Werry l’aveva predetto: la zona attorno all’hotel era affollata di spettatori, sia a terra sia in aria. Le strade che circondavano l’hotel rigurgitavano di automobili, come infestate da insetti mostruosi, e il cielo splendeva delle costellazioni mobili che erano le luci dei volatori. Un proiettore bilaser scriveva a mezz’aria, a enormi lettere scarlatte: «Attenzione! C’è pericolo di ulteriori esplosioni! Il vetro cadrà su una zona molto ampia! Sgomberate!» E, altissimo, centro immobile di tutto quel caos, l’hotel rimaneva invisibile, tranne che per deboli sprazzi di bagliori arancioni.
— Quasi mi dispiace di aver messo dentro Buck — disse Werry scendendo dall’auto. — Doveva venire qui a godersi lo spettacolo.
Hasson piegò la testa all’indietro, cercando di assorbire ogni dettaglio della scena. — Per quanto tempo credi che resterà dentro?
— I suoi avvocati dovrebbero tirarlo fuori in un’ora.
— Allora non valeva la pena di arrestarlo.
— Per me, sì. Glielo dovevo. — Werry sorrise con aria di vendetta. — Vieni. Voglio vedere come se l’è cavata Henry. — Lo guidò su quel terreno accidentato fino alle imponenti autopompe dei vigili del fuoco, parcheggiate accanto ad altri veicoli. L’impianto televisivo continuava a funzionare, circondato da un gruppetto di uomini e donne che usavano i monitor per scrutare quello che stava succedendo in un altro mondo, quattrocento metri al di sopra delle loro teste. Mentre Werry e Hasson si avvicinavano, la figura snella di Victor Quigg si staccò dagli altri e andò loro incontro. La tensione aveva reso più grandi e più scuri i suoi occhi, conferendo alla sua faccia immatura qualcosa che ricordava gli animali notturni.
— Tutto bene? — chiese Werry. — Dov’è Henry?
— È ancora su, Al. Non sono riuscito a scovarlo.
— Cioè è ancora dentro l’hotel?
— Penso di sì. Se fosse uscito, se ne sarebbe accorto qualcuno. Doveva tenersi in contatto. — Quigg era stanco e spaventato.
— Quel vecchio matto… — Werry si alzò in punta di piedi per guardare sul monitor televisivo l’immagine dell’hotel. — Mi sembra che l’incendio stia per arrivare al secondo piano. Come farà a uscire?
— È quello che vorrei sapere. Al, se gli succede qualcosa…
Werry alzò la mano e ridusse al silenzio il giovane poliziotto. — L’hotel ha un’altra uscita? Com’è il tetto?
— Deve esserci una via d’uscita e d’ingresso sul tetto, perché è da li che dovevano entrare i ragazzi, ma non l’ho trovata. È una specie di città, Al. C’è pieno di macchinari e serbatoi d’acqua e roba del genere.
— Be’, possiamo farci dare le chiavi, oppure buttare giù una porta. — Werry s’interruppe, pensieroso. — Solo che… Se entriamo e cominciamo a scendere, potremmo finire su una di quelle maledette bombe di Buck. Forse ci toccherà correre il rischio.
— Henry doveva tenersi in contatto.
— E le finestre? — intervenne Hasson. — Non può romperne una abbastanza grande con un mattone?
Werry scosse tetramente la testa. — È tutta roba moderna, a prova di proiettile, a tasselli… A prova di proiettile, che ridere… Dovrebbe servire a rendere più accettabili da un punto di vista psicologico gli edifici così alti, o qualcosa del genere.
— Capisco. — Hasson si avvicinò ai monitor televisivi e scrutò l’immagine trasmessa dall’operatore in volo. L’architetto dell’Hotel Chinook aveva utilizzato l’idea dei tasselli su tutta la superficie esterna, trasformando muri e finestre in un unico mosaico. Da un punto di vista puramente estetico l’edificio era meraviglioso, e non era giusto aspettarsi che un architetto prevedesse una situazione del genere: gente che voleva lanciarsi fuori dalle stanze, affidarsi alle implacabili correnti d’aria che correvano sopra e sotto l’Empire State Building. L’immaginazione di Hasson, cogliendolo alla sprovvista, lo immerse nella situazione che aveva immaginato, e il terreno prese a ballargli sotto i piedi. Distolse lo sguardo dal monitor, nauseato, e stava ancora cercando di riprendere a respirare normalmente quando vide una giovane donna arrivare dalla direzione della strada.
