CAPITOLO DICIASSETTESIMO

La luce cominciò a scintillare davanti a loro, una distribuzione sparsa di punti simili a stelle che crescevano, di numero e in luminosità, fino al massimo splendore. Il loro dominio si estendeva sempre più; in quello stesso momento il videoscopio mostrava che stavano occupando quasi metà del cielo; e quella zona cresceva ancora e diventava più brillante.

A formare quelle strane costellazioni non erano stelle; erano, all’inizio, intere famiglie di galassie che si raggruppavano in clan. Più tardi, mentre l’astronave avanzava, si ruppero in ammassi stellari e infine in membri separati.

La ricostruzione fatta attraverso il videoscopio di questa visione quale sarebbe apparsa a un osservatore fisso era soltanto approssimativa. Dagli spettri ricevuti, un computer calcolava quale dovesse essere la contrazione in base all’effetto Doppler e quindi l’aberrazione, e faceva le rettifiche corrispondenti. Ma non erano altro che valutazioni approssimative.

Si credeva che quel clan si trovasse a circa trecento milioni di anni-luce da casa. Ma non esistevano carte per queste profondità, né standard di misura. La probabilità d’errore nel valore derivato di tau era enorme. Fattori come l’assorbimento non comparivano affatto nel lavoro di riferimento che si faceva a bordo dell’astronave.

La Leonora Christine avrebbe potuto cercare una destinazione meno remota, per la quale disponeva di tabelle, di dati più sicuri. Ma — avendo presente che a valori ultra-bassi di tau l’astronave non era molto maneggevole — una simile rotta l’avrebbe portata attraverso una regione meno ricca di materia, nel clan composto dalla Via Lattea, Andromeda e la Vergine. Avrebbe ottenuto così una velocità inferiore; mentre ora stava sfrecciando a una velocità così prossima a c che ogni incremento rappresentava una differenza significativa. Paradossalmente, facendo riferimento al tempo a bordo dell’astronave, ne avrebbero impiegato di più per giungere al più vicino obiettivo possibile che per arrivare a quella lontana destinazione.

E non si sapeva neppure quanto a lungo avrebbero potuto resistere i passeggeri dell’astronave.

L’allegria prodotta dall’avvenuta riparazione del deceleratore fu di breve durata. Infatti nessuna delle due metà del modulo Bussard poteva funzionare nello spazio tra i clan. Qui il gas primordiale era alla fine diventato troppo rarefatto. Perciò la nave avrebbe dovuto andare per settimane a motore spento su una traiettoria scelta dalla fantastica legge balistica della relatività. All’interno dello scafo c’era l’imponderabilità. Alcuni avevano fatto presente la possibilità di servirsi dei propulsori laterali a ioni per imprimere un movimento rotatorio all’astronave e produrre così una pseudogravità centifruga. Ma, nonostante le sue dimensioni, ciò avrebbe generato effetti radiali e di Coriolis che erano troppo fastidiosi. L’astronave non era stata disegnata per sopportare tali inconvenienti, né i suoi passeggeri erano stati addestrati a tanto.

Dovevano perciò sopportare le settimane che passavano, mentre fuori trascorrevano epoche geologiche.


Reymont aprì la porta della sua cabina. La stanchezza l’aveva reso disattento. Appoggiandosi un po’ troppo pesantemente alla paratia, lasciò andare la presa manuale e fu sospinto via. Per un attimo roteò a mezz’aria. Poi andò a sbattere contro la parete opposta del corridoio, si diede una spinta e ripiombò dall’altra parte. Una volta all’interno della cabina, riuscì ad afferrare un’altra sbarra di sostegno prima di chiudersi la porta alle spalle.

A quell’ora, si aspettava che Chi-Yuen Ai-Ling fosse addormentata. Ma la donna fluttuava sveglia nella cabina, alcuni centimetri sopra i loro letti riuniti, ancorata al suolo da un cavo. Non appena Reymont entrò, ella spense lo schermo collegato alla biblioteca con una tale sveltezza da far capire che in realtà non stava prestando molta attenzione al libro che vi veniva proiettato.

— Neanche tu? — La domanda di Reymont rimbombò nella cabina. Da tanto tempo si erano abituati al pulsare del motore e alla forza d’accelerazione che la caduta libera riempiva l’astronave di silenzio.

