11

Sybel sentì una gelida stretta al cuore; il sangue le si raggelò e prese a scorrerle più lentamente nelle vene. Si portò un dito alle labbra e si accorse che tremavano; le parve di avere la gola secca come la polvere del deserto.

— Calmati, Coren. Maelga sta dormendo.

— Sybel!

— Lasciami andare. Non ho intenzione di mentirti.

Lentamente, lui la lasciò andare. Strinse i pugni e li abbassò. La fissò, e Sybel vide i riflessi del sole sui suoi occhi e il rossore delle sue guance. Poi Coren cominciò a parlare lentamente, pronunciando con attenzione le parole:

— Sono andato nelle…

— Ss!

— Sono stato zitto per troppo tempo! Sono andato nelle stalle, e c’erano Ceneth e Bor. Bor si stava sellando il cavallo per ritornare a casa. Li ho sentiti pronunciare il tuo nome… ridevano, dicendo che hai fatto venire in casa di Rok il vecchio Signore di Hilt e lo hai reso docile come un bambino.

“Io ero lì, mentre ridevano, e mi è parso di essere colpito da uno schiaffo. Mi sono sentito girare la testa, e… in quel momento mi hanno visto, perché avevo emesso un gemito, e la loro risata si è spenta come quando, con un soffio, si spegne una candela.”

— Coren… — mormorò lei.

— Sybel, perché? Perché sono il primo a conoscere tutte le tue parti esteriori e l’ultimo a conoscere ciò che hai nella mente? Perché Rok, Ceneth e Bor sapevano tutto, e io no? Perché non mi hai detto che cosa stavi facendo? Perché mi hai mentito?

— Perché non volevo che mi guardassi come mi stai guardando adesso… — disse lei.

— Sybel, questa non è una ragione!

— Smettila di gridare! — esclamò lei, all’improvviso. Trattenendo il fiato, si portò le mani alla fronte e si massaggiò le palpebre. In quel momento di oscurità, Sybel sentì la vicinanza dell’uomo, il suo silenzio carico di tensione, il ritmo profondo del suo respiro.

— D’accordo — mormorò Coren. — Non grido più. Tu mi hai curato, una volta, quando ho rischiato di morire, e adesso dovresti farlo di nuovo, perché sono di nuovo ferito e malato. Comincio a chiedermi, Sybel, perché hai deciso di sposarmi, così all’improvviso, dopo quella terribile notte in cui sei sparita, e perché tu sia tanto nemica di Drede da scatenare contro di lui l’intero Sirle.

“Questi pensieri mi picchiano nel cervello… non riesco a fermarli. Non dirmi altre bugie.”

Sybel abbassò le mani, e rivolse al marito uno sguardo velato da una patina di stanchezza.

— Drede aveva pagato Mithran perché mi catturasse e mi distruggesse la volontà.

Coren emise un rantolo. — Drede? Drede?

Lei annuì.

— Drede voleva sposarmi e servirsi di me senza dovermi temere. Il Rommalb ha ucciso Mithran, schiacciandogli le ossa. E io voglio schiacciare Drede sotto le sue stesse paure; per mano del Sirle, voglio togliergli ogni potere.

“Mi sono servita del nostro matrimonio per spaventare Drede; fin dall’inizio ho pensato di usare i miei poteri a favore del Sirle e contro di lui.

“Non ti ho detto questo perché la mia vendetta riguarda soltanto me, e non te, e perché non volevo che tu soffrissi nel venire a sapere di essere stato usato. Adesso lo sai e ne soffri, e io, questa volta, non so se sarò in grado di curarti le ferite.”

Lui la fissò. Inclinò leggermente la testa, come se cercasse di cogliere un suono lontano, perduto nel vento. Infine disse, in un roco bisbiglio:

— Non lo so neppure io… Signora del Ghiaccio, mi pare di tenerti fra le mani e poi ti sciogli e mi scivoli via tra le dita… Come hai potuto ferirmi così? Come hai potuto?

Sybel non riuscì più a trattenere le lacrime. La figura di Coren le si velò davanti agli occhi.

— Ho cercato con tutte le mie forze di tenerti all’oscuro… per risparmiarti questo dolore…

— Ma… mi vuoi davvero bene? O sono soltanto uno dei tanti, straordinari e meravigliosi animali che usi a seconda delle tue necessità e che poi metti da parte quando hai altro da fare?

— Coren…

— Potrei uccidere Rok per questo affronto, e anche Ceneth e Bor, ma anche se cancellassi l’Eldwold dalla faccia della terra, continuerei a deridermi da solo fino alla morte. Io ti amo. Avrei fatto a pezzi Drede con le mie mani, se tu mi avessi detto che ti aveva fatto del male. Perché non me l’hai detto? Per te, avrei scatenato una guerra quale non s’è mai vista nell’Eldwold.

— Coren… proprio per questo. Non volevo trascinarti nel mio odio e nella mia collera… non volevo farti sapere… quanto posso essere fredda e terribile.

— O che non hai bisogno di me.

