10

Sybel spostò per tutto l’Eldwold, come pezzi degli scacchi, i signori di Niccon e di Hilt, portandoli dai loro territori al castello del Signore del Sirle. Là essi si fermarono, sbattendo gli occhi come dopo un sogno, e Rok, sorridente, diede loro il benvenuto nella sua casa.

Mezzogiorno e sera, la casa di Rok cominciò a riempirsi di uomini che sedevano a tavola con cotte di cuoio e acciaio, con coltelli alla cintura, e che parlavano a bocca piena delle battaglie a cui avevano preso parte e delle cicatrici portate a casa come ricordo.

Nei cortili del castello echeggiava il sordo battere dei martelli: venivano forgiate le spade, riparati gli scudi, fissate punte di lancia a lunghi manici di frassino chiaro e dritto, costruiti carri, riparati finimenti e selle per i cavalli da guerra dalle zampe possenti.

Tutto questo fu visto da Horst Signore di Hilt e poi da Derth Signore di Niccon, un giovane dai capelli color del fuoco che aveva giurato eterna fedeltà a Drede, a nome suo e dei suoi discendenti: entrambi videro i preparativi e, rimirandoli nel proprio cuore, li trovarono buoni.

Derth di Niccon, che giunse a una settimana di distanza dal Signore di Hilt, si lamentò accoratamente, davanti al focolare di Rok, con una coppa di vino tra le mani:

— Non pensavo che aveste così tanti seguaci, altrimenti non avrei promesso tutto a Drede. Ma l’ho fatto perché pensavo alla Piana di Terbrec.

— Non intendo trovarmi di fronte a una seconda Terbrec — disse Rok, con calma, gli occhi che brillavano sotto la chioma bionda. Poco lontano da loro, una donna dai capelli color platino sedeva tranquillamente a ricamare, e i suoi occhi neri non si staccavano dalla faccia di Derth. Ma per lui quella donna era poco più di un’ombra che non si incide nella memoria.

Derth sospirò, picchiettando sulla coppa con l’unghia del dito indice.

— Posso darvi — disse — cinquecento uomini a cavallo e tre o quattro volte tanti a piedi.

— Il Signore di Hilt me ne ha promessi meno.

— I suoi territori non sono omogenei: in parte si tratta delle terre conquistate da Cam di Hilt durante l’assedio di Mondor dei settanta giorni. Gli uomini di questi territori sono ritornati alla loro antica obbedienza al Re di Eldwold.

— Be’, più avanti potremo convincerli ad allearsi a noi. Temo che Horst sia un po’ troppo vecchio per la guerra. Peccato.

Derth sbuffò. — Se proprio volete commiserare qualcuno, commiserate Drede. So che anche Horst gli aveva promesso il suo appoggio, inizialmente, prima di passare a voi.

Rok si limitò a sollevare educatamente le sopracciglia, come se la notizia lo sorprendesse; si astenne dai commenti.

In quel momento, Coren si stava facendo strada in mezzo ai tavoli dove era servito il pasto di mezzogiorno. Scorse i capelli rosso fiamma del Signore di Niccon e si immobilizzò a metà strada. Con un sorriso, Ceneth smise di mangiare e gli porse un boccale di vino. Coren fissò il fratello.

— Hai visto chi c’è?

— Certo.

— Derth di Niccon. Ceneth, come ha fatto Rok a convincerlo a venire? Drede ha dato terre e oro a suo padre, per l’aiuto fornitogli a Terbrec. Che cosa ci fa, Derth, al nostro tavolo?

Ceneth alzò le spalle.

— Probabilmente — disse — ha sentito che il Signore di Hilt è passato dalla parte del Sirle e preferisce combattere con lui che contro di lui.

— Ma, Ceneth…

Cercò le parole, non riuscì a trovarle, e bevve un sorso. Poi scorse Sybel e la raggiunse.

— Ti ho cercata dappertutto.

Lei batté le palpebre, sorpresa di vederlo. Il filo mentale con cui teneva il Signore di Niccon si spezzò.

— Coren…

Accanto a Rok, Derth si soffregò gli occhi.

— Mi sento assai confuso — disse.

Rok tornò a riempirgli la coppa.

— Siete stanco per il viaggio.

Poi si voltò, prese Coren per il braccio e lo allontanò da Sybel.

— Eorth ti cercava — gli disse. — Mi pareva importante.

— Voglio portare Sybel nei campi, a cavalcare un poco — disse Coren. — Non è abituata alla confusione, a tutto questo chiasso.

Tacque per un istante, poi si rivolse a Sybel:

— Che cosa stavi facendo, qui, con Rok e il Signore Derth?

— Oh — disse lei, mentre i pensieri le sfuggivano via dalla mente come uccelli spaventati. — Volevo parlare con Rok.

Rok aggiunse: — Era preoccupata. Eorth vorrebbe portare il Drago Gyld in battaglia.

— Cosa?

— Sì, e Sybel non è riuscita a dissuaderlo. Forse tu ci riuscirai.

Il Signore di Niccon guardò Sybel, dietro la figura di Rok.

— Voi siete Sybel? — chiese. — Ho sentito parlare di voi.

Lei gli sorrise, fissandolo negli occhi, e il Signore di Niccon tornò a sedere.

Coren disse, con irritazione:

— Forse, se lo legherò al suo cavallo, Eorth capirà. Sybel, aspettami qui.

