CAPITOLO 11 NOTARONO UN CARTELLO CON LA SCRITTA «STRADA SENZA USCITA»

… Ma avevamo dei nemici, che lui chiamava maghi, e avevano trasformato il tutto in una scuola domenicale di catechismo per bambini, per puro dispetto. E allora io dicevo che dovevamo andare a sistemare quei maghi. Tom Sawyer diceva che ero stupido.

Mark Twain, LE AVVENTURE DI HUCKLEBERRY FINN.


Per i due giorni seguenti, la strada dissestata condusse la Compagnia verso ovest e un po’ verso sud. La nebbia era come un peso pieno di suoni. Demetrios ebbe l’impressione di sentire in quella nebbia qualcosa che non si sarebbe potuto udire mai più, un’assurdità antica. Non era una sirena della polizia, che suonava oltre gli alberi velati? Non l’urlo spiegato, ma lo «uh uh uh» che le auto in servizio di pattugliamento usavano un tempo per farsi sgombrare la strada? — Quei dannati pappagalli, — disse Bosco. — Quelli là, piccoli e bianchi.

— Già, — disse Angus. — Mia madre ne ha uno in gabbia.

Un’ora dopo la sirena lanciò un altro ululato spaventoso, di quelli che annunciavano un incidente, un disastro, un incendio. — Dannazione, — disse Bosco. — Non capita spesso di sentire un puma che fa questo chiasso di giorno.

— Nelle giornate coperte, sì, — disse Garth. — O se è incattivito.

— Io ne ho sentito uno, stanotte, — disse Frankie. — Lo stesso, probabilmente.

Demetrios poté accettarlo. Quando, dopo un po’, risuonò un altro stridio, fievole e distante, si rimproverò di avere udito il fischio d’una fabbrica o la sirena del mezzogiorno. Ma chiese al ragazzo che aveva l’orologio del Tempo Antico: — Che ore sono, Angus?

— Mezzogiorno in punto, uomo Demetrios.

I clacson delle automobili — il pomeriggio a metà della sua fuga — i clacson delle automobili…’. o almeno uno strombettare, un barrire confuso. Era la nebbia a generare quella pazzia? Nell’ultima mezz’ora gli era parso che si sollevasse. Di tanto in tanto Demetrios aveva scorto la chiazza bianca del sole, troppo forte per guardarla direttamente. Era un alce o un cervo che bramiva? Un gufo che lanciava il suo richiamo in pieno giorno? Vide Garth aggrottare la fronte e Frankie guardarlo con aria interrogativa, ma nessuno ne parlò, e poco dopo il suono s’interruppe.

Notarono un cartello con la scritta STRADA SENZA USCITA.

— Un crocicchio, eh? — disse Bosco.

— Dio, — disse Garth. — Vorrei saper leggere.

Bosco guardò Demetrios. — Non so che cosa c’è scritto, ma si può vedere un’altra strada che arriva qui, da nord e da sud.

Il cartello era di antico metallo, e le lettere in rilievo erano in parte cancellate. Più oltre continuavano le chiazze nere e il disordinato manto verde della strada del Tempo Antico. — Insegnerò a leggere a te e a Frankie, — disse Angus. — Oppure lo farà Demetrios, o lo faremo insieme.

— Anche Solitaire può insegnare un po’, — disse la fragile dama incinta. — Una volta Solitaire conosceva un po’ i libri.

— I libri rendono insoddisfatta la gente, — disse Bosco.

— L’insoddisfazione non mi dispiace, — disse Demetrios. Bosco scrollò le spalle, amabilmente: non riteneva che fosse il caso di discuterne. — Continuiamo verso ovest. Se è davvero una strada senza uscita potremo tornare indietro.

Il vecchio asfalto continuava più solido che mai. Forse qualcuno aveva fatto uno scherzo, dimenticato da molto tempo; oppure la strada era stata allungata dopo la posa del cartello; oppure chi lo trasportava se ne era stufato e l’aveva piantato lì in terra… il mondo è pazzo. Quando più tardi la compagnia cominciò a udire un vago ruggito, che si sentiva nei piedi e nelle ginocchia e nelle viscere, Demetrios. rifiutò di pensare a camion pesanti che sfrecciavano su un’autostrada, nell’aria inazzurrata dai veleni, per nutrire una città mostruosa. — Deve esserci una cascata, qui vicino, — disse Bosco.

