano a contatto, curvatura dello spazio gravitazionale — mutavano istante dopo istante, le loro reazioni sulla membrana immateriale dell’astronave venivano registrate e i dati immessi nei calcolatori; trattando un migliaio di serie simultanee di Fourier come il più insignificante dei loro compiti, queste macchine rinviavano la loro risposta; gli apparati generatori e controllori, nuotando a poppa dello scafo in un vortice creato dalla stessa potenza da loro emessa, operavano le loro docili modifiche. In questa omeostasi, in questo camminare su una corda da funamboli sopra la possibilità di ricevere una risposta sbagliata o semplicemente tardiva — il che voleva dire distorsione e collasso dei campi di forza e distruzione dell’astronave — si inseriva un controllo umano. Esso divenne parte dei dati.

Un’immissione a tribordo fu potenziata, una a babordo ridotta: cautamente, molto cautamente, la Leonora Christine virò e si lanciò nella sua nuova rotta.

Le stelle videro il movimento poderoso di una massa costantemente più larga e più appiattita che impiegò mesi e anni prima che la deviazione dalla sua rotta originale diventasse evidente e significativa. Non che l’oggetto su cui scintillavano fosse lento. Era un guscio incandescente, delle dimensioni di un pianeta, in cui gli atomi venivano afferrati dalle frange esterne di forza e stimolati in radiazioni termiche, fluorescenti, sincrotroniche. E ciò andava appena oltre il fronte dell’onda che annunciava il suo incedere. Ma la luminosità della nave si perse ben presto nel corso degli anni-luce. La Leonora Christine avanzava attraverso abissi che apparentemente non avevano fine.

Per il suo tempo interno, la storia era diversa. Si muoveva in un universo che le diventava sempre più estraneo — che invecchiava più rapidamente ed era più massiccio, più compresso. Così il ritmo secondo il quale poteva trangugiare idrogeno, bruciarne una parte come energia e proiettare il resto in un getto fiammeggiante lungo un milione di chilometri, tale ritmo continuava a crescere. Ogni minuto, calcolato sui suoi orologi, toglieva al valore del fattore tau una frazione più ampia di quella tolta nel minuto precedente.

A bordo, nulla cambiava. Aria e metallo trasmettevano ancora le pulsazioni prodotte dall’accelerazione, la cui resistenza aerodinamica interna rimaneva ancora a una uniforme gravità uno. L’impianto energetico interno continuava a fornire luce, elettricità, temperature uniformi. I biosistemi e gli organocicli riciclavano ossigeno e acqua, riutilizzavano i rifiuti, fabbricavano cibo, aiutavano la vita. L’entropia aumentava. La gente invecchiava all’antico ritmo di sessanta secondi al minuto, sessanta minuti all’ora.

Ma queste ore erano sempre meno attinenti alle ore e agli anni che passavano all’esterno dell’astronave. La solitudine si richiudeva sulla Leonora Christine come le dita di una mano.


Jane Sadler fece un affondo. Johann Freiwald cercò di parare. Il fioretto della donna batté contro quello dell’avversario mandando un suono tintinnante. Di colpo, Jane partì all’attacco e Johann esclamò: — Touché! - Poi, ridendo dietro la maschera: — In un vero duello mi avresti trapassato il polmone sinistro. Hai superato l’esame.

— Appena in tempo — ansimò Jane. — Un altro minuto… e io… sarei rimasta… senza fiato. Ho le ginocchia di gomma.

— Basta per stasera — decise Freiwald.

Si tolsero le maschere che proteggevano loro la faccia. Il sudore scintillava sul volto della donna e le incollava i capelli alla fronte; aveva il respiro pesante; ma gli occhi le brillavano. — Un po’ di allenamento! — Si lasciò cadere su una sedia e Freiwald la raggiunse. Era sera tardi, secondo il tempo dell’astronave, e in palestra c’erano soltanto loro due. Il locale sembrava così più grande e vuoto del solito, tanto da spingerli a sedersi uno accanto all’altra.