Si voltò e tornò a immergersi nella folla. Rok ricominciò a respirare e si rivolse al sottomesso Signore di Niccon:

— Allora. L’assedio portato a Mondor da mio nonno era fallito perché non era riuscito a bloccare i rifornimenti che arrivavano in città dal Fiume Slinoon.

“Questa volta voglio che i nostri uomini attacchino via acqua, navigando fino al centro della città e sbarcando laggiù.

“Ci occorreranno molte barche. Niccon è la zona lacustre dell’Eldwold. Potete costruire barche sufficienti per trecento armati, e fornire gli uomini occorrenti per farle navigare?”

Il Signore di Niccon lo fissò come stesse dormendo a occhi aperti. Assentì.

— Certo.

— Assumerò su di me il costo dell’operazione.

— Per quando dovranno essere pronte?

Rok sorrise.

— Presto — disse — ma non c’è grande fretta. Sono certo che Drede non scapperà.

Quando ebbe terminato con lui, Rok affidò il Signore di Niccon alle cure di Lynette, e lei lo portò, perplesso e semiubriaco, ma entusiasta del progetto, nella stessa camera da letto dove meno di una settimana prima aveva dormito il Signore di Hilt.

Sybel si alzò e prese a passeggiare avanti e indietro nella sala vuota; Rok la guardò.

— A che cosa state pensando?

— Se porterò sul campo di battaglia gli animali, Coren li vedrà?

— Sarà impossibile impedirgli di vedere il Drago Gyld. Ma per quanto riguarda gli altri… Nella mischia, tra colpi e parate, probabilmente vedrà solo quello che si aspetterà di vedere. Ma perché rischiare i vostri animali? Non ci sarà bisogno di loro.

Sulle labbra di Sybel si disegnò un debole sorriso. Disse:

— Un giorno, il Principe Ilf partì con cinquanta uomini armati per prendere prigioniera la bellissima figlia di Mak, Signore di Macon; mentre era in cammino, Ilf scorse una Gatta selvatica nera, con il pelo che luccicava come una gemma levigata. La Gatta lo fissò con i suoi occhi verdi, e Ilf spronò subito il cavallo per darle la caccia. Nessuno più li rivide sulla faccia della terra, né lui né i suoi cinquanta uomini.

“I tre prodi figli del Re Pwill si recarono un giorno a caccia con i loro amici e videro un Cinghiale dalle setole d’argento e dalle grandi zanne, bianche come il petto delle loro nobili mogli. Pwill invano attese che facessero ritorno a casa; attese sette giorni e sette notti, e di quindici giovani soltanto il suo figlio ultimogenito rientrò dalla caccia. E quando rientrò era quasi impazzito.”

Rok la fissò.

— Lo stesso succederà a Drede — mormorò — se si vedrà sparire sotto gli occhi una parte del proprio esercito. E gli animali saranno disposti a fare questo per voi?

— Sì.

— Anche il Cinghiale? Dicevate che il Cinghiale non approvava il vostro attuale comportamento.

Sybel passò il dito indice lungo la superficie del tavolo, come per seguire una venatura del legno.

— Lo farà se gli ordinerò di farlo. Manderò il Cigno da Tamlorn, perché porti il ragazzo sul Monte Eld in caso di pericolo. E il Falco Ter lo proteggerà.

— E il Drago Gyld?

Sybel socchiuse leggermente gli occhi; sulle labbra le si disegnò un sorriso.

— Gyld dovrà portarmi Drede.

Rok scosse la testa.

— Adesso — disse a bassa voce — comincio ad avere pietà di lui.

Si udì giungere dall’esterno un rumore di passi. Voltandosi, scorsero Coren: con i capelli illuminati dal sole estivo, si fermò davanti alla porta aperta e si appoggiò con una mano alle pietre dello stipite. Fissò Rok e gli chiese lentamente:

— Perché mi hai mentito a proposito di Eorth?

Rok sospirò.

— Perché stavo raccontando delle menzogne al Signore di Niccon — disse — e non volevo che tu rischiassi di mettermi in imbarazzo lasciandoti scappare qualche inopportuna verità.

— Mi stai mentendo anche ora.

Coren entrò nella sala tranquilla e piena di luce, e si fermò a poca distanza da Rok: tra loro c’era meno di un palmo.

— Perché avevi bisogno della presenza di mia moglie per raccontare bugie a Derth di Niccon, che non saprebbe riconoscere la verità neppure se gli schizzasse fuori dalla coppa di vino come un salmone che risale la corrente?

— Coren… — disse Sybel, ma lui continuò a fissare la faccia di Rok.

— In questa guerra che state preparando ci sono molti lati oscuri — proseguì Coren. — E comincio ad avere l’impressione che preferirei non conoscerli mai. Come sei riuscito a portare dalla tua parte quel vecchio, Horst di Hilt, che solo questo inverno, allorché mi hai mandato a fargli visita, era terrorizzato da Drede e chiedeva solo di vivere in pace i suoi ultimi giorni, dimenticando la sua povera figlia e il pasticcio da lei combinato con i sentimenti di Drede?

“E perché Derth di Niccon, un uomo cui hai ucciso il fratello maggiore sulla Piana di Terbrec, viene a sedersi accanto a te, beve il tuo vino e fa con te progetti di guerra?

