CAPITOLO SECONDO

Arrivarono a Hed quattro notti più tardi. Sei delle navi da carico avevano fatto rotta a ovest, nel canale, per attendere a Caithnard; Bri Corbett condusse la sua nel porto di Tol. Il lievissimo tonfo dello scafo contro il molo bastò a far sobbalzare Morgon, che disteso su una pelliccia dormiva con un occhio solo, rigido nella perenne attesa del disastro. Si alzò a sedere, teso come una corda d’arco, e udì Corbett bestemmiare blandamente contro qualcuno. Il boccaporto si aprì; i suoi occhi furono abbagliati dalla luce di una lanterna. Alle nari gli giunse l’odore della terra.

Il cuore aveva preso a battergli furiosamente. Al suo fianco Raederle, mezza sepolta in alcune pellicce, sollevò la testa insonnolita.

— Siete a casa — annunciò Corbett sorridendo dietro la lanterna, e Morgon si alzò, seguendolo poi sul ponte. Tol era composto da una manciata di case sparse sulla riva, fra cui la luna proiettava le ombre delle alture che si stagliavano nere tutto intorno. Nell’aria tiepida e immobile aleggiava il familiare odore del grano e del bestiame.

Non si accorse quasi di aver parlato finché Corbett, abbassando la lanterna, rispose: — Non è ancora mezzanotte. Siamo arrivati un po’ prima di quel che avevo calcolato.

Un’onda si allungò pigramente sulla spiaggia, e nel ritirarsi lasciò dietro di sé ricami d’argento. La strada principale serpeggiava via dai moli e tagliava l’abitato come un nastro bianco, svanendo nell’ombra delle colline. Morgon ne seguì il percorso con gli occhi fin dove riappariva di nuovo, sulle alture, separando i pascoli dai campi coltivati e andando a infine a terminare proprio davanti alla veranda di Akren. Strinse le mani sul bordo della murata; nei suoi pensieri tornò a dipanarsi la lunga e pericolosa strada che lo aveva condotto a Hed con una nave carica di morti, e nell’ultimo tratto di percorso che lo separava da Akren gli sembrò d’improvviso nulla più che un altro incerto passo nelle tenebre.

Raederle lo chiamò, e le sue mani si rilassarono. Ci fu il tonfo della passerella che veniva abbassata sul molo. Si volse a Corbett. — Sarò di ritorno prima dell’alba. — Gli toccò una spalla, amichevolmente. — Vi ringrazio.

Condusse Raederle lungo la banchina, oltre le casette addormentate dei pescatori e la fila di barche scrostate tirate in secca sull’arenile, fra cui sonnecchiavano i gabbiani. Trovò la strada a memoria, nel buio che li avvolse fino alla sommità delle alture. I campi che si stendevano lisci sotto la luna erano segnati da solchi e canaletti che giravano intorno alle rocce e agli stagni, e tutte quelle linee convergevano da ogni direzione su Akren. La notte era così silenziosa che tendendo gli orecchi poté udire il placido borbottio di alcune vacche, e il lieve uggiolare di un cane addormentato. Ad Akren era accesa una luce, che a Morgon parve dapprima sulla veranda, ma quando furono più vicini capì che veniva invece da una delle finestre della fattoria. Raederle camminava in silenzio al suo fianco, lasciando scorrere lo sguardo sulle siepi fra i campi, sui filari di fagioli ben allineati e sulla chiara distesa del grano ormai quasi maturo. Allorché riuscì a distinguere il profilo dei tetti di Akren che si stagliavano contro il firmamento, gli sfiorò un braccio.

— Come sembra piccola la tua fattoria — si stupì. Lui annuì.

— Più piccola di come la ricordavo… — Aveva la gola secca, stretta per l’emozione. Oltre la finestra della stanza di soggiorno scorse un movimento, un’ombra nella luce delle candele, e si chiese chi potesse essere ancora in piedi, da solo e a quell’ora così tarda. Poi, inaspettatamente, l’odore vigoroso dell’humus fertile e delle piante gli penetrò in ogni cellula del corpo; i germogli e le foglie di cui avvertiva la presenza furono ricordi e viva la realtà che lo attraversavano, lo riempivano con la sensazione del governo della terra, e per un istante non fu più conscio d’avere un corpo, mentre ogni particella della sua mente si diramava attraverso le radici di Hed.