— Ho bisogno di te…

— Hai bisogno di Rok e Ceneth più che di me. Sybel, non capisco che gioco stai facendo. Pensi che se ti conoscessi avrei paura di te? Che cesserei forse di amarti?

— Sì — mormorò lei. — Come sta succedendo adesso.

Coren l’afferrò per le braccia e la scosse violentemente, facendole male.

— Non è vero! Che cosa credi sia l’amore? Una cosa che ti fugge via dal cuore, come un uccello spaventato, al primo grido o al primo movimento? Puoi volare via da me, salire quanto vuoi nella tua oscurità, ma continuerai a vedermi sotto di te, per quanto tu ti allontani, e, se guarderai il mio viso, lo vedrai sempre girato dalla tua parte.

“Il mio cuore è dentro il tuo. Te l’ho dato quella sera, insieme con il mio nome, e tu sei il suo guardiano: puoi farne tesoro, oppure lasciarlo appassire e morire.

“Io non ti capisco. Sono in collera con te. Sono ferito e non posso oppormi, ma non c’è niente che potrebbe riempire il dolore del vuoto che troverei in me al posto del tuo nome, se dovessi perderti.”

La lasciò. Lei lo fissò a occhi sbarrati, con i capelli che le scendevano sulla faccia. Poi, Coren si allontanò improvvisamente da lei. Sybel tese la mano per fermarlo.

— Dove vai?

— A cercare il Leone del Sirle.

Lo seguì, faticando a tenere il suo passo rapido, furioso. Rok era ancora seduto a tavola, nella sala vuota, e Ceneth sedeva ingobbito accanto a lui, con una coppa in mano.

Rok osservò impassibile il fratello minore, che veniva verso di lui con gli occhi fiammeggianti e la faccia arrossata; quando Coren sferrò un pugno sul tavolo, e Ceneth sobbalzò, Rok disse semplicemente:

— So tutto.

— Se sai tutto, perché l’hai fatto?

— Lo sai.

Tacque per qualche istante, poi riprese, con una punta di stanchezza nella voce:

— Una donna si è presentata a me e mi ha offerto il suo oro e il suo potere per distruggere l’uomo che ha ucciso Norrel e che ha messo in ginocchio il Sirle sulla Piana di Terbrec.

“Io non ho pensato a lei, non ho pensato a te. Ho semplicemente accettato ciò che desideravo, giorno e notte, da tredici anni. Io ho fatto quello che ho fatto. E tu, cosa intendi fare? Anche tu hai desiderato questa guerra.”

— Non in questo modo!

— La guerra è guerra. Che cosa vuoi, Coren? Permettere che il male che Drede ha fatto a tua moglie resti impunito?

Coren strinse i pugni, tremante.

— Mi sarei recato a Mondor da solo, senz’armi, per ucciderlo con le mie mani, se Sybel me lo avesse detto allora. Ma lei, invece, è venuta da te. E adesso mi trovo davanti a un cerchio di segretezza, lo vedo per la prima volta, e non so che nome dare a ciò che vedo. Dove hai gli occhi, Rok del Sirle? Non hai visto che mia moglie, un passo alla volta, un momento dopo l’altro, si distruggeva nelle menzogne, nell’amarezza, nell’odio? E tu la guardavi tranquillamente, senza dire niente! Tu hai usato lei come lei ha usato te. E adesso, che cosa resta di voi due? Io conosco la strada senza fine lungo cui si è incamminata… e la conosci anche tu. Eppure non hai alzato un solo dito per fermarla, non mi hai detto una sola parola perché la fermassi io.

Rok sollevò una mano, si passò stancamente le dita sugli occhi. Ceneth, curvo sulla sua coppa di vino, alzò la testa.

— Cosa intendi fare, Coren? Potresti ucciderci tutti, eccetto Herne ed Eorth, che non ne sapevano niente. Oppure potresti rifiutarti di combattere. O potresti cercare di dimenticare il tuo orgoglio ferito e accettare l’inevitabile.

— L’inevitabile?

Si girò su se stesso, così rapidamente da far trasalire Sybel. La fissò come se la vedesse per la prima volta.

— Lo è davvero? — le domandò.

Lei chinò la testa.

— Coren — disse. — Io ti amo. Ma non posso fermare questa cosa.

Coren l’afferrò per le spalle.

— Sybel — disse — una volta, ho rinunciato per te a una cosa del genere: a un sogno di vendetta, a un incubo di dolore che era come una lunga malattia. Adesso lo chiedo a te. Rinuncia a questa cosa. Se non vuoi farlo per me, fallo per Tamlorn.

Lei lo guardò. — Ti prego — mormorò.

Coren si staccò da lei; abbassò le mani.

— Dunque, lo desideri fino a questo punto — disse. — Hai imparato quello che temevi imparasse Tamlorn: il gusto del potere. Bene, fa’ la tua guerra. Ma non so cosa ti resterà, quando sarà finita.