“E perché hai fatto i tuoi progetti prima ancora di parlare con loro? E perché, se tutte queste cose hanno una spiegazione accettabile, non hai avuto la cortesia di dirmela prima che fossi costretto a chiedertela?”

Rok non rispose. Trasse un lungo respiro, abbassando la testa per sfuggire allo sguardo del fratello. Coren strinse i pugni.

— Non raccontarmi un’altra menzogna — disse.

— Coren — disse Sybel.

Lui la fissò, e sul suo volto si disegnò la prima ombra di dubbio.

Per un lungo istante rimasero a fissarsi senza parlare, immobili come la rosa di raggi di luce che scendeva sui fiori calpestati del pavimento.

Poi Coren si allontanò da Rok, uscì dalla sala, scese gli scalini e si avviò nel cortile. Rok lo guardò mentre alternativamente entrava e usciva dalle macchie di sole proiettate dalle alte finestre. Poi sentì il sospiro di Sybel e si voltò verso di lei.

— Che cosa gli avete fatto? — le chiese, dubbioso.

— Non avrei voluto… — mormorò lei, portandosi le mani alla faccia. — Non avrei voluto farlo… non a Coren… non a lui. Ma non sapevo che cosa rispondergli… ed era così facile…

— Ma che cosa gli avete fatto?

— Gli ho fatto dimenticare quello che ha visto, quello che vi ha chiesto. E ora mi pento di averlo fatto.

Cominciò improvvisamente a tremare, e tra le dita con cui si copriva gli occhi le spuntarono le lacrime.

— Mi dispiace. Ma era così facile…

— Sybel… — disse Rok.

— Ho paura.

— Sybel. — Andò fino a lei e le posò gentilmente le mani sulle spalle. — È stato come raccontargli una bugia, niente di più.

— No! No! Gli ho tolto alcune cose dalla mente, come Mithran voleva fare con me! È una cosa che nessuno dovrebbe fare mai, né per odio né per amore!

— Ss! Oggi siete stanca per il lavoro di questa mattina e dimenticate lo scopo che ci siamo prefissi. Per Coren non è stato un gran danno. Per lui è meglio così, e non ci sarà bisogno di rifarlo.

— Ho paura.

— No. Non gli avete fatto niente, è stata come una piccola bugia… non lo rifarete più.

— No.

— Allora, non dovete preoccuparvi.

Lo sguardo di Sybel, che fino a quel momento era rimasto puntato sulla porta da cui era uscito Coren, ritornò a fissarsi sul volto del cognato.

— Non capite — gli disse. — Lui… lui mi crede onesta. E io gli ho mentito fin dal giorno in cui ci siamo sposati.

Abbassò improvvisamente lo sguardo sulle braccia di Rok, come accorgendosi solo allora che la teneva per le spalle. Si staccò da lui e corse fuori.

Vide che Coren stava uscendo in quel momento dalla porta principale del castello e si dirigeva verso i campi. Gli corse dietro, nel cortile, passando davanti alle nuvole di vapore che uscivano dalla fucina del fabbro, ai colpi di martello provenienti dalla bottega del falegname, alle facce stupite dei contadini e dei soldati che si facevano da parte per lasciarla passare.

Coren si sentì chiamare e si fermò sulla strada coperta di polvere. Attese che Sybel lo raggiungesse, e, quando lei si avvicinò, un sorriso gli spuntò sulle labbra. Tese le braccia per abbracciarla, e lei gli premette la guancia contro la spalla.

— Stringimi — gli sussurrò, e le braccia di Coren formarono intorno a lei un cerchio di pace. Lui la sentì tremare.

— Che cosa ti è successo?

— Niente. Stringimi.

— Hai pianto.

— Sì.

— Perché hai pianto?

Lei aprì gli occhi: fissò i campi bruciati dal sole e il cielo color turchino ardente. Sentì che Coren la stringeva ancora più forte.

— Pensavo — mormorò lei, e le parole le bruciarono nella gola — a cosa avrei provato se fossi rimasta senza di te… e non ho potuto sopportarne l’idea.

— Sybel, cosa posso dire per confortarti? Non avremo conforto finché questa guerra non sarà finita. Ma avevi ragione: Rok non è affatto impazzito, e il Sirle ha una speranza di vittoria, grazie a qualche magia che non riesco a concepire.

“Perciò, forse sarà una guerra molto breve… anche se la cosa non ti può essere di molta consolazione, dato che Tamlorn sarà coinvolto in qualsiasi caso. Ma sono felice che tu mi voglia ancora bene, tanto da piangere per me nonostante i tuoi timori per lui.”

— Ti voglio bene. Ti voglio bene.

Si sciolse infine dal suo abbraccio e lui lasciò ricadere le braccia e si guardò attorno, perplesso.

— Ho dimenticato perché sono venuto qui. Mi sono spaventato, quando ti ho visto correre verso di me, con i capelli che sembravano una scia d’argento e la faccia bagnata di lacrime.

— Già. Te l’ho fatto dimenticare — bisbigliò lei senza che Coren la sentisse. — Mi dispiace.

Lui l’abbracciò di nuovo, e insieme ritornarono al castello. Intorno a loro, mentre attraversavano un campo di grano, si levò un volo di corvi neri.