— Con le altre donne ti sembrerà uno sport più facile — le disse Freiwald. — Penso che sia meglio se cominci subito ad addestrarle.

— Io? Addestrare una squadra femminile di scherma, inesperta come sono?

— Io continuerò ad allenarti — replicò Freiwald. — Sarai sempre superiore alle tue allieve. Capisci, io devo occuparmi degli uomini. E se lo sport produrrà tanto interesse come spero, ci vorrà tempo per preparare l’equipaggiamento. Non soltanto ci servono altre maschere e altri fioretti, abbiamo anche bisogno di spade e sciabole. Non possiamo perdere tempo.

Il piacere di Sadler svanì. Ella rivolse al suo compagno un’occhiata indagatrice. — Non mi hai fatto questa proposta di tua iniziativa? Avevo pensato che, essendo tu la sola persona che sulla Terra avesse tirato di fioretto, volessi qualcuno con cui allenarti.

— È stata un’idea del commissario Reymont, quando per caso gli ho accennato il mio desiderio di praticare questo sport. Ha fatto in modo che mi fosse assegnato il materiale adatto a fabbricare l’attrezzatura. Vedi, dobbiamo mantenerci in buona forma fisica…

— E distrarre la nostra attenzione dai guai in cui siamo impegolati — tagliò corto la donna, con voce aspra.

— Il detto Mens sana in corpore sano è sempre valido. Se vai a letto stanca, non resti sveglia a rimuginare.

— Sì, lo so. Elof… — Sadler si interruppe.

— Il professor Nilsson è fin troppo impegnato nel suo lavoro — Freiwald si azzardò a dire. Distolse lo sguardo dalla donna e incurvò la lama del fioretto tra le mani.

— Tanto meglio così! Se non riuscirà a creare migliori strumenti astronomici, dovremo decidere una traiettoria extragalattica basandoci su nient’altro che semplici congetture.

— Vero, vero. Ma lasciami dire, Jane, che il tuo uomo potrebbe ricavare qualche beneficio, anche nella sua professione, se facesse un po’ d’esercizio fisico.

Con una certa riluttanza, la donna disse: — Vivere con lui diventa ogni giorno più difficile. — Poi passò all’offensiva: — Allora Reymont ti ha nominato allenatore.

— Ufficiosamente — rispose Freiwald. — Ma ha esortato a prendere l’iniziativa, a sviluppare nuovi sport interessanti… Be’, io sono uno dei suoi agenti non ufficiali.

— Uh-uhh. Egli stesso non potrebbe. Tutti capirebbero i suoi motivi, lo considererebbero una specie di istruttore militare e, sparito il divertimento, si asterrebbero quasi tutti dal partecipare. — Sadler sorrise. — D’accordo, Johann. Fa’ conto su di me nella vostra congiura.

Gli prese la mano, egli l’accettò. La stretta si prolungò.

— Togliamoci questa tuta fradicia di sudore e tuffiamoci nell’acqua della piscina — propose Jane.

Ma Freiwald replicò con una certa ruvidezza: — No, grazie. Non stanotte. Saremo soli noi due, e non posso mettere ulteriormente alla prova la mia resistenza, Jane.


La Leonora Christine incontrò un’altra regione di accresciuta densità della materia. Era più rarefatta della nebulosa che aveva causato tanti danni all’astronave, cosicché il veicolo spaziale vi poté passare attraverso senza difficoltà. Ma era profonda molti parsec. Il fattore della Leonora Christine aveva qualcosa di stupefacente. Quando finalmente riuscì a emergere, l’astronave aveva raggiunto una velocità così alta che la normale densità di un atomo per centimetro cubico valeva quasi quanto quella della nuvola. Non solo l’astronave mantenne la velocità che aveva raggiunto, mantenne anche l’accelerazione.

I passeggeri continuavano imperterriti a seguire il calendario terrestre, osservando anche le pratiche religiose per le piccole congregazioni dei diversi culti. Ogni sette giorni, di mattina, il capitano Telander diceva la messa per il suo gruppetto di protestanti.