Girò le spalle e si allontanò. Sybel, senza parole, lo guardò uscire. Poi, quando non fu più in grado di vederlo, si accostò al tavolo e si lasciò cadere su una sedia. I due uomini la fissarono, convinti che stesse per piangere.

Qualche istante più tardi, vedendo che si limitava a rimanere lì immobile, Ceneth riempì di vino una coppa e la spinse fino a lei. Sybel la toccò, senza bere, e la fissò con occhi vacui. Infine bevve un sorso che le riportò un po’ di colore alle guance.

Ceneth si passò le mani fra i capelli neri.

— Mi spiace — disse. — Raccontare tutto nella stalla, come due bambini… Quello sguardo l’ho visto in più di un uomo ferito, ma mai sul volto di un uomo ritto sulle proprie gambe. E poi, deve ancora nascere la donna che non complotta, almeno un poco, alle spalle del marito.

— Allora — disse Sybel — sono come tutte le altre donne. È una consolazione. Solo che Coren non è come gli altri uomini.

Con la punta delle dita, si massaggiò per un istante gli occhi.

— Non voglio parlarne — riprese. — Vi prego. Facciamo in modo di finire in fretta. Quando avrà pronte le barche, Derth di Niccon?

— Tra una settimana, forse. Gli occorre tempo per raccogliere gli uomini.

Lei sospirò.

— Allora — disse — dovrò imparare a guardare Coren negli occhi. Sono lieta di non dover guardare in quelli di Tamlorn.

Rok, dall’altro lato del tavolo, le sfiorò la mano.

— Potremmo finire senza di voi — disse — adesso che abbiamo Hilt e Niccon.

— No.

Sorrise senza alcuna gioia.

— Devo ancora catturare un Re. Dobbiamo soffrire insieme, io e Drede… e poi non so che cosa succederà.

Chinò la testa, appoggiandosi la fronte sulle mani.

— Non so — ripeté.

— Sybel. Vi perdonerà. Comprenderà che vi è stata fatta un’offesa terribile, e vi perdonerà.

— L’unica cosa di cui deve farsi perdonare — disse Ceneth — è di non avergli permesso di attaccare Drede di persona, per vendicare la propria moglie.

Sybel fece un gesto di irritazione.

— Non l’ho sposato — disse — perché era facile a incollerirsi ed era svelto di spada.

— Ma, Sybel, se lo amate, dovreste sapere queste cose. Lo avete profondamente ferito nell’orgoglio.

— Io sono stata ferita ancora di più. Coren pensa che non lo ami, e forse ha ragione. Non so. Non so più dire che cosa sia l’amore. Mi comporto senza alcuna pietà verso coloro che amo di più, Tamlorn e Coren, e non posso fermarmi solo per il loro bene. Tutto deve continuare a trascinarsi, pesante e faticoso, fino alla sua irreversibile conclusione.

— Vi ama molto — disse Rok, in tono gentile — e avrete moltissimi anni per imparare a vivere l’uno con l’altra.

— O l’uno senza l’altra — disse Sybel.

Fece per alzarsi.

— Ero venuta a cercare qualcosa da mangiare per Maelga. Non vuole entrare in casa, ma sta riposando in giardino.

Si alzò in piedi. Per un attimo rimase in silenzio, pallida in volto, appoggiando la mano alla tavola come se non riuscisse a muoversi. Rok la toccò, e lei abbassò gli occhi su di lui come se si fosse dimenticata della sua esistenza.

— Non deve avere paura di voi — disse Rok. — E credo che lo amiate, davvero, altrimenti non sareste così triste. Abbiate pazienza. Presto, tutto sarà finito.

— Presto è una parola tanto lunga — mormorò lei.

Si recò nella cucina, prese del pane, un po’ di formaggio, frutta, carne e vino per Maelga, e portò il vassoio in giardino. Si fermò davanti al cancello aperto, guardò in mezzo agli alberi, ma vide solo il Leone e la Gatta che passavano sinuosamente fra i tronchi, seguendo un loro misterioso gioco, e il Cinghiale Cyrin che dormiva al sole. Inviò un messaggio mentale al Cigno Nero:

“Dov’è Maelga?”

“La strega si è svegliata e se n’è andata” rispose il Cigno. “Ha detto che il mondo era troppo grande per lei.”

Sybel aggrottò la fronte, impensierita. Andò da Cyrin e lo svegliò.

“Maelga ha detto qualcosa, per spiegare perché è andata via?”

“No” rispose il Cinghiale. “Ma quando il Signore di Dorn entrò nella buia casa del Signore degli Enigmi…”

— Lo so, lo so — terminò Sybel stancamente. — Non accettò né cibo né vino, e non vi passò la notte… Cyrin, il cibo della mensa di Rok è del tutto innocuo.

Continuò a fissare il vassoio finché non le parve qualcosa di sconosciuto, proveniente da un altro mondo. Poi, afferratolo con entrambe le mani, girò su se stessa e lo scagliò in mezzo agli alberi: vino, carne e pane caddero tra le foglie come pioggia, e il pesante vassoio d’argento descrisse nell’aria un arco di rapide volute, finché non toccò terra, sonoramente, accanto al Leone e alla Gatta. I due animali la guardarono con sorpresa e si immobilizzarono. Lei restituì loro l’occhiata, con sorpresa quasi pari alla loro. Poi girò sui tacchi e si allontanò.