Quella sera, Sybel parlò ai suoi animali. Aveva chiamato da Mondor anche il Falco Ter, che era giunto al crepuscolo ed era piombato come una meteora dal cielo, già azzurro cupo per l’avvicinarsi della notte. Il Falco si posò su un ramo, tra le fitte foglie verdi dell’estate, e lei gli disse:

“Ter, parlami di Drede.”

“È un uomo atterrito fino in fondo al cuore, fino al midollo delle ossa” disse il Falco dagli occhi scintillanti. “Grida, nel sonno, tiene sempre accesa qualche torcia nella sua stanza. Ha paura delle ombre notturne. Dietro i suoi occhi vedo sempre più infittirsi una paura che va ben oltre il timore della battaglia, come una spessa coltre di ghiaccio invernale. Si mormora che stia diventando matto, ma lui cerca di non dare esca a queste voci, e parla il meno possibile.”

“E Tamlorn?” chiese Sybel.

“Tamlorn si limita a osservare. Mi porta sempre con sé; parliamo fino a tardi, la sera, e a volte si addormenta mentre ancora sta parlando. Vorrebbe che tu aiutassi Drede. Mi ha detto di chiedertelo. È disperato.”

“E tu?”

“Io sono pronto.”

“Sta’ attento a ogni parola che possa essere utile a Rok. Nel corso della battaglia, ti voglio al fianco di Tamlorn, per proteggerlo.”

Sollevò la testa e chiamò il Cigno Nero. Il Leone Gules venne ad accucciarsi ai suoi piedi e accanto al Leone si acciambellò anche la Gatta Moriah; poi, con un tocco della mente, Sybel svegliò il Drago Gyld nella sua caverna. Infine anche il Cinghiale Cyrin, luccicante in mezzo all’ombra, uscì dagli alberi e si diresse verso di lei.

Per un lungo momento che mise alla prova la forza e la resistenza della sua mente, tendendo la sua concentrazione fino ai limiti, Sybel tenne ferme le sei menti orgogliose e inquiete dei suoi grandi animali.

“Ascoltate. Quando il Signore del Sirle e i suoi fratelli usciranno dai confini del loro territorio per attaccare battaglia, il Falco Ter e il Cigno di Tirlith voleranno a Mondor, per raggiungere Tamlorn. Da quel momento in poi, a ogni istante, il Cigno dovrà essere pronto a portarlo sul Monte Eld, in caso di pericolo.

“Ter, tu difenderai Tamlorn. Moriah, Gules e Cyrin, voi dovrete comparire all’esercito di Drede, prima e durante la battaglia, allontanando gli uomini dal loro posto grazie alla magia dei vostri occhi e della vostra bellezza.

“Gyld, tu resterai con me finché Drede non sarà stato sconfitto: poi mi porterai il Re, nella torre del mago di Mondor.

“Tenetevi discretamente fuori vista, finché l’esercito non sarà pronto a muoversi. E state lontano dagli uomini di Rok. Non correte rischi inutili, salvo che per proteggere Tamlorn e, se lo giudicate necessario, per proteggere Coren.

“Tu, Ter, non toccare Drede. A meno che non sia ucciso in battaglia, voglio che giunga a me vivo.”

Il vento soffiò piano nella notte silenziosa. Sybel, sentendosi improvvisamente stanca, tacque per qualche istante, poi tornò a rivolgersi ai suoi animali.

“Le leggende che parlano di voi sono innumerevoli, ma tutte risalgono al passato. Di quel che farete in questa battaglia, gli arpisti parleranno per anni, toccando con meraviglia le corde dei loro strumenti, e i vostri antichi illustri nomi echeggeranno ancora, onorati e riveriti, tra le pareti di pietra delle corti degli uomini, con un suono puro come quello dell’oro fino.”

Tacque di nuovo, e in un solo istante sentì il rapido, pulsante battito dei pensieri di Ter, i gioielli perduti dei ricordi di Gules e di Moriah, la serena acquiescenza della mente lunare del Cigno Nero, le tortuosità del pensiero corrusco di Gyld, e, nella mente di Cyrin, il costante incalzare degli interrogativi, uno dopo l’altro, infiniti, intessuti senza posa dal filo sottile dei suoi pensieri.

Si staccò da loro, esausta, e, mentre attendevano silenziosamente accanto a lei, si riposò per qualche istante. Poi cominciò a sentire le loro domande.

“Vuoi che uccidiamo gli uomini di Drede?” chiese Moriah. “Oppure dovremo lasciarli liberi, dopo un certo periodo?”

“Non voglio la loro vita. Per qualche tempo fateli girare in tondo, poi lasciateli andare.”

“Perché non mi lasci combattere?” chiese il Drago Gyld. “Potrei disperdere l’esercito di Drede passandoci sopra una sola volta!”

“No. Spaventeresti anche gli uomini di Rok. Aspetta pazientemente insieme a me.”

“Sul Monte Eld” disse il Cigno “potrebbero essere appostati degli uomini. Dove dovremo andare, allora?”

“Allora” disse Sybel “porterai Tamlorn nel Sirle. Ma prima portalo sul Monte, e aspettami lì, se non c’è pericolo.”

“Che cosa intendi fare di Drede?” chiese il Falco Ter.

“Niente. Solo fissarlo negli occhi, una volta che sarà tutto finito, una volta che non gli sia rimasto niente… né il potere né la corona, e neppure Tamlorn a consolarlo. Mithran è stato fortunato, rispetto a lui. Ma forse, ancor prima di quel momento, sarà impazzito.”