Una certa domenica, aveva chiesto a Ingrid Lindgren di farsi trovare nella cabina di lui, dopo la cerimonia religiosa. La donna lo stava già aspettando quando egli entrò. La sua bellezza e il corto abito rosso che indossava la facevano risaltare vividamente contro lo sfondo di libri, carte, tavolo da lavoro. Sebbene il capitano avesse per sé una cabina doppia, l’austerità della stanza era rotta a malapena da alcuni ritratti di famiglia e da un modellino costruito a metà di un’astronave di linea.

— Buongiorno — le disse Telander con la sua abituale austerità. Appoggiò la Bibbia e si slacciò il colletto dell’uniforme. — Non vuoi sederti? — Poiché i letti non erano tirati giù, c’era spazio sufficiente per un paio di poltrone pieghevoli. — Chiederò che ci mandino un po’ di caffè.

— Come va? — domandò Lindgren, sedendosi davanti a lui e cercando nervosamente di trovare un argomento di conversazione. — Malcolm è venuto a messa?

— Oggi no. Sospetto che il nostro amico Foxe-Jameson non sia ancora sicuro se vuole rientrare nella fede dei suoi padri o rimanere un fedele agnostico. — Telander abbozzò un leggero sorriso. — Ma verrà, verrà. Ha semplicemente bisogno di mettersi in testa che è possibile essere contemporaneamente cristiani e astrofisici. E tu, Ingrid, quando ti lascerai convertire?

— Probabilmente mai. Se c’è una intelligenza attiva dietro la realtà — e non abbiamo alcuna prova scientifica a favore di questa tesi — perché dovrebbe preoccuparsi di un incidente chimico qual è l’uomo?

— Stai citando quasi alla lettera le parole di Charles Reymont, lo sai? — esclamò Telander. Aveva i lineamenti del volto tesi. Poi aggiunse frettolosamente: — Un essere che si interessa di tutto, dai quanta ai quasar, può dedicare a noi un po’ della sua attenzione. Prove razionali… Ma non voglio ripetere vecchi argomenti stantii. Abbiamo altro di cui discutere. — Si mise in comunicazione interfonica con la cambusa: — Una cuccuma di caffè, panna e zucchero, con due tazze, nella cabina del capitano, per favore.

— Panna! — mormorò Lindgren.

— Non credo che i nostri esperti culinari la imitino malamente — disse Telander. — Comunque, Carducci segue alla lettera i suggerimenti di Reymont.

— Di cosa si tratta?

— Collaborare con l’équipe addetta alla produzione del cibo per inventare nuovi piatti. Non una bistecca fatta di alghe e colture istologiche, ma roba mai sperimentata prima. Sono contento che abbia trovato qualcosa che l’appassiona.

— Sì, come cuoco cominciava a peggiorare. — La maschera d’indifferenza che Lindgren si era imposta fino a quel momento svanì. La donna colpì il bracciolo della sedia. — Perché? — si lasciò sfuggire dalle labbra. — Che cosa non va? Siamo in marcia su questa nuova rotta da appena metà del tempo che avevamo previsto. Non avremmo dovuto lasciarci demoralizzare così in fretta.

— Abbiamo perso qualsiasi fiducia…

— Lo so, lo so. Ma gli esseri umani non dovrebbero essere stimolati dal pericolo? Quanto alla possibilità che questo nostro viaggio non finisca mai più, be’, in un primo momento anch’io l’ho presa male. Ma penso di aver reagito positivamente.

— Tu e io abbiamo uno scopo ben preciso — disse Telander. — Noi, che facciamo parte dell’equipaggio regolare, siamo responsabili della vita degli altri. Ciò ci aiuta. E anche per noi… — Fece una pausa. — Proprio di questo volevo parlare con te, Ingrid. Siamo a un punto critico. Abbiamo compiuto il centesimo anno da quando siamo partiti dalla Terra.

— È un’affermazione priva di senso — ribatté Lindgren. — Non possiamo parlare di simultaneità in condizioni come le nostre.