La strada deviava verso sud. Il rumore diminuì. Quando venne il momento di accamparsi per passare la notte, lo sentivano ancora tuonare nel terreno, ma non ci pensavano più.

Tanto tempo fa, un giorno o due prima di Aberedo, sognai che mio padre era vivo, e mi dispiacque, sebbene lo avessi amato, sebbene fossimo stati amici in un modo più agevole e migliore di quanto possano esserlo di solito padre e figlio, perché non era vanitoso. Se con una bacchetta magica o una preghiera potessi far tornare il Tempo Antico, cosa farei?…

Demetrios rimuginò anche sui suoi ricordi delle carte topografiche del Tempo Antico. Non potevano incontrare grandi fiumi prima del Delaware. Gli si stavano già avvicinando? Il suono continuava incessante, come un caos che parlasse nel sonno.

Angus faceva le prime due ore di turno di guardia. Garth e Frankie avrebbero fatto il turno successivo, poi Bosco; Demetrios e il Professore avrebbero fatto l’ultimo, quello che portava all’alba. Demetrios si avvoltolò nella sua coperta, ma temeva il sonno: non voleva sognare Hesterville. Al di là del fuoco, Solitaire e il Professore sedevano e parlavano. Ella muoveva le labbra, accosto all’orecchio di lui, e la faccia del Professore esprimeva innumerevoli cambiamenti di dubbio, consenso, riflessione, concordanza. Egli aveva messo da parte il suo liuto. Faceva di rado gesti esplicativi con le mani, ma spesso le sue dita danzavano sul ponte del braccio destro, e Solitaire le seguiva con lo sguardo. Ah, paisà! Forse tu non parli perché non ne hai bisogno? Se le voci giungono fino a te, se alcuni ti amano e capiscono le tue risposte, è sufficiente?

Le tenebre erano alleggerite da una luna confusa; allo zenit brillava Vega, e poche altre luci eterne. Una musica transeunte turbò Demetrios, spaventosa come il rumore della radio di un’auto silenziosa di passaggio in lontananza; egli udì o immaginò il rombo smorzato del motore, il passaggio dei pneumatici sull’asfalto umido. E accadde ancora. Adesso poteva vedere, nella profondità della notte, parte della configurazione della Grande Orsa. La nebbia si stava sicuramente dissolvendo sotto la brezza; vedeva ondeggiare il merletto nero dei rami estivi. Il vento li faceva strusciare uno contro l’altro e vi soffiava il suo respiro musicale… Solitaire gli si inginocchiò accanto. — Angus ha steso la sua coperta vicino all’abete, — disse lei, — prima di montare di guardia.

— Sì. — La mano di Solitaire era morbida, un po’ pesante sul braccio di Demetrios.

— Demetrios e Solitaire non fanno niente.

— Niente.

— Anche Paisà lo sa. È una necessità.

— Capito.

— Angus è delicato. Il bambino non correrà pericoli, quando lui farà l’amore.

— Vai da lui. Questo non è il Tempo Antico.

— Com’era nel Tempo Antico, uomo Demetrios?

— Ah, niente. Vai da lui, amore. — Fino a quel momento, Demetrios non era stato sicuro che il suo amore per Angus fosse abbastanza saldo per indurlo a dire così. Le vecchie mitologie muoiono a fatica; ma Solitaire avrebbe capito, a modo suo; era impossibile misurare la forza o l’orientamento della sua saggezza, tanto simile alla sua follia (così aveva detto una volta Madam Estelle) che era difficile tracciare una linea di demarcazione.