Si fermò, col fiato mozzo. La figura scura oltre la finestra s’era girata di scatto, e bloccando la luce scrutava fuori nella notte: alta, larga di spalle, il volto in ombra. Dopo un momento sparì, attraversando la luce delle altre due finestre del locale come se volasse. La porta veranda si spalancò con un tonfo, e presso la stalla un cane abbaiò spaventato. Morgon sentì il pesante scalpiccio dei passi che scendevano nell’aia, arrestandosi poi sull’angolo sotto l’ombra della grondaia.

— Morgon? — La parola vibrò nell’aria come una domanda. Poi risuonò un grido, che indusse tutti i cani delle vicinanze a rispondere con un coro di latrati: — Morgon!

Eliard fu davanti a lui ancor prima che potesse muoversi. Ebbe una rapida visione di capelli biondi come il burro, spalle rigonfie di muscoli poderosi, e un volto che nella luce della luna gli apparve sorprendentemente simile a quello del loro padre. Quindi l’abbraccio di Eliard gli strappò il fiato dai polmoni, e subito dopo le sue robuste mani lo afferrarono per le spalle scuotendolo quasi convulsamente. — Ce ne hai messo di tempo per tornare a casa! — ansimò. Le lacrime gli scorrevano sul volto. Morgon cercò di parlare, ma aveva ancora la gola bloccata. Percorse con gli occhi il volto del fratello, le sue spalle larghe.

— Tu, grosso bue! — riuscì a dire, rauco. — Vuoi smetterla di spaccarmi le ossa? Calmati.

Eliard si scostò, ma continuò a tenerlo per le spalle e a scuoterlo. — Ho sentito la tua mente nella mia, proprio come mi era successo in sogno quando eri dentro quella montagna. — Tirò su col naso, piangendo. — Morgon, mi dispiace, perdonami, mi dispiace…

— Eliard…

— Sentivo che eri nei guai, e non ho fatto niente. Non sapevo cosa fare, e… e poi tu moristi, e il governo della terra passò su di me. Adesso sei tornato, e io ho tutto ciò che era tuo. Morgon, ti giuro che se ci fosse il modo di farlo io strapperei via da me il governo della terra, per restituirtelo! — Tacque, mentre le mani di Morgon lo agguantavano con energia per le braccia.

— Non dirmi più una cosa simile. Mai! — Stringendolo, dopo quella frase aspra che lo aveva lasciato senza parole, Morgon sentì in lui tutta la forza e tutta l’innocenza di Hed. Con più calma disse: — Tu appartieni a questa terra. Adesso ho bisogno che tu sia qui a prenderti cura di Hed, sopra ogni altra cosa.

— Ma Morgon, tu sei parte di Hed. Questa è la tua casa, e ora che sei tornato…

— Sono tornato soltanto fino all’alba.

— No! — La stretta di lui si fece spasmodica. — Non so da cosa tu stia fuggendo, ma non voglio vederti ripartire ancora. Resta qui. Tutti noi ci batteremo per te, con le falci e coi forconi. Mi farò mandare un esercito da qualcuno e…

— Eliard…

— Taci! Sei due volte più forte di quando partisti, ma non ce la faresti a sbattermi ancora dentro i cespugli di rose di Tristan. Tu starai qui, nel posto a cui appartieni!