— Ma dal punto di vista psicologico non è affatto priva di senso — rispose Telander. — A Beta Virginis avremmo potuto avere un contatto, anche se minimo, con la nostra patria. Avremmo pensato che i giovani che ci eravamo lasciati dietro, dati i trattamenti per la longevità, fossero ancora vivi. Se avessimo dovuto tornare, certamente sarebbe rimasta tra noi e i terrestri una certa continuità di rapporti sufficiente a non farci sembrare al nostro arrivo totalmente estranei. Ma ora… il fatto che, in un certo senso — sia esso matematico o meno — i bambini che abbiamo visto in culla siano, nella migliore delle ipotesi, già quasi alla fine della loro esistenza… ci ricorda in modo fin troppo crudo che non potremo mai più ricuperare anche solo in minima parte ciò che una volta abbiamo amato.

— Mmm… lo penso anch’io. È come osservare qualcuno che ti sta a cuore morire a poco a poco per qualche malattia cronica. Non sei sorpreso quando arriva la fine; eppure, è la fine. — Lindgren batté le palpebre. — Dannazione!

— Devi fare tutto ciò che ti è possibile per aiutarli in questo periodo — disse Telander. — Tu sai meglio di me come.

— Tu stesso potresti fare molto.

Telander scosse la testa. — Meglio di no. Al contrario, ho deciso di ritirarmi.

— Che cosa vuoi dire con questo? — chiese Lindgren con aria leggermente allarmata.

— Nulla di drammatico — rispose il capitano. — Il mio lavoro con gli ingegneri e gli ufficiali di rotta, in queste imprevedibili circostanze, occupa una piccola parte delle mie ore di veglia. Ciò mi servirà a nascondere il mio graduale allontanamento dalla vita sociale dell’astronave.

— E perché mai?

— Ho parlato varie volte con Charles Reymont. Ha fatto un’osservazione eccellente — ha toccato un punto cruciale, credo. Quando l’incertezza ci circonda, quando la disperazione è sempre in attesa di sopraffarci… la persona media a bordo dell’astronave deve avere l’impressione che la sua vita si trovi affidata a mani competenti. Naturalmente, nessuno consciamente vorrà ammettere che il capitano è infallibile, ma c’è una necessità inconscia di una simile atmosfera. E io… io ho la mia parte di debolezza e stupidità. I miei giudizi, a livello umano, non possono reggere a un collaudo quotidiano in un’atmosfera di grande tensione.

Lindgren sembrò piegarsi su se stessa, nel suo sedile. — E che cosa vuole da te il commissario?

— Che la smetta di agire su un piano informale, privato. Addurremo la scusa che tutta la mia attenzione deve concentrarsi sul modo di farci passare sani e salvi tra gli ammassi nebulosi e stellari della galassia. È una scusa ragionevole, verrà accettata. Finirò per consumare i miei pasti da solo, qui, tranne che in occasione di cerimonie particolari. Passerò qui, da solo, anche il mio tempo libero e qui farò gli esercizi per mantenermi in buona forma fisica. Gli unici visitatori personali che riceverò saranno gli ufficiali di più alto rango, come te, Ingrid. Voi rispetterete le formule d’etichetta. Tramite i suoi collaboratori Reymont passerà parola che tutti d’ora in poi dovranno rivolgersi a me con formale cortesia.

«In poche parole, il tuo buon amico dai capelli grigi Lars Telander sta per tramutarsi nel Gran Vecchio.

— Sembra che Reymont abbia qualche piano particolare in mente — esclamò amaramente Lindgren.

— Mi ha convinto che è la cosa migliore da fare — replicò il capitano.

— Senza pensare alle conseguenze che un simile stato di cose potrebbe avere su di te!

— Me la caverò. Non sono mai stato un tipo molto socievole. Abbiamo molti libri nella nostra biblioteca a microfilm che da sempre desideravo leggere. — Telander le rivolse uno sguardo franco. Sebbene l’aria nella stanza stesse raggiungendo il momento più tiepido del suo ciclo e profumasse appena di fieno falciato di fresco, la leggera peluria sulle braccia della donna era irta. — Anche tu hai un ruolo, Ingrid. Dovrai occuparti dei problemi umani più di prima. Organizzazione, mediazione, conforto… non sarà facile.