Forse il ghiaccio azzurro di Vega non era completamente sgombro dalla nebbia. Demetrios udiva e sentiva la cascata che continuava, ma non per sempre, solo fino al prossimo terremoto, al prossimo cambiamento di clima sull’orologio dei quattro miliardi di anni… Quale che fosse il tempo stabilito dalla scienza prima di cessare d’esistere. Si svegliò, pesantemente, dal sonno. Bosco stava ravvivando il fuoco con altra legna. — È il mio turno?

— No, è solo mezzanotte. Continuo io. Mi dispiace di averti disturbato.

— Non importa. Tutto tranquillo?

— Abbastanza. Garth e Frankie hanno sentito un lupo… non era vicino. Poteva essere solo un coyote, dice Garth.

— Il verso era troppo profondo, — disse Frankie, e stese la coperta accanto a Demetrios. — Era un lupo solitario.

— Non è presuntuoso? Se fosse mio fratello…

— Pensa cosa mi son perso! — cinguettò Frankie e si sdraiò per dormire. Garth si arrotolò nella coperta dall’altra parte, ma Frankie era inquieto e poco dopo bisbigliò: — Demetrios, hai molto sonno? Ti spiacerebbe raccontarmi una storia?

— Non disturbarlo, — sbadigliò Garth.

— Non mi disturba. — Demetrios si levò a sedere, drappeggiato nella coperta. La notte aveva portato il freddo della foresta, troppo intenso per quella stagione, e le ossa gli dolevano: non si adattavano bene a dormire per terra. — Certo, Frankie. È solo la verità che nei tempi andati, a Peranelios, c’era un giovane pittore, meravigliosamente abile, anche se non so dirti se diventò famoso, benché io sappia tutto. Si chiamava Mastro Giovanni e voleva dipingere gli eroi.

— Dipingere è come cantare?

— Un po’ sì e un po’ no. — Demetrios attirò a sé Frankie nel cavo del braccio; con la mano sinistra alimentò il fuoco con i ramoscelli. Il calore acquietava i dolori. — È abbastanza simile, e raccontare storie è un po’ l’uno e un po’ l’altro. Mastro Giovanni (che non era molto più vecchio di te) non aveva altra ambizione che diventare il più grande pittore mai esistito. Consultò lo Scimmione Calvo (il critico più rispettato di Peranelios), e quello gli chiese: «Vuoi essere il più grande pittore che sia mai esistito, oppure vuoi dipingere?». Poiché in un certo senso era il cervello della banda, Mastro Giovanni capì, e mise davanti allo Scimmione Calvo un bel melone maturo che gli aveva portato, per riconoscere il fatto che aveva più buon senso degli altri critici. Bisogna sempre portargli qualcosa, quando lo si consulta: tutto sta a vedere se lo mangia o te lo tira dietro. Poi Mastro…

— Beh, e allora?

— Allora cosa?

— Lo mangiò o glielo tirò dietro?

— Oh. Certuni dicono che lo mangiò, altri che glielo tirò dietro… le solite varianti che capitano ai narratori di storie. Mastro Giovanni, come ho detto, voleva dipingere gli eroi perché pensava che fossero interessanti. Non so precisamente perché, ma a Peranelios, come dappertutto, il problema è trovarli.

— Dov’è Peranelios?

— Al di là delle Montagne del Mai.

— L’immaginavo. Come le favole che racconta mia zia, i fatti succedono sempre dove non puoi mai andare. Ma, — disse Frankie, caldo e assonnato, — preferisco ascoltare, piuttosto che addormentarmi.

— Anch’io. Mastro Giovanni chiese a suo padre se sapeva dove trovare degli eroi. Il padre di Mastro Giovanni aveva combattuto nelle guerre contro i pirati, anzi era a bordo dell’ammiraglia quando la fiotta passò di sorpresa nello Stretto di Gor per attaccare il porto segreto dei pirati. Lui non sapeva dove Mastro Giovanni poteva trovare degli eroi, e si irritò con il figlio perché l’aveva disturbato mentre beveva un boccale di birra. Mastro Giovanni fece uno schizzo di suo padre irritato, e quella notte se ne andò di casa, in cerca di eroi. Il ritratto gli dava fastidio, perché somigliava più a lui che a suo padre, ma molto più tardi, quando si trovò in difficoltà, riuscì a venderlo a un ammiraglio che aveva conosciuto suo padre, in cambio di alloggio per una notte e di una ciotola di minestra.

