CAPITOLO UNDICESIMO

Dormì per due giorni nella dimora del Re, svegliandosi soltanto due volte: la prima mangiò, e la seconda vide Raederle che seduta accanto a lui attendeva pazientemente il suo risveglio. Intrecciò le dita a quelle di lei, le sorrise un poco, poi si girò dall’altra parte e continuò a dormire. Infine si destò, fresco e riposato, nel tardo pomeriggio. Era solo. Dal vocio confuso che era penetrato nel suo dormiveglia si rese conto che nel salone della fortezza si cenava, e che probabilmente Raederle era con Danan. Si lavò e bevve un sorso di vino, ascoltando quei rumori lontani. Al di sotto di essi udì l’immenso e oscuro silenzio senza età che riempiva i cunicoli e le caverne del Monte Isig.

Si concentrò su quel silenzio finché esso formò un intreccio di corridoi nella sua mente. Poi, d’impulso, lasciò la torre, scese nel salone affollato e lo attraversò. Soltanto Raederle e Bere s’accorsero di lui e lo seguirono con gli occhi mentre passava fra i tavoli. Uscito da lì scese per un percorso che era rimasto nei suoi sogni, nei pozzi superiori della miniera. All’imbocco di un tunnel immerso nel buio staccò una torcia dal muro, e proseguì fra pareti da cui nidi di cristalli riflettevano sprazzi di luce multicolore. Senza esitare lasciò che i ricordi lo guidassero giù per un dedalo di passaggi, lungo ruscelli sotterranei e profondi crepacci, a fianco di filoni d’oro non ancora sfruttati, addentrandosi nella tenebra e nella roccia finché gli parve di sentirne l’immobilità millenaria fin nelle ossa. Più avanti avvertì la presenza di qualcosa che era perfino più antico della grande montagna. Il sentiero che seguiva si restrinse fra macigni spezzati. La luce della torcia aleggiò sulla verde lastra marmorea di una porta che già una volta s’era aperta dinnanzi a lui. E lì si fermò, incredulo.

Il terreno era cosparso di roccia sfusa. La porta oltre la quale stavano i figli morti dei Signori della Terra era spalancata, e uno dei due pesanti battenti s’era rovesciato all’interno. L’intera caverna era colma di detriti e di cristalli: la volta e le pareti erano crollate su se stesse, seppellendo del tutto ciò che restava di quelle strane pallide creature di pietra.

Si mosse verso la porta, ma non fu capace di entrare. Poggiò un avambraccio al battente e vi nascose contro il volto. Poi lasciò che i suoi pensieri fluttuassero fra le pietre, li spinse nel mucchio di frammenti di marmo, di ametista, d’oro e di granito, finché non sentì di sfiorare quello che restava di un sogno semidimenticato. Sondò più a fondo e non trovò nomi, soltanto la vaga sensazione di qualcosa che un tempo era stato vivo.

Rimase lì a lungo, immobile, appoggiato alla porta scardinata. Dopo un poco comprese il motivo per cui era sceso nelle viscere della montagna, e sentì il sangue pulsargli freddo e veloce nelle vene, come la prima volta che il destino lo aveva portato su quella soglia. Fu consapevole come mai prima d’allora della presenza della montagna sopra di sé, e del suo Re, la cui antica mente ne conteneva i più remoti recessi, la silenziosa pace ed i poteri arcani. Spinse ancora i pensieri oltre la porta e nel cuore di quell’ammasso di pietrisco sentì il marchio della mente di Danan, stampato in ogni molecola di roccia e legato alla montagna. Lasciò che il suo cervello diventasse pietra, ricca d’oro e di gemme, scavata da cunicoli, immensa. Assorbì dentro di sé ogni conoscenza della montagna, della sua grande forza, dei suoi colori intimi, e del suo punto più fragile, dove la leva d’un pensiero sarebbe bastata a distruggerla. La conoscenza divenne un legame, una parte di lui, radicata nella sua mente. Poi, cercando nella pietra, trovò ancora quella consapevolezza senza parole, la legge che legava il Re alla roccia e ne faceva il governatore della terra di ogni zolla del suo regno. Attirò dentro di sé quella consapevolezza, la spezzò, e nella pietra non rimase amalgamato nessun nome salvo il suo.