— Eliard, vuoi piantarla di gridare? — Lo scosse a sua volta, riducendolo al silenzio. In quel momento una figuretta in vestaglia sbucò dalla veranda, seguita da un paio di cani che abbaiavano eccitati. Tristan corse avanti e si precipitò su Morgon a corpo morto, gettandogli le braccia intorno al collo e immergendogli il viso sul petto. Lui le baciò come poté le guance e la fronte, quindi la fece scostare un poco e le alzò il volto, stringendoglielo fra le mani. Era così cambiata che quasi stentò a riconoscerla. Qualcosa nell’espressione con cui la guardò fece contorcere i lineamenti di lei in una smorfia agonizzante, e con un singhiozzo gli si incollò ancora al petto, tremando. Dopo qualche momento la fanciulla riconobbe Raederle nell’ombra che gli stava accanto, e abbracciò anche lei, mentre i cani si arrampicavano addosso a Morgon per annusarlo e toccarlo. Due luci si accesero oltre le finestre di un paio di fattorie poco lontane. D’improvviso Morgon s’irrigidì per l’apprensione. Le braccia gli ricaddero e rimase inerte, immobile come la stradicciola fredda e bianca sotto i suoi piedi, silenzioso quanto i deboli raggi della luna. I cani rimisero le zampe a terra, scostandosi; Tristan e Raederle smisero di parlare e si volsero a fissarlo; Eliard si morse le labbra, colpito dalla gelida quiete piombata su di lui.

— C’è qualcosa che non va? — chiese, a disagio. Dopo qualche istante Morgon gli si fece accanto, e stancamente gli passò un braccio intorno alle spalle.

— Fin troppe cose — annuì. — Eliard, col solo fatto di essere qui e di parlare con voi, io vi sto mettendo in pericolo. Andiamo in casa, almeno.

— Va bene. — Ma non si mosse. I suoi occhi s’erano distolti da Morgon, girandosi finalmente su Raederle. Nel chiarore lunare il volto di lei era un misto quasi indistinguibile di linee e ombre, aureolato dai capelli ramati fra cui le spille e i fermagli brillavano come gioielli di fuoco bianco. La ragazza sorrise, e Morgon sentì Eliard deglutire un groppo di saliva. — Voi… siete Raederle di An? — fu il suo esitante mormorio, e lei annuì.

— Sì. — La giovane donna gli tese la mano, e lui la prese come fosse una farfalla preziosa e delicata. Parve che gli si fosse di colpo paralizzata la lingua.

Tristan disse fieramente: — Noi siamo salpate su una nave, e abbiamo viaggiato fino a Isig e poi di nuovo a sud. E intanto tu dov’eri? Dove stavi… — Esitò. Il suo tono si fece stupito e incerto. — Ma da dove avete salpato?

— Da Anuin — disse Morgon. Colse il lampo di perplessità nei suoi grandi occhi scuri e intuì i pensieri che c’erano dietro. Sospirò: — Entriamo in casa, così potrai domandarmi tutto ciò che vuoi.

La fanciulla fece scivolare una mano nella sua, e senza parlare salì gli scalini della veranda di Akren. Andò poi in cucina a scaldare qualcosa da mangiare per loro, intanto che Eliard accendeva alcune torce e toglieva un mucchio di finimenti da una panca per farli sedere.

Ripulendo il tavolo il giovane abbassò gli occhi su Morgon, e d’un tratto chiese: — Dimmelo in modo che io possa capire. Perché non puoi restare? Dov’è che devi andartene con tanta dannata fretta, adesso?

— Non lo so. Da nessuna parte. Dovunque ma non qui. Restare troppo in uno stesso posto è la morte.

Eliard poggiò uno stivale sulla panca. — Perché? — esclamò, esasperato, e Morgon si passò le mani sul volto con un borbottio.

— Sto cercando di scoprire qualcosa — disse. — Di rispondere a domande che ancora non hanno risposta. — L’espressione di Eliard lo fece sbuffare. — Lo so. Se fin dalla prima volta me ne fossi stato a casa, invece di andare a Caithnard, adesso non sarei seduto qui nel mezzo della notte a desiderare che l’alba non venga mai e a chiedermi come ti posso dire che razza di carico ho portato con me a Hed.

Eliard sedette lentamente, sbattendo le palpebre. — Cosa? — Tristan uscì dalla cucina portando un largo vassoio ricolmo di oca arrosto, burro, formaggio, frutta, pane fresco, caraffe di latte e di birra. Con un miracolo di equilibrio aggirò una panca e lo depose davanti a loro. Morgon si scostò per farle posto, lei sedette e versò birra per tutti. Ne porse un boccale a Raederle, che la assaggiò in via sperimentale. Morgon la osservò senza parere; il volto della fanciulla s’era fatto più magro, i lineamenti avevano assunto vigore senza perdere in grazia.