«Il primo giorno, dopo essere partito da casa, incontrò un giovane cavaliere robusto in armatura, che con la lancia in pugno affrontava uno spaventoso drago fiammeggiante: proprio quello che cercava. Mastro Giovanni chiese al nobile giovane: “Ti dispiacerebbe tenere la lancia un po’ più inclinata?… Sì, così va bene. A proposito, voi due non state combattendo per qualcosa, per una fanciulla o qualcosa del genere?”

«“Beh, veramente l’abbiamo mandata a chiamare,” disse il drago, “ma quella piccola disgraziata è in ritardo. Succede sempre così.”

«“Non so proprio cosa abbia preso alle fanciulle d’oggi,” disse l’eroe, il quale era più vecchio di quanto pensasse Mastro Giovanni. “Non sono più come una volta. Non stiamo ad aspettarla. Vado bene così, con la lancia?”

«“Benissimo,” disse Mastro Giovanni.

«“L’altro mio profilo è migliore,” disse il drago. Si misero a posto, e ne venne fuori il quadro più vendibile di Mastro Giovanni. Ne fece parecchi, con migliorie e fanciulle e così via… ma lui non era soddisfatto. L’eroe, e qualche volta anche il drago, somigliava sempre a lui. I soggetti non se ne accorgevano (loro naturalmente cercavano solo se stessi e naturalmente ci si ritrovavano) ma Mastro Giovanni lo notava. La cosa lo turbava ancora quando arrivò alla capitale.

«Arrivato là, consultò il Gran Volto di Pietra, che sta in una splendida piazza nella capitale di Peranelios ed è il critico doppiamente rispettato dell’intera nazione, perché non dice mai niente. Quella sua abitudine di non dire mai niente fece capire a Mastro Giovanni che forse tutto il guaio stava nella faccenda dell’eroe. Invece di eroi, forse doveva dipingere solo gli individui più generosi, coraggiosi e santi che poteva trovare. Ci si provò, guadagnando un po’ meno di prima, sebbene molte persone gentili facessero commenti favorevoli. Vedete, il guaio era… il guaio era…»

— Che tutti somigliavano a lui, — disse Frankie. — Ma le persone che dipingeva non se ne accorgevano, giusto?

— Giusto. E lui se ne accorgeva. Dopo un po’ capì il perché.

— Sarà meglio che me lo dica tu.

— Lui era l’unica persona che conosceva veramente. Poteva amare gli altri, e dipingerli, ma non conoscerli. Lui era eroe, ladro, mendicante, drago, santo. Ho dimenticato di dirvi che di cognome si chiamava Ognuno. Mastro Giovanni Ognuno.

— Immagino che sia una specie di storia triste. — Frankie sbadigliò.

— Credo di sì. Potrebbe essere meno triste dopo un buon sonno.

— Può darsi. — Frankie si raggomitolò nella coperta, e un grosso sospiro si smorzò in un leggero russare.

(È mio privilegio di narratrice dire che mentre sedeva accanto al fuoco, alimentandolo di ramoscelli, fino a quando Bosco non venne a consegnargli l’orologio per il turno di guardia insieme al Professore, Demetrios compose altri finali per quella storia, alcuni dei quali più adatti alla giovinezza di Frankie. Come ci sentiamo superiori! La maturità dovrebbe essere qualcosa dì più che conoscere un mucchio di sterco in cui i giovani non sono ancora cascati: ma quante volte è così? Potrei riferirvi alcuni dei finali, ma perdereste la pazienza. Non che possa darvi torto… eccoci già al Capitolo Undici e siamo ancora qui nella nebbia con Huck Finn, Dante e tutto il resto.)

