6

Sybel giunse a una scala a chiocciola che portava alla cima di un’alta torre, situata sui bastioni settentrionali della città. La spirale dei gradini svaniva nell’ombra, sopra e sotto di lei; l’unica compagnia era la sua stessa ombra, disegnata dalla torcia sugli scalini di pietra consumati.

In cima scorse una porta chiusa, da cui filtrava una cornice di luce. Impugnò il pesante anello di ferro del saliscendi e la aprì.

— Venite, Sybel.

Come fu all’interno, vide che si trovava in una stanza di forma circolare. Sulla sua testa brillava un soffitto dipinto a stelle immobili e luccicanti; alle pareti, leggermente mossi dalla brezza che entrava dalle finestre nascoste, pendevano tendaggi di lino e di lana chiara che raffiguravano scene di antiche leggende, ricamate in fili preziosi.

L’intero pavimento era coperto di soffici pelli di montone, con il pelo alto fino alla sua caviglia; al centro ardeva un caldo braciere di ferro.

Accanto al braciere era fermo un uomo alto, con una veste di velluto nero e una cintura d’argento di mezzelune intrecciate. La fissava senza parlare. Aveva un volto lungo e sottile, con lineamenti affilati da falco, e l’unica emozione che lui tradiva era rivelata da un impercettibile sorriso all’angolo delle labbra. Gli occhi erano verdi, freddi, infossati in profonde orbite scure.

— Datemi il vostro nome.

— Sybel.

Quando pronunciò la parola, il filo invisibile del richiamo che le offuscava la mente si spezzò all’improvviso: Sybel si trovò libera, in quella stanza sconosciuta.

Batté le palpebre per la sorpresa e si guardò attorno, rabbrividendo. Gli occhi verdi del mago continuarono a fissarla senza mostrare la minima emozione.

— Venite accanto al fuoco. Vi siete gelata, viaggiando così a lungo nella neve.

Sollevò una mano scarna, dalle lunghe dita. Sybel notò che portava un unico anello, all’indice, con incastonata una pietra verde come i suoi occhi.

— Venite — le ripeté l’uomo con insistenza. Lei si accostò lentamente al fuoco e si slacciò il mantello, intriso d’umidità.

— Chi siete? — chiese infine Sybel. — Che cosa volete da me?

— Il mio attuale nome è Mithran — rispose il mago — ma in passato ne ho avuto molti altri. Ho servito molti Principi di regni lontani; li servo sempre bene, tranquillamente… se sono potenti. Se invece non lo sono, li uso per raggiungere i miei scopi.

Lei lo fissò negli occhi.

— Chi servite, adesso? — mormorò.

Agli angoli della bocca del mago, il sorriso sottile come un filo di seta tremò impercettibilmente.

— Fino a questo momento — disse — ho servito un altro. Ma ora, forse, potrei servire me stesso.

— Chi avete servito?

— Un uomo che vi teme e vi desidera nello stesso tempo.

Lei aprì la bocca; era rimasta senza parole per la sorpresa. Poi chiese: — Drede?

— Perché tanto stupore? — chiese il mago. — L’avete chiamato a voi due volte, costringendolo a lasciare la sua casa con tanta abilità da non fargli neppure riconoscere l’impulso che lo muoveva. Sta lottando per conservare il suo potere sull’Eldwold, e la sua unica arma, contro i sei Principi del Sirle, è il suo giovane figlio.

— Gli avevo assicurato che non mi sarei mai intromessa nelle sue cose! Perché teme che mi metta contro di lui, che è il padre di Tamlorn?

— Perché non dovreste farlo, visto che un biondo Principe del Sirle vi corteggia con parole dolci? Avete allevato Tamlorn, ma avete anche una vita vostra a cui pensare. Siete potente e… bellissima, come la preziosa formula di un incantesimo di un antico codice ingemmato. Drede teme che un impulso, prima o poi, finisca per portarvi verso Coren del Sirle.

— Coren… — Si coprì gli occhi con le mani e si accorse di avere le dita gelate. — Ho assicurato a Drede…

— Non siete fatta di pietra.

— No. Sono fatta di ghiaccio.

Si allontanò dal fuoco e si fermò davanti a un tavolo di cristallo, posando poi le mani sulla sua liscia superficie.

— Voi conoscete bene la mia mente — disse. — Siete colui che la conosce meglio. In passato ho dovuto prendere alcune decisioni importanti e difficili, ma alla fine ho sempre deciso di usare i miei poteri per me stessa, senza danneggiare nessuno. Perché Drede non lo capisce?

