Al Werry ed Henry Corzyn vennero sepolti in due tombe vicine, sul pendio assolato, esposto a sud, di un cimitero nei pressi di Tripletree.
Hasson, originario di un’isola dove la cremazione era antica abitudine, non aveva mai assistito a una sepoltura tradizionale. Le cerimonie funebri viste in televisione lo avevano preparato a un grande dispiego di tristezza, ma la realtà dei fatti si rivelò stranamente tranquilla. Il ritorno alla terra gli comunicò una sensazione di giustizia che lo lasciò, se non proprio confortato, in qualche misura riconciliato con le ragioni della vita e della morte.
Durante la cerimonia si tenne in disparte dal gruppo di parenti stretti, perché non desiderava parlare dei suoi rapporti con Werry a nessuno in particolare. Sybil Werry, giunta da Vancouver, restò vicina al figlio. Era una donna minuta, nera di capelli, e la sua corporatura fragile faceva sembrare alto, sorprendentemente maturo, il ragazzo al suo fianco. Theo Werry tenne la testa sollevata, non cercò di nascondere le lacrime, e seguì col bastone a sensori l’interramento della bara del padre. Guardando il ragazzo, Hasson poteva già vedere sulla sua faccia i lineamenti dell’uomo che sarebbe diventato.
May Carpenter e sua madre, discretamente velate, facevano parte di un gruppo separato che comprendeva il dottor Drew Collins e altra gente ignota ad Hasson. May e Ginny erano uscite di casa qualche ora prima dell’arrivo di Sybil, trasferendosi in un’altra zona di Tripletree.
Non lontano da loro c’erano le figure disperate di Victor Quigg e Oliver Fan, entrambi irriconoscibili nell’abito nero da cerimonia. E dietro tutti, ad accomunarli su uno sfondo generale, la città era linda e indifferente come sempre, sospesa sotto i colori brillanti delle autostrade aeree. Hasson vedeva tutto con chiarezza estrema, minuziosa: la sua memoria avrebbe rivissuto molte volte quella scena.
Appena tornato in casa si ritirò nella sua stanza. Il sole batteva sulle tendine chiuse, immergendo tutto in un color pergamena. Tirò fuori le sue cose e, lavorando con calma concentrazione, cominciò a infilarle in un gruppo di contenitori da volo. Lo spazio non bastava per tutto quello che le sue valigie contenevano, ma non ebbe esitazioni a scegliere le cose più necessarie e ad ammassare le altre sul letto. Stava lavorando da circa cinque minuti quando udì dei passi sul pianerottolo, e Theo Werry entrò nella stanza. Il ragazzo si fermò un attimo, tastando il pavimento col bastone a sensori, poi si avvicinò ad Hasson.
— Te ne vai davvero, Rob? — gli chiese, con espressione tesa. — Voglio dire adesso, oggi pomeriggio? Hasson continuò a mettere via la roba. — Se parto adesso, arrivo alla costa occidentale prima di sera.
— E il processo? Non dovresti aspettare?
— Ho perso interesse per i processi — rispose Hasson. — Devo partecipare a un altro processo m Inghilterra, e non m’interessa più nemmeno quello.
— Ti cercheranno.
— Il mondo è grande, Theo, e io voglio scorrazzare in ogni direzione. — Hasson si fermò, per rendere il doveroso omaggio alla presenza del ragazzo. — È una frase di Stephen Leacock.
Theo annuì, poi sedette sull’orlo del letto. — Lo leggerò, un giorno o l’altro.
— Certo. — Un improvviso risveglio di partecipazione umana indusse Hasson a chiedersi se non pensasse troppo a se stesso. — Sei sicuro di non volerti fare operare? Nessuno t’impedirebbe di far operare almeno un occhio.
— Sono sicuro, grazie. — Theo parlava con la voce di un adulto. — Posso aspettare un paio d’anni.
— Se pensassi che ti serve…
— È il minimo che io possa fare. — Theo sorrise e si alzò, sciogliendo Hasson da ogni obbligo. — Me ne vado anch’io, sai. Ho parlato con la mamma stanotte, e lei dice che ha un sacco di posto per me a Vancouver.
— Magnifico — disse Hasson, imbarazzato. — Senti, Theo, un giorno o l’altro vengo a trovarti. Okay?
— D’accordo. — Il ragazzo sorrise di nuovo, troppo cortese per far vedere che non credeva alla promessa, strinse la mano di Hasson e uscì dalla stanza.
Hasson lo guardò scomparire, poi tornò a riempire i contenitori con l’essenziale per un lungo volo. Non aveva in mente nessuna destinazione precisa. Sentiva solo la necessità istintiva di viaggiare a sud e a ovest, d’iniziare la sua nuova vita stagliandosi contro la stupefacente immensità dell’Oceano Pacifico: doveva recuperare gli anni persi nel provincialismo, nel conformismo, perdendosi nelle zone che il tempo e la storia non avevano ancora sfiorato. Pochi minuti dopo, terminati i preparativi, accantonati i rimorsi, si alzò nell’aria blu, tranquilla, di Tripletree, e iniziò una lunga passeggiata in cielo.