La mattina dopo la nebbia si era addensata di nuovo, e nella nebbia la Compagnia notò che la vecchia strada migliorava, diventava un viale decente. Le erbacce erano appiattite, anche se non distrutte, e gli alberelli più minacciosi erano stati tagliati… un lavoro da stradini, per il quale speriamo che qualcuno fosse stato pagato. Il rombo della cascata diminuì, cambiò in modo sottile, via via che la Compagnia si spostava verso ovest: era quasi la protesta di un fiume chiuso tra argini stretti, e Demetrios la sentiva più che mai, come una vibrazione nel terreno.

Trovarono un altro crocevia; e mezzo miglio più oltre, un altro ancora, con una strada che veniva da sud. E da quella parte, grandi e indistinti nella nebbia, ma poi stagliandosi nei loro contorni naturali, arrivarono due coniugi dai capelli grigi, con un uccellino dorato in una gabbia. Salutarono educatamente la Compagnia con cenni del capo e l’uomo chiese: — Siete diretti al traghetto?

— Se è là che porta la strada, — disse Demetrios… perché quel mattino Angus, assonnato e distratto dopo una notte di teneri giochi, pareva volere che fosse Demetrios a fungere da capo e a prendere le decisioni.

Alla donna sconosciuta quella risposta non piacque. — E dove altro dovrebbe andare? — domandò. E forse pensava che Demetrios o suo marito fosse sordo, perché ripeté: — Ho detto, dove altro dovrebbe andare? — Il suo uomo, che portava la gabbia (non avevano altro bagaglio) sorrise con aria accattivante.

Solitaire lasciò Angus e rivolse un trillo all’uccellino che, sotto il suo sguardo, si lanciò in folli carole. — Dammelo qui. — Prese la gabbia (senza dubbio l’uomo era davvero sordo) e la coprì con un telo grigio che portava infilato sotto la cintura. Il canto cessò. — Cammineremo un po’ più indietro di voi, brava gente, — disse. — Così non darà tanto fastidio.

Frankie rimase indietro per fare amicizia con i due, ma quelli erano imbarazzati o spaventati (era possibile aver paura di Frankie? Sì) e coprirono di nuovo l’uccellino perché ricominciò a cantare al suo avvicinarsi. Demetrios osservò gli sforzi del ragazzo, che ottennero soltanto borbottii a labbra strette da parte della donna, e vaghi sorrisi da parte dell’uomo. Presto Frankie desistette e raggiunse la Compagnia, perplesso e piuttosto stizzito; ma comunque parlò solo all’orecchio di Garth. La coppia procedeva una decina di iarde più indietro; e nessun altro si era aggiunto a loro quando scesero tutti un lungo pendio pietroso, verso la casa del traghettatore.

La casa stava tra alberi merlettati di nebbia: e la nebbia copriva le acque, fino all’infinito. La Compagnia si accorse appena della presenza del fiume fino a quando non raggiunse la casa; e poi lì, ingigantito dall’alta sponda, il grande, lento rumore li circondò. Come nei giorni precedenti, la nebbia parve diradarsi, eppure non si disperdeva mai del tutto; era solo il sollevarsi tentatore di un sipario che per qualche ragione misteriosa deve tornare ad abbassarsi…

Se mai avete recitato una parte in una filodrammatica (che non è mai migliorata molto dalle sue origini tra i laghi svizzeri) avrete notato che con quel maledetto sipario ne capita sempre qualcuna: si incastra, piomba fuori tempo sul collo del tenore, funziona in tutti i modi, ma mai bene… se pure il sipario c’è; certuni cercano di fare a meno, cercano di nascondere gli attori dietro uno schermo fino a quando non tocca a loro, e poi il grassone fa cadere la lancia, clank, clong, e quando si china per prenderla urta lo schermo con il sedere e lo fa cadere ed eccoli tutti là (gli svizzeri avevano sempre il sipario). Quello che voglio dire è che, se avete fatto questa esperienza, potete capire un po’ una romanziera alle prese con la nebbia e cose simili in questo capitolo (non ho tempo neppure per Madam Estelle), quando sarebbe tanto più semplice tirare avanti al trotto con una bella storia d’azione svelta che vi aspettavate di sicuro almeno stavolta, care anime… che peccato…

