7

Sybel fece ritorno a casa, cavalcando lentamente sulla neve, con il Falco che descriveva grandi cerchi nell’aria al di sopra della sua testa: a volte Ter saliva fino ad altezze tali da ridursi a una debole stella nera del cielo pomeridiano, poi, da lassù, calava in picchiata, veloce come il lampo.

Sybel non parlò con nessuno e continuò a cavalcare con lo sguardo assente; nessuno di coloro che l’incontravano sulla strada pensò di fermarla. Quando giunse al sentiero che portava alla sua montagna, il sole era al tramonto.

La sera stendeva sulla neve una luce argentea quando lei s’inoltrò nella sua foresta; e le stelle iniziavano la lenta ascesa che le avrebbe portate sulla grande, oscura cima del Monte Eld. Non spirava il minimo alito di vento; intorno a Sybel, le alte cime degli alberi rimanevano immobili e i loro rami coperti di neve brillavano alla luce delle stelle. Infine, in mezzo ai tronchi, comparve la casa di Maelga, minuscola, con le finestre illuminate dalla luce del focolare.

Sybel diresse il cavallo verso il cortile della casetta. Quando smontò di sella, Maelga si affacciò alla porta, tra lo sfavillio degli anelli che portava alle dita.

— Sybel — disse.

Sybel la fissava senza parlare, e Maelga le si avvicinò, scrutandola con i suoi occhi acuti. Le accarezzò il viso pallido e immobile.

— Sei proprio tu?

— Il mago è morto.

— Morto! E come è successo, bambina? Temevo di non rivederti più.

— Il Rommalb.

Maelga si portò la mano alla bocca.

— Hai catturato anche quello?

— Sì. E adesso il mago Mithran giace stritolato sul pavimento della sua torre, e credo… credo che neppure un osso delle sue dita sia rimasto intero.

— Sybel…

La giovane donna rabbrividì. — Fammi entrare. Devo riposarmi, almeno per qualche momento.

Maelga la prese sottobraccio e la condusse all’interno della casa, accanto al focolare. Sybel si lasciò scivolare accanto al fuoco. Faticava a tenere gli occhi aperti. Sentì che qualcuno le sfiorava la gola per toglierle il mantello e trasalì involontariamente.

— No…

Maelga si fermò. Sospirò, poi le accarezzò la guancia, e Sybel si alzò in piedi. Si sciolse i lacci del mantello e lo diede a Maelga.

— Mi ha strappato il vestito. Coren è ancora a casa mia?

— Te lo cucirò io. Sì, Coren è ancora lì. Quando si è accorto che eri sparita, è venuto a dirmelo. Se la prendeva con se stesso perché non è riuscito a rimanere sveglio.

— Io, invece, sono lieta che si sia addormentato.

Per un lungo periodo non disse più niente, limitandosi a fissare le fiamme. Maelga continuò a guardarla, dondolando silenziosamente sulla sedia, mentre la notte si infittiva attorno alla casa e la faccia di Sybel si riduceva a un profilo d’ombra sullo sfondo del fuoco.

Infine, la vecchia disse piano:

— Sybel, a cosa stai pensando? Quali pensieri cupi?

Sybel si scosse dalle sue riflessioni.

— Cupi come la notte — bisbigliò.

In quel momento si udì un calpestio di passi, nel cortile, e poi il nitrito allegro del cavallo di Coren.

Sybel si alzò in piedi, e la veste strappata le si aprì sul petto. Andò alla porta, e Coren, che stava accarezzando il collo del cavallo, si girò e la vide incorniciata nella luce. Corse verso di lei, la avvolse nel suo mantello, l’abbracciò e affondò la faccia nei suoi capelli, finché lei si sentì correre sulle guance le lacrime del Principe.

— Anch’io ho pianto e sofferto.

— Sybel, ti sei allontanata da me come un sogno, silenziosamente e irrevocabilmente… non resistevo, non resistevo…

— Adesso sono al sicuro.

— Ma… come hai fatto, Sybel? Chi era?

— Vieni dentro. Ti spiegherò.