Sybel sedeva accanto alla finestra, intenta a ricamare un falco bianco sul mantello di Coren, e guardava il lento calar della notte sulle foreste del Sirle. Infine vide Coren, che giungeva al galoppo attraverso i campi: la sua figura era una forma scura sotto il cielo azzurro cupo. Nell’aria tranquilla si levò il grido con cui il Principe del Sirle avvertiva le sentinelle, seguito dal rombo del ponte levatoio che veniva abbassato. Poco più tardi, Sybel udì echeggiare i suoi passi lungo il corridoio.

Le mani le ricaddero in grembo; alzò gli occhi in direzione della porta chiusa. Lui l’aprì e, vedendo la moglie, ebbe un attimo di esitazione. Poi entrò e chiuse la porta.

— Perché non sei scesa a mangiare? — le chiese.

— Non avevo fame — rispose Sybel.

Guardò il marito, e vide che si versava del vino.

— Dove sei andato? — domandò.

— Nella Foresta di Mirkon. Sono rimasto a sedere e a giocare con una pietra, che però non mi ha insegnato niente. Vuoi del vino?

— Grazie.

Le portò la coppa e si sedette accanto a lei, alla finestra. Lei lo osservò mentre beveva: il suo volto era tranquillo e pallido alla luce delle candele.

Coren posò la coppa e sollevò un lembo del mantello che lei stava ricamando.

— Ci sono ancora delle cose che non capisco, in questa guerra tua e di Rok. Devi avere fatto venire qui anche il Signore di Niccon… da solo, non sarebbe certamente venuto.

— Sì.

Nel dirlo, Sybel sentì un nodo alla gola; inghiottì a vuoto. Aggiunse:

— E ti devo confessare anche un’altra cosa, per essere del tutto sincera.

Lui la fissò con uno sguardo carico di apprensione, ma mormorò solo:

— Dimmela.

— Tu hai visto Derth… Stavi per capire cosa facevamo, il giorno in cui è venuto. Hai chiesto spiegazioni a Rok, dopo avere scoperto che ti aveva mentito a proposito di Eorth, e… ho letto nei tuoi occhi il dubbio, quando mi hai guardato.

— Non ricordo.

— Non ricordi perché te l’ho fatto dimenticare.

— Me l’hai?…

— Ti sono entrata nella mente. Ho trovato quei ricordi e te li ho tolti: dopo, per te, è stato come se non fosse mai successo.

Coren rimase senza parole.

— Te lo dico — spiegò Sybel — perché tu capisca che è successo una volta e che non succederà più.

— Capisco — mormorò lui.

Si portò la coppa alle labbra; le mani gli tremavano leggermente. La posò sulle pietre, vicino a loro.

— Non pensavo che saresti arrivata a farmi una cosa simile…

— Per questo sono corsa da te, piangendo. Perché ti avevo fatto quello che Drede e Mithran volevano fare a me. In quel momento ho avuto paura di me stessa. Ma quando mi hai preso tra le braccia e mi hai stretta, ho sentito che… se mi amavi, non potevo essere quella che stavo diventando. Ma ora non ho più nessuno che mi dica di non avere paura. Che cosa vedi, adesso, quando mi guardi?

— Una sorta di estranea, dietro quei tuoi occhi neri — disse Coren.

Si sporse verso di lei; con le dita, le sfiorò la guancia e disse, con una tristezza che addolorò profondamente Sybel:

— Dov’è la donna che quella notte, sul Monte Eld, dormiva così tranquillamente tra le mie braccia?

— Mi spiace — mormorò lei. — Mi spiace di averti sposato.

Lui abbassò le braccia, serrando i pugni.

— Temevo di sentirti dire queste parole.

Chiuse gli occhi.

— Che cosa devo fare adesso? Non posso smettere di amarti.

— Coren, non voglio che tu smetta. Solo… ti farò del male, come ne farò a Tamlorn. E penso che, quando tutto sarà finito, nessuno di voi mi perdonerà.

— Tamlorn. Che ne sarà di lui, nei tuoi progetti? Il tuo bambino che amava le volpi rosse?

— Ne faremo un Re, sotto la tutela del Signore del Sirle. E un giorno mi guarderà e vedrà anche lui un’estranea.

— E Drede? Che cosa pensi di farne?

— Dopo la battaglia, mi occuperò di ciò che resterà di lui. Non mi interessa la sua morte, mi interessa solo la sua vita, e ormai è talmente terrorizzato da me che è quasi impazzito.

S’interruppe, vedendo che Coren si alzava in piedi, stupito e incredulo.

— Sybel — disse lui — come puoi portarci alla follia tutt’e due, con tanta freddezza?

