CAPITOLO DODICESIMO

Lasciarono il Monte Isig il giorno dopo: tre corvi che si alzavano in volo fra le spirali di fumo delle fonderie di Danan. Attraversarono l’Ose e sorvolarono i moli di Kyrth, dove le navi erano già sovraccariche e pronte al lungo viaggio fluviale che le avrebbe portate nel grigio mare nel tardo autunno. Una fitta pioggia li inzuppò sulle foreste di Osterland; le sterminate distese di betulle luccicavano appesantite dall’acqua. In distanza la vetta del Monte Fosco emerse dai banchi di nebbia. Intorno ai tre corvi soffiavano il vento dell’est e, a quota più bassa, quello del nord. Stanchi e in balia delle raffiche mutevoli furono costretti a fermarsi spesso. La notte scese che erano appena a metà strada per Yrye.

Si appollaiarono sotto la grande chioma di un vecchio faggio, i cui rami nodosi cigolavano senza requie nel vento, e cercarono nicchie in cui ripararsi dalla pioggia. Due dei volatili si strinsero l’uno accanto all’altro presso il tronco, mentre il terzo, un vecchio e massiccio corvo che aveva volato in silenzio fin dalla partenza da Isig, scese al suolo fra i sassi. Si addormentarono così, protetti dalle fronde e cullati dall’ondeggiare dei rami.

A mezzanotte il vento cadde. La pioggia si diradò in un’acquerugiola che pian piano cessò. Le nuvole si spalancarono, e dai varchi occhieggiarono sciami di stelle. L’improvviso silenzio degli elementi penetrò nei sogni da corvo di Morgon. I suoi occhi si aprirono.

Raederle dormiva immobile al suo fianco, un piccolo ammasso di soffici piume nere. A terra l’altro corvo era anch’egli un grumo d’ombra. La sua forma umana gli premeva nel subconscio, desiderosa di respirare gli odori della notte e di osservare il chiar di luna come lo osservano gli uomini. Dopo un poco allargò le ali, planò sul terreno scabro e cambiò forma.

Passeggiò quietamente, assaporando la notte di Osterland. I sensi gli si aprirono ai suoi rumori, ai profumi, alle piccole forme viventi. Poggiò le mani sulla corteccia umida e rugosa del faggio, e lo sentì dormire. I versi di alcuni predatori notturni gli giunsero attraverso il fitto sottobosco. Aspirò l’odore dei pini, dei pezzi di corteccia e delle foglie che imputridivano nell’humus, ed i suoi pensieri divennero parte di quella terra selvaggia sotto l’argenteo lucore della luna. Infine lasciò che la sua mente si espandesse lontano nella notte silenziosa.

Plasmò i pensieri intorno alle radici degli alberi, nelle pietre sepolte, nel cervello degli animali che sfiorava in quella vasta ricerca. In ogni cosa percepì l’antico fuoco dormiente della legge della terra di Har, la vaga e inquieta fiamma che c’era dietro gli occhi di lui. Toccò ciò che restava dei morti nei loro sepolcri, le ossa ed i ricordi di uomini e di animali. A differenza degli spettri di An questi erano quieti, e riposavano nel cuore di quella natura selvatica. Pian piano, incapace di frenare il suo bisogno, cominciò a intrecciare i suoi legami personali nelle sotterranee leggi di Osterland.

Dopo un poco s’accorse di capire l’essenza della legge della terra. Gli incantesimi del sole e della neve avevano toccato ogni vita. Il vento gelido aveva creato la velocità del vesta, l’inclemenza delle stagioni plasmava il cervello del lupo, la notte invernale trasudava dagli occhi del gufo. Più cosa capiva più profondamente vi si spingeva: guardando la luna con gli occhi di una civetta, intrufolandosi fra i cespugli con un gatto selvatico, infilando i pensieri perfino nella fragile tela di un ragno, e spiraleggiando nelle sinuosità dell’edera ritorta intorno a un tronco d’albero. Era così assorto che penetrò nella mente di un vesta senza accorgersene. Da lì a poco ne contattò un altro. E poi, d’improvviso, non poté più spostarsi senza trovare decine di vesta, quasi che essi si fossero materializzati dalla luce zodiacale intorno a lui. Stavano correndo disordinatamente, simili a un vento bianco che soffiasse in tutte le direzioni. Incuriosito sondò i loro impulsi. Capì che un pericolo li stava spingendo attraverso la notte, e si chiese chi osasse minacciare i vesta nella terra di Har. Esplorò più a fondo. Poi si strappò via da loro, e il profondo respiro d’aria gelida che trasse gli schiarì la testa.