La casa era vecchia e grigia, il molo usurato dal traffico (eppure adesso non arrivava nessun altro) e verde d’alghe e di muffa nei punti riparati. La vela arrotolata del traghetto lasciava sgocciolare nebbia condensata. Ma una gaia lampada era visibile attraverso la finestra della casa. Si scorgeva il traghettatore che mangiava uova fritte e pane, e si puliva i baffi grigi. Il suo nome era scritto su un cartello sopra la porta:


TRAVERSATA DEL DELAWARE
(Washington ha dormito qui)
R.C. Noah, Direttore
BIGLIETTO 10 cents.

Il signor Noah spalancò la porta prima che potessero entrare: era un titano grigio che faceva sfigurare la massa di Bosco e l’altezza di Demetrios. Brand si rattrappì come Demetrios non l’aveva mai visto fare; recuperò presto il coraggio ma non fece profferte d’amicizia, sebbene il signor Noah fosse raggiante, a modo suo. — Dunque, cosa volete? — Era solo un vecchio grande grosso, burbero, rumoroso, con un perizoma grigio, e i baffi sporchi d’uovo.

— Stiamo andando all’ovest, — disse Angus. — Quand’è il prossimo traghetto?

— Quando volete. Non ho orari fissi, io. Perché della gente simpatica come voi vuole andare all’ovest?

— Io vengo di là, — disse Demetrios.

— Non è una ragione. Non c’è più niente, adesso, dopo la Penn.

— Dov’eravamo non ci piaceva, — disse Bosco. — Capisci? A proposito, Mister, hai visto o sentito qualcosa di una banda chiamata i Nomadi di Gammo?

— No.

— Noi siamo per conto nostro, — disse la donna con la gabbia. — Ecco, prendi qui mentre tiro fuori il danaro. — Ma dovette tirare il marito per il braccio perché lui le desse retta. — Ho detto, prendi la gabbia mentre tiro fuori il danaro.

— Non c’è bisogno di tanta fretta, — disse Noah. — Non andremo da nessuna parte fino a quando non sarò andato e tornato dalla latrina.

— Che tipo disgustoso! — Ma la donna lo disse sottovoce, e dopo che Noah era rientrato nella sua casetta.

— Non è mica molto educato, è un fatto, — disse Bosco. — Gli avevo solo rivolto una domanda. — Anche Solitaire aveva mostrato un lampo di collera, ma quando Angus la cinse con un braccio si rilassò, e alzò gli occhi verso di lui, in un alone di sicurezza. Bosco aggiunse: — Vedete, non sono sicuro che la farei a battere quel tipo.

Frankie rise. Demetrios disse: — Non ti ci provare, uomo. — Frankie smise di ridere e si avvicinò a Garth, che in quel momento era il più calmo della Compagnia.

Il signor Noah tornò indietro e si avviò lungo il piccolo molo, bloccando l’accesso alla sua miserabile barca: s’era piazzato lì con la mano protesa. La donna anziana passò per prima, lanciando un’occhiataccia ad Angus sebbene si fosse già scostato per cederle il posto. Mise una moneta da dieci cents nella mano di Noah. — Abbiamo solo metà dello scandaloso prezzo del biglietto. Pensavamo che fosse meno.

— Per metà posso portarvi solo a metà del fiume, — disse il signor Noah.

— Non ho mai sentito una stupidaggine simile!

— Oppure mi prenderò l’uccellino per l’altra metà. Un bell’uccellino come quello mi rallegrerebbe un po’ la casa.

— Bene… sta bene. Dagli la gabbia. — Il marito continuò a sorridere dolcemente alla nebbia. — Ho detto, dagli la gabbia. — Gliela strappò ella stessa dalla mano e la porse al signor Noah, il quale tolse il telo:

L’uccellino inclinò la testa verso l’uomo e cantò teneramente. — Ecco! — disse il signor Noah. — Ecco, ecco! — Stava ancora ammirando il suo acquisto quando Angus pagò: ma stava abbastanza attento da notare le otto monete. Una la rese. — Per il cane non faccio pagare niente. Se ammazza un ratto o due si è già guadagnato il biglietto. — Demetrios vide una sagoma guizzante, rossogrigia, sfrecciare sotto uno scalino, mentre i coniugi anziani avanzavano nella barca, vacillando, in cerca del posto più asciutto per sedersi. — È buono a pigliare i ratti? In questi ultimi tempi sono diventati una cosa tremenda.