Lasciò poi che la coscienza di quel legame defluisse in un angolo remoto della sua mente e si raddrizzò, con la fronte imperlata di sudore malgrado il freddo. La torcia s’era quasi spenta, la sfiorò con un dito per riaccenderla. Si volse e vide davanti a sé Danan, massiccio e immobile come l’Isig, il volto del tutto inespressivo.

Per la sorpresa Morgon s’irrigidì. E fu costretto a chiedersi, per un istante, se potevano esistere le parole atte a spiegare ciò che aveva fatto alla roccia, prima che il peso dell’ira di Danan strappasse dal loro sonno i macigni per seppellire lì anche lui, davanti alla tomba dei bambini. Poi vide i pugni stretti del Re riaprirsi lentamente.

— Morgon! — La voce dell’uomo fu un sussurro sbigottito. — Sei stato tu a condurmi qui. Cosa stai facendo? — Vide che non rispondeva e gli toccò un braccio. — C’è qualcosa che ti spaventa. Cos’hai fatto per dover spaventare anche me a questo modo?

Dopo qualche istante Morgon si mosse. Aveva l’impressione d’essere rigido e duro come se le sue membra fossero di pietra. — Stavo imparando quelle che sono le tue leggi della terra. — Si appoggiò al battente marmoreo, lasciando che Danan lo scrutasse accigliato.

— Dove hai ottenuto questo potere? Da Ghisteslwchlohm?

— No! — esclamò lui con forza. — No! Preferirei morire piuttosto di farti questo. Io non entrerò mai nella tua mente…

— Ci sei già. L’Isig è il mio cervello, il mio cuore…

— Non infrangerò il tuo legame con la montagna. Lo giuro. Voglio semplicemente stringerne uno mio.

— Ma perché? Cosa te ne fai della conoscenza di questi alberi e di queste rocce?

— Potere. Danan, i cambiaforma sono i Signori della Terra. Non ho alcuna speranza di poterli combattere, a meno che…

Le dita del Re gli strinsero un polso come radici d’albero. — No! — disse, come anche Ghisteslwchlohm aveva detto, messo di fronte alla stessa consapevolezza. — Morgon, questo non è possibile.

Danan gli lasciò il braccio. Lentamente sedette su un cumulo di roccia sfusa. Abbassando gli occhi su di lui Morgon si chiese d’un tratto quanti anni avesse. Le sue mani, rese callose da secoli di lavoro nelle officine, ebbero un gesto impotente. — Che cosa vogliono?

— Il Supremo.

Danan lo fissò. — Ci distruggeranno. — Di nuovo afferrò il polso di Morgon. — E anche te. Che cosa cercano da te?

— Io sono il loro legame col Supremo. Non so come io sia legato a lui, né perché… so soltanto che a causa sua sono stato costretto a lasciare la mia terra, sono stato messo sotto pressione, minacciato dai poteri altrui, finché non ho assunto il potere che ho adesso. Ma il potere dei Signori della Terra sembra legato, impastoiato da qualcosa… forse dal Supremo, e questo potrebbe essere il motivo per cui lo cercano così disperatamente. Quando lo troveranno, qualunque sia l’energia che scateneranno contro di lui, tutti noi potremmo esserne distrutti. E lui se ne sta radicato al suo silenzio. È duro per me rischiare la vita e mettere a repentaglio la fiducia che gli altri hanno in me, per qualcuno che non parla neppure. Ma infine, se combatterò per lui, combatterò anche per tutti voi. — Fece una pausa, lasciando vagare gli occhi sui riflessi della torcia nei cristalli incuneati nella roccia. — Non posso importi di aver fiducia in me — mormorò. — Non quando neppure io ho questa fiducia. Tutto ciò che so è dove la logica e l’istinto mi spingono.

Dalla penombra provenne lo stanco sospiro del Re. — La fine di un’epoca… questo è ciò che mi dicesti l’ultima volta che venisti qui. Ymris è pressoché devastata. Sembra solo questione di tempo prima che la guerra dilaghi in An, in Herun, poi nel nord del reame. Io ho un esercito di minatori, la Morgol ha le sue guardie, il Lupo-Re… ha i suoi lupi. Ma cos’è questo, contro un esercito di Signori della Terra coi loro poteri? E come può un Principe di Hed, qualunque sia la conoscenza delle leggi della terra che avrai la forza di ottenere, opporsi a ciò?

— Troverò un modo.

— Come?