— Non posso farlo da sola. — La sua voce tremò.

— Lo puoi, se devi — replicò il capitano. — In pratica, puoi delegare o stornare molto del tuo lavoro. È soltanto una questione di opportuna pianificazione. Prenderemo le decisioni necessarie man mano che il viaggio prosegue.

Esitò. Sembrò un po’ a disagio e le guance gli si colorirono leggermente. — Ah… a questo proposito devo dirti una cosa…

— Sì? — disse Lindgren.

Il campanello della porta lo salvò. Telander prese il vassoio con il caffè dalle mani del cuoco, lo trasportò fino al suo tavolo e versò il liquido nelle tazze. Ciò gli permetteva di voltare le spalle alla donna.

— Nella tua posizione — disse, — cioè, nella tua nuova posizione, data la necessita di assegnare a ogni ufficiale un suo status speciale… Non avrai bisogno di startene in disparte come me, ovviamente… ma una certa limitazione di, be’, accessibilità…

Non poté vedere se era un reale divertimento a colorire così la voce di Ingrid. — Povero Lars! Vuoi dire che il primo ufficiale non dovrebbe cambiare amante così spesso, vero?

— Be’, non suggerisco… ah, il celibato. Io stesso devo, naturalmente, astenermi da tali cose d’ora in poi. Nel tuo caso… be’, la fase sperimentale è ormai superata per la maggior parte di noi. Si stanno formando relazioni stabili. Se tu potessi fartene una…

— Posso fare di meglio — disse Lindgren. — Posso starmene da sola.

Telander non poteva più rimandare il momento di porgerle la tazza. — Ciò non è strettamente richiesto — balbettò.

— Grazie. — La donna aspirò la fragranza del caffè. I suoi occhi si strinsero mentre fissava Telander sopra l’orlo della tazza. — Non dobbiamo essere assolutamente abate e suora, noi due. Il capitano ha bisogno di un colloquio privato una volta ogni tanto con il suo primo ufficiale.

— Ehm… no. Sei molto cara, Ingrid, ma è meglio di no. — Telander camminò avanti e indietro nello spazio ristretto della sua cabina. — In una comunità piccola e ammassata come questa, quanto a lungo si riuscirebbe a mantenere un segreto? Io non posso rischiare un’accusa di ipocrisia. E anche se… amerei molto averti come partner fissa… non è una cosa possibile. Tu devi essere l’anello di collegamento tra chiunque altro e me: e non la mia… la mia diretta collaboratrice. Mi capisci? Reymont l’ha spiegato meglio.

L’allegria di Ingrid scomparve. — Comunque non mi piace il modo in cui ti ha manovrato.

— Egli ha una vasta esperienza di situazioni critiche. I suoi argomenti sono validi. Possiamo esaminarli dettagliatamente.

— Lo faremo. Dev’esserci una logica intrinseca… quali che siano i motivi. — Lindgren bevve un sorso di caffè, si appoggiò la tazza in grembo e dichiarò, con voce tagliente:

— Per quanto mi riguarda, va bene. Sono comunque stanca di tutta questa storia, un po’ infantile. Hai ragione, sta venendo di moda la monogamia e le scelte di una ragazza sono estremamente limitate. Avevo già pensato di smetterla. Anche Olga Sobieski è del mio parere. Dirò a Kato di scambiare con lei la sua metà cabina. Una certa calma e freddezza saranno bene accette, Lars, dobbiamo avere la possibilità di pensare a molte cose, ora che abbiamo realmente superato la boa dei cento anni.