Era quasi l’alba. Ciò che aveva scambiato per il chiar di luna erano i primi argentei lucori del mattino. I vesta si stavano avvicinando, ed erano stati messi in movimento da Har: le loro menti si dirigevano d’istinto verso ciò che aveva svegliato il Lupo-Re dal sonno e disturbato gli ancestrali processi della sua psiche. Immobile Morgon considerò varie soluzioni: assumere la forma-corvo e fuggire fra gli alberi; prendendo la forma-vesta; cercare di raggiungere la mente di Har nella speranza che non fosse tanto irritato da rifiutarsi di ascoltare. Prima di poter agire si accorse che accanto a lui c’era Yrth.

— Stai fermo — disse il mago. E Morgon, irritato dalla sua stessa acquiescenza, accettò lo spiacevole avvertimento.

Pochi istanti dopo vide i vesta in arrivo fra gli alberi. La loro velocità era incredibile, e la precisione con cui si dirigevano verso quel punto della foresta aveva qualcosa di magico. Nello spazio di alcuni battiti di cuore l’intero branco si ammassò intorno a loro, circondando l’albero. Non lo minacciarono; si limitarono a chiuderlo come una barriera di corpi nivei, dagli occhi purpurei, innalzando le loro corna dorate a perdita d’occhio in ogni direzione.

Raederle si svegliò, e sul suo tronco emise uno squittio sbigottito. La mente di lei raggiunse quella di Morgon, pronunciando il suo nome in tono interrogativo. Ma lui non osò risponderle, e dopo quel breve contatto lei mantenne il silenzio. A oriente il sole schiarì alcuni enormi cirri, poi disparve dietro di essi. La pioggia riprese a cadere, gocce pesanti e improvvise che precipitavano in verticale da un’atmosfera senza vento.

Un’ora più tardi ai limiti del branco ci fu un movimento. Bagnato da capo a piedi e sempre imprecando contro l’ordine di Yrth, Morgon accolse quella novità con sollievo. Fra gli altri vesta stava avanzando un alto palco di corna d’oro; gli animali si scostavano per lasciar passare il compagno, richiudendosi subito dietro di lui. Morgon seppe che doveva trattarsi di Har. Con una manica si tolse la pioggia dagli occhi e sternuti. All’istante il vesta che gli stava di fronte, e che fin’allora s’era limitato a fissarlo, bramì come un cervo e chinò minacciosamente il capo: un corno dorato gli si puntò al petto. Morgon s’immobilizzò come una pietra. Il vesta lo scrutò sospettoso, quindi rialzò la testa e riprese a sorvegliarlo tranquillamente.

Lui gli restituì lo sguardo, mentre il cuore ricominciava a battergli, spiacevolmente forte. Il cerchio degli animali più vicini si aprì, lasciando passare il grande vesta. Subito esso cambiò forma. Dinnanzi a Morgon comparve il Lupo-Re, e la smorfia pericolosa che aveva sul volto poteva significare la morte per chi avesse interrotto a quel modo il suo sonno.

La sua espressione divenne però perplessa quando riconobbe Morgon. Si volse e sibilò una parola; i vesta si volatilizzarono fra gli alberi come un sogno. In silenzio, teso, Morgon aspettò la sentenza. Essa tuttavia non venne. Il Lupo-Re alzò una mano e gli scostò i capelli per scoprire le tre stelle sulla sua fronte, quasi per togliersi l’ultimo dubbio. Poi si volse a Yrth.

— Tu avresti dovuto avvertirlo.

— Stavo dormendo — disse Yrth. Har emise un grugnito.

— Pensavo che tu non dormissi mai. — Alzò lo sguardo fra i rami dell’albero e la sua espressione si fece più gentile. Sollevò un braccio. Il corvo volò giù sul suo polso, e gli si appollaiò su una spalla. Morgon si massaggiò il collo indolenzito. Gli occhi di Har erano nuovamente su di lui, azzurro-ghiaccio, brillanti come il cielo ventoso delle sue terre selvagge.