— Danan, io troverò il modo. Si tratta di riuscirci o di morire, e io sono troppo testardo per rassegnarmi a morire. — Sedette a fianco del Re, girando gli occhi sulla distruzione che li circondava. — Cos’è successo a questo posto? Volevo entrare nella mente dei bambini morti, vedere nei loro ricordi, ma di loro non è rimasto niente.

Danan scosse il capo. — L’ho sentito accadere, verso la fine dell’estate: un terremoto da qualche parte, al centro del mio mondo. Fu poco prima che i cambia… che i Signori della Terra venissero qui a cercarti. Non so come questo luogo sia stato distrutto, o da chi…

— Io lo so — mormorò lui. — Il vento profondo che scuote la roccia… è stato il Supremo a fare a pezzi questa caverna.

— Ma perché? Era solo il posto dove riposavano in pace.

— Non so. A meno che… lui non abbia trovato un altro posto per loro, temendo che non avrebbero avuto pace neppure qui. Non lo so. Forse riuscirò a trovarlo, se identificherò la forma in cui s’è nascosto, e allora glielo domanderò.

— Se riuscirai a tanto, e basterebbe questo, ripagherai ogni governatore della terra per qualsiasi potere tu voglia prendere dal reame. Se non altro moriremo sapendone il perché. — Si tirò in piedi e gli batté una mano su una spalla. — Capisco quello che stai facendo. Per combattere i Signori della Terra hai bisogno del potere di un Signore della Terra. Se vuoi prenderti una montagna sulle spalle, ti darò l’Isig. Il Supremo non ci dà che il silenzio, tu ci dai una speranza impossibile.

Il Re lo lasciò solo. Morgon gettò al suolo la torcia e attese di vederla spegnersi. Poi restò immobile, senza ribellarsi alla propria cecità ma anzi aspirando la tenebra della montagna dentro di sé, finché essa gli trasudò dalla mente nel midollo delle ossa. I suoi pensieri brancolarono nella roccia che lo circondava, scivolarono nei cunicoli, nelle fessure da cui giungeva l’aria, lungo le nere acque sotterranee. Scavò nell’eterna notte della montagna e la plasmò nel suo subconscio. Spinse la mente nel solido granito, la espanse nei filoni, nelle silenziose e profonde cavità dei laghi, finché sentì la terra che in superfice copriva la roccia e da sotto raggiunse le radici degli alberi. La sua coscienza tornò nelle viscere dell’Isig e fluttuò senza requie avanti e indietro. Sfiorò i pensieri di pesci ciechi e di strani insetti che vivono in un loro mondo immutabile. Divenne il topazio incastonato nel basalto che la cauta picozza di un minatore stava liberando, penzolò a testa in giù nel cervello di un pipistrello. La sua forma umana si smaterializzò nell’eterno silenzio delle molecole, si alleggerì nell’aria, tornò ad appesantirsi nei filoni auriferi e nelle gemme. Non avrebbe più saputo dire dov’era il suo cuore. Quando lo cercò in una massa di basalto sentì la presenza di un altro nome, di un altro cuore.

Non volle disturbare quel nome, legato a ogni frammento della montagna. Pian piano, senza contare le ore che trascorrevano, toccò ogni livello dell’Isig vagando attraverso le miniere, il granito e le caverne, che come i pensieri più intimi di Danan celavano una loro bellezza segreta. Quando le ore divennero giorni non se ne accorse. La sua mente risalì dalle profondità dell’Isig verso la cima, e infine sbucò nella luce dei picchi ammantellati dalla prima neve dell’inverno.

Si sentiva poderoso ed enorme come la montagna. La sua coscienza ne aveva le dimensioni e il peso. Dentro di lui, in un minuscolo luogo buio e lontano, il suo corpo giaceva come un pezzo di roccia sul pavimento di un cunicolo. Gli parve di rivederlo dall’alto, e di non saper più come costringere in essi l’immensità dei propri pensieri. Alla fine, stanco, lasciò che qualcosa di simile agli occhi si chiudesse in lui, e scivolò in un sonno di nuovo umano.

A destarlo furono due mani che lo afferrarono nelle tenebre, girandolo a pancia sopra. Prima ancora di riaprire gli occhi disse: — Tutto bene. Ho appreso la legge della terra di Isig. Se schioccassi le dita potrei averne il governo della terra. È questo che stavi per domandarmi?

— Morgon!