In quelle circostanze insolite, in un ambiente così strano, sul momento gli fu difficile identificare May Carpenter. La donna corse verso lui, pallidissima e sconvolta, e si fermò a fianco di Al Werry.
Werry le mise un braccio attorno alle spalle e la girò in direzione della strada. — Non puoi stare qui, tesoro. È pericoloso, e adesso dovrò…
— Theo è scomparso — rispose lei con voce fioca, infelice. — Non riesco a trovarlo.
— Sarà uscito coi suoi amici — la calmò Werry. — Gliene parlerò più tardi.
May si liberò dalla stretta dell’uomo. — Ho cercato dappertutto. In tutti i posti dove va solitamente. Stasera non l’ha visto nessuno.
— May — chiese Werry, impaziente — non vedi che ho da fare?
— È lassù. — Le parole di lei erano misurate senza emozioni, svuotate dal peso della certezza. — È lassù nell’hotel.
— Che stupidaggine. Voglio dire… È proprio stupido.
May si portò il dorso di una mano alla fronte. — Certe notti va fuori a volare con Barry Lutze, e vengono sempre qui, all’hotel.
— Non sai cosa stai dicendo — disse Werry. — È vero.
— Se tu lo sapevi e non me ne hai mai parlato — rispose Werry, con un’espressione disumana — lo hai ucciso.
May chiuse gli occhi e scivolò a terra. Hasson scattò avanti e la afferrò, contemporaneamente a Werry. La sorressero tutti e due, la spostarono di qualche metro, la misero a sedere sul predellino di un camion lì vicino. Diversi uomini la fissarono incuriositi e cercarono di avvicinarsi, ma Quigg spalancò le braccia e li allontanò.
— Mi spiace, mi spiace, mi spiace — mormorò May. — Mi spiace tanto.
Werry le prese il viso tra le mani. — Non dovevo dire una cosa del genere. È solo che… È solo che… May, perché non me l’hai detto? Perché non me l’hai fatto sapere?
— Ho provato, ma non ci sono riuscita.
— Non riesco a capirlo — disse Werry, come fra sé. — Non riesco a capirci niente. Se si trattasse di un altro, ma Theo…
Hasson senti risvegliarsi qualcosa nel suo subconscio. — Prende droghe, May? L’empatina?
Lei annuì, e sulle sue guance apparve un rivolo di lacrime.
— E perché, May? — chiese Hasson, mentre le idee si andavano cristallizzando nel suo cervello. — Riesce a vedere, con l’empatina?
— Non lo capivo — disse lei, aprendo gli occhi, guardando Werry con infinita tristezza. — Una notte l’ho visto che usciva dalla finestra del bagno, e volevo dirtelo, ma lui mi ha supplicato di stare zitta. Mi ha detto che quando è con gli altri ragazzi, e prendono l’empatina, a volte riesce a vedere quello che vedono gli altri. Ha detto che succede a sprazzi. Mi ha parlato di telepatia e cose del genere, Al, ed era così disperato, e significava tanto per lui, e una volta ti ho sentito dire che l’empatina e la gestaltina e sostanze del genere non fanno nessun male…
— L’ho detto proprio io? — chiese lentamente Werry, tirandosi su. La radio al suo polso cominciò a ronzare, ma lui parve non accorgersene. — Immagino che tutti possano commettere uno sbaglio.
May lo fissò, supplicante. — Odia vivere al buio.
— Lo sai cos’è successo qui? — disse Werry aggiustando l’angolatura del berretto, tornando al suo ruolo consueto. — Stiamo saltando alle conclusioni. Stiamo facendo un salto maledettamente lungo alle conclusioni. Non abbiamo prove che nell’hotel ci sia qualcuno. A parte Henry Corzyn, naturalmente.