Coren sedette accanto a Sybel, vicino al focolare di Maelga, e intrecciò le dita nelle sue, incapace di staccarsi da lei. Anche Maelga, che si muoveva silenziosamente nella stanza per affettare del pane e per preparare qualcosa di caldo, ascoltò con interesse il racconto della sua ragazza.

— È stato il mago Mithran. Hai mai sentito questo nome?

Coren scosse la testa.

— Mi ha visto una volta, molto tempo fa, quando gli ho rubato un libro. Mi desiderava, e non mi ha lasciato scelta. Gli ho chiesto di avere pietà di me, ma in lui non ne era rimasta.

“Aveva una mente grandissima, anche se da tempo non trovava avversari degni di lui ed era indebolito dalla noia e dall’amarezza. Io non sarei mai riuscita a sfuggirgli, non avrei mai potuto combatterlo, e sarei sempre vissuta nel timore di lui.

“Ma ha fatto un errore. Si è dimenticato del Rommalb. E quello è stato l’unico nome che mi è venuto in mente, quando ha perso il controllo di se stesso e mi ha lasciato libera per un attimo. Così, è morto.”

— Ne sono lieto.

— Anch’io… a parte il rimpianto per il grande sapere di quell’uomo. Mi spiace di non averlo incontrato in qualche altra occasione. Era addirittura più potente di Heald, e avrebbe potuto insegnarmi molte cose.

Coren, accanto a lei, cambiò leggermente posizione.

— Non hai bisogno di un così grande potere per tenere i tuoi animali — disse. — Che cosa te ne faresti?

— Il potere crea nuovo potere. Io non posso cancellare il mio desiderio di conoscere cose nuove, di imparare. Ma non sarei mai riuscita a vivere con lui. Quell’uomo… non mi amava.

— Allora — chiese Coren — questo ha importanza per te!

— Certo — rispose Sybel.

Si voltò a guardarlo, sorridendo, e ripeté:

— Ha importanza.

Coren trasse un lungo respiro, rabbrividendo.

— Morivo dal desiderio di venire a cercarti — mormorò — ma non sapevo dove. Persino la neve era scesa a coprire le tue tracce. Quando mi sono svegliato, il fuoco era spento e tu eri sparita.

— Coren — disse lei — non avresti potuto fare niente. Per te, Mithran non avrebbe avuto nessuna pietà. Non l’ha avuta neppure per me, e io sarei stata costretta ad assistere, impotente, mentre ti uccideva. E allora, al mio ritorno, non avrei trovato nessuno ad abbracciarmi.

— Sybel… — S’interruppe, per trovare le parole giuste. — Tutto il mio amore è tuo. Per te avrei dato la vita. E adesso, per te, intendo rinunciare a un’altra cosa: ai miei anni di odio per Drede.

“Se accetterai di venire con me nel Sirle, nessuno ti chiederà cose che non desideri fare. Non voglio più sentirti avere bisogno di me e non sapere dove cercarti. Non voglio dover scoprire, svegliandomi, che sei partita.”

Lei lo fissò in silenzio, e il giovane, per un momento, ebbe l’impressione di scorgerle negli occhi un’ombra di distacco.

Poi l’ombra svanì, e Sybel si portò alle labbra la mano di Coren.

— E io — sussurrò — non voglio più vederti partire per il Sirle senza di me.


Lasciarono insieme il Monte Eld, l’indomani mattina, per andare a sposarsi nel castello della famiglia di Coren.

Il lungo inverno stava per finire e le nevi cominciavano a sciogliersi. Cavalcarono avvolti in pesanti mantelli di pelliccia, sotto un cielo illuminato dal sole, in mezzo alla neve bianca. Il Falco Ter volava alto sopra di loro, e le sue ali erano nere sullo sfondo del cielo.

Passarono vicino a Mondor, attraversarono la vasta Piana di Terbrec, e giunsero infine nelle foreste del Sirle, dove passarono la notte in una casa che sorgeva ai margini di una radura e che era per metà una fortezza: un avamposto del Sirle.