Sbatté le palpebre. In un primo momento gli parve che l’alba si fosse infiltrata fin sotto la montagna, poiché le pareti ed il volto rugoso e cieco di Yrth erano pervasi da una pallida luminescenza. Poi sussurrò: — Vedo nel buio!

— Hai inghiottito una montagna. Ce la fai ad alzarti? — Le larghe mani lo tirarono in piedi senza attendere la risposta. — Dovresti provare ad avere un po’ di fiducia in me. Hai già tentato tutto il resto. Fai qualche passo.

Lui aprì la bocca per parlare, ma la mente del mago riempì la sua con l’immagine di una delle stanze della torre, illuminata dal focolare. Fece il passo che gli era stato ordinato, oltrepassò la soglia e vide Raederle. La giovane donna sedeva, suonando un flauto datole da qualche artigiano, e nel vederlo entrare lo abbassò sorridendo. Ma appariva stanca e pallida. Lui si chinò a baciarla.

— Devi averne fin sopra i capelli di aspettare che io mi svegli.

— Ho tanta voglia di parlare con te — rispose, speranzosa. — Ma tu non fai che dormire, oppure svanisci. Yrth è stato quasi sempre qui in questi giorni. Ho letto per lui dei vecchi libri di magia.

— È stato gentile, da parte tua.

— Morgon, mi ha chiesto lui di farlo. Io desideravo disperatamente parlargli, ma non potevo. All’improvviso sembrava che non ci fosse più nulla di cui parlare… finché lui usciva. Penso che dovrò studiare la magia. Loro sapevano molti strani incantesimi, ancor più delle streghe. E tu sai quello che stai facendo? Oltre che ammazzare quasi te stesso.

— Sto facendo ciò che mi dicesti di fare. Gioco una gara di enigmi. — Si scostò, improvvisamente affamato come un lupo, ma trovò soltanto del vino. Ne bevve un boccale, intanto che lei andava alla porta a parlare coi minatori messi in guardia. Se ne versò ancora, e quando lei tornò in camera mormorò: — Ti dissi che avrei fatto qualunque cosa lui volesse. E l’ho fatto, sempre. — Lei lo fissò in silenzio. Con un sospiro aggiunse: — Non lo so. Forse ho già perso. Ma andrò a Osterland e chiederò la stessa cosa ad Har. La conoscenza della sua legge della terra. E poi a Herun, se sarò ancora vivo. E quindi a Ymris…

— A Ymris ci sono i Signori della Terra, dappertutto.

— Per allora, avrò cominciato a pensare come un Signore della Terra. Forse in quel momento il Supremo deciderà di uscire dal suo silenzio, e in tal caso o mi punirà per aver toccato ciò che appartiene a lui, o mi spiegherà cosa, in nome di Hel, sto facendo. — Bevve il secondo boccale di vino e la fissò con repentina intensità. — Non c’è niente in cui io possa credere, se non i princìpi della Scuola degli Enigmi. L’uomo saggio conosce il suo nome. E il mio nome è gravido di potere. Dunque lo conoscerò per intero. Questo ti sembra sbagliato? Mi spaventa, certo, e tuttavia io saprò…

Raederle appariva incerta, proprio come si sentiva lui, comunque esibì un tono calmo: — Se mai farai qualcosa di sbagliato, io sarò lì per dirtelo.

Più tardi, quella notte, Morgon parlò con Danan e con Yrth nel salone del Re. Tutti gli altri erano andati a letto. I tre sedettero davanti al caminetto; Morgon, scrutando i volti anziani e rugosi del sovrano e del mago rivolti alla luce del fuoco, captò in entrambi l’amore per la grande montagna. Su richiesta di Yrth aveva fatto materializzare l’arpa. Le dita del mago scivolavano da corda a corda, ascoltandone le vibrazioni. Ma non la suonò.

— Devo partire al più presto per Osterland — disse Morgon a Danan. — Chiederò ad Har ciò che ho chiesto a te.

Danan si volse a Yrth. — Tu andrai con lui?

Il mago annuì. I suoi occhi ciechi e luminosi si fissarono su Morgon come per caso. — Come hai progettato di viaggiare fin là? — chiese.

— In volo, direi. Tu conosci la forma-corvo.