— Oh, è terribile con i ratti, — disse Angus.

— Per Dio, a me farebbe comodo un buon acchiapparatti.

— Non posso venderlo.

— Lo pensavo. Comunque, può viaggiare lo stesso gratis. — Il signor Noah non disse altro. Spiegò la vela fradicia, si staccò da riva, prese il timone e fischiettò per chiamare una brezza… beh, effettivamente una brezza favorevole aveva incominciato a soffiare cinque minuti prima ch’egli fischiasse, e aveva preso a diradare la nebbia in spettri e fantasmi di fluttuante tristezza che si spostavano sull’acqua grigia per lasciare spazio alla vela avanzante…

poiché il signor Noah era in gamba, altrimenti la Società della Traversata del Delaware non avrebbe potuto conservarlo in quell’impiego per tanto tempo, e se lui ci teneva a far risultare che i leggeri cambiamenti delle condizioni meteorologiche avvenivano in obbedienza al suo fischio, alla sua volontà, ebbene, penso che gli si possa concedere questa piccola vanità, specialmente perché ho quasi finito con questa parte del libro, la parte della nebbia. In complesso siete stati molto pazienti, molto cari. Grazie.

Brand uccise il ratto e l’uccellino dorato cantò… vigorosamente, dopo che il sole spuntò quanto bastava per mostrare salici e sempreverdi sull’altra riva. Era un grande fiume, benché non fosse il più ampio; la sponda che i viaggiatori si erano lasciati alle spalle non era visibile quando sbarcarono, a causa della nebbia che vi indugiava ancora; evidentemente era una caratteristica di quella parte del mondo. La Compagnia guardò il signor Noah rientrare nel banco di nebbia; Demetrios ebbe l’impressione di sentire cantare ancora l’uccellino dorato.

La strada del Tempo Antico continuava oltre l’attracco, in condizioni migliori. Non c’era più nebbia. Ogni ramo, ogni pietra, ogni ciuffo d’erba era immerso nel calore pulito del pomeriggio. Al primo crocevia la donna anziana disse: — Noi andiamo da questa parte. — Tirò il marito per il braccio. Egli rivolse a Demetrios un cenno diffidente. Poi i due sparirono.

La Compagnia aveva percorso un quarto di miglio, ed ogni cuore seguiva in solitudine la sua rotta, quando Solitaire si fermò di colpo, ad occhi dilatati… Fino a quel momento aveva camminato accanto ad Angus, teneramente, sebbene senza toccarlo. Girò su se stessa e tornò indietro correndo per un breve tratto, e scagliò furiosamente il bastone di quercia nella direzione presa dalla coppia sconosciuta. — Pazzi! Idioti! — Cercò di urlare ancora, ma il pianto le strozzò le parole in gola.

Demetrios fu il primo a raggiungerla e la trattenne, delicatamente; qualche volta, nelle sue crisi di rabbia, si era strappata gli abiti, s’era straziata le braccia con le unghie. La sentì ritrarsi, e poi ritrarsi ancora quando Angus le prese le mani, ma poi ella non fece alcuno sforzo per liberarsi. — E se l’uccellino muore?

— Immagino, — disse Angus, — che qualcuno potrebbe risponderti che l’uccellino era loro.

— Sì. Ma cantava per Solitaire. Cantava per Frankie.