La Leonora Christine era puntata in una direzione ben lontana da quella della Vergine, ma non ancora in quella del Sagittario. Soltanto dopo aver ruotato quasi a metà attorno alla galassia, la maestosa spirale del suo cammino l’avrebbe colpita nel suo stesso centro. Al momento le nebulose del Sagittario restavano fuori dalla visuale degli astronauti. Ciò che si trovava davanti a loro era una realtà ipotetica, non conosciuta. Gli astronomi si aspettavano un volume di spazio limpido, quasi privo di pulviscolo o di gas, che avrebbe ospitato un’affollata popolazione di antiche stelle. Ma nessun telescopio era riuscito a vedere oltre le nuvole che circondavano quel regno e nessuno vi era penetrato per rendersi conto di persona.

— A meno che una spedizione non sia stata inviata dalla Terra dopo la nostra partenza — suggerì il pilota Lenkei. — Sono trascorsi secoli, secondo il tempo terrestre. Immagino che stiano facendo scoperte meravigliose.

— Certamente non staranno inviando sonde al centro della galassia — obiettò il cosmologo Chidambaram. — Trenta millenni per arrivarci e altrettanto per rimandare indietro il messaggio? Non ha senso. Immagino che l’uomo si propagherà nello spazio, colonia dopo colonia.

— Sempre che non sia riuscito a costruire mezzi più veloci della luce — disse Lenkei.

Il viso dalla carnagione scura e il corpo dall’ossatura minuta rispecchiarono un disprezzo di cui egli non aveva mai dato prova a tal punto. — Che ipotesi fantastica! Se vuoi scrivere da capo tutto ciò che abbiamo imparato da Einstein in poi — no, da Aristotele in poi, considerando la contraddizione logica insita in un segnale che sia privo di un limite di velocità — continua.

— Non è il mio genere. — La snellezza da levriere di Lenkei sembrò di colpo emaciata. — D’altronde, non mi piacerebbe una velocità maggiore di quella della luce. L’idea che altri possano volare da una stella all’altra come uccelli — come me da città a città quando ero sulla Terra — mentre noi stiamo chiusi in questa gabbia… sarebbe troppo crudele.

— Il nostro destino non può essere mutato dalla loro fortuna — replicò Chidambaram. — Anzi, l’ironia darebbe ad esso un’altra dimensione, un’altra sfida, se preferisci.

— Ho ricevuto più sfide di quante ne volessi — esclamò Lenkei.

I loro passi risuonavano sui gradini e su per la rampa delle scale. Stavano risalendo da una stanza a livello più basso, dove Nilsson aveva convocato Foxe-Jameson e Chidambaram per udire il loro parere a proposito del disegno di un grande reticolo a diffrazione cristallina.

— Per te è più facile — proruppe il pilota con veemenza. — Tu servi davvero a qualcosa. Tutti noi dipendiamo dalla tua équipe. Se voi non riuscite a produrre nuovi strumenti per noi… Che cosa rappresento io, finché non raggiungeremo un pianeta dove ci sia bisogno di trasporti e veicoli spaziali?

— Tu ci aiuti a costruire questi strumenti, o lo farai quando ne avremo preparato i piani — disse Chidambaram.

— Sì, mi sono messo a far pratica con Sadek. Tanto per impiegare in Qualche modo questo dannato tempo inoperoso. — Lenkei riprese il controllo di sé. — Mi dispiace. Questo è un atteggiamento di cui dovremo liberarci, lo so. Mohandas, posso farti una domanda?

— Certo.

— Perché hai voluto far parte di questa spedizione? Oggi sei una persona importante, ma se non avessimo avuto quell’incidente… non avresti potuto portare avanti le tue scoperte sull’universo rimanendo sulla Terra? Sei un teorico, mi hanno detto. Perché non lasciare che a raccogliere i dati siano uomini come Nilsson?

— Non sarei vissuto tanto a lungo da poter fare qualcosa di valido con i rapporti che sarebbero giunti da Beta Virginis. Sembrava che ci fosse un’intrinseca validità nel fatto che uno scienziato del mio tipo si esponesse a esperienze e impressioni completamente nuove. Avrei potuto verificare cose che altrimenti non mi sarebbe stato possibile controllare. Se fosse avvenuto il contrario, la perdita sarebbe stata minima e, nella peggiore delle ipotesi, avrei continuato a pensare praticamente come sulla Terra.