— Tre corvi sui campi morti di Osterland… — Sfiorò dolcemente una corda. — Nun è a Yrye, col Lupo-Re. È venuta qui quando tu dormivi, a portare notizie. È stata nelle Tre Parti di An a cercarti, insieme a Talies. Mathom di An sta mettendo in arme un grande esercito di vivi e di morti per aiutare le forze di Ymris. Afferma che non starà seduto ad aspettare l’inevitabile.

Danan si stiracchiò. — Questo è da lui. — Si piegò in avanti, intrecciando le dita. — Sto pensando di armare i minatori con spade, asce, picche, ogni arma che abbiamo, e mandarli al sud. A Kraal e a Kyrth ho delle navi cariche di armi e di armature, pronte per esser spedite a Ymris. Potrei mandare anche un esercito, con loro.

— Tu… — ansimò Morgon, sorpreso. — Tu non puoi lasciare Isig.

— Non l’ho mai fatto — ammise il Re. — Ma non ti lascerò andare in battaglia da solo. E se Ymris cadrà, questa sarà poi anche la sorte di Isig. Ymris è la fortezza del reame.

— Ma Danan, tu non sei un combattente.

— Non lo sei neppure tu — precisò il Re.

— Come pensi di poter affrontare i Signori della Terra con le picche?

— Qui lo abbiamo fatto. Lo faremo anche a Ymris. Mi sembra che a te resti soltanto una cosa da fare: trovare il Supremo prima che ci riescano loro.

— Ci sto provando. Ho toccato tutte le leggi della terra a Isig, e all’apparenza a lui non è importato nulla. È come se io stessi facendo né più né meno ciò che lui vuole. — Quelle parole continuarono a echeggiargli nella mente. Ma Yrth interruppe le sue riflessioni allungando una mano brancolante in cerca di vino. Morgon gli porse il boccale prima che lo rovesciasse. — Non stai utilizzando i nostri occhi.

— No. Talvolta vedo più chiaramente nel buio. La mia mente si protende per afferrare il mondo che mi sta attorno, ma regolarmi con ciò che ho a portata di mano è meno facile… — Restituì a Morgon l’arpa stellata. — Anche dopo tutti questi anni riesco a ricordare a quale ruscello, a quale fuoco crepitante, a quale uccello canoro rubai le note per accordarla…

— Mi piacerebbe sentirtela suonare — disse Morgon. Il mago scosse la testa, imperturbabile.

— No, non ti piacerebbe. Da quei giorni le mie dita hanno smarrito l’arte, come Danan potrebbe confermarti. — Si volse al Re. — Se vuoi partire per Ymris, dovrai farlo subito. Ti troverai in guerra alla soglia dell’inverno, perciò devi sfruttare ogni giorno che resta prima del gelo. Ai guerrieri di Ymris non piace battersi in mezzo alla neve, ma i Signori della Terra non la noteranno neppure. Fra loro e il tempo, avrai due avversari spietati.

— Bene — disse Danan dopo un po’. — Li combatterò nell’inverno di Ymris, o dovrò affrontarli in casa mia. Domani comincerò a radunare gli uomini e le navi. Lascerò qui Ash. A lui non piacerà, ma è il mio Erede, e sarebbe insensato rischiare la vita tutti e due a Ymris.

— Insisterà per andare al tuo posto — disse Yrth.

— Lo so. — La voce di lui suonò pacata, ma Morgon ne avvertì la forza, la potenza del grande macigno di pietra che almeno una volta nella sua esistenza vuole rotolare tuonando. — Resterà qui. Io sono vecchio, e se dovessi morire… i grandi alberi millenari sono i soli che scuotono i loro nemici, quando infine si abbattono al suolo.

Le mani di Morgon erano strette ai braccioli della sedia. — Danan, non andare — lo supplicò. — Non c’è bisogno che tu vada a rischiare la vita. Tu sei radicato nella mente di tutti noi, fin dal primo anno del reame. Se morirai, ti porterai dietro una parte delle nostre speranze.

— Devo farlo. Devo combattere per tutte quelle cose che mi sono preziose. Isig. Ogni vita umana legata a questa montagna. Tu.

— Va bene — sussurrò lui. — Va bene. Io troverò il Supremo, anche se dovessi scrollare i suoi poteri fino a costringerlo a uscire dal suo nascondiglio per fermarmi.