— Cosa? — Il sorriso di Chi-Yuen era forzato e turbato. Ultimamente avevano avuto scarsi rapporti. Reymont aveva troppo lavoro da sbrigare, in quelle mutate condizioni: organizzare, ordinare, blandire, predisporre, pianificare. Si recava nella sua cabina soltanto per approfittare di quel minimo di riposo di cui gli era possibile godere.

— Sei diventata anche tu incapace di riposare a gravità zero? — egli le chiese.

— No. Cioè, posso riposare. Uno strano tipo di sonno, leggero, popolato di sogni, ma dopo sembro stranamente riposata.

— Bene — sospirò Reymont. — Si sono verificati altri due casi.

— Di insonnia, vuoi dire?

— Sì. Al limite del collasso nervoso. Ogni volta che riescono a prendere sonno, lo sai, si svegliano di nuovo gridando. Incubi. Non sono sicuro se sia stata l’imponderabilità da sola a far questo o se è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non lo sa neppure Urho Latvala. Sono stato proprio ora a parlare con lui. Voleva la mia opinione su che cosa si debba fare, ora che sta per rimanere a corto di psicodroghe.

— Che cosa gli hai suggerito?

Reymont fece una smorfia. — Gli ho indicato chi, a mio parere, doveva averle incondizionatamente e chi invece poteva sopravvivere senza, almeno per un po’.

— Il guaio non è soltanto l’effetto psicologico, te ne sarai reso conto — disse Chi-Yuen. — È la fatica. Pura stanchezza fisica, per dover cercare di far qualcosa in un ambiente in cui la gravità è zero.

— Certo. — Reymont accavallò una gamba attorno alla sbarra per mantenersi fermo e cominciò a togliersi i vestiti. — Uno sforzo del tutto inutile. Gli astronauti di professione, oltre a te e a me e a pochi altri, sanno come cavarsela. Non arriviamo allo sfinimento per il solo tentativo di coordinare i muscoli. Sono quegli scienziati abituati a stare sempre con i piedi per terra che si sfiancano.

— Quant’altro tempo ci vorrà, Charles?

— In simili condizioni? Chissà! Hanno previsto di riattivare domani i campi di forza, alla minima potenza dell’apparato energetico interno: una precauzione, nel caso dovessimo colpire del materiale più denso prima di quanto ci si aspetti. L’ultima valutazione che ho sentito, a proposito del momento in cui dovremmo raggiungere i margini esterni del clan, è una settimana.

La donna sembrò rilassarsi, sollevata. — Possiamo sopportarlo. E poi… cercheremo la nostra nuova patria.

— Speriamolo — brontolò Reymont. Mise via gli abiti, rabbrividì leggermente anche se l’aria era tiepida e prese un pigiama.

Chi-Yuen trasalì. Il suo fluttuare nell’aria si fermò con uno scossone perché il cavo che la teneva era teso al massimo. — Che cosa vuoi dire con questo? Non lo sai con certezza?

— Ascolta, Ai-Ling — rispose Reymont in tono esausto, — tu sei stata informata come chiunque altro dei nostri problemi di strumentazione. Come diavolo puoi aspettarti una risposta esatta a ogni cosa?

— Mi dispiace…

— Gli ufficiali sono da biasimare se i passeggeri non prestano ascolto ai loro rapporti, se non vogliono capire? — La voce di Reymont si alzò di tono, piena di rabbia. — Alcuni di voi stanno di nuovo crollando. Altri si sono barricati dietro l’apatia, o la religione, o il sesso o qualunque altra cosa, finché nulla più viene registrato nella loro memoria. La maggior parte di voi… be’, era salutare impegnarsi su quei progetti R D, ma poi è diventata una reazione di difesa, un altro modo di restringere il campo delle cose cui prestare attenzione fino a escludere il grande universo cattivo. E ora che la caduta libera vi impedisce di continuare questo lavoro, voi allo stesso modo vi trascinate nelle vostre graziose tane. — Inveì: — Avanti, fate quel che volete. Bastardi tutti quanti siete. Soltanto, non venite più a tormentarmi. Hai sentito?

Si infilò il pigiama, si portò fino al letto e si agganciò la cintura di sicurezza attorno alla vita. Chi-Yuen si mosse verso di lui per abbracciarlo.

— Oh, amore — sussurrò. — Mi dispiace. Sei tanto stanco, è vero?

— È dura per tutti noi — replicò Reymont.