— Tu hai sparso il gelo nella mia mente — disse. — Non potevi aspettare almeno fino a giorno?

— Har… — Morgon scosse il capo, non sapendo da dove cominciare. Poi fece un passo avanti e d’impulso abbracciò il sovrano, con forza. — Come puoi fidarti di me fino a questo punto? — mormorò.

— Ogni tanto — borbottò Har, — sono irrazionale. — Tenne Morgon per le spalle e lo fissò. — Dove ti ha ritrovato Raederle?

— Nelle terre del nord.

— Hai l’aria di uno che sia stato congelato fino al midollo da quei venti mortali… Andiamo a Yrye. Un vesta può viaggiare più veloce di un corvo, e in questa zona di Osterland dei vesta che galoppano insieme non attirano l’attenzione. — Poggiò una mano su una spalla a Yrth. — Tu puoi cavalcare su di me, o in groppa a Morgon.

— No — disse bruscamente Morgon, senza pensare. Har lo guardò stupito.

Prima che il Lupo-Re parlasse, Yrth disse: — Cavalcherò in forma-corvo. — La sua voce era stanca. — Ci fu un tempo in cui avrei sfidato la morte galoppando cieco, solo per amore di farlo, ma ormai… devo essere invecchiato. — Cambiò forma, e da terra balzò ad appollaiarsi sull’altra spalla di Har.

Col volto ombreggiato dai due corvi il Lupo-Re ebbe un fremito, e parve leggere qualcosa nel silenzio di Morgon. Ma disse soltanto: — Togliamoci dalla pioggia.

Galopparono per tutto il giorno, fino al tramonto: tre vesta che andavano a nord verso l’inverno, uno dei quali con un grosso corvo appollaiato fra le corna. Raggiunsero Yrye che era già buio. Mentre rallentavano ansimando nel cortile della dimora reale, la pesante porta di quercia intarsiata d’oro si aprì. Sulla soglia apparve Aia, con alcuni lupi che le correvano attorno e Nun alle spalle, che sorrideva fra il fumo della sua pipa.

Nun abbracciò Raederle nella sua forma-vesta, e poi quand’ebbe ripreso le sembianze umane. Aia, i cui lisci capelli bianchi pendevano sciolti, guardò Morgon un poco e con dolcezza lo baciò sulle guance. Batté una mano su una spalla a Yrth, si strinse ad Har e disse, con la sua voce placida: — Ho mandato tutti a casa. Nun mi ha detto che stavate arrivando.

— L’ho informata io — intervenne Yrth, prima che Har lo domandasse. Il Lupo-Re ebbe un sorrisetto. Il salone era vuoto, quando vi entrarono. Nel lungo camino ruggiva il fuoco; sul tavolo c’erano vassoi di carne fumante, pane caldo, vino insaporito alle spezie, piatti di verdura appena cotta e dolci. I viaggiatori erano così affamati che si gettarono sul cibo quasi prima d’essersi seduti. Più tardi, sazi, sedettero davanti al fuoco ciascuno con un boccale in mano e chiacchierarono un poco.

Har si rivolse a Morgon, che mezzo disteso su un divano e con un braccio attorno a Raederle si stava appisolando: — Dunque è così. Sei venuto in Osterland per imparare la mia legge della terra. Voglio fare un affare con te.

Quella frase lo svegliò. Per un attimo osservò il sovrano, poi disse soltanto: — No. Qualunque cosa tu voglia, te la darò.

— Questo — commentò Har, pensoso, — sembra un ottimo patto, in cambio della mia legge della terra. Ti permetterò di entrare a fondo nella mia mente, se tu mi consentirai di esplorare la tua. — Parve intuire qualcosa nel modo in cui Yrth sollevò la testa. — Tu hai obiezioni?

— Solo questa: abbiamo poco tempo — disse Yrth. Morgon lo fissò.

— Vuoi forse suggerirmi di prendere la conoscenza dalla terra stessa? Per questo occorrerebbero delle settimane.

— No.

— Allora mi stai consigliando di non prenderla affatto?

Il mago ebbe un un sospiro. — No.