— Solitaire…

— Cosa vuoi dire? Chi è Solitaire? O Demetrios, Demetrios, e se Solitaire perdesse la sua follia? Non è mai stata violentata da una banda di teppisti, Demetrios. Oh… oh, si era solo allontanata da Brakabin, s’era perduta, quella stupida, tutta quella strada da Brakabin perché quella stupida di sua madre le aveva detto di portare a spasso quello stupido di un cane, e lei avrebbe dovuto passare davanti alla casa dove mio… la casa dove mio…

Guardò le proprie mani contratte rilassarsi, mentre Angus gliele massaggiava. Egli disse: — L’uccellino cantava, quando il traghettatore è ripartito con lui.

Solitaire annuì e sorrise, illuminandosi, razionalmente. Ma la memoria chiuse la porta che lo slancio appassionato aveva spalancato per un attimo. Fu quanto la Compagnia venne a sapere del mondo che l’aveva resa quel che era. Frankie recuperò il ramo di quercia ed ella l’accettò. — O Cervello della Banda, — gli disse. — Alla prossima fermata cominciamo a imparare a leggere e a scrivere, e non sarà facile.

— E cosa c’è di facile?

— Bravo il mio amico. Adesso Solitaire vuole la musica.

Quando proseguirono, ella agitò il bastone con lo stesso ritmo di quello del vecchio, dopo aver preso a braccio Demetrios da spirito indipendente e libero, e il Professore li seguì pizzicando una marcia vivace. Frankie sfrecciò davanti a loro, come un tamburo maggiore, battendo il piatto di latta tolto dallo zaino con il cucchiaio di peltro, e cantando antiche, venerabili parole:

«Mademoiselle d’Armentières, parlez-vous?

Mademoiselle d’Armentières, parlez-vous…

È difficile arrivarle sopra le ginocchia,

Ma si butta facilmente sulla schiena.

Hunky-dinky, parlez-vous!

(Sono sopravvissuti altri versi, che neppure Frankie conosceva.) Garth fischiettava e cantava un po’ anche lui. Angus soffiava su di un filo d’erba tenuto sui pollici. Bosco si batteva i pugni sul petto e si schiaffeggiava le cosce, di tanto in tanto faceva bum! come una grancassa, e Brand trottava avanti e indietro, sbalordito e ammirato, lanciando acuti uggiolii canini. Fu così che la Compagnia arrivò, con stile splendido ma informale, nella pacifica, prospera, alquanto conservatrice città di Trottersville, nella Penn.

La strada del Tempo Antico era svanita; tra gli alberi si scorgeva una strada moderna di terra battuta, molto migliore, coperta di tracce di zoccoli, di piedi calzati di sandali, di ruote di carro. Quando la raggiunsero, al canto di Mademoiselle, videro vicinissimi molti tetti, più in basso, staccionate di pascoli, il campanile di una chiesa che rifletteva il sole. Demetrios descrisse ad Angus lo spettacolo degli uomini e dei cani che guidavano un branco di maiali verso la cittadina, dall’altra parte, dove una piccola altura innalzava la strada. Trottersville era una città di maiali e polli. Un gallo cantò. Bosco sorrise.

Trottersville, come tutti sanno, fu fondata moltissimo tempo fa da una famiglia Trotter (o Trotters); ma l’unica statua nei giardini è quella di un maiale, eseguita in uno degli stili del tardo Ventesimo Secolo, che sembrava un frullauova da tutte le parti, tranne che dal sud. L’iscrizione sul piedestallo dice COSA MIA, ma è stata riempita con lo stucco e dipinta, e forse non sarebbe il caso di parlarne, ma si vede lo stesso. Visto da sud, il Porcellino sembra più che altro un paio dì forbici rovesciate. Tutte le banderuole segnavento della cittadina sono galli dorati.

La Compagnia si avviò verso la locanda: Angus aveva fiducia nel valore del suo danaro di Katskil. La locanda aveva per insegna una testa di cinghiale, e spingeva la tradizione medievale al punto di esporre una frasca sopra la porta, per annunciare agli analfabeti che lì c’era da bere. Il danaro di Angus era buono davvero, e c’era a disposizione il piano di sopra, con spazio sufficiente per tutti, compreso Brand, e le bevande erano bevibili.

E meglio ancora, in città c’era il Circo Sawyer Finn.

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