— Voi amate Tamlorn. Perché dite di non poter amare Coren del Sirle? Siete capace di amare, e questa è una debolezza pericolosa.

— Non amo Coren!

Mithran si allontanò dal fuoco per accostarsi a lei. La fissò con occhi indecifrabili.

— E Drede, lo amate? Farebbe di voi la sua Regina.

Sybel si sentì arrossire. Fissò le coppe d’argento posate sul tavolo.

— Mi sono sentita leggermente attratta da lui — confessò. — Ma non sono disposta a sedere mansueta al suo fianco e a utilizzare il mio potere come piace a lui, per la rovina del Sirle… No!

La voce calma e dominatrice di Mithran continuò a incalzarla, inflessibile:

— E lui ora mi paga perché vi renda mansueta come avete detto.

Quando Sybel udì questo, le braccia le caddero lungo i fianchi. Si voltò verso l’uomo, pallida in volto, socchiudendo gli occhi come se stesse cercando di afferrare le parole di un incantesimo a lei ignoto.

— Drede… vuole…

— Vuole che gli obbediate. Vuole potervi amare senza dubbi, potersi fidare pienamente di voi, fidarsi di voi più di qualsiasi altra persona al mondo. E poiché vi conosce, pensa che ci sia soltanto un modo per ottenerlo. Pagarmi per farlo.

Nell’animo di Sybel si destò una paura più profonda e agghiacciante di quante ne avesse mai conosciute prima. Un terrore che le inviò nel sangue e nella mente sottili radici di gelo.

— In che modo? — chiese, con gli occhi pieni di lacrime.

— Potete immaginarlo. Sybel. Questo nome significa tante cose: ricordi, conoscenze, esperienze. È la vostra proprietà più autentica e irrevocabile. Drede mi ha assunto perché vi tolga questo nome per un breve periodo, e perché poi lo restituisca a un’altra donna, che lo accetterà sorridendo e che gli obbedirà per sempre, senza fare domande.

Sybel emise un gemito così roco e straziante che non riuscì neppure a riconoscere la propria voce. Cadde in ginocchio, portandosi le mani al viso. Ansimò, cercando le parole a fatica:

— Aiutatemi… nel dolore non riesco neppure più a riconoscermi…

— Non avete mai pianto così, in precedenza? — chiese l’uomo. — Siete fortunata. Vedrete che passerà.

Sybel strinse i denti per smettere di piangere, e serrò tra le dita la stoffa del mantello. Poi sollevò la testa verso il mago, e il fuoco la illuminò in faccia.

— Portatemi da lui — disse. — Farò quello che desidera. Ma non toglietemi la volontà. Lo sposerò, obbedirò a tutti i suoi ordini… ma lasciatemi la libertà di farlo perché lo voglio!

Gli occhi verdi e imperscrutabili si posarono su di lei. Dopo un istante, anche il mago si inginocchiò; le passò le dita sulla guancia e guardò una lacrima che aveva raccolto sul polpastrello, e che brillava come una stella.

— Una volta — disse — anch’io ho pianto così. Molti anni fa, quando le ceneri degli anni dell’amore e dell’odio si erano ormai raffreddate dentro di me. Ho pianto al pensiero del volo del Liralen, perché sapevo che, pur avendo in mio potere tutta la terra, quella creatura di immacolata bellezza mi era per sempre preclusa. Non pensavo che oggi avrei avuto in mio potere un’altra bellezza come quella. Il Re mi chiede di consegnarla a lui… ma è un uomo così piccolo, per domare tanta libertà…

— Mi permetterete di parlargli?

— Come può fidarsi di voi? Una volta si è fidato di Rianna, e lei lo ha tradito. Questa volta non vuol correre il rischio. Ha paura di voi ed è geloso di Coren. Ma ricorda che la vostra guancia si è arrossata quando ve l’ha sfiorata con la mano; inoltre, il giovane Principe Tamlorn vi ama. Perciò Drede desidera avervi: non priva di poteri, ma… controllabile.

— Che cosa vi dà, in cambio?

Gli occhi immobili del mago si illuminarono leggermente in un sorriso.

— Tutto questo… — disse. — Ricchezze, ore di ozio nel lusso, i vostri animali, se annienterò per sempre i Signori del Sirle. Ma non ho ancora deciso se farlo.