— Soprattutto per te. — Le dita della donna seguirono il contorno degli zigomi che si profilavano sotto la pelle tesa, le profonde rughe, gli occhi incavati e striati di sangue. — Perché non rispondi?

— Mi piacerebbe.

Chi-Yuen manovrò il corpo dell’uomo in modo che assumesse una posizione distesa, poi gli si fece ancora più vicina. I suoi capelli fluttuavano sul viso di Reymont, odorosi di sole terrestre. — Provaci — disse la donna. — Puoi farcela. Per te non è piacevole non sentire più il peso del corpo?

— Sì… sì, in un certo senso… Ai-Ling, tu conosci molto bene Iwasaki. Pensi che riesca a tirare avanti senza tranquillanti? Il dottore e io non ne siamo sicuri.

— Zitto. — Il palmo della mano femminile gli coprì la bocca. — Non dire più nulla.

— Ma…

— No, non ti risponderò. La nave non cadrà a pezzi se tu ti concederai una notte di sonno.

— Be’… sì, forse.

— Chiudi gli occhi. Lasciami accarezzare la tua fronte… qui. Non va già meglio? Ora pensa a cose piacevoli.

— Per esempio?

— Hai dimenticato? Pensa alla Terra. No, questo è meglio di no, suppongo. Pensa alla casa che troveremo. Cielo azzurro, un sole caldo, la luce che filtra tra le foglie, sfaccetta l’ombra, guizza sull’acqua di un fiume; e il fiume scorre, scorre, scorre, cantandoti di dormire.

— Um-m-m.

Lo baciò molto lievemente. — La nostra casa. Un giardino. Strani fiori colorati. Oh, ma vi pianteremo anche i semi portati dalla Terra, rose, caprifogli, meli, rosmarino, in ricordo. I nostri bambini…

Reymont si scosse. L’inquietudine era tornata in lui. — Aspetta un attimo, non possiamo prendere impegni personali. Non ancora. Potresti non volere, uh, alcun dato uomo. Io ti voglio bene, naturalmente, ma…

La donna gli chiuse le palpebre prima che egli riuscisse a scorgere il dolore sul suo viso. — Stiamo sognando a occhi aperti, Charles — disse Ai-Ling, con una risata sorda, — smettila di essere così solenne e ufficiale. Pensa soltanto ai bambini, ai bambini di chiunque, che giocano in un giardino. Pensa al fiume. Foreste. Montagne. Canti di uccelli. Pace.

Reymont strinse con un braccio la sua figura sottile. — Sei una brava persona.

— E tu sei tu. Una brava persona che dovrebbe essere stretta al seno. Vuoi che ti canti qualcosa per indurti al sonno?

— Sì. — Le sue parole stavano incominciando a diventare confuse. — Per favore. Mi piace la musica cinese.

La donna continuò a carezzargli la fronte mentre tirava il fiato.

In quel momento il circuito di comunicazione fonica interna si chiuse. — Commissario — disse la voce di Telander, — lei è lì?

Reymont si svegliò di colpo. — No — lo pregò Chi-Yuen.

— Sì — disse Reymont, — sono qui.

— Può venire sul ponte di comando? È qualcosa di confidenziale.

— Sì, subito. — Reymont si slacciò la cintura e si sfilò il pigiama dalla testa.

— Non possono concederti cinque minuti di riposo, è vero? — esclamò Chi-Yuen.

— Dev’essere una cosa seria — le rispose Reymont. — Non parlarne con nessuno finché non mi avrai rivisto o sentito. — Con pochi rapidi gesti si era rimesso l’abito e le scarpe ed era pronto a uscire.

Telander lo stava aspettando e con lui c’era, stranamente, Nilsson. Il capitano aveva l’aspetto di uno che fosse stato colpito da un pugno allo stomaco. L’astronomo aveva un’aria eccitata ma non aveva perso interamente l’autocontrollo di cui aveva dato prova negli ultimi mesi. Stringeva convulsamente un foglio di carta coperto di scritte.

— Difficoltà di navigazione, eh? — dedusse Reymont. — Dov’è Boudreau?

— Non è direttamente interessato a quanto sto per dirle — esclamò Nilsson. — Stavo esaminando al calcolatore il significato delle osservazioni che ho potuto fare grazie agli ultimi strumenti messi a punto. Ho raggiunto una, ehm, frustrante conclusione.