“E cosa intendi fare di te, dopo?” chiese il Cinghiale Cyrin.

Sybel lo fissò negli occhi rossi e tacque. Le foglie si mossero nel vento, sopra di lei, come per un improvviso soffio di brezza, poi si immobilizzarono. Infine, lei mormorò a se stessa:

— Non lo so.


Qualche giorno più tardi, nella sala del castello fece il suo ingresso una donna magra e alta, dal naso lungo, con ricchi anelli alle dita e i capelli in disordine, bianchi e ricciuti. Entrò così silenziosamente che giunse al fianco di Rok senza che nessuno la notasse, mentre lui sedeva a pranzo, con Lynette da un lato e Bor all’altro.

La vecchia lo tirò per la manica; Rok si voltò, sorpreso, e si vide fissare da due occhi grigi come l’acciaio.

— Dov’è Sybel?

— Sybel? — ripeté lui.

Fece correre lo sguardo lungo la tavola.

— Dev’essere uscita — disse. — Probabilmente è con Coren. Forse sono… Vecchia, chi siete? Volete accomodarvi con noi? Non vi ho sentito entrare.

Dopo essersi guardata attorno, lei tornò a fissarlo.

— Oh, sono solo un vecchio spaventapasseri dall’occhio acuto: la fattucchiera del Monte Eld. E voi dovete essere il Leone del Sirle. Avete davvero un’incantevole famiglia, tutti questi bambini dalle guance di pesca e tutti questi fratelli di nobile aspetto. Ho fatto una tale camminata dal Monte Eld a qui…

— Una camminata! — esclamò Rok. Al suo fianco, Bor si alzò educatamente in piedi.

— Accomodatevi, Signora. Mangiate qualcosa con noi.

Lei gli sorrise, e si passò le mani sulle tempie per ravviarsi i capelli.

— Davvero gentile… — disse sedendosi. E poi: — Oh, che sollievo. Sono Maelga, la madre di Sybel.

Alla sua destra, Ceneth, che stava bevendo una coppa di vino, emise un suono strangolato.

Maelga si voltò verso di lui.

— Sono l’unica madre che abbia avuto — disse. — Ma forse pensate che, come madre, una strega di montagna non possa essere un granché.

— Sono certo che siate stata meglio di niente — azzardò Ceneth, debolmente. Rok lo fissò e lui arrossì.

— Be’, non ne sono tanto sicura — disse Maelga candidamente, frugando in un piatto di noci e di frutta secca. — Altrimenti, non avrei dovuto fare tutta quella strada dal Monte Eld al Sirle per scoprire perché il Cinghiale Cyrin è venuto a trovarmi, sbuffando, per raccontarmi una storia incredibile.

Poi, accorgendosi che Rok si guardava attorno e che tutti facevano una faccia preoccupata e incuriosita, aggiunse:

— Oh, non sarà mica un segreto?

— Vecchia, che cosa volete? — chiese Rok, piano.

Maelga sospirò.

— Albicocche secche, con dentro una lacrima di miele… quando vedo i dolci, ridivento bambina. Vedete, Rok, io ho fatto molte cose, al crepuscolo; cose oscure, a lume di candela, di cui è meglio parlare a voce bassa. Sono una vecchia con la mania di ficcare il naso negli affari degli altri, e la gente mi dà anelli e pellicce e bei fazzoletti di seta. Io intesso le mie stoffe su un piccolo telaio, con fili di colori semplici. Ma Sybel… adesso intesse una trama con un telaio grande come l’Eldwold e usa fili di vivo scarlatto.

— L’ha scelto lei.

— Sì, ma il mio vecchio cuore si spaventa. Si è spaventato anche Cyrin, che è un Cinghiale tanto vecchio e saggio.

“Rok, voi, quando la guardate, vedete una donna bella e decisa, che, grazie ai suoi poteri, è la stella della fortuna venuta a splendere sul Sirle. Io invece vedo una bambina con una ferita infiammata che finirà certamente per portarla alla morte.”

Rok posò lentamente la coppa sul tavolo. Maelga lo guardò, inarcando le sopracciglia, appoggiando il mento sulle dita coperte di anelli.

Rok rimase in silenzio per qualche istante, tamburellando con le dita sulla coppa d’argento.

— È vero — disse alla fine, a voce bassa, in mezzo al vociare della sala. — Sta intessendo un arazzo vivo, in cui compare lei e compaiamo anche noi, oltre al Re di Eldwold e ai suoi vassalli. Ma ormai si è spinta troppo avanti per potersi fermare, e lo stesso vale per me.

“Sybel non è una bambina: ha progettato questa campagna con me, un passo dopo l’altro, e ha mantenuto il segreto perfino con Coren.

“Io lo faccio per avere il potere; è un gioco che mi è stato insegnato dai miei antenati e lo giocherò finché il gioco stesso non mi ucciderà. Anche Sybel sta giocando la sua partita di potere: non per ottenerne, e neppure per la fama, ma per avere una sorta di cupo trionfo su Drede e anche su Mithran.

“Quando l’avrà ottenuto, lei tornerà a vivere tranquillamente con i suoi animali e con Coren. A me invece non basta sapere che il Sirle può sconfiggere Drede. Io devo agire di conseguenza, e poi continuare ad agire per conservare il mio potere.