— E dunque, cos’altro vorresti suggerirmi? — Raederle s’irrigidì contro di lui, avvertendo la lieve nota di sfida nella sua voce. Har era immobile nel suo pesante seggio scolpito; il lupo ai suoi piedi aprì d’improvviso gli occhi a fissare Morgon.

— Vuoi forse — disse il sovrano, stupito, — iniziare una contesa con Yrth qui nella mia casa?

Fu il mago a scuotere il capo. — La colpa è mia — spiegò. — All’insaputa di Morgon ho messo un legame mentale su di lui, per un paio di giorni, per trattenerlo a Isig quando Hed è stata assalita. Mi è parso meglio così che lasciarlo finire in una trappola.

Con le dita rabbiosamente strette al boccale, Morgon fu sul punto di dargli una risposta mordace. Nun intervenne, perplessa: — Che specie di legame? — Yrth la guardò senza rispondere. Sul volto di lei si distese una strana calma, allora, quasi che stesse sognando. Yrth trasalì, e la donna inarcò un sopracciglio. — In nome di Hel, dove hai imparato a far questo?

— Ne ho intuito la possibilità molto tempo fa, e poi le ho sviluppate. — Nella sua voce c’era un tono di scusa. — Ma non ne avrei mai fatto uso, se non in caso estremo.

— Be’, anch’io ne sarei stata offesa. Ma riesco a capire perché l’abbia fatto. Se i Signori della Terra stanno cercando Morgon dall’altra parte del reame, non c’è motivo di andare a cercarli e di dar loro proprio ciò che vogliono.

Morgon chinò il capo. Avvertì lo sguardo intenso di Har, come una mano che volesse fargli rialzare il viso, e quando si decise a fissarlo vide che l’uomo aveva un’espressione seccata.

— Tu hai bisogno di dormire un po’ — disse Har, bruscamente.

Morgon riabbassò gli occhi nel boccale. — Lo so. — Sentì una mano di Raederle salire ad accarezzargli una guancia, e lo sconforto che lo tormentava si sciolse un poco. Poi ruppe il silenzio che era sceso nel salone: — Ma prima dimmi come fai a legare i vesta in quel modo alla difesa della legge della terra. Quando ero un vesta non mi sono mai accorto di questo.

— Io stesso non ne sono veramente consapevole — ammise il sovrano. — È un legame antichissimo, credo; i vesta sono molto potenti, e penso che insorgerebbero a difesa del territorio, oltreché delle sue leggi. Ma per secoli non hanno combattuto altro che i lupi, e quel legame si è assopito nelle profondità della mia mente… Te lo mostrerò, naturalmente. Domani. — Si girò a guardare il mago, che stava cautamente mescendo altro vino nel proprio boccale. — Yrth, sei andato a Hed?

— Sì. — Il vino scintillò quando salì fino all’orlo del boccale, e il mago depose la caraffa.

— Come hai attraversato Ymris?

— Con gran cautela. Non ho perso tempo durante il viaggio di andata a Hed, ma al ritorno mi sono fermato a parlare qualche minuto con Aloil. Le nostre menti sono legate, così potei trovarlo senza far uso di alcun potere. Era insieme ad Astrin Ymris, e con ciò che è rimasto delle loro forze asserragliate intorno a Caerweddin.

Ci fu un’altra pausa di silenzio. Fra le fiamme un ceppo si spaccò in due, e nugoli di scintille salirono verso la canna fumaria. — Quanto resta dell’armata del Re? — chiese Har.

— Astrin non lo sapeva di preciso. Quando persero la Piana del Vento metà degli uomini vennero sospinti a Ruhn; il resto è fuggito a nord. I ribelli (qualunque cosa siano, uomini vivi, uomini morti, Signori della Terra) non hanno attaccato Caerweddin, né altre delle maggiori città di Ymris. — Fissò gli occhi nel fuoco, ma come se stesse guardando attraverso quelli di qualcun altro. — Hanno cominciato a occupare le antiche città in rovina. Ce ne sono molte a Ruhn, una o due nell’est di Umber, e quella a Pian Bocca di Re, presso Caerweddin. Astrin e i suoi generali sono in disaccordo sulle decisioni da prendere. I nobili in arme affermano che i ribelli non invaderanno Pian Bocca di Re senza poi attaccare anche Caerweddin. Astrin non vuole perdere inutilmente vite umane per difendere una città morta. Sta cominciando a pensare che l’esercito dei ribelli e quello del Re non stanno combattendo la stessa guerra…

Har emise un grugnito. Si alzò in piedi, e la testa del lupo scivolò via dalle sue ginocchia. — Un uomo guercio da un occhio che riesce a vederci chiaro… e vede anche un fine per questa guerra?