Nel corso della mattinata seguente giunsero nel cuore della regione, una distesa di campi attorno alla grande ansa del Fiume Slinoon. Da lì, scorsero in lontananza le mura e le grigie torri di pietra e i camini fumanti della dimora dei Signori del Sirle.

Scesi da cavallo, si fermarono per qualche tempo a riposare. Coren prese tra le mani la faccia di Sybel, la fissò negli occhi scuri.

— Sei felice? — le chiese.

Poi, al sorriso di lei, la sua gioia sbocciò come un fiore. Le baciò le palpebre, mormorando:

— Occhi più neri della gemma che ornava il pomo della spada di Re Pwill… la gemma che era sempre stata bianca come il fuoco, ma che divenne improvvisamente nera alla sua morte…

— Coren!

La lasciò, ridendo. La neve ingioiellata dal sole pareva stendersi abbagliante fino ai confini del mondo. Tutt’attorno a loro, le uniche cose che si muovessero erano il respiro dei cavalli e il fumo che usciva pigramente dai comignoli del castello.

Sybel fissò quella lontana costruzione, socchiudendo leggermente gli occhi per proteggerli dalla luce.

— Quella sarà la mia casa… — disse. — Sarà strano vivere in una pianura, fra tante persone. Io non sono abituata alla presenza della gente. Ed è una costruzione così grande e così grigia. A che cosa servono le torri che sorgono lungo le mura di cinta?

— Guardiole per le sentinelle, magazzini per le scorte di cibo, armerie per un eventuale attacco o per un assedio. I Signori del Sirle non si sono mai sentiti molto tranquilli, fra i loro vicini. Ma da quando siamo stati sconfitti nella Piana di Terbrec, parliamo tanto e combattiamo poco.

— E come sono i tuoi fratelli? Sono tutti uguali a te?

— In che senso, uguali a me?

— Generosi, gentili, saggi…

— E io — disse lui — sarei tutte queste cose? In passato ho ucciso e ho odiato, e di notte sono rimasto sveglio a sognare la vendetta…

— Ho incontrato tanta e grande malvagità — disse lei — ma in te non ne ho vista.

Gli sorrise, ma il ricordo l’aveva amareggiata. Lui le accarezzò i capelli.

— Dietro le spesse e antiche mura della casa di Rok non ti troverebbe nessuno, se tu non volessi farti trovare. Vieni. I miei fratelli parlano a voce alta e sono segnati dalle cicatrici delle battaglie, sono sciocchi e impulsivi come me, ma nella loro casa si ride: ti daranno il benvenuto semplicemente perché ti amo.

Cavalcarono lentamente lungo i campi addormentati sotto la crosta di neve, e videro che, nei punti maggiormente esposti al sole, qualche fazzoletto di neve si era già sciolto, rivelando la terra scura. Seguivano una strada che passava sulla riva del Fiume Slinoon e che portava al castello dei Signori del Sirle. Un ragazzo con un arco sulla spalla, che correva lungo i campi vuoti, li vide arrivare, e gridò una parola che rimase sospesa nell’aria come un respiro d’inverno. Poi si mise a correre verso il castello, precedendoli; il cappuccio, sollevandosi a tratti sulla sua testa, rivelò una folta massa di capelli neri.

— Quello è Arn — disse Coren. — Il figlio di Ceneth.

— Ci sono molti bambini? — chiese Sybel.

Lui annuì. — Ceneth ha anche due bimbe più piccole. Il primogenito di Rok, Don, ha quindici anni ed è ansioso di prendere parte alla sua prima battaglia. Oltre a Don, Rok ha quattro figlie. La moglie di Eorth ha appena messo al mondo il primogenito, Eorthling. Herne e Bor abitano nella zona settentrionale del Sirle. E anche noi, tu e io, avremo dei figli: tanti piccoli maghi, che ci riempiranno la casa.

Lei annuì, sovrappensiero. Davanti a loro, al di là delle porte aperte, si vedevano varie persone che attraversavano in tutte le direzioni il cortile coperto di neve. Ai piedi delle mura si scorgeva un largo fossato, colmo dell’acqua del Fiume Slinoon, e che poi andava a irrigare i campi.