Tristan riempiva i boccali lentamente, aspettando che la schiuma si abbassasse in un silenzio eloquente come un discorso, ma ad un tratto gli gettò una rapida occhiata e distolse subito lo sguardo. Morgon disse, sottovoce: — Ho trovato Deth, ad Anuin. Non l’ho ucciso.

Il respiro che le era rimasto chiuso nei polmoni finalmente ne uscì. Si appoggiò la caraffa della birra su un ginocchio, il boccale sull’altro, e riuscì a fissare il fratello. — Non avevo il coraggio di domandartelo.

Lui allungò una mano a sfiorarle una guancia; vide i suoi occhi correre alle cicatrici-vesta che gli segnavano il palmo, e la riabbassò. Eliard si agitò innervosito.

— Non sono affari miei — borbottò, — ma soltanto tu hai saputo seguire le sue tracce attraverso il reame. Gli hai… ti ha spiegato… e bevve; subito sentì il sangue fluirgli con più energia alle membra. In tono pacato aggiunse: — Ho inseguito Deth nell’interno di An, e una dozzina di giorni fa l’ho raggiunto ad Anuin. Ci siamo trovati di fronte nella sala delle udienze del Re, e lì gli ho detto che ero venuto ad ammazzarlo. Poi ho impugnato la spada a due mani e l’ho sollevata su di lui, per fare esattamente quel che mi proponevo, e Deth è rimasto davanti a me senza muoversi, aspettando che la lama gli calasse addosso. — Si interruppe, pensoso. Il volto di Eliard s’era irridigito.

— E poi?

— Poi… — Si frugò nella memoria, in cerca delle parole. — Non l’ho colpito. C’è un vecchio enigma di Ymris: Chi erano Belu e Bilo, e cosa li legava? Erano un Principe e una Principessa, nati nello stesso momento, a cui era stato predetto che sarebbero morti nello stesso momento. Durante la loro vita ci fu un periodo in cui si odiarono a morte, ma erano così legati che nessuno dei due poteva uccidere l’altro senza distruggere anche se stesso.

Eliard lo guardò stranamente. — Un enigma ha fatto questo? Ti ha trattenuto dall’ucciderlo?

Morgon si appoggiò alla spalliera. Per qualche istante si dedicò alla birra in silenzio, chiedendosi se tutto ciò che aveva fatto nella sua vita avesse mai avuto un senso per Eliard. Poi il fratello si piegò in avanti, poggiandogli una mano su un polso.

— Una volta mi hai detto che ho la testa dura come una quercia. Forse è vero. Però sono contento che tu non l’abbia ammazzato. Se lo avessi fatto, ti avrei capito. Ma non c’è mai stata una volta che io sia riuscito a immaginare cosa avresti o non avresti fatto. — Tagliò una coscia dell’oca arrosto, la infilò nel coltello e gliela porse. — Mangia.

Morgon lo guardò un poco. Sottovoce disse: — Sai una cosa? Potresti diventare un discreto Maestro degli Enigmi. Eliard arrossì, brontolando: — Non riusciresti a trascinarmi a Caithnard neanche morto. Mangia. — Tagliò sottili fette di pane, di formaggio e di carne, che poi sistemò con cura su un piatto e porse cerimoniosamente a Raederle. Accorgendosi che lei cercava il suo sguardo con un sorriso gentile riuscì finalmente a vincere la timidezza.

— Voi siete… uh, siete sposati?

Lei scosse impercettibilmente il capo. — No.

— Allora cosa… voi siete venuta per restare qui, ad aspettarlo? — La fissò un po’ incredulo, ma la sua voce suonò calda: — Sareste la benvenuta qui, dico sul serio!

— No. — Era rivolta a Eliard, ma a Morgon parve che quella fosse una netta dichiarazione in risposta alle sue vane speranze. — Attendere è una cosa che non voglio fare mai più.