— No. Ma mi ha detto che nei sogni è tormentato dalla Piana del Vento, come se là ci fosse una risposta di qualche genere. La torre che sorge su quella piana è ancora legata da un incantesimo vivo e potente.

— La Torre del Vento! — Quel nome sfuggì inaspettatamente dalle labbra di Morgon, quasi che le parole del mago avessero disseppellito i frammenti di un enigma. — Me l’ero dimenticata…

— Io ho tentato di arrampicarmi fin lassù, una volta — disse Nun, in vena di reminiscenze.

Har prese un altro boccale del tavolo. — Io anche. — Intercettò lo sguardo di Morgon. — E tu ci hai provato?

— No.

— Perché no? È un enigma. E tu sei un esperto di enigmi.

Lui annuì, ripensando al passato. — La prima volta che andai nella Piana del Vento, con Astrin, avevo perso la memoria. E c’era un solo enigma di cui m’interessava la risposta. La seconda volta… — Ebbe una smorfia. — L’attraversai di fretta, una notte. Stavo inseguendo un arpista. Niente avrebbe potuto farmi indugiare là.

— Allora — suggerì morbidamente Har, — forse dovresti tentare.

— Tu non rifletti — protestò Nun. — Probabilmente la piana pullula di Signori della Terra.

— Io rifletto sempre — disse Har. Morgon fu colpito da un pensiero, e al suo involontario sussulto Raederle alzò il volto, sbattendo le palpebre.

— È legata da un’illusione… nessuno può raggiungerne la cima. E nessuno l’avrebbe protetta con un incantesimo se là non ci fosse qualcosa che deve restare nascosto, segreto… Ma cosa può esser stato nascosto per tanto tempo sulla cima della Torre?

— Il Supremo — suggerì Raederle insonnolita. Gli altri la guardarono: Nun con la pipa stretta fra le dita; Har col boccale alzato a metà verso la bocca. Lei proseguì: — Be’, questa è l’unica cosa che tutti stanno cercando. E quello è l’unico posto dove nessuno è mai penetrato.

Gli occhi di Har corsero a Morgon. Lui si passò una mano fra i capelli, un po’ teso, meravigliato. — Forse. Har, tu sai che ci proverò. Ma ho sempre creduto che quell’illusione fosse un legame di tipo ormai dimenticato, lasciato lì da Signori della Terra morti nell’antichità, e non tenuto attivo da un Maestro della Terra ancora vivo. Aspetta. — Si raddrizzò sul divano. — Torre del Vento. Il suo nome… vento! — Nei suoi ricordi tornò a ruggire il vento delle profondità del Monte Erlenstar, sibilarono le raffiche delle gelide terre del nord, che vibravano di tutte le note della sua arpa. — Torre del Vento!

— Cosa stai pensando?

— Non so… a un’arpa con le corde fatte di vento. — E intanto che quelle raffiche svanivano dentro di lui si rese conto di non aver capito chi avesse fatto quella domanda. La visione scomparve, lasciandolo soltanto con delle parole e con la certezza che esse si univano come i pezzi di un incastro. — La Torre. L’arpa stellata. Il vento.

Har tolse un furetto bianco dal suo scranno e sedette lentamente. — Puoi impadronirti dei venti come fai con le leggi della terra? — domandò, incredulo.

— Non lo so.

— Capisco. Non hai ancora provato.

— Non saprei come cominciare. — Poi aggiunse: — Ho già preso la forma-vento, una volta sola, per uccidere. Questo è tutto ciò che so di poter fare.

— Quando… — Har rifletté, scosse la testa. Nel salone tutto era silenzio; dalle travi occhieggiavano alcuni volatili. Yrth depose il boccale a tentoni sull’angolo del tavolo, e Nun si allungò a guidargli la mano.

— Ah, le cose troppo vicine! — sospirò il mago.