Nel cortile c’erano alcuni cavalli sellati, pronti per partire; da una bottega di maniscalco subito dietro le mura uscì improvvisamente una grande nuvola di vapore, che subito svanì. Arn attraversò di corsa il ponte levatoio e scomparve. Ricomparve qualche minuto più tardi, accompagnato da un uomo che si fermò accanto alla porta del castello, in attesa del loro arrivo.

— Rok.

L’uomo li raggiunse sul ponte. Prese le redini del cavallo di Coren e fissò Sybel. Coren smontò di sella. Rok era un uomo di alta statura, con le spalle molto larghe, folti capelli color oro chiaro e la faccia coperta di rughe, imperturbabile come i suoi occhi castani. La sua voce, nonostante la spropositata ampiezza del suo petto, era straordinariamente dolce.

— Ti aspettavo di ritorno da Hilt, quattro giorni fa. Cominciavo a preoccuparmi. Ma adesso vedo che non ce n’era ragione.

Si avvicinò a Sybel e le prese la mano.

— Voi siete Sybel — disse.

— Come lo sapete?

— Perché abbiamo combattuto sulla Piana di Terbrec per una donna che vi assomigliava. Siate la benvenuta nel Sirle.

Lei sorrise, e guardandolo negli occhi vi lesse, al di sotto della calma, un debole, rovente senso di trionfo.

— E voi — gli disse — siete il Leone del Sirle, come vi chiama Coren. Sono lieta che mi abbiate dato il benvenuto, dato che il mio arrivo era inatteso.

— Ho imparato ad attendermi da mio fratello Coren le cose più inattese.

— Rok — disse Coren, tranquillamente. — Siamo qui per sposarci. Sybel viene qui per essere mia moglie.

Rok, per un momento, guardò in basso, poi sollevò nuovamente gli occhi, sorridendo.

— Capisco — disse. — Come hai fatto a convincerla?

— Non è stato facile. Ma alla fine ci sono riuscito.

Alzò le braccia verso Sybel e la posò a terra. Arn si avvicinò a loro per prendere i cavalli, e fissò la sconosciuta incuriosito. Dietro il ragazzo giunse una donna alta, dai capelli rossi pettinati in due grandi trecce che si perdevano tra le pieghe della sua ricca veste verde e oro. Coren fece le presentazioni:

— Lynette, ti presento…

— Lo so, lo so. — Abbracciò il cognato, ridendo. — Credi che non riconosca quei capelli chiarissimi e quegli occhi scuri? Lei è Sybel e siete venuti per sposarvi. Ecco cosa stavi complottando, mentre noi eravamo preoccupati per te.

— Non vedo perché preoccuparsi. Sybel, ti presento la moglie di Rok, Lynette.

— Andare in qualche strano luogo a inseguire un sogno ad occhi aperti è una cosa — disse Lynette, baciando Sybel sulla guancia. — Ma andare a Hilt e non fare ritorno è un’altra. Sybel, mi sembrate stanca. Dev’essere molto faticoso viaggiare con questo freddo.

Coren le mise un braccio sulle spalle e Sybel si appoggiò a lui, senza pensare a niente, limitandosi ad assaporare la levigatezza del mantello di pelliccia contro la sua pelle.

Coren spiegò: — In questi ultimi giorni ha avuto molte preoccupazioni. C’è qualche posticino dove può riposare un poco?

Sybel raddrizzò la schiena.

— No, Coren — disse — mi fa piacere sentire tante voci amiche. E devo ancora conoscere gli altri tuoi fratelli e i loro figli.

Lynette rise.

— Li conoscerete — disse. — Venite. Potrete riposare nella mia stanza, mentre faremo preparare delle camere per voi e per Coren.

Percorsero il ponte levatoio, seguiti da Arn con i cavalli, e il trambusto che regnava nel cortile s’interruppe al loro passaggio.

Una porta più piccola conduceva al cortile interno: un vasto spazio quadrato, con alberi senza foglie che incidevano sulla neve un bassorilievo di ombre. Un uomo aprì il doppio battente da cui si accedeva all’interno del castello e scese alcuni scalini verso di loro. Aveva i capelli neri come l’ala di un corvo; i suoi occhi, verdi come smeraldi, sorrisero a Coren.