— Perché non ha paura di voi? — mormorò Sybel. — Io sì.

— Perché, quando ci siamo parlati la prima volta, non aveva altre cose che potessi desiderare. Adesso, però, non ne sono altrettanto sicuro.

— Perché, che cosa vorreste?

— Cercate di comprare da me la vostra libertà? — chiese Mithran.

— Non posso comprarla da voi! Dovreste donarmela liberamente. Se non altro, almeno per pietà.

Lui scosse la testa, lentamente.

— Non conosco più la pietà — disse. — Nei vostri riguardi, provo solo un timore reverenziale. Avete una mente potente, unica nelle sue conoscenze, perché l’esperienza della mente è segreta e non si può condividere.

“Sono stato in deserti sotto l’occhio della luna; nelle corti dei ricchi signori, dove suonano i flauti e dove i tamburi battono come cuori… Sono stato su alte montagne, nelle piccole capanne delle streghe, a osservare i loro occhi ardenti e la loro faccia bruciata dal fuoco; ho parlato con il gufo, con il falco bianco come la neve e con il nero corvo; ho parlato con gli sciocchi, uomini e donne, che abitano a migliaia nelle città affollate; ho parlato con regine dalla voce di ghiaccio. Ma non avevo mai pensato, in tutti i miei vagabondaggi, che potesse esistere una donna come voi.”

Sollevò la mano, e con l’anello le sfiorò i capelli. Lei si ritrasse leggermente, fissandolo a occhi sbarrati.

— Vi prego. Fatemi parlare con Drede.

— Forse… — disse il mago.

Poi si rizzò in piedi, allontanandosi.

— Alzatevi — le disse. — Toglietevi questo mantello bagnato e riscaldatevi. Ho vino e cibi caldi. Dietro quella tenda troverete un letto soffice su cui riposare… e qualcos’altro che vi appartiene.

Lei si alzò lentamente e scostò la bianca tenda. Vide il Falco Ter, appollaiato su un trespolo d’oro; i suoi occhi scintillanti la fissarono senza emozione. Sybel cercò la mente del rapace, formulò a fior di labbra il suo nome, ma Ter non le rispose, non si mosse.

Stancamente, Sybel si voltò verso il mago.

— Siete davvero forte, Mithran… È strano che io mi trovi qui, alla vostra mercé, perché dodici anni fa ho decìso di amare un bimbo innocente. Ho paura di voi e di Drede, ma la paura non potrà salvarmi, e non credo che altri mi possano salvare, tranne voi.

Il mago dalla veste nera le servì il vino. Alle finestre, i tendaggi si schiarivano ormai per l’arrivo dell’alba.

— Ve l’ho detto, non conosco più la pietà — rispose Mithran. — Mangiate. Poi riposerete un poco, e io vi porterò Drede. Forse in Drede potrete ancora trovare un po’ di pietà, ma dubito che un uomo impaurito fino alle radici della mente sia molto portato alla compassione.

Drede giunse quando ormai era mezzogiorno. Il rumore della serratura svegliò Sybel; sentì il Re chiedere a bassa voce:

— È fatto?

— No.

— Vi ho detto che non volevo parlarle finché non fosse fatto!

Il mago rispose, in tono gelido:

— Non ho mai fatto una cosa come questa. È contraria al mio modo di sentire. La rovinerete in modo irreparabile; sarà bellissima, docile, e userà il suo potere soltanto dietro vostro ordine.

— Le avete detto questo?

— Sì, ma non ha importanza. Dimenticherà. Ma desiderava parlare con voi… per implorarvi.

— Non voglio ascoltarla!

— Ve l’ho detto: per fare una cosa come questa, devo fare violenza a me stesso. Se dovrò portarne il rimorso, voglio che lo portiate anche voi, altrimenti non lo farò.

Drede non disse niente. Sybel si alzò in piedi e aprì la tenda. Il Re la fissò. Nei suoi occhi, Sybel lesse vergogna e tormento, e, al di sotto, la patina glaciale della paura. Rimase ferma per qualche istante, senza lasciare la tenda. Poi si recò da Drede e si inginocchiò ai suoi piedi.

— Vi prego — mormorò. — Vi prego. Farò tutto ciò che mi chiederete. Vi sposerò. Metterò in mano vostra i Signori del Sirle. Educherò Tamlorn e vi darò dei figli. Non metterò mai in discussione i vostri ordini; obbedirò senza fare domande.