Reymont afferrò con una mano una maniglia e rimase immobile, guardando i due uomini. La luce al fluoro gettava ombre sul viso incavato. Le striature grige che erano apparse da poco tempo nei suoi capelli spiccavano intensamente per contrasto. — Non possiamo andare in quel clan galattico che si trova davanti a noi — pronosticò.

— Esatto — biascicò Telander.

— No, non è propriamente esatto — esclamò Nilsson in tono pignolo. — Vi passeremo attraverso. In realtà, passeremo non soltanto attraverso quella zona in generale, ma — se sceglieremo così — attraverso un buon numero di galassie in alcune delle famiglie che costituiscono il clan.

— Lei può distinguere già tanti dettagli? — si meravigliò Reymont. — Boudreau non può farlo.

— Le ho già detto che ho una nuova apparecchiatura, i cui inconvenienti sono stati ormai tutti eliminati — disse Nilsson. — Vi ricorderete che, dopo che Ingrid mi ha impartito alcune lezioni speciali, sono diventato capace di lavorare in caduta libera con un certo grado di efficienza. La precisione dei miei dati sembra anche maggiore di quella che speravamo allorché, ehm, abbiamo deciso di attuare questo progetto. Sì, ho una mappa ragionevolmente precisa di quella parte del clan che potremmo attraversare. Su tali basi, ho calcolato quali alternative si offrono a noi.

— Arrivi al punto, dannazione! — gridò Reymont. Ma subito si dominò, inspirò profondamente e disse: — Scusatemi. Sono un po’ sovraffaticato. Per favore, continui. Non appena arriveremo in una zona in cui i propulsori abbiano una quantità di materia sufficiente da essere sfruttata, perché non possiamo frenare?

— Possiamo — rispose rapidamente Nilsson. — Lo possiamo certamente fare. Ma il nostro valore inverso di tau è immenso. Si ricordi, l’abbiamo acquistato passando attraverso le zone più dense che potessimo raggiungere nelle diverse galassie, mentre seguivamo la rotta per lo spazio compreso tra i clan stellari. Era necessario, non intendo negare la saggezza di tale decisione. Eppure, il risultato è che ora siamo limitati rispetto alle strade che possiamo prendere per intersecare lo spazio occupato da questo clan. Tali strade formano un volume conoidale abbastanza stretto, come lei può immaginare.

Reymont si mordicchiò il labbro. — E risulta che in quel cono non c’è abbastanza materia.

— Esatto. — La testa di Nilsson si chinò goffamente. — Tra le altre cose, la differenza di velocità tra noi e quelle galassie, dovuta all’espansione dello spazio, riduce l’efficacia del nostro motore Bussard più di quanto riduca il grado di decelerazione richiesto.

Stava riacquistando un tono professorale: — Nella migliore delle ipotesi, riemergeremo dall’altra parte del clan — secondo una valutazione approssimativa, dopo sei mesi del tempo dell’astronave sotto decelerazione, alla meno tre o quattro. Nessun altro importante cambiamento di velocità può essere fatto nello spazio al di là, lo spazio interclan. Perciò per noi sarebbe impossibile raggiungere un altro clan — dato quell’alto valore di tau — prima di morire di vecchiaia.

La voce pomposa si interruppe, gli occhi piccoli e lucenti lo fissarono con un’aria di aspettativa. Reymont preferì incontrare il suo sguardo piuttosto che quello depresso di Telander. — Perché ha detto tutto questo a me, e non a Lindgren?

La tenerezza che traspariva dal tono di Nilsson fece di lui, per dirla in breve, un altro uomo. — Lavora terribilmente duro. Che cosa può fare lei in questo caso? Ho pensato che fosse meglio lasciarla dormire.

— Va bene, ma che cosa posso fare io?

— Darmi… darmi… un suo consiglio — esclamò Telander.

— Ma signore, il capitano è lei!

— Abbiamo già trattato quest’argomento altre volte, Carl. Io posso, be’, sì, suppongo di poter prendere le decisioni necessarie, impartire i comandi, sistemare le cose di ordinaria amministrazione per riuscire ad aprirci un varco nello spazio. — Telander tese in avanti le mani. Tremavano come foglie in autunno. — Più di questo non posso fare, Carl. Non me ne è rimasta la forza. Lei deve dare la notizia ai nostri compagni di viaggio.

— Dire loro che abbiamo fallito? — esclamò Reymont con voce rauca. — Dire loro che, malgrado tutto ciò che abbiamo fatto, siamo condannati a volare finché non impazziremo e moriremo? Non mi chiede molto, vero, capitano?