— Poco fa è arrivato Arn, dicendo che eri tornato. Era eccitatissimo; ho pensato che, dopo avere disturbato qualche misterioso mago nei tuoi vagabondaggi, tu fossi tornato a casa con due teste.

— Vedi come mi prendono in giro — disse Coren a Sybel. — No, Ceneth. Questa volta, il mago è tornato a casa con me. Adesso dovrai mostrare maggiore rispetto per i miei viaggi.

— Davvero. Voi siete la maga del Monte Eld — disse Ceneth.

Rimase per qualche istante a osservare Sybel, meditabondo, con uno strano sorriso che ricordava quello di Rok.

— Coren ci ha molto parlato di voi — riprese. — Anzi, non ha più smesso di nominarvi, da quando è tornato a casa con qualche cicatrice in più, dopo la battaglia con il vostro drago.

— Se non fosse stato per il Drago Gyld, non mi avrebbe mai lasciato mettere piede in casa sua — disse il giovane. — Ma dov’è Eorth? E Herne e Bor, sono qui?

— Sono a caccia — disse Rok. — Presto saranno di ritorno.

Poi sobbalzò nell’udire un frullare d’ali al di sopra della sua testa. Era il Falco Ter, che andò a posarsi sulla spalla di Coren e che prese a osservarli con i suoi occhi freddi e luminosi.

— Di chi è quel falco? — chiese Rok. — Non è uno dei nostri… è troppo grosso.

— È il Falco Ter — mormorò Coren, spostando la testa per fare posto al rapace. — Una volta ha ucciso sette uomini.

Si rivolse a Sybel:

— Che cosa pensa? — le chiese. — Voglio saperlo.

— Sette uomini… — mormorava intanto Ceneth, incredulo, fissando Sybel. — È vostro?

Lei annuì. — Mio padre, Ogam, lo ha chiamato a sé.

— È libero?

— L’ho dato a Tamlorn, ma risponde ancora al mio richiamo, quando ho bisogno di lui.

Poi tacque, aprendo la mente al Falco, e Rok e Ceneth la osservarono intimoriti, senza parlare. Infine, Sybel tornò a guardare Coren.

— Mi ha portato notizie di Tamlorn — riferì. — Sta bene.

Dovrò scrivergli per fargli sapere dove mi trovo. Ho però l’impressione che farà fatica a comprendere. Credo che una parte di lui sia sempre convinta che la sua vera casa sia sul Monte Eld.

— Non penso che ci sia bisogno di scrivergli — disse Rok. — Nell’Eldwold, le notizie viaggiano in fretta.

— Davvero? Arrivavano assai lentamente fino a me, nella mia casa sul Monte. Comunque, preferisco scrivere a Tamlorn; deve avere la notizia da me.

— Capirà certamente — disse Coren, con gentilezza.

— Me lo auguro.

Ter volò via dalla spalla di Coren e si appollaiò ad attendere sul ramo di un albero spoglio; tutti entrarono nel castello, dove sedettero in una vasta sala. Il pavimento era coperto di pelli e di rami di pino, alle pareti erano appesi antichi arazzi e al centro c’era un grande focolare, attorno a cui ruzzavano alcuni bambini che si rotolavano a terra giocando con un cane.

Sybel si slacciò il mantello, liberando dal cappuccio i lunghi capelli, e i bambini si fermarono nel vederli cadere come una pioggia d’argento. Guardando Coren, vide che la osservava come uno sconosciuto, come se non l’avesse mai vista prima. Si sentì arrossire e dovette distogliere gli occhi. Lynette si fece dare il mantello. Coren le accarezzò una guancia e le disse:

— Va’ con Lynette. Io ti raggiungerò presto.

Le due donne uscirono; nel corridoio dietro la sala trovarono una scala di pietra che portava a una stanza grande e luminosa. Al centro scoppiettava un allegro focolare; accanto al fuoco c’erano due bambine piccole, con i capelli rossi di Lynette, che chiacchieravano tra loro con grande serietà. Una piccina di pochi mesi piangeva nella culla; Lynette la prese in braccio e scostò le tende che coprivano il letto.