“Ma non ordinate a quest’uomo di togliermi la volontà. Non ordinategli di cambiarmi la mente. È una cosa terribile, più ancora che se mi uccideste in questo momento. Anzi, preferirei morire. C’è una parte di me che assomiglia a un falco dalle bianche penne, libero, orgoglioso, selvaggio, a una creatura dell’aria che vola dove vuole, ansiosa di raggiungere le stelle luminose e il sole. Se ucciderete quell’uccello dalle bianche penne, sarò confinata alla terra, legata alle limitazioni degli uomini, senza parole mie, senza azioni mie. Prenderò per voi quel falco, lo metterò in gabbia. Ma lasciatelo vivere.”

Drede alzò una mano per coprirsi gli occhi. Infine si inginocchiò davanti a lei e le strinse le mani.

— Sybel, non posso fare diversamente. Vi desidero, ma ho paura di voi… ho paura di quel bianco falco.

— Vi prometto…

— No, ascoltatemi. Ho sempre avuto paura di coloro che ho in mio potere. Sono stato minacciato dai miei nobili, tradito da coloro che amavo, e non ho più nessuno a cui possa dire la verità senza timore. I miei uomini, le persone di cui mi dovrei fidare… li guardo negli occhi… in quei loro occhi misteriosi, privi di espressione… e sospetto di loro, temo il tradimento.

“Sono solo. Tamlorn è l’unico al mondo di cui mi fido, l’unico che amo. Voi, Sybel, potrei amarvi, e forse fidarmi di voi, ma prima devo essere certo della vostra fedeltà.”

Lei disse, con la gola secca:

— Non potrete mai esserne certo. Coloro che vi amano potrebbero ferirvi, senza per questo cessare di amarvi. Ma adesso, per essere sicuro del mio amore, intendete togliermi tutto l’amore che potrei darvi liberamente. Quel bianco falco si chiama Sybel. Se lo ucciderete, io morirò, e voi avrete solo uno spettro che vi guarderà con i miei occhi. Invece, lasciatemi vivere e fidatevi di me.

Drede chiuse gli occhi.

— Non posso — disse. — Una volta mi sono fidato di Rianna, e lei mi ha tradito con un sorriso. Mi sorrideva e mi baciava il palmo della mano, e intanto mi tradiva per gli occhi azzurri di un Principe del Sirle. Anche voi mi sposereste, per poi tradirmi con Coren…

— No!

— Come esserne certo? Un giorno entrerà sorridendo nel vostro giardino, voi gli restituirete il sorriso, e tutte le promesse fatte a me si disperderanno come foglie al vento.

— No. Voi parlate di Rianna e non di me. Io non ho niente a che vedere con Rianna e Norrel. Lasciatemi andare! Vi prego! Ritornerò nella mia casa sulla montagna, e questo mago la circonderà con un muro che io non potrò oltrepassare. Lascerò l’Eldwold! Farò qualsiasi cosa.

Drede bisbigliò a denti stretti:

— Sybel, vi sogno tutte le notti, e poi mi sveglio e piango. Mithran farà in fretta, e poi sarete con Tamlorn…

— No…

Drede si alzò in piedi. — Farà in fretta…

— È deciso, dunque — mormorò lei, tremante. — Non potrò mai più amare, dopo di oggi. E sono la prima, di tre maghi, che abbia imparato a farlo. Tenterei di uccidermi, ma so che non mi sarà lasciata neppure questa piccola scelta. Spero che paghiate bene questo mago, perché è un servigio che non ha prezzo, che non ha uguali.

Per un attimo, Drede rimase a fissarla senza parlare. Poi le voltò le spalle; Sybel sentì il fruscio dei suoi piedi sulle pelli che coprivano il pavimento, poi il rumore sonoro dei suoi passi sugli scalini di pietra della scala a chiocciola. La porta si chiuse, la serratura scattò, e lei, nell’udire questo suono, gemette atterrita e disperata.

— Alzatevi, Sybel.

Lei si alzò, incerta sulle gambe. Mithran si recò al tavolo, versò del vino. Gliene porse una coppa e si mise a sedere, osservandola, centellinando il vino.

— Sedete — le disse il mago.

Sybel obbedì e gli chiese, parlando alla coppa:

— Datemi qualche minuto di libertà.

— Perché vi possiate allontanare per sempre da questo mondo? No. Avete un valore troppo grande.