Lenkei si accarezzò il mento. — Sai — disse, — sospetto che tu non abbia bisogno di utilizzare la cabina dei sogni.

— Può darsi. Ti confesso che trovo tale procedimento privo di dignità.

— Ma allora, per l’amor di Dio, perché?

— Questione di regolamento. Dobbiamo ricevere tutti il trattamento. Io ho chiesto l’esonero, ma il commissario Reymont ha convinto il primo ufficiale Lindgren che un privilegio, anche se giustificato, avrebbe stabilito un fastidioso precedente.

— Reymont! Ancora quel bastardo!

— Può aver ragione lui — disse Chidambaram. — A me non fa certo male, a meno che non si consideri l’interruzione che provoca nello sviluppo dei miei pensieri, ma la cosa si verifica troppo raramente per costituire un reale handicap.

— Uhm! Sei più paziente di me.

— Sospetto che lo stesso Reymont debba far forza su se stesso per costringersi a entrare nella cabina dei sogni — osservò Chidambaram. — Ci va soltanto raramente, come permesso. Hai osservato, inoltre, che qualche volta beve ma mai al punto di ubriacarsi? Credo che si senta in obbligo, forse per qualche celato timore, di mantenere il proprio controllo.

— È così. Sai che cosa mi ha detto la settimana scorsa? Avevo preso in prestito un pezzo di lamiera di rame, l’avrei rimesso subito in circolo tramite la fornace e la fresa rotante, non appena avessi finito di adoperarlo, perciò non mi ero preoccupato di registrare tale prestito. Quel bastardo mi ha detto…

— Dimenticatelo — lo consigliò Chidambaram. — Ha un punto a suo favore. Non siamo su un pianeta e ogni cosa che perdiamo è persa per sempre. È meglio non correre rischi; e non si può negare che abbiamo tutto il tempo a nostra disposizione per espletare le procedure burocratiche. — Arrivarono all’ingresso del piano dove si trovavano le stanze dedicate ai passatempi. — Eccoci.

Si diressero verso le cabine ipnoterapeutiche. — Mi auguro che la tua esperienza sia piacevole, Matyas — disse Chidambaram.

— Anch’io. — Lenkei ammiccò. — Là dentro ho avuto alcuni terribili incubi. — Poi, eccitandosi: — E anche un bel po’ di divertimento!

Le stelle stavano diventando sempre più rare. La Leonora Christine non stava passando da un braccio a spirale della galassia a un altro — non ancora: era in una zona di relativo vuoto. Per mancanza di massa da immettere, la sua accelerazione diminuì. Tale condizione era soltanto temporanea, tanto ridotto era il suo tau: alcune centinaia di anni cosmici. Ma, per un certo periodo, gli schermi visivi rivolti a tribordo rivelarono soprattutto una notte nera.

Una certa parte dell’equipaggio lo trovò preferibile alle bizzarre forme e ai colori che risplendevano a babordo.


Arrivò un altro giorno del Patto. Le cerimonie e la festa che seguì furono meno tristi di quanto ci si sarebbe aspettati. Lo shock e l’infelicità erano stati smussati dal tran-tran quotidiano. In quel momento il sentimento dominante era la sfida.

Non tutti parteciparono alle celebrazioni. Elof Nilsson, per citare un caso, rimase nella cabina che divideva con Jane Sadler. Passò la maggior parte del tempo a fare disegni e calcoli per il suo telescopio esterno. Quando il cervello fu troppo stanco per continuare, consultò il catalogo della biblioteca in cerca di un’opera narrativa. Il romanzo che finalmente scelse, tra circa mille disponibili, si rivelò avvincente. Non l’aveva ancora finito quando Jane tornò.

Nilsson sollevò gli occhi, iniettati di sangue per la fatica. Fatta eccezione per lo schermo di lettura, la stanza era al buio. La donna rimase in ombra, massiccia, vistosa, leggermente vacillante.