— Ma allora che cosa pensate di fare? — Si stupì Eliard. — Dove andrete a vivere? — Si volse a Morgon. — Che vuoi fare, dopo che all’alba te ne sarai andato? Ne hai almeno un’idea?

Lui annuì. — Una vaga idea. Ho bisogno di aiuto. E ho bisogno di risposte. A dar retta alle voci, gli ultimi maghi si stanno radunando a Lungold per sfidare Ghisteslwchlohm. Dai maghi posso avere un po’ di aiuto. Dal Fondatore intendo avere alcune risposte.

Eliard lo fissava. D’un tratto si alzò in piedi. — Perché non gli hai fatto le tue domande quando eri al Monte Erlenstar? Questo ti avrebbe risparmiato il fastidio di andare a Lungold. E adesso vuoi andare a fargli delle domande! Morgon, giuro che il tappo di un barile di birra ha più buon senso di te. Cosa credi che farà? Resterà tranquillamente seduto a risponderti?

— Cosa dovrei fare, secondo te? — Angosciato e irritato Morgon si alzò di scatto, chiedendosi se stava discutendo con Eliard o sbattendo la testa contro l’implacabile ottusità di un’isola dove all’improvviso si vedeva fuori posto. — Dovrei sedermi qui, e aspettare che lui venga a farmi cortesemente visita? Vuoi aprire gli occhi e guardare me, invece dello spettro dei ricordi che hai di me? Io ho la fronte marchiata da tre stelle, ho le mani macchiate dalle cicatrici-vesta. Posso assumere le sembianze di quasi tutto ciò che ha un nome. Ho combattuto, ho ucciso, e intendo uccidere ancora. Io ho un nome più antico di questo reame, e non ho più una casa salvo che nei ricordi. Due anni fa ho cercato la risposta di un enigma, e adesso sono intrappolato in un groviglio di enigmi, senza un’idea di come trovare la via per uscirne. Nel cuore di questo groviglio c’è una guerra. Guarda oltre la riva di Hed, per una volta nella tua vita. Cerca di sentire il sapore della paura, oltre a quello della birra. Questo reame è sull’orlo della guerra. Hed non ha nessuna protezione.

— Guerra. Di cosa stai parlando? Ci sono degli scontri armati a Ymris, ma Ymris è sempre stata in guerra.

— Hai un’idea di chi Hereu Ymris sta combattendo?

— No.

— Neanche lui ce l’ha. Eliard, mentre viaggiavo attraverso Ymris ho visto l’esercito dei ribelli. Ne fanno parte uomini che sono morti da tempo, e che tuttavia stanno combattendo, poiché i loro corpi sono posseduti da qualcosa che non è umano. Se decidessero di attaccare Hed, che difesa avresti contro di loro?

Eliard si schiarì la gola un paio di volte. — Il Supremo… — mormorò. Poi il sangue gli defluì dal viso. — Morgon! — sussurrò. Lui strinse i pugni.

— Sì. Io sono stato chiamato un uomo di pace da quei bambini morti, ma credo di non aver portato altro che il caos. Eliard, ad Anuin ho discusso con Duac sul modo di proteggere Hed. Si è offerto di mandare uomini e navi da guerra.

— È questo che hai portato?

Lui non batté ciglio. — La nave mercantile che ha ci sbarcato a Tol ha a bordo, insieme al normale carico, Re e nobili armati, e grandi guerrieri delle Tre Parti di An… — Una mano di Eliard gli attanagliò un braccio come una morsa.

— Re?

— Capiscono l’amore per la terra, e capiscono la guerra. Non capiranno Hed, ma combatteranno per voi. Loro sono…

— Tu hai portato a Hed gli spettri di An? — sussurrò Eliard. — E sono a Tol?