— Lasciatemi nella mente un angolino libero.

— Per amare?

Lei alzò gli occhi.

— Per odiare — sussurrò.

Passò le dita sull’orlo della coppa, come per sentire la tessitura del suo argento lavorato.

— In quell’angolino — proseguì — potrei coltivare un odio capace di distruggere l’Eldwold pietra su pietra, lasciando un deserto che poi i Signori del Sirle si contenderebbero per secoli. Metterei il Re in ginocchio, così come lui ha messo in ginocchio me.

Gli occhi verdi del mago la fissarono impassibili.

— E io? — chiese. — Mi odiate?

Lei lo guardò con disprezzo. — Voi siete troppo vile per meritare il mio odio.

Lui appoggiò i gomiti al tavolo, e la gemma del suo anello lampeggiò sinistramente. All’improvviso, serrò le labbra.

— Quel Re è uno sciocco. Sapete che una volta mi avete rubato un libro?

Lei sbatté gli occhi.

— Davvero? Se l’avessi fatto, mi ricorderei di voi.

— Il libro degli incantesimi del mago Firnan. Eravate convinta che la stanza fosse vuota. Una stanza solitaria e fredda, alla corte di un piccolo signorotto, nei pressi della Palude di Fyrbolg. Ma io ero presente. Vi ho vista entrare, silenziosa come se foste stata fatta d’aria.

“Avete guardato i miei libri, avete prelevato quello, e ve ne siete andata. Così in silenzio che io sono rimasto a guardare per ore, dopo la vostra scomparsa, in quel punto. Non conoscevo il vostro nome. Non sapevo neppure se vivevate nell’Eldwold. Sapevo soltanto che eravate apparsa davanti a me come un sogno che non avrei mai osato sognare… perciò mi sono messo ad ascoltare, a rivolgere domande qua e là, e così ho saputo di voi.”

Lei lo fissò, perplessa.

— Perché allora mi avete chiamato per Drede?

— E stato lui, alla fine, a dirmi chi dovevo chiamare. Vedete, non sono uno sciocco. Se fossi salito da voi sulla montagna, avreste potuto accettarmi oppure no. Oggi, invece, la risposta che potete darmi è una sola.

“Io vi desidero. Se devo avervi con la forza userò la forza, anche se, data la vostra attuale situazione, non credo che possiate opporvi. Sono forte; le mie conoscenze sono inesauribili. In passato ho amato e ho odiato, ma da anni non trovavo più niente che destasse il mio interesse, finché non ho visto voi.

“Potrei dividere con voi i miei pensieri e le mie esperienze. Un tempo ho amato una donna per la sua bellezza, ma non ho mai pensato che mi succedesse di nuovo. È come se… è come se voi foste fatta per me.”

Lei lo fissò senza capire. Riprese a tremare. Mithran le disse:

— Bevete.

Lei bevve. Poi appoggiò i gomiti al tavolo e si prese la testa fra le mani. Mithran la fissava.

— Allora?

— In parte — disse lei — la colpa è mia. Maelga mi aveva avvertito.

— Guardatemi.

Lei sollevò la testa e lo fissò senza parlare. Mithran aggrottò leggermente la fronte.

— Occorre pensarci tanto? — le chiese.

— Non sto pensando. Nella mia mente c’è solo il vuoto.

— Sybel, scegliete.

— Per me, non ha importanza. Scegliete voi! Se mi volete, prendetemi… se non mi volete, datemi a Drede. Che cosa devo fare? Ringraziarvi per avermi concesso un posto nel deserto del vostro cuore? Drede, almeno, posso capirlo, ma voi… voi siete più gelido di me.

— Davvero? — sibilò lui. Poi riprese il controllo di se stesso, e le sue labbra ritornarono impassibili. — Bianco falco, sapete che non potrò mai consegnarvi a quel Re. E che non vi spezzerò la mente perché obbediate a lui o a me.

— Me l’avete già spezzata! — esclamò lei. — Sono un falco bianco legato a un filo d’argento, che accorre al vostro richiamo. Avrò paura di voi per tutta la vita, tanto grande è il vostro potere sui miei più riposti pensieri.

“Quello che farete di me, perciò, non ha più nessuna importanza. Volete che vi implori perché mi salviate da Drede? Mi metterò in ginocchio davanti a voi, se volete, ma non potrò ringraziarvi di avermi salvato, se dovrò essere incatenata a voi.”