— Lara, Marnya — disse — andate a giocare fuori. Ss, piccola Byrd, non piangere. Sybel, stendetevi qui sul letto, se vi sentite stanca. Vi farò portare del vino e qualcosa da mangiare.

Sybel si sedette sul letto. — Grazie, mi sento proprio esausta.

Poi, dopo un attimo, si alzò di nuovo in piedi, irrequieta, e si avvicinò a una delle finestre.

In distanza, dietro la Foresta del Sirle, vide brillare sullo sfondo del cielo la cima azzurrina del Monte Eld, e pensò che in mezzo a quella lontana coltre di neve c’era una casa bianca che ospitava strani, meravigliosi animali.

Lynette disse, dietro di lei:

— Lo so. Anch’io ho provato la stessa tristezza, tanti anni fa, quando ho lasciato la mia casa a sud di Hilt. Spero che qui sarete felice. Io sono lieta che siate venuta, per il bene di Coren, anche se non mi sarei mai aspettata di vedervi, soprattutto dopo che avete dato Tamlorn a Drede.

— Ho dovuto darglielo — disse Sybel. — Il ragazzo voleva stare con suo padre.

— Capisco. Eorth ed Erne hanno la testa dura… non capiscono come abbiate potuto dare a Drede un bambino che vi era stato portato da un Principe del Sirle. Per le persone come loro, il mondo si divide in Sirle e in Drede.

La bimba aveva smesso di piangere; lei se l’appoggiò sulla spalla. Poi sorrise, nel vedere lo sguardo di Sybel.

— Volete tenerla in braccio? — le chiese. — È la più piccola delle mie figlie.

Sybel sorrise.

— Avete capito il mio desiderio prima che me ne rendessi conto io stessa. Ci riesce anche Coren.

Prese in braccio la bambina e si sedette accanto al fuoco. Due occhi cauti, color castano dorato la fissavano dal basso.

— Anche Tamlorn era così piccolo quando l’ho preso… — disse Sybel. — E io ero così ignorante. Coren dice che più tardi ci sarà una cerimonia, una promessa. Che cosa dovrò fare?

— Niente — le disse Lynette. — Dovete soltanto essere bella e presentarvi al Signore del Sirle, ai suoi fratelli e alle loro famiglie; Rok vi unirà e poi ci sarà una festa. Avete portato qualche particolare vestito per l’occasione?

— No. Ho così poche cose. Non ho mai sentito il bisogno di qualche abito particolare, in passato.

Lynette la osservò sorridendo. — Vivete così semplicemente. Pensate di scrivere a Horst di Hilt per dirgli che sposate Coren?

— Perché dovrei farlo?

— È vostro nonno — spiegò Lynette, paziente. — Rianna era vostra zia; vostra madre era figlia di Horst.

Sybel disse, pensosa:

— Già. Ma non credo che abbia interesse per questa sua nipote, dato che Ogam ha chiamato mia madre nello stesso modo in cui ha chiamato a sé il Falco Ter o il Leone Gules. Comunque, bisogna che mi ricordi di scrivergli.

Vedendo che Lynette la guardava stupita, le sorrise.

— Non ho avuto un’educazione raffinata come quella che ha avuto Rianna — le spiegò. — Se mi scappa qualche frase che vi disturba, ditemelo pure. Ho sempre frequentato pochissima gente. Non mi aspettavo di gradire così tanto la compagnia delle altre persone.

Lynette annuì.

— Farò come dite — le promise. — Quando vi ho vista arrivare mi avete ricordato Rianna, e ho provato una grande pena, perché ho pensato nuovamente a Norrel. Ma adesso penso che siate assai diversa da Rianna. I suoi occhi erano timidi e gentili, mentre i vostri sono…

Glieli osservò un po’ perplessa, cercando la parola giusta. Sybel si sentì leggermente turbata.

— Coren dice che sono neri come il cuore di Drede.

Lynette batté le ciglia, sorpresa.

— Coren vi dice queste cose? Perché avete deciso di sposarlo, allora?