— Ci sono altre sei navi a Caithnard, in attesa di…

— Morgon di Hed, tu hai smarrito il senno! — La mano lo scosse, e Morgon s’irrigidì. Ma Eliard gli volse le spalle con uno scatto. Il braccio gli ricadde sul vassoio, rovesciando attorno boccali e posate, salvo la brocca di latte che Tristan aveva prontamente afferrato. La fanciulla se la strinse al petto e restò seduta, pallidissima, mentre Eliard gridava:

— Morgon, ho sentito parlare del caos che è esploso in An! Mi hanno detto delle mandrie che di notte fuggono fino ad ammazzarsi, e dei raccolti marciti nei campi perché nessuno ha il coraggio di mietere. E tu vuoi che io lasci entrare questo sfacelo nella mia terra! Come puoi chiedermi una cosa simile?

— Eliard, io non ho bisogno di chiedere! — Lo fissarono sbigottiti. Morgon vide se stesso cambiare forma negli occhi di Eliard, sentì che qualcosa di prezioso e d’indefinibile scivolava via forse per sempre da quello sguardo, ma con voce secca proseguì: — Se volessi il governo della terra di Hed, potrei riprendermelo. Quando Ghisteslwchlohm lo tolse via da me pezzo per pezzo, compresi che il potere sulle leggi della terra ha una struttura ben precisa, e io conosco la struttura della terra di Hed fino all’ultima radice di luppolo. Se volessi togliertelo potrei farlo, e potrei anche costringerti a riprendertelo, proprio come ho agito per costringere i morti delle Tre Parti di An a venire qui.

Eliard fece un passo indietro, e con le spalle poggiate al montante del caminetto s’immobilizzò, scosso da un tremito. — Che cosa sei, tu?

— Non lo so! — La sua voce fu un ansito. — Aspetto che tu mi dia una risposta.

Ci furono alcuni momenti di silenzio: l’immutabile e tranquilla voce delle notti di Hed. Poi Eliard si scostò dal caminetto e passò accanto a Morgon, calpestando i cocci degli oggetti caduti a terra. Sedette a uno dei tavoli del soggiorno, vi poggiò le mani e chinò il capo. Quando parlò lo fece con voce impastata: — Morgon, loro sono morti!

Lui si volse, sfiorò la mensola del caminetto con le dita e abbassò gli occhi sulle pietre annerite. — Proprio questo da’ loro un vantaggio sui vivi, in battaglia.

— Non avresti potuto portare qui un esercito di vivi? Sarebbe stato anche più facile.

— Se tu portassi un esercito di uomini armati su quest’isola, sarebbe come chiedere l’attacco del nemico. E lo avresti.

— Ne sei certo? Sei sicuro che loro attaccherebbero Hed? Può anche darsi che tu veda cose che non esistono.

— Può anche darsi. — Le sue parole parvero risuonare cupe e lontane nella cavità del camino. — Io non sono sicuro di niente. Ho paura per le cose e le persone che amo. Sai qual è l’unica semplice ma vitale cosa che non sono riuscito a imparare da Ghisteslwchlohm al Monte Erlenstar? A vedere nel buio.

Eliard gli si avvicinò lentamente. Aveva le lacrime agli occhi, e quando mise una mano su una spalla al fratello per farlo girare gli scivolarono copiose sulle guance. — Scusami. Morgon, è vero che io ti grido in faccia, ma anche se tu mi togliessi il governo della terra fino all’ultima radice io continuerei a fidarmi ciecamente di te. Vuoi restare qui? Per favore, vuoi restare? Lascia che siano i maghi a cercarti. Lascia che Ghisteslwchlohm venga pure. Se tu lascerai ancora Hed, non otterrai altro che di farti uccidere.

— No. Non ho intenzione di morire. — Passò una mano dietro al collo di Eliard e lo trasse a sé. — Sono un tipo singolare, sai. I morti non daranno alcun fastidio ai tuoi contadini. Te lo giuro. Non noterai neppure la loro presenza. Sono legati a me. Ho mostrato loro qualcosa della storia e della pace di Hed, e hanno giurato di difendere questa pace.

— Tu li hai legati!

— Mathom aveva allentato la morsa con cui li teneva in suo potere, ma d’altronde essa non sarebbe stata di ostacolo per me.

— Come hai potuto legare a te i Re morti di An?

— Io vedo coi loro occhi. Li capisco. Forse fin troppo bene.