— Non è freddezza! Anche tu hai conosciuto l’odio, me lo hai detto tu stesso! E allora come ti scorreva il sangue nel cuore? Denso e bruciante? Come odiavi? Hai coltivato la vendetta a partire da un minuscolo germoglio, pallido come la luna? L’hai piantato nelle parti notturne del tuo cuore, l’hai visto crescere e fiorire e dare frutti scuri che poi ti sei visto maturare davanti agli occhi, pronti per farsi raccogliere?

“Sappi che poi diviene una grande, contorta massa di foglie brune e di viticci spessi e intrecciati, che soffoca e fa appassire ogni buona cosa che ti cresce nel cuore; si alimenta di tutto l’odio che il cuore può dargli… Ecco come è in me, Coren. Le gioie che mi hai dato e il mio amore per te non sono sufficienti ad abbattere questa pianta oscura che cresce in me. Ho pensato alla vendetta fin dalla notte in cui sono venuta verso di te, nella casa di Maelga, con la veste strappata, in modo che potessi vedermi e desiderarmi come mi aveva desiderato Mithran…”

Sentì il sibilo del respiro che passava tra i denti di Coren. Poi, lui la colpì: uno schiaffo improvviso, sulla bocca, che la fece tacere per la sorpresa.

— Per te non ero niente di più! Niente più di Mithran!

Lei si portò la mano alla bocca.

— Nessuno mi aveva mai colpito, finora — disse.

Coren la fissò, e, vedendo che rimaneva immobile, emise un gemito.

— Non ti importa più di me. Oh, Bianca Signora, che cosa farò, adesso?

Si allontanò da lei, ciecamente. Sybel vide che cercava la maniglia della porta, che l’apriva. Affondò la faccia tra le pieghe del suo mantello, ma anche nel buio degli occhi chiusi le parve di continuare a vedere il dolore di Coren.


Terminò il mantello per lui: un mantello blu con ricamato il falco dei Signori del Sirle, bianco come la neve; il giorno in cui lo finì, da Niccon giunse notizia che le barche erano pronte e che stavano già viaggiando su un affluente dello Slinoon che partiva dal Lago del Re Perduto, all’estremo settentrione di Niccon. Rok chiamò a sé i fratelli, e Sybel sedette con loro, accanto a Coren.

— Tra due giorni dobbiamo incontrarci con Derth di Niccon, nel punto dove il Fiume Edge sfocia nello Slinoon — disse Rok. — Horst di Hilt si unirà alle nostre forze a Mondor, arrivando da est. Dovrà farsi strada tra gli uomini dei suoi territori che hanno scelto Drede; perciò, Eorth e Bor, voi dovrete condurre in suo aiuto metà delle nostre forze, per schiacciare questa resistenza.

“Noi terremo impegnato Drede a Mondor; il suo esercito è accampato sullo Slinoon, poco a monte della città. Lo ricacceremo indietro, verso Mondor. Ceneth, tu e Herne seguirete con gli uomini il corso del fiume, fino all’interno della città, per impadronirvi della roccaforte di Drede, e per…”

S’interruppe, vedendo che Coren dava segno di voler parlare.

— Manda me, al posto di Herne — disse Coren.

— No, ti voglio qui.

— Voglio andare io — insistette Coren. — Herne è un grande combattente, ma non ragiona. Io, invece, sì. E per entrare vivi nel cuore della città di Drede occorre saper ragionare.

Rok sospirò.

— È un regalo per Sybel — disse, senza mezzi termini. — Tu verrai con me.

— Io andrò con Ceneth, oppure non combatterò. Penso a Tamlorn. Chi impedirà a qualche grande guerriero, eccitato dallo spargimento di sangue, di uccidere un bambino indifeso che ha la sola colpa di essere figlio di Drede?

— Il Falco Ter sarà con lui — disse Sybel.

Coren si voltò a guardarla, e Sybel notò, come sempre più spesso le succedeva in quei giorni, le ossa che gli sporgevano sotto i lineamenti, le linee di fatica sotto gli occhi.

— Vuoi che vada con Rok? — le chiese Coren.

Lei scosse la testa. Aveva appoggiato le mani sulla superficie del tavolo, e si torceva nervosamente le dita.

— Fa’ quello che devi fare. Ma davvero vuoi salvare Tamlorn? Oppure vuoi sfidare la morte, vuoi rivolgerle un indovinello?

Anche se Coren teneva le labbra serrate, Sybel vide distintamente che stringeva i denti.

— Hai davvero il terzo occhio, Sybel. Ma il mio orgoglio mi vieta di rimanermene alla retroguardia con Rok. Se sfidassi Drede a duello e ti portassi la sua testa sulla punta della spada, saresti soddisfatta?

— No — disse lei, con voce tremante.

— Quale dono vorresti da me, allora?

— Coren, lascia perdere — mormorò Ceneth. — Puoi odiarci fin che vuoi, ma dobbiamo prepararci a una battaglia. Tu puoi combattere con noi o contro di noi, oppure non combattere affatto, ma prendi una decisione e poi rispettala.