— Non lo so. Forse perché non mi veniva in mente nient’altro che mi attraesse di più.

Lynette annuì, sorridendo. Si fece ridare la piccola Byrd e la rimise nella culla.

— Scendo — disse a Sybel. — Dirò di portarvi quelle cose.

Uscì. Dopo qualche istante, nel silenzio della stanza, Sybel si alzò in piedi e si versò del vino. Si avvicinò alla culla e sfiorò con il dito la guancia della bambina. Poi si voltò e cominciò a passeggiare nervosamente avanti e indietro, tendendo l’orecchio per sentire se Coren saliva da lei.

Udì soltanto i rumori provenienti dal cortile, e, da lontane stanze, voci di bambini, le cui risate echeggiavano sulle pietre, fino a lei. Tenendo in mano la coppa del vino, scese nel corridoio e udì Coren, che diceva:

— No.

Si diresse verso quella voce. In fondo al corridoio c’era una porta aperta, da cui giungeva il mormorio di numerose voci maschili. Si fermò accanto alla soglia e spiò nella stanza, alla ricerca di Coren.

Lo scorse infine accanto al fuoco, all’altra estremità della sala. Poi, lentamente, sentendoli parlare, diede un nome anche ai cinque uomini che gli stavano attorno.

— Coren, adesso lei è qui. Per quale altro motivo l’avresti portata, altrimenti?

Colui che aveva detto queste parole, in tono offeso, era un uomo che parlava lentamente; era più alto di tutti gli altri e aveva i capelli color dell’oro e gli occhi verdi come le ali del Drago Gyld. Coren, un po’ irritato, ma paziente, gli rispose:

— Eorth, l’ho portata perché l’amo. Prova a pensare a lei come a un’altra qualsiasi donna del castello…

— Ma lei non è affatto come le altre donne del castello — disse Ceneth. — Pensi che si accontenterebbe di essere considerata una donna comune? Ha dei poteri; deve usarli. Perché allora non può usarli per noi?

— Contro Drede, eh? Ve l’ho già detto e ridetto. Non vuole che si combatta contro Tamlorn.

— E allora? Possiamo mettere Tamlorn sul trono di Eldwold con la stessa facilità con cui può mettercelo Drede.

— Grazie a lei — disse un uomo massiccio, con la faccia arrossata dal gelo e corti capelli argentei — possiamo avere aiuto da Hilt… perfino da Niccon. Nessuno oserebbe opporsi a noi.

— No, Bor.

— Coren — disse Rok — quest’autunno ti sei recato lassù appositamente per convincerla a venire qui. Adesso che l’hai fatto…

— Sì, ma non l’ho fatto per quello! Rok, due giorni fa, ho rischiato di perderla. È stata chiamata, attaccata da un mago potentissimo, e ho temuto di non vederla più. Quando l’ho vista tornare, le ho giurato che, se mai fosse venuta qui nel Sirle, nessuno avrebbe cercato di usarla contro la sua volontà.

— Coren, nessuno desidera usarla contro la sua volontà. Non vogliamo certamente renderla infelice — disse Bor. — Ma certo potresti parlarle… non dico subito, ma un po’ più avanti, quando tra voi ci sarà una buona armonia…

— Credevo che fosse la cosa che desideravi più di ogni altra al mondo. — Colui che aveva interrotto Bor era un uomo piccolo, muscoloso, che fissava Coren con occhi azzurri e scintillanti. — Vendicare la morte di Norrel!

Cadde un breve silenzio. Coren, con i lineamenti tirati, disse:

— Lo pensavo anch’io. Ma adesso preferirei spendere le mie energie pensando alla vita. Per Sybel ho rinunciato a ogni altra cosa. Compreso il mio odio.

“Ho dovuto farlo. Non posso spiegarvene il motivo. In quella sua casa bianca mi sono successe molte cose strane, e la più strana di tutte è che adesso preferisco pensare a Sybel, invece che a Norrel. Se volete fare la guerra contro Drede, dovete rassegnarvi a farla senza di lei. Gliel’ho promesso. Se non potete accettarlo, mandateci pure via tutt’e due da questa casa.”