Victor Quigg si avvicinò, agitando la mano per attirare l’attenzione di Werry. — Al, vuoi rispondere alla radio? Credo che sia successo qualcosa.
— Ci siamo — esclamò Werry, trionfante. — Sarà Henry che mi comunica di avere controllato tutto.
— Non credo che sia Henry — mormorò Quigg, mortalmente pallido.
Werry gli lanciò un’occhiata interrogativa e sollevò la radio alle labbra. — Qui è il Comandante Werry.
— Non dovevi farlo, Werry. — La voce che usciva dalla radio era affaticata. Le parole arrivavano a blocchi compatti, come se fosse necessario esaminare e valutare il significato di ognuna di esse prima d’inserirla nel messaggio globale. — Oggi hai fatto delle brutte cose.
Hasson abbassò un poco il polso e fissò la radio, stupefatto. — Sei Barry Lutze?
— Non importa chi sono. Voglio solo farti sapere che tutto quello che è successo stasera è colpa tua. Sei tu l’assassino, Werry, non io. — Sentendo quelle parole e frasi pronunciate con tanta fatica, Hasson immaginò che chi parlava fosse seriamente ferito. E pensò che a una situazione già da incubo si stesse aggiungendo un nuovo elemento di minaccia.
— Assassino? Cos’è questa storia dell’assassino? — Werry graffiò il fianco del camion. — Aspetta un attimo! C’è lì Theo? È ferito?
— Era qui quando è scoppiata la tua bomba. Non te lo aspettavi, eh, signor Werry?
— Sta bene?
Ci fu un silenzio lungo, pulsante.
— Sta bene? — urlò Werry.
— È qui con me. — La voce era piena di rancore. — Sei fortunato. Sta bene.
— Sia ringraziato Iddio — sospirò Werry. — E il mio uomo, Corzyn?
— È qui con me anche lui, però non sta troppo bene.
— Cosa vuoi dire? — Gli occhi di Werry erano colmi d’interrogativi.
— Voglio dire che è morto, signor Werry.
— Morto? — Werry alzò gli occhi sull’hotel, che adesso sembrava un disco nero circondato da un sottile alone colorato, come una luna che eclissasse un sole rossastro. — Cosa ci fai con la radio di Corzyn, Lutze? Lo hai ucciso?
— No, lo hai ucciso tu. — La voce cominciava a essere agitata. — È colpa tua se hai mandato un vecchio grassone come questo a prendermi. L’ho colpito una volta sola, e… — Ci fu un attimo d’interruzione. Quando riprese a parlare, la voce era di nuovo monocorde, disumana. — Dovevi venire su tu a fare il tuo sporco lavoro, Werry. Non mi sarebbe dispiaciuto far fuori te. Nemmeno un po’.
— Calma, Lutze. Cerchiamo di cavare un senso da questa conversazione prima che sia troppo tardi — rispose Werry. — Cosa dovrei aver fatto, stanotte? Perché ce l’hai con me?
— La bomba, signor Comandante Werry. La bomba! Werry batté i piedi a terra. — Che razza di scherzo idiota è questo? Stai ancora buttando giù pastiglie di droga, Lutze? È stato Morlacher a mettere la bomba, e tu lo sai benissimo.
— Che differenza c’è? Tu lavori per lui, no?
— Io non lavoro per lui. — Werry si sforzò di controllare la voce. — L’ho appena sbattuto in cella.
— Bell’affare — sogghignò la voce. — Ci resterà un’ora, con venti minuti di condono per buona condotta. Da come la vedo io, mi sembra un po’ poco per aver ucciso mio cugino e avermi fatto a pezzi le costole.
— Sammy non è morto. È all’ospedale, ma non è morto.
Ci fu un silenzio prolungato, una pausa nel duello verbale, poi l’interlocutore invisibile fece la mossa più logica. — Il poliziotto grasso è morto.
Werry respirò a fondo. — Stammi a sentire, Barry. Se non avevi l’intenzione di ammazzare Henry Corzyn, le cose cambiano. Possiamo parlarne più tardi. Per ora devo solo pensare ad assicurarmi che nessun altro resti ferito o ucciso. Mi ascolti?