Eliard lo fissò. — Tu sei un mago — disse, ma Morgon scosse il capo.

— Nessun mago, a parte Ghisteslwchlohm, ha mai toccato le leggi della terra. Io sono semplicemente potente, e disperato. — Abbassò lo sguardo su Raederle. Pur abituata com’era alle scenate e ai litigi, che nella dimora di suo padre non mancavano, il suo volto appariva stranito e addolorato. Tristan taceva, con gli occhi fissi nella caraffa del latte. Morgon le sfiorò i capelli corvini; rialzò il capo, pallida, con un lieve brivido.

— Mi dispiace — le mormorò. — Scusami. Non volevo tornare a casa e mettermi a litigare.

— Non importa — disse lei dopo un momento. — Se vuoi due state a litigare, vuol dire che non sei affatto cambiato. — Depose la caraffa e si alzò. — Vado a prendere la scopa.

— Ci penso io.

Questo le riportò negli occhi la luce di un sorriso. — Va bene. Tu scopa. Io porterò qualche altra cosa da mangiare. — Gli toccò i segni sul palmo di una mano, esitante. — Poi mi devi dire come fai a cambiare forma.

Quando ebbe terminato di scopare in terra glielo disse, e vide il volto di Eliard riempirsi d’incredula meraviglia mentre gli spiegava cosa si provava ad essere un albero. Lasciando da parte ogni altra preoccupazione raccontò di come questo lo avesse aiutato a rilassarsi, durante i momenti più snervanti del suo viaggio. Parlò delle sue peregrinazioni nelle terre del nord in forma-vesta, quando il mondo era soltanto neve, vento e stelle. Descrisse loro la meravigliosa bellezza del Passo Isig, e la corte del Lupo-Re con gli animali selvatici che entravano e uscivano liberamente, e le distese di Herun con le loro improvvise nebbie, le paludi e gli impressionanti monoliti di roccia. E per un poco, scoprendo in sé l’amore per la dolce e selvaggia bellezza dei più diversi luoghi del reame, dimenticò i suoi tormenti. Dimenticò anche lo scorrere del tempo, finché nell’angolo superiore di una delle finestre comparve uno spicchio della luna che tramontava. Allora tacque, e vide l’apprensione cancellare di nuovo il sorriso di Eliard.

— Mi stavo scordando dei morti.

Eliard cercò di tenere la voce sotto controllo. — Non è ancora l’alba. C’è tempo prima che la luna tramonti.

— Lo so. Ma le navi verranno da Caithnard l’una dopo l’altra appena io darò il segnale. Voglio che se ne vadano da Hed tutte quante, prima che io parta. Non preoccuparti. Non vedrai i fantasmi, però dovrai essere là quando sbarcheranno sull’isola.

Riluttante Eliard si alzò. Malgrado l’abbronzatura il suo volto era grigiastro. — Tu starai accanto a me?

— Sì.

Tutti e quattro uscirono di casa e si avviarono verso Tol, lungo la strada che serpeggiava bianca e nuda fra le distese più scure dei campi di grano. Camminando per mano a Raederle Morgon sentì nelle sue dita la tensione, e la stanchezza rimasta in lei dal lungo e poco tranquillo viaggio per mare. Scendendo verso Tol lei avvertì i suoi pensieri e gli sorrise.

— Ho lasciato una famiglia di teste di maiale per un’altra!

La Luna, piena per tre quarti, sembrava inclinare il suo volto a guardare le case di Tol. Lontano, oltre il canale di mare tenebroso che separava l’isola dal continente, si vedevano palpitare due occhi di fiamma: i fuochi di segnalazione alle estremità della baia di Caithnard. Dai pali piantati sulla sabbia pendevano le reti dei pescatori. Quando salirono sul lungo molo l’unico rumore era quello della risacca che lambiva le barche tirate in secca.

Bri Corbett, che li attendeva appoggiato alla murata, domandò sottovoce: — Adesso?