Dal gruppo si levò un mormorio di dissenso. Rok appoggiò per un istante la mano sulla spalla di Coren.

— Non pensare male di noi — gli disse. — Siamo dei leoni irrequieti e affamati… se ci getti un briciolo di speranza, noi ci buttiamo subito a sbranarlo. Non le chiederemo niente, se è questo che lei desidera. Anche se la tentazione è fortissima.

— Lo so.

Ceneth aggiunse:

— Ci sarà comunque di grande aiuto, anche solo per la luce che porta nella nostra casa… e per la preoccupazione che fa sorgere nell’animo di Drede!

Coren annuì. Si guardò attorno, fissando il cerchio di facce silenziose.

— Non dovrei fidarmi di nessuno di voi — disse. — Ma mi fiderò. Non posso fare altro. Quanto a voi due, Eorth e Herne, aspettate di vederla. Capirete perché le ho promesso una cosa simile.

— Io non lo capirò mai — disse Eorth, schiettamente. — Ma se dici che non ci aiuterà, allora significa che non ci aiuterà. Questo sono in grado di capirlo.

— La cosa che più mi stupisce — disse Ceneth — è che abbia accettato di sposarti, visto come la pensa a proposito di Tamiorn e di Drede. Deve avere un grande coraggio… o un grande amore… per venire in questa tana di lupi senza altri difensori che te.

Coren gli rivolse un sorriso obliquo.

— È perfettamente capace di prendersi cura di se stessa — disse. — Avete visto il Falco Ter.

— Se può chiamare un Falco che ha ucciso sette uomini — rifletté Eorth — allora potrebbe chiamare anche Drede. E noi allora potremmo…

— Eorth — brontolò Bor. — Piantala.

Sybel si allontanò senza fare rumore. Ritornò nella stanza al piano superiore e trovò Lynette, i suoi vestiti, un vassoio di cibo e cinque bambini che la guardarono mangiare.

Rok li sposò quella sera, nella grande sala, che per l’occasione era illuminata da candele sorrette dai bambini dei Principi. Nella penombra, il fuoco crepitava e mandava grandi piogge di faville; lo scoppiettio del focolare era l’unico rumore che si potesse udire oltre la voce precisa e sonora di Rok.

Sybel indossava un vestito rosso fiamma e Lynette le aveva pettinato i capelli in due grandi trecce che poi aveva raccolto in alto, in modo da formare un’argentea corona. Ferma accanto a Coren osservava il riflesso delle fiamme del focolare sui capelli di Rok e sulla pesante catena d’oro che portava al collo, e pensava che la voce del Signore del Sirle si mescolava al rumore del fuoco come il vento con la voce della foresta.

E le ritornò in mente la casa di Maelga, dove lei e Coren, due giorni prima, immersi nel grande silenzio del Monte, avevano ascoltato l’antica formula pronunciata dalla fattucchiera per unire le loro vite:

“Questo legame impongo tra voi: che anche se le vostre menti o i vostri corpi saranno separati, nel vostro cuore sorgerà un richiamo che vi riporterà l’uno all’altra. In nome dei segreti della terra e dell’acqua, questo legame è infrangibile e irrevocabile; per la legge che ha creato il fuoco e il vento, impongo in voi questo richiamo, nella vita e oltre la vita…”

Più tardi, quella sera stessa, prima di partire per il Sirle, lei era rimasta sveglia a lungo; a osservare lo scintillio delle stelle, sotto la cupola di cristallo della sua stanza bianca, e ad ascoltare il suono del respiro di Coren. E, accanto a lui, aveva sentito dileguarsi tutto il buio di quel giorno, aveva sentito scorrerle via dalle ossa la stanchezza.

Infine, quando si era addormentata, aveva dormito profondamente, senza sogni.

— E adesso — disse Rok — affidatevi reciprocamente il vostro nome.

— Coren.

Lei lo guardò e, nella luce rossastra che gli illuminava il viso, scorse una profonda fiamma di ironia, che in passato non aveva visto mai. Gli rivolse lentamente un sorriso, come per accettare la sfida.

— Sybel.

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