— Le notizie potrebbero non essere così catastrofiche — disse Nilsson.

Reymont cercò di ghermirlo, non ci riuscì e rimase attaccato al suo sostegno mentre una specie di rantolo gli usciva dalla gola. — Abbiamo qualche speranza? — riuscì finalmente a dire.

Il piccolo uomo grassoccio parlò con una vivacità che tramutò la sua pedanteria in una specie di squillo di tromba:

— Forse, non ho dati attendibili. Le distanze sono troppo grandi. Non possiamo scegliere un altro particolare clan galattico e puntare verso di esso. Lo vedremmo in modo troppo inesatto e attraverso una distanza di troppi milioni di anni di tempo. Però, io credo che si possa nutrire una speranza basandoci sulle leggi del caso.

«Da qualche parte, alla fine, potremo incontrare la configurazione giusta. O un clan particolarmente vasto attraverso le cui zone galattiche più dense noi potremmo far passare la nostra rotta; oppure due o tre clan abbastanza vicini l’uno all’altro, più o meno disposti in linea retta, da permetterci di attraversarli in successione; oppure ancora un solo clan la cui velocità però si riveli favorevole rispetto a noi. Capisce? Se riusciamo a incappare in qualcosa di simile, la situazione sarebbe per noi ragionevolmente positiva. Riusciremmo a frenare in alcuni anni secondo il tempo dell’astronave.

— Quali sono le probabilità? — Le parole di Reymont risuonarono seccamente.

Stavolta Nilsson scosse la testa. — Non posso dirlo. Forse non troppo favorevoli. Questo è un cosmo immenso e vario. Se continuiamo abbastanza a lungo, immagino che avremmo una probabilità finita di incontrare ciò di cui abbiamo bisogno.

— E questo "abbastanza a lungo" a quanto tempo dovrebbe corrispondere? — Reymont con un gesto gli fece cenno di tacere. — Non si preoccupi di rispondermi. So la risposta. È nell’ordine di miliardi di anni. Dieci miliardi, forse. Ciò significa che dobbiamo avere un valore di tau ancora più basso. Un tau così basso da permetterci effettivamente di circumnavigare l’universo… in alcuni anni o in alcuni mesi. E ciò, a sua volta, significa che non possiamo cominciare a rallentare allorché entreremo nel clan che ci sta di fronte. No. Dobbiamo accelerare ancora. Dopo che l’avremo attraversato… be’, potremo avere un periodo più breve da trascorrere in caduta libera di quanto sia stato l’attuale, finché colpiremo un altro clan. Anche allora, probabilmente, troveremo necessario accelerare, abbassando ancora il valore di tau. Sì, lo so, questo rende sempre più difficile trovare un posto dove poterci finalmente fermare; ma nient’altro ci offre una possibilità misurabile, non è così?

«Ritengo che dovremo sfruttare ogni opportunità di accelerazione che ci possa capitare, finché vedremo una fine del viaggio che possa fare al caso nostro, se mai ci riusciremo. Siete d’accordo?

Telander rabbrividì. — Può ognuno di noi reggere a tanto? — disse.

— Dobbiamo — affermò Reymont. Di nuovo parlò con voce piena di vivacità. — Cercheremo un modo diplomatico per rendere note queste notizie. D’altronde questa era una delle possibilità che sono state discusse quasi da tutti. Ciò aiuterà. Ho pronti alcuni uomini di cui posso fidarmi… no, non per ricorrere alla violenza. Uomini pronti a comandare, a reagire con fermezza, a incoraggiare gli altri. E ci dedicheremo a un programma generale di addestramento in condizioni di imponderabilità. Non vedo per quale ragione essa debba causarci dei guai. Insegneremo a tutti questi signori abituati a stare con i piedi per terra come cavarsela in caso di gravità zero. Come dormire. Perdio, come sperare! — Picchiò una contro l’altra le palme delle mani con un rumore simile a una detonazione.

— Non dimentichi, possiamo fare affidamento anche su alcune donne — disse Nilsson.

— Sì, certamente. Come Ingrid Lindgren.

— Proprio come lei.

— M-m-m. Temo, Elof, che dovrà andare a svegliarla. Dobbiamo convocare i nostri quadri — gli uomini dai nervi d’acciaio e quelli che sanno capire gli altri — convocarli e preparare un piano. Cominciamo a suggerire alcuni nomi.

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