— Adesso — ordinò Morgon. Ed Eliard borbottò fra i denti: — Vorrei esser sicuro che sai quel che stai facendo. — Poi la passerella venne allungata sulla banchina ed egli indietreggiò, così vicino all’orlo che per poco non mise un piede in fallo. Morgon sentì di nuovo la sua mente.

La testardaggine e l’inflessibilità che facevano parte dell’anima stessa di Hed parvero piombare come un cancello di sbarre sull’estremità inferiore della passerella. Si chiusero perfino intorno ai pensieri di Morgon. Ne sciolse la morsa riempiendo la mente di Eliard con le immagini multicolori, avventurose e orgogliose, facenti parte della storia antica di An, e che aveva captato a sprazzi nella memoria dei morti. Pian piano, mentre la psiche di Eliard si rilassava, qualcosa emerse dalla nave e scese a lasciarsi assorbire da Hed.

Un brivido improvviso scosse Eliard.

— Sono molto tranquilli — disse, sorpreso. Morgon gli strinse un braccio.

— Adesso Corbett partirà per Caithnard, e manderà qui la seconda nave. Ce ne sono altre sei. Corbett tornerà sull’ultima, e sarà con quella che Raederle e io ce ne andremo.

— No…

— Tornerò.

Eliard tacque. Sul ponte della nave risuonarono gli ordini concisi di Corbett, e la ciurma si diede da fare col sartiame e le vele. Il vento allontanò lentamente lo scafo dal molo; la vela di maestra si gonfiò scura contro il firmamento e la grande ombra prese la via del mare lasciando dietro di sé un’effimera e silenziosa scia di riflessi argentei.

Seguendola con gli occhi Eliard mormorò: — Se tornerai, non sarà mai per restare.

Le sei navi attraversarono il braccio di mare l’una dopo l’altra, approdando senza rumore al molo del paesetto addormentato. Su una di esse, mentre la luna tramontava, Morgon vide assieparsi figure armate e incoronate che svanivano lentamente. La luna scomparve a ovest seguita dai suoi pallidi cortei di stelle; l’ultima delle navi si accostò per ormeggiarsi alla banchina. Tristan si stringeva a Morgon, appoggiandosi ora su un piede ora sull’altro; le cinse le spalle con un braccio, accorgendosi che era infreddolita. Raederle era un’ombra immobile sullo sfondo dei vaghi riflessi del mare, e il profilo del suo volto si stagliava fra i due lontani falò accesi sul continente. Morgon tornò a volgersi verso la nave. I morti ne stavano scendendo; l’oscuro boccaporto che conduceva al sottoponte non si sarebbe chiuso che dietro di loro, quando il vento li avrebbe portati via da Hed. D’un tratto in lui si accalcarono mille cose che avrebbe voluto dire a Eliard, ma nessuna di esse avrebbe alleviato davvero il dolore di quella separazione. Infine si rese conto che sul molo c’erano soltanto loro quattro; i morti s’erano dispersi invisibili verso ogni angolo di Hed, e non gli restava altro se non prepararsi a partire.

Si volse a Eliard. Come sempre, nei momenti che precedevano l’alba il cielo sembrava farsi più scuro. Il vento s’era rinforzato e strappava ventagli di spruzzi dai frangenti. Nel buio non riuscì a distinguere il volto del fratello; la sua ombra massiccia si confondeva con quella delle case e delle colline alle sue spalle. In lui balenò un’immagine che non aveva potuto rivedere, quella dei campi dorati sotto lo splendore del sole d’estate, e gli si strinse il cuore. Sottovoce disse:

— Tornerò a Hed. Non so quando, non so come, ma troverò il modo.

Eliard allungò una mano ad accarezzargli una guancia, nello stesso modo affettuoso che un tempo era stato del loro padre. Tristan lo cingeva con tutte e due le braccia; Morgon la strinse, baciandole la fronte. Poi si scostò da loro, e immobile nell’oscurità gli parve che le vibrazioni del legno sotto ai suoi piedi, riecheggiando i lievi urti delle onde, lo incitassero ad andare.

Volse loro le spalle, trovò ciecamente la strada su per la passerella della nave e scese in fretta nel boccaporto buio.

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