— Oh, combatterò con voi — disse Coren. — Ma non voglio rimanere al sicuro con Rok mentre tu e Herne vi affilate le spade sulle pietre del focolare di Drede.

Si voltò verso Rok.

— Laggiù c’è un giovane che conosco, e che un giorno correva a piedi scalzi sul Monte Eld. Adesso perderà il padre in battaglia e vedrà uccidere davanti ai propri occhi le sue guardie del corpo. Come difesa avrà soltanto un Falco, che non potrà rassicurarlo dicendogli che sopravviverà per poi divenire Re di Eldwold.

“Un giorno quel ragazzo mi ha salvato la vita. Voglio evitargli almeno una parte di paura. Permettetemi di fare almeno questo, per lui.”

Rok guardò Sybel, ma la donna si copriva la faccia con le mani. Infine il Leone del Sirle disse:

— Tu e Ceneth guiderete all’interno della città un gruppo di uomini di vostra scelta. Il Falco Ter dirà a Sybel dove si trova Tamlorn, e lei a sua volta lo dirà a Coren.

— No — disse Sybel, abbassando le mani. — Non voglio mai più entrare nella mente di Coren. Quando Ter ti volerà incontro, saprai che Tamlorn è vicino. Se però il ragazzo dovesse correre dei pericoli, il Cigno ha ordine di portarlo sul Monte Eld.

— E se Drede lo avesse nascosto? — chiese Ceneth. — Come potremmo sapere dove si trova? Non potreste far sapere a Coren… fargli scivolare nella mente l’informazione…

— No.

Ceneth sospirò. — Allora, ditelo a me, e io lo dirò a Coren. Vi siete messa in contatto con tante menti, finora, che una più una meno…

— Ceneth — disse stancamente Rok. — Piantala.

— Ma io pensavo di…

— Pensavi? — disse Coren, e la domanda schioccò nell’aria come lo spezzarsi di una lastra di ghiaccio. Ceneth arrossì.

— Va bene — disse. — La pianto. Ma mi chiedo contro chi, esattamente, tu stia combattendo in questa guerra.

Eorth calò pesantemente sul tavolo una delle sue enormi mani.

— Ceneth, piantala — implorò. — Ho già dimenticato una buona metà di quel che Rok ci ha detto. Se vogliamo smetterla di combattere a tavolino per passare al combattimento sul campo, dovete smettere di litigare, tutti.

— Questa è la cosa più saggia che ti abbia mai sentito dire — commentò Bor, con un brontolio.

Sybel tornò a coprirsi gli occhi con le mani.

— Se Tamlorn sarà in pericolo — disse — troverò il modo di farvelo sapere. Ma vi devo avvertire di una cosa. Potrete vedere sul campo di battaglia alcuni animali strani e bellissimi, se vi avvicinerete agli uomini di Drede.

“Non seguite quegli animali. Oh, li conoscete, li avete visti qui, ma nella magia del loro adescamento diventano stranamente affascinanti. Li ho avvertiti di tenersi lontano da voi, ma dovete avvertire anche i vostri uomini, perché non rischino di risvegliarsi, qualche ora o qualche giorno più tardi, perduti in qualche tranquilla foresta.”

Sulla faccia magra e irrequieta di Herne si disegnò improvvisamente un sorriso.

— Cantando di questa guerra, i cantori spezzeranno le corde dell’arpa per secoli a venire.

— Sì — disse Eorth — ma prima voglio sentire di nuovo, con esattezza, cosa succederà fino all’arrivo degli animali.

Rok si riempì la coppa e riprese pazientemente la spiegazione.

Infine il crepuscolo scese sui cento occhi di fuoco che circondavano la casa dei Signori del Sirle. Sybel, lasciata a Rok e agli altri guerrieri la stesura degli ultimi piani di guerra, rimase a fissare dalla sua alta finestra il caotico schieramento dei bivacchi. Poi, con l’addensarsi della notte, giunse finalmente anche Coren. Sybel appoggiò la faccia alle pietre fresche del davanzale e ascoltò i rumori che lui faceva mentre si spogliava. Il fruscio della lana che sfregava sulla lana, il soffio del suo respiro contro la fiamma della candela.

Allora, anche Sybel si svestì e scivolò nel letto accanto a lui. Rimase sveglia, ad ascoltare i sussurri del silenzio, e dal respiro irregolare di Coren capì che anche lui era sveglio. Poi il vento della notte prese ad alitare sopra di loro, e le passò sulla guancia come un dito freddo.

Alla fine anche il respiro di Coren divenne più lento e regolare; ma Sybel rimase sveglia ancora a lungo, osservando alla debole luce della luna il movimento della spalla e del torace di Coren, che salivano e scendevano all’unisono con il suo respiro. Poi si girò dall’altra parte coprendosi gli occhi con la mano, e pensò a Drede, che certamente, nella sua stanza di pietra, non riusciva a prendere sonno e guardava la luce della torcia dilagare sulle pareti. A un certo punto Coren si scosse, interrompendo il filo dei pensieri di lei; poi tornò a respirare tranquillamente e si mosse ancora, emettendo un breve gemito.