Quella notte, dopo aver lasciato la sala del Re, parlò a lungo con Raederle, disteso al suo fianco sulla morbida pelliccia dinnanzi al caminetto. In silenzio lei lo ascoltò parlare di ciò che intendeva fare, dei progetti bellici di Danan, delle notizie riguardanti suo padre che Nun aveva portato a Isig. Poi passò le dita fra la calda peluria, mormorando: — La sua decisione deve aver causato tante grida di protesta che Anuin avrà tremato fino alle fondamenta.

— Non l’avrebbe presa, se non fosse stato certo che la guerra era inevitabile.

— No. Già da molto tempo aveva visto avvicinarsi la guerra, coi suoi occhi di vecchio corvo… — Sospirò, tormentando la pelliccia. — Suppongo che Rood gli starà da una parte e Duac dall’altra, discutendo per tutta la strada fino a Ymris. — Tacque, con gli occhi fissi nel fuoco, e lui le vide un’improvvisa nostalgia nello sguardo. Le sfiorò una guancia.

— Raederle, vuoi tornare a casa per un poco, e rivedere i tuoi? In volo potresti arrivare là in pochi giorni. Potremmo rivederci da qualche parte… magari a Herun. Che ne dici?

— No.

— Ti ho trascinata lungo la Strada dei Mercanti, nella polvere e nell’afa; ti ho tormentata finché hai cambiato forma; ti ho messa nelle mani di Ghisteslwchlohm; e ti ho lasciata sola a vedertela coi Signori della Terra mentre io fuggivo…

— Morgon!

— E poi, quando ti sei liberata con le tue forze e mi hai seguito per tutto l’entroterra fino al Monte Erlenstar, ti ho lasciato senza una parola e me ne sono andato nel nord, costringendoti a cercarmi per metà delle terre desolate. Infine mi hai riportato indietro, e ti è andata bene se ho trovato il tempo di scambiare due parole con te. In nome di Hel, come riesci a stare con me a questo prezzo?

Lei sorrise. — Non lo so. Anch’io me lo domando, a volte. Poi tu mi accarezzi con le cicatrici delle tue mani e leggi la mia mente. I tuoi occhi mi conoscono. Questo è il motivo per cui ti seguo in tutto il reame, a piedi scalzi o mezzo congelata, maledicendo ora il sole e ora il vento, o me stessa perché sono così stupida da amare un uomo che non ha neppure un letto da offrirmi per la notte. E talvolta impreco contro di te, perché la prima volta che t’incontrai pronunciasti il mio nome come nessun altro uomo l’aveva mai fatto. È da quel tempo che aspetto di sentirtelo dire nello stesso modo. Perciò — aggiunse, mentre lui la fissava muto, — come potrei lasciarti?

Lui abbassò il volto contro il suo, sopracciglio contro sopracciglio, zigomo contro zigomo, e da vicino guardò nell’ambra del suo occhio sinistro. Lo vide sorridere. Lei gli baciò il collo e il mento, poi alzò una mano fra le loro bocche. Quella di lui le mormorò una protesta nel palmo. — Ti voglio parlare — disse Raederle.

Lui si alzò a sedere con un sospiro e mise un altro ceppo sul fuoco. — Va bene.

— Morgon, cosa faresti se quel mago con le sue mani d’arpista ti tradirà ancora? E se trovassi il Supremo per lui e scoprissi, troppo tardi, che ha una mente ancor più contorta di Ghisteslwchlohm?

— So già che ce l’ha. — Tacque e si circondò le ginocchia con le braccia, pensosamente. — Ci ho riflettuto spesso. Lo hai visto usare qualche potere a Lungold?

— Sì. Mentre proteggeva i mercanti che stavano combattendo.

— Dunque non è un Signore della Terra; il loro potere è bloccato.

— È un mago.

— O qualcos’altro per cui non abbiamo un nome… ed è questo che mi spaventa. — Si accigliò. — Non ha neppure cercato di dissuadere Danan dall’idea di portare i minatori a Ymris. Costoro non sono guerrieri; si faranno soltanto uccidere. E Danan non ama certo il campo di battaglia. Una volta mi disse che quando giungerà la sua ora si trasformerà in un albero e così resterà, sotto il sole e le stelle, per sempre. Tuttavia lui e Yrth si conoscono da secoli. Forse Yrth sapeva già che non si può discutere con un albero.

— Sempre che lui sia Yrth. Sei sicuro almeno di questo?

— Sì. Ha fatto in modo che ne fossi certo. Ha suonato le corde della mia arpa.