— Buon Dio! — esclamò Nilsson. — Sono le cinque del mattino!

— Te ne sei finalmente reso conto? — Sadler sogghignò. Il puzzo di whisky che le aleggiava intorno raggiunse le narici di Nilsson, insieme a un profumo di muschio. L’uomo aspirò un po’ di tabacco, un lusso che occupava gran parte del suo bagaglio permesso.

— Non tocca a me essere di servizio tra tre ore — esclamò poi.

— Neanche a me. Ho detto al mio capo che volevo un permesso di una settimana. Ha acconsentito. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Chi altri ha?

— Che atteggiamento è questo? Pensa se altri da cui dipende la vita dell’astronave si comportassero allo stesso modo.

— Tetsuo Iwamoto… anzi, Iwamoto Tetsuo: i giapponesi mettono prima il cognome, come i cinesi… come gli ungheresi, lo sapevi? … tranne quando vogliono essere gentili con noi occidentali ignoranti… — Sadler riuscì a riprendere il filo del discorso. — È piacevole lavorare con un uomo come lui. Per un po’ può cavarsela senza di me. Allora, perché no?

— Eppure…

La donna alzò un dito. — Non voglio essere rimproverata, Elof. Hai capito? Mi è venuto un complesso di inferiorità nei tuoi confronti maggiore di quanto avrebbe dovuto essere. E anche qualcos’altro. Pensavo che forse il resto di te sarebbe cresciuto tanto da eguagliare quel tuo quoziente intellettuale. Il troppo è troppo. Bisogna approfittare della situazione finché si può.

— Sei ubriaca.

— Un po’. — Poi, con voce allegra: — Avresti dovuto venire.

— Perché mai? Perché non dovrei confessare che sono stanco di vedere le stesse facce, di compiere gli stessi atti, di fare le stesse sciocche conversazioni? E non sono il solo a pensarlo.

Alla donna sembrò venir meno la voce. — Sei stanco di me?

— Perché… — La figura di Nilsson si sollevò lentamente. — Che cosa c’è, mia cara?

— Non mi hai proprio coperta d’attenzioni, in questi ultimi mesi.

— No? No, forse no. — Picchiò un pugno sul piano del tavolo. — Ero preoccupato.

Jane inspirò profondamente. — Te lo dirò senza mezzi termini. Stasera sono stata con Johann.

— Freiwald? Il macchinista? — Nilsson rimase senza parole per un minuto intero, scandito soltanto dal ronzare dei motori. La donna aspettò. Ormai la sbronza le era passata. Alla fine Nilsson disse, con difficoltà, con lo sguardo rivolto alle dita che tamburellavano: — Be’, ne hai il diritto legale e certamente anche morale. Io non sono un giovane e aitante animale. Io sono… ero… più orgoglioso e felice di quanto sono riuscito a farti capire allorché hai acconsentito a essere la mia compagna. Ho lasciato che tu mi insegnassi molte cose che prima non capivo. Probabilmente non sono stato l’allievo più esperto che chiunque abbia mai avuto.

— Oh, Elof!

— Tu mi lasci, non è così?

— Siamo innamorati, lui e io. — La vista le si fece confusa. — Pensavo che a te importasse molto.

— Non avresti preso in considerazione un prudente… No, la discrezione non è possibile. Inoltre, non ci saresti stata. E, quanto a me, ho il mio orgoglio. — Nilsson si sedette di nuovo e cercò la scatola del tabacco. — Ora è meglio che tu vada. Puoi portar via le tue cose più tardi.

— Così su due piedi?

— Esci! — urlò Nilsson.

La donna fuggì piangendo, ma con passi brevi e nervosi.


La Leonora Christine rientrò nella zona popolata. Passando a cinquanta anni-luce da un gigantesco sole appena nato, attraversò l’involucro di gas che lo circondava. Gli atomi, essendo ionizzati, venivano catturati con la massima efficienza. Il valore di tau piombò verso lo zero asintotico: e, con esso, il suo ritmo temporale.

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