In quel momento, nel silenzio delle tenebre, Sybel sentì la presenza di un’ombra sospesa sopra i suoi pensieri, come se qualcuno la stesse segretamente osservando. Si voltò bruscamente verso quell’ombra.

Sopra di lei c’era il Blammor. Non ebbe neppure il tempo di lanciare un grido, prima che gli occhi di cristallo della forma di buio, lontani e distaccati come stelle, incontrassero i suoi. Poi l’oscurità l’inghiottì e Sybel sentì rintoccare attorno a sé, da tutti i lati, il pesante, imperioso battito del proprio cuore.

Le si affacciò alla mente una lunga serie di immagini: da quella di un mago steso a terra, con tutte le ossa spezzate, su ricche e soffici pelli, alla maschera assunta in punto di morte da tutti gli uomini che, nel corso di epoche immemorabili, avevano incontrato per l’ultima volta il cuore dei loro incubi, in qualche stanza senza finestre, tra pareti di pietra senza aperture.

E su di lei, insieme con l’oscurità, venne a gravare anche una cappa di aria umida e pesante, che portava con sé l’odore di pozze di sangue raggrumato, di ferro macchiato e arrugginito; si sentì in bocca il gusto della polvere asciutta e impalpabile, delle foglie secche di alberi morti; udì le ultime, deboli grida che le giungevano, come nere folate di vento, da qualche antico campo di battaglia su cui regnavano solo il dolore, il panico, la disperazione.

A quel punto i pensieri l’abbandonarono per fuggire in qualche piano astrale di terrore che lei non aveva mai conosciuto. Sybel si divincolò ciecamente, cercando di non farsi sommergere.

Ma in qualche punto indeterminabile, sotto gli strati sempre più fitti di paura, le parve che prendesse forma anche una visione bianca come l’occhio del Blammor. Mentre una parte di lei gemeva disperatamente, silenziosamente, perché l’oscurità continuava a salirle intorno come un’onda di marea, da un’altra parte di lei si staccò un pensiero, assottigliato e limato fino a un’insopportabile acutezza di percezione, che si spinse a interrogare quella sagoma indistinta.

La bianca figura si muoveva alla deriva, in fondo alla sua mente; Sybel la cercò come se avesse dovuto inviare un richiamo nei punti più profondi dell’Eldwold, e infine anche quell’immagine cominciò a chiarirsi allo sguardo del suo occhio interiore: divenne quella di un uccello bianco come la luna e dalle lunghe ali fluttuanti… ma le ali erano storte e spezzate, la dolce curva del collo s’interrompeva bruscamente per ripiegarsi su se stessa.

“No!” mormorò Sybel. E poi si trovò sul pavimento, con la guancia contro le pietre, il respiro ansante e rotto dai singhiozzi. Sollevò la testa, e sentì che la fresca aria della notte le asciugava le lacrime.

Tutt’intorno a lei, nell’oscurità, si percepiva ancora la presenza di una Creatura che la sorvegliava, che aspettava.

Sybel si alzò e si accorse di tremare, di essere stanchissima. Guardò Coren, ma le parve di vedere un estraneo, e di abitare in un sogno che non le apparteneva più. Rimase immobile a contemplarlo finché non sentì che aveva smesso di tremare. A quel punto, senza fare rumore, si rivestì.

Percorse il lungo, tortuoso corridoio di pietra. Oltrepassò come un’ombra anche la guardiola delle sentinelle e si trovò al di là del muro interno, sui cui spalti camminavano avanti e indietro gli uomini di guardia.

Si recò subito alla porta del giardino, aprì il cancello, lo spalancò alla luce della luna; le giunsero i mormorii degli animali che aveva risvegliato, che si muovevano verso di lei nell’oscurità della notte.

Per prima scorse la grande sagoma del Leone Gules e tese la mano per accarezzargli la folta criniera.

“Che cosa è successo, Bianca Signora?” le chiese il Leone.

“Ritorno sul Monte Eld. Siete liberi” rispose lei.

“Liberi?”

La Gatta Nera Moriah le sfiorò con i fianchi le gambe. Lei la fissò nella profondità dei suoi occhi verdi.

“Domani potrete fare quello che vorrete” disse Sybel. “Non vi chiedo niente. Siete liberi.”

“E… e tu, Sybel? E Drede?”

“Non posso…” rispose lei. “La sua morte ha un prezzo che non sono disposta a pagare.”

“Sybel” le disse la voce flautata del Cigno “sono davvero libero di tornare a volare nel grigio cielo autunnale? Libero di assaporare il vento che mi sfiora la punta delle ali?”

“Sì.”

“Ma che ne sarà di Tamlorn?”

“Non ti chiedo niente. Niente di niente. Farai quello che vorrai.”

Sybel sfiorò la mente del Drago Gyld e lo trovò sveglio, intento a rivoltare senza fine, nel proprio cervello, lenti pensieri di una caverna dalle pareti umide, situata nelle profondità di una montagna silenziosa, dove un rivoletto di chiara fonte serpeggiava tra monete d’oro e ossa bianche.