Lei gli accarezzò la schiena in silenzio. — Bene — mormorò poi. — Allora forse puoi fidarti di lui.

— Ci ho provato — disse Morgon. Si distese al suo fianco, ascoltando il crepitio del legno che ardeva, e si passò una mano sugli occhi. — Ma non potrò farlo. Non ho mai vinto una discussione con lui, non sono neppure riuscito a ucciderlo. Tutto ciò che mi resta è di attendere finché non mi dirà lui stesso chi è. E allora potrebbe già essere troppo tardi…

Lei disse qualcosa. Ma Morgon non udì neppure la sua voce, perché in quel momento nelle profondità della sua mente era nato un rumore simile a un fruscio. Dapprima gli parve il tocco di un’altra mente, un contatto telepatico. Lo sondò e il fruscio si mutò in un ansito. Sbarrò gli occhi, esterrefatto: l’ansito si trasformò in un boato, il liquido ruggito di un’onda di marea che sommergeva i moli, le barche, le spiagge, investiva le case dei pescatori, e poi si alzava risalendo i lievi pendii dei colli, li superava e dilagava sui campi, rombava sconvolgendo la terra nell’oscurità della notte, spezzava gli alberi, e sommergeva le urla di terrore degli uomini e degli animali.

— No! — Inorridito Morgon balzò in piedi, ripetendo il grido che udiva echeggiare nella mente del governatore della terra di Hed: — No!

Percepì un dedalo di voci. La sua visione si spense nel buio di qualcosa che lo stava travolgendo, che squassava la legge della terra radicata in lui. Gli sembrò di roteare, mentre sentiva la terrificante ondata passare oltre risucchiando dietro di sé sacchi di grano, pecore e maiali, barili di birra, i tetti e le pareti di case e di granai, recinti, oggetti di ogni genere, e bambini che gridavano nell’oscurità. Qualcuno gli si aggrappò addosso urlando più volte il suo nome. La paura, la disperazione, la rabbia e il dolore che avvertiva in Eliard dilagarono in lui. Una mente cercò di sondare la sua, ma lui era legato con tutti e cinque i sensi a Hed, distante da lì oltre mille miglia. Poi uno schiaffo gli fece girare la testa da un lato, strappandolo a quella visione.

Riaprì gli occhi e si trovò a fissare quelli ciechi di Yrth. L’impulso di furia rovente contro l’incomprensibile personalità del mago esplose in lui così repentino che non poté controllarlo. Sollevò un pugno e lo colpì. Yrth era un individuo grosso e pesante, e il colpo con cui lo raggiunse alla mascella gli si ripercosse nel braccio fino alla spalla. Le nocche gli si spellarono come contro la corteccia di un albero. Con espressione vagamente sorpresa il mago volò all’indietro, e svanì prima d’aver toccato terra. Ricomparve un paio di secondi più tardi, sedette accanto al parafuoco e si toccò un labbro sanguinante con aria stupefatta.

Raederle e le due guardie nel breve corridoio avevano la stessa espressione sulla faccia. Sembravano congelati da un incantesimo. Morgon trasse un lungo respiro, e mentre l’ira defluiva da lui esclamò — Hed è stata attaccata. Devo andare subito là!

— No!

— Sì.

— Morgon — ansimò Yrth. — Ti farai uccidere.

— Tristan! — Strinse i pugni, deglutendo un doloroso groppo di saliva. — Non so se è viva o morta! — Chiuse gli occhi e proiettò la mente attraverso l’oscurità della notte piovosa, oltre la foresta, più lontano che poté. Spinse ancora avanti le sue capacità percettive. Ma un’immagine che gli s’era formata nella mente lo arrestò, lo trasse indietro, e riaprì gli occhi fra le pareti della torre.

— È una trappola — disse Yrth. Nella sua voce c’era una nota di paziente sofferenza. Morgon non si prese la briga di rispondere. Scacciò dalla mente l’immagine del falco, ma subito, ancor prima che cominciasse a cambiar forma, l’immagine esplose di luce accecando gli occhi che guardavano dentro di lui.

— Morgon, andrò io. Loro ti stanno aspettando, ma credo che non conoscano me. Posso viaggiare in fretta; sarò di ritorno molto presto… Tacque di colpo, quando Morgon gli riempì la mente con un’illusione di fuoco e di ombra e scomparve dietro di essa. Era quasi uscito dalla camera allorché gli occhi del mago tornarono ad aprirsi nei suoi pensieri, distruggendone la concentrazione.