— Credo — disse il Lupo-Re, — che se cominciassi a interrogarti sarebbe la più lunga gara di enigmi che io abbia mai fatto. Mi domando cos’altro mi chiederai.

— Forse la tua fiducia. — Morgon vuotò il suo boccale e lo depose sul tavolo. D’improvviso si sentiva esausto, al punto che avrebbe poggiato la testa fra i piatti vuoti per addormentarsi lì.

Il Lupo-Re si alzò. — Chiedimela domani.

Morgon lo sentì alzarsi e allontanarsi. Quando riaprì gli occhi e lo vide uscire dal salone non trovò niente di strano in quella risposta.

Fino all’alba dormì di un sonno senza sogni a fianco di Raederle, nella bella camera che Aia aveva preparato per loro. Intanto che il cielo si schiariva i vesta tornarono ad affollarsi nella sua mente, formandogli intorno un circolo così stretto che ogni movimento gli era impossibile, ed i loro occhi erano misteriosi rubini senza luce. Si svegliò bruscamente, con un grugnito. Raederle si strinse a lui, mormorando qualcosa d’incomprensibile. Attese che fosse di nuovo addormentata, poi si alzò senza fare rumore e si vestì. Dall’odore di resina bruciata che arrivava fin lì comprese che qualcuno, probabilmente Har, era già sceso nel salone.

Il sovrano si volse nel sentirlo entrare nel locale. Morgon scavalcò parecchi piccoli animali che dormivano davanti al caminetto e andò a sedersi accanto a lui. Har gli poggiò una mano su una spalla e gliela strinse un momento con affetto, poi disse:

— Dovremo fare le cose in segreto, o i mercanti spargeranno la voce da qui ad Anuin. Ieri sera, sul tardi, ne sono capitati qui alcuni e hanno fatto un sacco di domande, a me e a Nun…

— C’è la stalla sul retro — suggerì Morgon. — Quella dove mi hai insegnato la forma-vesta.

— Mi sembra adatta… sveglierò Hugin; si occuperà delle nostre necessità. — Ebbe un sorriso. — Per un po’ di tempo ho creduto che Hugin sarebbe tornato ai vesta; fra gli uomini era diventato timidissimo. Ma da quando Nun gli ha raccontato tutto ciò che sapeva di Suth, penso che voglia diventare un mago… — Tacque, e Morgon intuì che stava mandando un pensiero da qualche parte nella casa silenziosa.

Hugin arrivò qualche minuto dopo, sbattendo le palpebre insonnolito e pettinandosi i capelli con le dita. Quando vide Morgon si fermò di botto. Era ossuto ed elegante come un vesta, con grandi occhi timidi. Esitò e sfregò un piede a terra, arrossendo, e sulla sua bocca aleggiò l’ombra di un sorriso incerto.

— Abbiamo bisogno del tuo aiuto — disse Har. Hugin annuì docilmente. Poi, sempre fissando Morgon, ritrovò la lingua.

— Nun ha detto che ti sei battuto contro il mago che ha ucciso Suth. E che hai salvato la vita ai maghi di Lungold. Hai ucciso il Fondatore?

— No. Non è morto.

— Perché non l’hai…

— Hugin — mormorò Har. Poi però ci ripensò e osservò Morgon con curiosità. — Perché non l’hai ucciso? Hai consumato tutta la tua ira nel vendicarti di quell’arpista?

— Har… — I muscoli della spalla gli fremettero sotto la mano del Re. Har si accigliò.

— Che ti succede? Sei perseguitato dai fantasmi? Ieri notte Yrth mi ha detto com’è morto l’arpista.

Morgon scosse il capo, riluttante. — Tu sei un Maestro degli Enigmi — disse bruscamente. — Dimmi tu perché non l’ho fatto. Aiutami a capire.

Har si morse le labbra; poi si alzò e si volse a Hugin. — Porta del cibo, vino, e del fuoco nella stalla. E dei giacigli. Quando Raederle di An si sveglia, falle sapere dove siamo. Portala da noi. — E nel vedere che il ragazzo arrossiva aggiunse, impaziente: — Hai già parlato con lei, tempo fa.

— Lo so. — D’improvviso Hugin sorrise. Poi, vedendo che Har inarcava ironicamente un sopracciglio, trasalì e si affrettò a uscire. — Penserò io a lei. E a tutto il resto.