“Sei libero” gli disse.

“E Drede? Vuoi che lo uccida per te, prima di lasciarmi libero?” chiese il Drago.

“Non voglio più sentire il suo nome!” gridò Sybel. “Non me ne importa più niente! Che viva o che muoia, che vinca questa guerra o che la perda… non me ne importa! Sei libero.”

“Libero…” mormorarono nella sua mente le varie voci degli animali, come un coro di strumenti musicali all’unisono.

“Libero di sottrarmi all’inverno… libero di correre nel deserto, dorato come il sole, sotto l’occhio brillante del cielo.”

“Libero di volare ai confini del mondo, seguendo il corso del crepuscolo.”

“Libera di farmi grattare dietro le orecchie, nel Deserto Meridionale, dai suoi Re dalle dita grasse. Libera di tendere l’orecchio al bisbigliare di streghe dagli occhi che brillano sotto la luna.”

“Libero di sognare, lontano da ogni disturbo, il più grande tesoro che possa esistere.”

“Libero” disse solo il Cinghiale dalle setole d’argento. E poi: “Rispondi a questo indovinello. Chi ha liberato te?”

Lei lo fissò in quei suoi occhietti rossi.

“Lo sai” disse. “I miei occhi si sono rivolti verso l’interno, e ho guardato dentro di me. Non sono libera. Sono piccola e spaventata, e, mentre fuggo, l’oscurità mi corre alle calcagna e mi spia.”

“Sybel” disse il Cigno Nero “ti porterò sul Monte Eld. Poi volerò a raggiungere i laghi oltre il confine settentrionale dell’Eldwold, stesi come i gioielli sul bel corpo di una regina addormentata.”

“No, ti porterò io” disse il Drago Gyld. “E poi mi dirigerò ancora una volta verso le profondità della montagna, per raggiungere la caverna che tanto mi è cara.”

“Mi porterai tu, allora” disse Sybel, e lo sentì uscire, con passi pesanti, dalla sua caverna artificiale.

Si chinò verso il Leone Gules, lo afferrò per la criniera e lo fissò negli occhi.

— Gules — mormorò, restituendogli il nome, e sentì che la mente del Leone si allontanava dalla sua, lasciando solo il suo ricordo, simile alle suppellettili grigie di una stanza poco illuminata. Lo lasciò libero, e lui si allontanò a grandi e possenti balzi, senza far rumore, per i campi del Sirle.

Poi Sybel si rivolse alla Gatta.

— Moriah.

La grande Gatta scivolò nel buio, nera come un’ombra, ammiccando alla luna con i suoi occhi verdi.

— Cigno Nero — disse, e il Cigno si levò in volo sopra di lei, descrivendo una pigra voluta. La grande campata delle sue ali si disegnò sullo sfondo della luna come una sagoma nera, e allontanandosi s’incurvò fino a diventare una linea meravigliosa e stupefatta, da togliere il fiato a quanti l’avessero vista.

— Cyrin.

Ma, prima di allontanarsi, il Cinghiale dalle zanne bianche come il marmo si fermò per qualche istante accanto a lei.

— Anche il Signore degli Enigmi perse un giorno la chiave dei propri indovinelli — disse con la sua voce profonda e pura come le note di un organo. — Ma poi la ritrovò, quando si guardò in fondo al cuore.

“Addio, Sybel. Il Signore di Dorn corse tre volte attorno alla casa senza porte della strega Enyth, e poi camminò verso la parete, che svanì come se fosse stata un sogno.”

— Addio — mormorò lei. Il Cinghiale uscì dal cancello aperto e si avviò di corsa, lucente come la luna stessa, verso i campi degli uomini addormentati.

Sybel si raddrizzò e chiamò il Falco Ter, che vegliava accanto a Tamlorn, dietro le pareti di pietra di Mondor.

“Ter, sei libero.”

“No.”

“Ter. Sei libero di fare ciò che vuoi, di lasciare Tamlorn o di rimanere con lui, come Falcone del Re. Ma ti chiedo una cosa. Una sola cosa, per amor mio. Non toccare Drede. È mio, e preferisco dimenticarmi di lui.”

“Ma perché, figlia di Ogam? Dov’è finito il tuo trionfo?”

“Se n’è fuggito nella notte. Quando mi sono destata, ero sola e impaurita.”

“Impaurita?”

“Impaurita, Falco senza Paura. Sei libero.”

Pronunciò il suo nome, che si allontanò senza risposta nell’immobilità della notte; poi si voltò verso il Drago dalle verdi ali e gli salì sul dorso.

Insieme, volarono in alto nella notte punteggiata di stelle, al di sopra dei bivacchi di guerra del Sirle e di Mondor, fino a un’alta montagna e a una casa bianca e silenziosa.

Quando vi furono giunti, lei diede per sempre la libertà al Drago, entrò nella casa fredda e vuota di Myk e sprangò le porte dietro di sé.

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