Di nuovo in lui arse la rabbia. Riprese a camminare e nel corridoio si nascose oltre un’illusione di solida pietra. — Morgon! — si sentì chiamare dal mago, e girò su se stesso. Proiettò nella mente di Yrth un urlo che avrebbe potuto distogliere la volontà di qualunque mago, ma quella nota telepatica echeggiò inoffensiva in un vuoto psichico che la assorbì.

Restò immobile allora, mantenendo l’illusione che lo celava con uno sforzo che gli fece imperlare la fronte di sudore. Il vuoto era una specie di avvertimento. Lasciò però che i suoi pensieri vi s’insinuassero, cercando di raggiungere i punti nevralgici della mente del mago. Tutto ciò che ottenne fu di brancolare nel vuoto, con l’impressione di un grande potere che indietreggiava tenendosi oltre i limiti della sua ricerca. Lo seguì finché gli parve di non distinguere più la strada per tornare fuori da quel nulla…

Fu il vuoto a ritrarsi lentamente da lui, e si ritrovò seduto accanto al fuoco. Raederle gli stava al fianco, e gli teneva stretta una mano fra le sue. Davanti a loro stava Yrth, grigio in faccia per la stanchezza e con gli occhi arrossati. I suoi stivali erano, come la tunica, coperti da una spessa crosta di fango e di sporcizia. Il taglio sul labbro appariva già rimarginato.

Morgon lo fissò stupito. Danan, seduto lì vicino, si sporse a battergli una mano su una spalla. — Morgon — disse, come imbarazzato, — Yrth è appena tornato da Hed. È mezzogiorno. È stato sull’isola due notti e un giorno.

— Che cos’hai… — Si alzò in piedi di scatto. Danan lo afferrò per un braccio, finché la smorfia d’ira non gli scomparve dal viso. — Come sei riuscito a farmi questo? — ansimò.

— Morgon, ti prego di scusarmi. — La voce del mago vibrava, per la sfinitezza, di toni che non sembravano suoi. — I Signori della Terra ti stavano aspettando a Hed. Se ci fossi andato saresti morto là, e altri innocenti sarebbero stati uccisi combattendo per te. Non riuscivano a trovarti da nessuna parte, e il loro era un tentativo di farti uscire allo scoperto.

— Eliard…

— È sano e salvo. L’ho trovato fra le rovine di Akren. L’ondata ha distrutto Tol, Akren, e la maggior parte delle fattorie lungo la costa occidentale. Ho parlato con dei contadini: hanno visto dei combattimenti fra uomini pesantemente armati, che non erano isolani di Hed. Ho interrogato uno degli spettri, e mi ha detto che c’era ben poco da fare contro le forme d’acqua. Mi sono presentato a Eliard, e gli ho riferito dove ti trovi… era ancora stordito per quel cataclisma così improvviso. Ha detto che sapeva già che tu avevi previsto un attacco del genere, comunque è stato contento di vedere che avevi avuto il buonsenso di non venire di persona.

Morgon fremette. Trasse ancora un profondo respiro. — E Tristan?

— Per quanto Eliard ne sa, sta benissimo. Un mercante alquanto sconsiderato le aveva detto che eri nuovamente scomparso, cosicché aveva lasciato Hed per cercarti. Ma a Caithnard un marinaio l’ha riconosciuta, e c’era l’ordine di fermarla. In questo momento la stanno riportando a casa. — Morgon si passò una mano sugli occhi. Il mago fece per avvicinarglisi, ma lui lo respinse. — Morgon! — Yrth parve tirar fuori a stento la voce, tant’era stanco. — Non ti ho fatto un incantesimo molto complicato. Ma avevi i pensieri troppo confusi per potertene liberare.

— La mia mente era chiarissima — mormorò lui. — Non avevo il potere di liberarmi. — Tacque, conscio che Danan li fissava entrambi storditamente e tuttavia senza sospetti. L’oscuro enigma che erano i poteri di quel mago gli appariva come un’ombra gelida, che s’estendeva sull’intero reame da Isig a Hed. E al pensiero che non aveva alcuna risposta per un tale enigma emise un ansito rauco, disperato. Il mago, chino come se il peso del reame gli gravasse sulla schiena, rispose al suo sguardo soltanto col silenzio.

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