“Ma Sybel è più fortunata. Può raggiungere un grande potere e poi buttarlo via, accontentandosi di sapere che, se volesse, potrebbe riaverlo.

“Se così non fosse, io ne avrei paura quanto Drede. Ma in lei c’è anche posto per l’amore: l’amore per Coren, per i bambini, per le cose semplici e tranquille della vita. Credo che questo glielo abbiate insegnato voi, Maelga, quando le avete voluto bene. Non preoccupatevi. Si vendicherà e poi sarà soddisfatta.”

Maelga l’ascoltò senza dire niente, con il mento appoggiato alle mani ingioiellate. Poi abbassò le braccia e disse:

— Non sono mai riuscita a parlare con i leoni… non riesco a ringhiare. Dov’è Sybel?

— Potrebbe essere con gli animali. La manderò a chiamare.

— No. — Maelga si alzò in piedi. — Ditemi dove la posso trovare. Ci andrò da sola.

— Vi accompagnerò, e poi vi lascerò sole.

Spostò la seggiola e si alzò in piedi, poi guidò Maelga fra i tavoli, attraverso la sala.

— Ma se Coren è con lei — l’avvertì Rok — parlate del clima, delle costellazioni celesti o di come non abbiate voluto accettare cibo alla tavola del Signore del Sirle. Coren non sa niente; Sybel ci tiene a non farglielo sapere.

La trovarono nel giardino: c’era anche Coren, ed entrambi ridevano, accanto al laghetto, mentre il Cigno Nero prendeva dalle mani di lui pezzetti di pane. La Gatta era stesa pigramente al sole caldo; il Cinghiale Cyrin grufolava oziosamente tra l’erba, all’ombra di un albero frondoso.

Nel sentire il rumore del cancello che si chiudeva, Sybel si voltò verso Maelga. Il suo sorriso si trasformò in un’espressione di stupore.

— Maelga!

Coren si voltò, lanciò nell’acqua i resti del pane e seguì Sybel, che intanto le gettava le braccia al collo.

— Sono contenta di vederti.

— Bambina mia, sei diventata così… così radiosa! Fatti guardare.

Si tirò indietro di un passo, per ammirarla. Poi le disse:

— Non sei scesa a trovarmi, quando sei venuta sul Monte.

— Come sai che…

— Me l’ha detto il Cinghiale Cyrin. Mi ha detto molte cose.

Lo sguardo di Sybel si rabbuiò. Guardò il marito, che le sfiorò la guancia con la mano.

— Me ne vado. Vi lascio parlare.

Lei gli sorrise.

— Grazie, Coren. Sono solo chiacchiere di donne.

— Quando una delle due è una strega e l’altra è una maga, permettimi di dubitarne — disse luì.

Ma si allontanò. Le due donne si guardarono per qualche istante, senza parlare. Poi Maelga incrociò le braccia e chiese:

— Bambina, cosa stai facendo?

Sybel sospirò.

— Siediti — disse. — Come sei arrivata fin qui?

— Con le mie gambe.

— Oh, Maelga, avresti dovuto prendere un cavallo.

— Avevo paura della persona a cui avrei dovuto rubarlo…

Si sedette accanto a Sybel, sull’erba, sotto un melo dai robusti rami.

— Cyrin mi ha riferito una storia che gli è stata raccontata dal Falco Ter: la storia di un Re e di un falco dalle bianche ali, chiuso in una torre…

Sybel guardò severamente l’argenteo Cinghiale.

— La saggezza che non ha mai imparato il silenzio — gli disse — è tanto più sgradevole quanto meno è richiesta.

— Perché non mi hai parlato di quello che ti ha fatto Drede? — chiese Maelga.

Sybel serrò le labbra.

— Perché la cosa mi faceva troppo male — disse. — Perché la mia collera arrivava fino al profondo del cuore e non c’erano parole che potessero esprimerla. Quel piccolo Re voleva…

Si chinò sull’erba e prese a strapparne nervosamente i fili.

— Né le tue parole né quelle di Cyrin saranno sufficienti a fermarmi.

— Sybel — disse Maelga — non so cosa intendi fare, ma so che Tamlorn è venuto da me, due giorni fa…

— Tamlorn?

— Aveva paura. Ha detto che la guerra stava ribollendo in tutto l’Eldwold contro suo padre, e che il Re dava la colpa a te. Ha detto che alcuni feudatari che avevano promesso di aiutare suo padre si erano improvvisamente alleati al Sirle, senza ragione. Ha detto che il Re cammina come una statua di pietra.

“Sybel, mentre mi raccontava queste cose, sedeva accanto al mio focolare con gli occhi sbarrati, senza battere ciglio, con le mani appoggiate sulle braccia e l’espressione di un morto. Non gli erano rimaste più lacrime.”

Sybel prese un filo d’erba e lo fissò a lungo senza guardarlo. Poi rabbrividì.

— Il mio povero Tamlorn… ma presto finirà.

— E che cosa succederà, poi?

— Drede perderà il trono. Forse anche la ragione. Forse la vita.

— E Tamlorn?

— Rok lo nominerà Re. Presto sposerà la figlia di Herne, Vivet, e da loro sorgerà la dinastia dei Re di Eldwold e del Sirle.

— E Coren? Mi hanno detto che non sa niente di tutto questo.