Trascorsero quel giorno e le nove notti successive insieme nella piccola stalla di forma circolare dietro la dimora del Re. Morgon dormì nelle ore diurne. E Har, che sembrava instancabile, approfittò di quei periodi per tenere corte nel salone. Ogni volta che usciva dalla mente di Har, all’alba, Morgon trovava Raederle accanto a sé, oppure Hugin, e non di rado anche Nun intenta a pulire la sua pipa dalla cenere. Di rado parlò con loro: sveglio o addormentato, la sua mente sembrava legata a quella di Har, plasmandosi negli alberi, nei volatili, nei picchi coperti di neve, e in tutte le forme e le creature sepolte nella coscienza del Lupo-Re. In quei giorni Har gli diede tutto e non gli chiese niente. Morgon esplorò Osterland tramite lui, e costruì i suoi legami personali con ogni radice, pietra, cucciolo di lupo, falco bianco e vesta che vi fosse in quella terra. Scoprì che il sovrano era al corrente di moltissime bizzarre magie: poteva parlare ai gufi e ai lupi, riusciva a incantare le lame di ferro e le punte di freccia per mandarle a colpire dove voleva. Conosceva gli animali e gli esseri umani di Osterland come i membri della sua famiglia. La sua legge della terra si estendeva perfino nelle gelide desolazioni del nord, dove allevava vesta nelle tundre nevose. E quella terra lo permeava; il suo potere temprò il cuore di Morgon col ghiaccio o col fuoco, finché molto della stessa personalità di Har penetrò in lui insieme alle sue energie.

Infine spezzò il suo legame mentale con Har, si gettò bocconi su un giaciglio e precipitò nel sonno. Come un Erede della terra sognò i ricordi del Lupo-Re: intensamente, inarrestabilmente, nel suo sonno percorse secoli di storia, rivisse le battaglie di Har e le sue leggendarie gare di enigmi, alcune delle quali interminabili e sconvolgenti. Ricordò la costruzione di Yrye, risentì Suth dargli cinque strani enigmi, visse fra i lupi e fra i vesta, mise al mondo eredi, distribuì la giustizia, e divenne così vecchio da essere praticamente senza età. Con suo sollievo quel febbrile e movimentato sogno giunse al termine, e la notte proseguì riposante e senza altre immagini oniriche. Dormì come un macigno finché un nome scivolò dentro di lui. Lo tenne fermo e riportò se stesso al mondo. Quando si sfregò gli occhi Raederle era in ginocchio al suo fianco.

La giovane donna gli sorrise. — Volevo scoprire se eri vivo o morto. — Gli accarezzò una mano; lui le strinse le dita. — Vedo che puoi muoverti.

Morgon si tirò a sedere. La stalla era vuota, e fuori tirava un vento così forte che gli parve capace di strappare via il tetto. Cercò di parlare e scoprì che la sua voce faticava a uscire. — Quanto… quanto tempo ho dormito?

— Har dice che il tuo sonno è durato duemila anni.

— È dunque tanto vecchio? — Per qualche istante il suo sguardo vagò nel nulla; poi si girò a baciare Raederle. — È notte o giorno?

— È mezzodì. Hai dormito quasi due giorni. Mi hai proprio abbandonata. Per fortuna ho trovato un ottimo compagno di conversazione in Hugin.

Chi?

Il sorriso di lei si smorzò. — Ti ricordi chi sono io?

Lui annuì. — La seconda donna più bella di An, se non mi confondo. — Si portò la mano di lei alla guancia, e ricominciò a pensare al mondo che lo circondava. Quando si rialzò, vacillando, lei lo sostenne passandogli un braccio attorno. Mentre apriva la porta il vento gliela strappò dalle mani. I primi fiocchi della neve invernale roteavano e svanivano fra le raffiche. Il loro contatto spazzò via il silenzio che aveva dentro, e schiaffeggiandogli la faccia con gelida insistenza lo estrassero definitivamente dai suoi sogni. Trascinandosi dietro Raederle corse nel cortile ed entrò dal retro nel tepore della dimora del Re.

Quella sera, mentre sedeva pigramente davanti al fuoco in camera sua, Har gli fece visita. Era ancora intento a rimuginare e assorbire la conoscenza che aveva preso da lui, e Raederle lo aveva lasciato solo coi suoi pensieri. L’ingresso di Har lo distrasse. Nella luce del fuoco i loro occhi s’incontrarono in un muto sguardo fatto di conoscenza reciproca.