— E non potreste… cercare di amarmi?

— Io non amo nessuno! Non amerò mai nessuno! Scegliete voi chi mi avrà: dovrò essere di Drede, indifesa e sorridente, oppure vostra, indifesa e impaurita?

Mithran rimase per qualche istante in silenzio, mentre lei lo fissava. Poi disse lentamente, sollevando una mano:

— Non dovrete avere paura di me, Sybel. Vi insegnerò antiche arti magiche e incantesimi che non vi sareste mai sognata di imparare. Vi darò cose meravigliose: la gemma porporina a forma di occhio fabbricata dalla strega Catha e capace di vedere all’interno delle scatole e delle stanze chiuse; il mantello azzurro, fatto con le pelli dei gatti di montagna di Lomar, morbido come un sospiro, caldo come il tocco di un labbro…

“Vi darò i libri sigillati del mago Erden, che non sono più stati aperti dal momento della sua morte, avvenuta tre secoli fa, e vi insegnerò come si aprono…”

Le parole di Mithran le giungevano nella mente come sogni; si sentì cullare… tranquillizzare…

— Catturerò per voi la gazzella alata del Deserto Meridionale, che ha gli occhi stellati come il cielo notturno… Dormirete su lane e sete purpuree, porterete gioielli color del cielo, con al centro un fuoco rosso o azzurro…

Come da molto lontano, vide che il mago si alzava lentamente in piedi, silenzioso come un’ombra, e che si avvicinava a lei. Mithran continuò a parlarle a bassa voce, intessendo visioni che si fermavano a lungo nella sua mente indebolita. Poi sentì che le accarezzava i capelli.

— Vi darò l’arpa dalle corde d’argento di Thrace, Signore di Tol, che suona a comando, cantando le storie dimenticate di gloriosi Re del passato…

Ormai, Mithran le bisbigliava all’orecchio. Dentro di lei, qualcosa si mise a gridare, debole come il pianto di un bimbo nella notte, e poi svanì, dimenticato. Si sentì sfiorare la gola dalle sue mani, vide muoversi e tremare alla luce del fuoco il monile che le fermava sulla spalla l’orlo della veste.

— Vi darò la Coppa della Fortuna che fu scagliata dal Principe Verne nel fondo del Lago Perduto perché gli aveva predetto che sarebbe morto sotto le onde…

Sentì che le cuciture della sua veste si laceravano sotto le mani nervose del mago. Sentì che la voce di Mithran si spezzava:

— Vi darò tutti i tesori del mondo… tutti i suoi segreti… Sybel, mio bianco falco…

Mithran abbassò la testa, e Sybel si sentì le sue labbra sul collo, sempre più giù.

E si accorse che, in quell’istante di passione sempre più affannosa, a Mithran era sfuggito il dominio che aveva continuato a esercitare su di lei.

In quell’attimo, senza più sperare, quasi senza pensare, Sybel bisbigliò un nome.

Il mago sollevò di scatto la testa per fissarla con occhi di fiamma. Si staccò bruscamente da lei e fece per voltarsi, solo per trovarsi davanti il Blammor dagli occhi di cristallo. Lanciò un solo urlo, e poi il Blammor lo coprì come una nebbia e lo tenne sollevato nell’aria. Mithran allargò per un istante le braccia, tese convulsamente le mani, e poi scivolò a terra.

Il Blammor chiese a Sybel:

“Avete bisogno d’altro?”

Tremante, lei riuscì solo a fissare il corpo del mago. Cercò a tastoni i lembi della sua veste e tentò di riunirli.

“No” disse. “Non più.”

Il Blammor svanì.

Accanto alla tenda, il Falco Ter lanciò un grido di collera. Il corpo del mago giaceva supino, e ogni osso della sua faccia, della sua gola, delle sue mani era frantumato e spezzato.

Ter calò su di lui, gli si posò sulla testa, e trafisse con gli artigli i suoi occhi ancora spalancati.

— Ter — chiamò Sybel, e il Falco volò fino a lei, per fermarsi sullo schienale della sua sedia.

Sybel si alzò in piedi, ancora tremante per la reazione nervosa, e s’infilò il mantello. Le giunse alla mente la voce di Ter, rossa di collera:

“Drede, adesso.”

“No.”

“Drede.”

“No.” Si recò alla porta, aprì con mani febbricitanti il saliscendi e spiegò al Falco:

“Drede è mio.”

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