— Maelga, così come farò quel che potrò per distruggere Drede, farò quel che potrò per tenere Coren all’oscuro di quanto sto facendo…

— E in che modo? Distruggendogli nella mente un paio di pensieri?

Sybel fece una smorfia di dolore. Lasciò cadere la testa sulle ginocchia, per sottrarsi agli occhi grigi e penetranti di Maelga.

— No — disse. — Non lo farò più. L’ho fatto una volta. Una volta sola. E non voglio più farlo. Piuttosto di rifarlo, preferirei perderlo.

“Maelga, ho fatto un passo nel buio e non mi tirerò indietro per nessuna parola dell’Eldwold. Sono felice di vederti, ma adesso ho l’impressione che tu non sia altrettanto felice di vedere me. Sono stata ferita, e adesso devo restituire il colpo. Punto e basta. Mi spiace per Tamlorn. Ma è l’unica cosa di cui mi dispiaccia.”

— Tu non capisci — sussurrò Maelga. — Bambina, Tamlorn ama quell’uomo. Drede è l’unico al mondo che possa guardare negli occhi Tamlorn e dargli il suo orgoglio. E tu lo stai spingendo alla follia davanti agli occhi del ragazzo.

— Che importa? — ribatté Sybel.

Si alzò in piedi di scatto, volgendo il viso verso la brezza del pomeriggio, e il vento le agitò i capelli e glieli annodò dietro, inquieti.

— Deve trovare da solo il proprio orgoglio, Maelga.

Si coprì la faccia con le mani e sentì scorrere tra le dita le lacrime. Si strofinò gli occhi.

— Non posso perdonarlo — mormorò. — Mi piange il cuore per Tamlorn, ma non posso. E non voglio. Non piango per me. Soltanto per Tamlorn. E lui… ne attribuisce la colpa a me?

— Sospetta che qualche azione di Drede ti abbia fatto inquietare. Ma non crede… non vuole credere che tu abbia spaventato Drede fino a questo punto, perché sai che lui lo ama.

“Oh, certo, nel suo intimo vede certe cose, e chiude gli occhi del cuore per non vederle, come fanno i bambini per non vedere il buio. Ma quando dovrà per forza aprire gli occhi, Sybel, che cosa gli dirai? Che conforto gli darai? Il suo cuore cercherà di fuggire ogni contatto, come un animale ferito.”

— È colpa di Drede — disse Sybel.

Poi scosse bruscamente la testa.

— No. È anche colpa mia. Ma Drede non avrebbe mai dovuto cercare di rovinarmi.

— E adesso ci sta riuscendo — commentò Maelga.

Sybel si voltò verso di lei e la fissò, aggrottando la fronte.

— Può darsi, ma adesso l’ho scelto io. Drede è stato uno sciocco, e lo è stato anche Mithran, perché hanno sottovalutato la donna dai capelli color dell’argento che erano riusciti a catturare. E nessuno di loro ripeterà l’errore.

S’interruppe per qualche istante, poi aggiunse, in tono più gentile:

— In questo periodo sono dura e ostinata. È impossibile farmi retrocedere. Maelga, parliamo d’altro, di piccole cose. Mi spiace di non essere potuta passare da te quella sera, ma le guardie di Drede ci avevano scoperto, quando sono venute a cercare Tamlorn, e ci è parso meno rischioso andarcene senza passare da te, perché forse avevano lasciato degli uomini per sorvegliarci.

Maelga si fece scorrere tra le dita i lunghi fili d’erba. Nel sentire il discorso di Sybel, aveva corrugato la fronte, ma disse solo:

— Sei felice, allora, con il Principe del Sirle?

— Sì. Non desidererei nessun altro, mai. Vorrei dargli dei figli, se… se li vorrà ancora, una volta finito tutto questo.

— Non ne aspetti nessuno?

— No. — Tornò a sedere sull’erba. — Ma forse è meglio così, per il momento. Qui sono felice, Maelga. La gente mi vuole bene, e i bambini e le donne mi sembrano così luminosi, così contenti, in mezzo a queste pietre grigie. Sento la mancanza dei venti forti e ruggenti, dei chiari ruscelli e delle tranquille radure del Monte Eld; anche gli animali ne sentono la mancanza, a volte, ma, complessivamente, siamo abbastanza soddisfatti, qui tra gli uomini.

“Rok mi ha messo a disposizione una stanza, in cima al castello, con finestre rivolte a nord, a est e a sud, e lassù ho portato i miei libri. Vado in quella stanza a leggere e a mandare i miei richiami. E sento anche la tua mancanza: non posso correre da te per farmi consolare. Anche se non c’è nessuno, in questo periodo, che potrebbe darmi conforto.”

Maelga si spostò una ciocca di capelli che le era scesa sulla fronte.

— Anch’io sento la tua mancanza. Però mi rendo conto che non sei più una bambina. Sei diventata una regina fra gli uomini. Non saresti più felice tra i sassi e gli alberi del Monte.

“Ma a volte mi pare di vedere la tua figura, che scivola a piedi nudi tra le grandi colonne dei pini, con un bambino dai grandi occhi che le corre al fianco. E questa tua immagine mi induce a fermarmi e a sorridere. E poi ricordò che sono solo ombre, che i miei bambini sono diventati grandi e si sono allontanati da me, sono andati per la loro strada…”

Sospirò, agitando come ali le lunghe mani.

— Ma sono stata fortunata ad averti avuta con me — concluse.