— Sono venuto a prendere ciò che mi devi — disse dolcemente Har.

— Io ti devo molto. — Morgon attese. I suoi occhi si persero nel fuoco e lui s’immerse in se stesso, di nuovo, ma stavolta fra i suoi ricordi personali.

Il sovrano li esplorò a caso, non troppo sicuro di ciò che voleva cercare. Quasi subito però ne riemerse, e lo fissò sbigottito.

— Tu hai colpito con un pugno un vecchio mago cieco?

— Sì. Non potevo ucciderlo.

Negli occhi del Lupo-Re balenò uno sguardo glaciale. Sembrò sul punto di dir qualcosa, poi ci ripensò e tornò a intrecciarsi nelle memorie di Morgon. Le percorse avanti e indietro, soffermandosi su quanto era accaduto lungo la Strada dei Mercanti, a Lungold, al Monte Erlenstar, e poi sulle settimane che Morgon aveva trascorso nel nord suonando l’arpa col vento. Vide l’arpista morire, ascoltò Yrth che parlava a Morgon e a Danan Isig; sentì Raederle proporre l’enigma che lo avrebbe riportato nel mondo civile dalle desolazioni settentrionali. Poi lasciò bruscamente i pensieri di Morgon e cominciò ad andare su e giù per la stanza con passi da lupo.

— Deth!

Quel nome riuscì a raggelare Morgon, come se Har avesse trasformato l’impossibile in solida realtà con una sola parola. Dopo qualche minuto finalmente il Re smise di agitarsi. Si fermò, anch’egli con lo sguardo fisso nel fuoco. Stancamente Morgon appoggiò il mento sul palmo di una mano.

— Non so cosa fare. Ha più potere lui che chiunque altro in questo reame. Tu hai sentito la forza di quel legame mentale…

— Ha sempre tenuto legata la tua mente.

— Lo so. E non posso battermi con lui. Non posso. Hai visto come mi ha manovrato sulla Strada dei Mercanti… con un niente. Con un’arpa che a malapena riusciva a suonare. E io andai da lui… Ad Anuin non fui capace di ucciderlo. Non volevo neppure. Peggio ancora, bramavo una ragione per non farlo. Lui me ne ha data una. Credevo che se ne fosse andato dalla mia vita per sempre, da quando non gli lasciai più un sol posto nel reame dove suonare l’arpa. E invece quel posto lo trovò, e fu con l’arpa che mi attirò in trappola una seconda volta. E lo vidi morire. Ma naturalmente non morì affatto: si limitò a sostituire una maschera con un’altra. Fu lui a fare la spada con cui per poco non lo uccisi. Mi gettò a Ghisteslwchlohm come un osso quella notte, e subito dopo mi salvò dai Signori della Terra. Io non lo capisco. Non me la sento di sfidarlo. Non ho prove, e saprebbe come defilarsi da ogni accusa. Il suo potere mi spaventa. Non so chi sia. Ciò che mi oppone è solo il suo silenzio, come il silenzio di un vecchio albero… — La voce gli si spense, e per un po’ non fece che ascoltare il silenzio di Har.

Quando rialzò la testa il Re stava ancora guardando la fiamma, ma ebbe l’impressione che la osservasse da una distanza fatta di secoli. Era così immobile che non sembrava neppure respirare. E il suo volto era più rigido e duro di quanto Morgon l’avesse mai visto, come se le rughe scavate in esso dal vento e dal ghiaccio emergessero spietatamente soltanto allora.

— Morgon — sussurrò. — Bada a te stesso. — E quello, come Morgon capì, non era un avvertimento: era una supplica. Il Re gli strinse le spalle fra le mani con dolcezza, quasi che stesse toccando qualcosa di elusivo e di impalpabile, qualcosa che cominciava appena a prender forma sotto le sue dita.

— Har…

Il Lupo-Re lo interruppe scuotendo il capo. I suoi occhi si fissarono in quelli di Morgon con strana intensità, come volessero penetrare attraverso di essi fin nella confusione che gli riempiva l’anima. — Lascia che l’arpista riveli se stesso…

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