Sybel afferrò delicatamente quelle mani inanellate color della pergamena.

— E io sono stata fortunata ad avere te — disse piano. — Ero orgogliosa e selvatica come i miei animali, il giorno che sono entrata in casa tua. La poca educazione che ho, mi è stata insegnata da te e da Tamlorn, e, più tardi, da Coren.

“Ma sono ancora selvatica, orgogliosa come mio padre e come mio nonno prima di lui, nel mio profondo, là dove vola libero quel bianco falco che nessuno può catturare. Questo orgoglio che sta dentro di me grida vendetta per sempre… l’orgoglio delle mie conoscenze e del mio potere.

“Lo stesso orgoglio ha portato Myk ad allontanarsi dagli uomini e a isolarsi sul Monte Eld per costruire la sua casa bianca e catturare la perfezione. Ma, grazie a te e a Tamlorn, ho imparato ad amare qualcosa, e non solo la pura conoscenza. E Coren mi ha insegnato la gioia. Può darsi che io non sia tanto capace di amare, Maelga, ma è solo colpa mia… perché gli insegnanti che ho avuto sono stati bravissimi.”

— Mia bianca bambina — mormorò Maelga — quando sei scomparsa dalla tua casa, quella sera, ho pensato che non ti avrei mai più rivisto, e anche se il mio cuore è ormai avvizzito, ho provato un immenso dolore. E quel dolore torno a provarlo oggi. Ti inoltrerai di nuovo nella notte e, quando alla fine ti rivedrò, troverò davanti a me gli occhi di un’estranea.

— Per te sarò un’estranea, Maelga, ma io non mi sono mai sentita così vicina a me stessa. È terribile a dirsi, ma il senso di trionfo che provo è talmente grande che non riesco neppure ad averne paura. È come se nei miei pensieri fossi il Drago Gyld, che vola in alto, nel cielo oscurato dalla notte, ed è immenso, possente, irresistibile, orgoglioso di tutti i suoi ricordi di battaglie, di uccisioni, di furti, di canti in cui il suo nome è pronunciato con terrore e reverenza. In tutto il mondo non c’è nessuno che possa fermare il trionfo del mio volo notturno. Quando il volo sarà finito, questa cosa dentro di me troverà un posto dove raggomitolarsi a dormire e io potrò dimenticarmene.

— Ma riuscirai a dimenticartene? — chiese la vecchia. — Rok continuerà a chiederti sempre nuovi interventi… gliel’ho letto in quei suoi occhi da Leone. E Tamlorn… spingerai anche Tamlorn a chiederti di usare il tuo potere.

— No. Tamlorn è buono. E Rok mi lascerà tranquilla, per amore di Coren.

— Ne sei certa? E sei certa che, a quel punto, vorrai ancora bene a Coren?

— Gliene vorrò ancora. Come gliene voglio adesso — disse Sybel.

— Ma stai volando da sola, lontano da lui… mi chiedo se sarai disposta a ritornare a terra, dopo il tuo volo.

Sybel sospirò. Lasciò la mano di Maelga e si passò la punta delle dita sugli occhi.

— Sono stanca — disse — di questo carosello incessante di domande, di perplessità, di “ma” e di “se”. Prima darò fuoco all’Eldwold, e solo in un secondo tempo controllerò se sono rimasta intrappolata nel cerchio di fiamme o se invece sono al sicuro, fuori… Maelga, anche tu devi essere stanca, dopo tutta quella strada a piedi. Vieni nelle mie stanze; potrai mangiare, lavarti, riposare.

— No, non voglio riposare in questa casa.

— D’accordo. Se non vuoi rimanere con me, Rok ti farà accompagnare da qualcuno in casa di Herne o di Bor.

Maelga le diede un colpetto affettuoso sulla mano. Si alzò in piedi, un po’ a fatica, e si spazzolò dal vestito i fili d’erba.

— No — rispose. — Rimarrò a riposare qui, per un poco, con i tuoi animali. Mi andrò a sedere vicino al Cigno Nero. È così bello, quel suo laghetto. Non mi sono mai piaciute le case degli uomini… è così complicato entrare e uscire.

Sybel le scoccò un sorriso.

— Certo — disse.

La prese sottobraccio e si recò con lei fino al lago. Il Cigno Nero scivolò maestosamente sull’acqua verso di loro.

— Vado a prenderti qualcosa da mangiare e del vino — disse Sybel. — Se vuoi dormire qui, stanotte, resterò con te.

Maelga si sedette sulla riva del laghetto.

— Oh, che stanchezza. Il sole è così dolce, d’estate, sulla pelle di una vecchia. E tu sei ancora gentile, quando non si tratta dei tuoi poteri. La cosa mi consola.

— Tornerò presto — promise Sybel.

— Non c’è fretta, bambina mia. Farò un sonnellino.

Maelga chiuse gli occhi e Sybel si recò al cancello senza far rumore, altrettanto silenziosamente lo chiuse e si girò per allontanarsi. Poi, quando alzò lo sguardo, scorse davanti a sé la figura di Coren. Trasalì di sorpresa.

— Oh…

Lui allungò lentamente le mani e la prese per le braccia. L’osservò attentamente in viso, aggrottando le sopracciglia, perplesso, come cercando di leggere qualche antica parola che non riusciva a decifrare. Poi inspirò profondamente e disse:

— Sybel, cosa stai facendo?

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