— Ti ascolto.
— Devi sapere che Buck ha sparso una ventina di quelle bombe per tutto l’hotel. Ce ne sono ad ogni piano, e hanno spolette speciali che le fanno esplodere appena qualcuno si avvicina. Adesso dove sei?
— Al terzo piano.
— Bene. Devi riportare Theo alla finestra del secondo piano, quella con le sbarre segate. Cammina soltanto nei punti che hai già percorso oggi. Uscite dalla finestra, e poi ci penseremo noi.
— Ci penserete voi! — La radio al polso di Werry emise una risata fredda, che terminò in un sibilo. — Non faccio fatica a crederci. Ti piacerebbe, eh?
— Non hai scelta — rispose Werry. — È l’unica cosa che tu possa fare.
— Non se ne parla nemmeno, Werry. Non sono neanche sicuro di riuscire a raggiungere quella finestra. L’ambiente si sta facendo piuttosto caldo. E anche se ci arrivassi, non credo di riuscire a saltare tanto da liberarmi del campo di gravità del muro. Cadrei più in basso del primo piano prima di ricominciare a salire.
— Nessuno ti darà il minimo fastidio. Voglio solo tirare fuori Theo di lì. Te lo giuro. Te lo giuro, Barry. Ti darò tutte le garanzie che vuoi.
— Risparmiati il fiato, Werry. Saliamo sul tetto. Da lì sarò sicuro di poter scappare, e domani sono in Messico.
— Non puoi farlo — disse Werry, poi cominciò a passeggiare freneticamente in cerchio. Hasson provava pena a guardarlo. — Usa il cervello.
— È quello che ho intenzione di fare — assicurò la voce. — Per quanto ne so, le altre bombe non esistono, e se anche esistono, qui c’è molto spazio, e poi ho un’ottima guida. Theo mi precederà.
Werry smise di passeggiare. — Ti avverto. Non farlo.
— Andiamo, non voglio che ti preoccupi, signor Werry. — La voce era esaltata, nervosa, beffarda. — Theo e io ci faremo una bella camminata fino al tetto. Con un po’ di fortuna, puoi venirtelo a prendere lì fra cinque minuti. Stai attento che nessuno cerchi di prendere me, è tutto. Ho la pistola del grassone, e la so usare.
— Lutze! Lutze! — Werry scosse lo strumento che aveva al polso, quasi per costringerlo a rispondere, ma il contatto radio era interrotto. May Carpenter si coprì la faccia e uscì in un singhiozzo soffocato. Werry si passò l’indice sul petto, tracciò la forma d’un corpetto AG, e spinse Quigg in direzione della sua macchina. Quigg annuì e corse via. Werry si avvicinò alla postazione televisiva, e il gruppo di uomini si aprì per farlo passare.
— Com’è la situazione al secondo piano? — chiese. — Posso ancora entrare da quella finestra?
— Guarda tu, Al. — Il tecnico ai comandi indicò l’immagine della parte bassa dell’hotel. Tutte le finestre visibili al primo piano erano imprigionate da lingue di fiamma che andavano dall’arancione a un bianco abbagliante. — Forse riesci a entrare, ma il secondo piano ha l’aria di voler crollare da un momento all’altro.
— Sarà meglio entrare più in alto. — Werry corse ad un’autopompa e tornò poco dopo con una lancia termica a forma di baionetta. Victor Quigg lo raggiunse col corpetto AG e glielo porse senza dire nulla. Hasson era fermo lì, col cervello che gli turbinava ogni volta che pensava alle intenzioni di Werry. Lo osservò allacciarsi le cinghie attorno al corpo. Si sentiva debole, inerme, e responsabile, in modo indefinibile, della situazione dell’altro.
Werry gli rivolse un sorriso tirato, allacciando l’ultima cinghia. — Ci siamo di nuovo, Rob. Non esistono vie d’uscita.
— Non so — rispose Hasson, recitando la parte di Giuda. — Forse non è la cosa migliore andarlo a disturbare. Potrebbero succedere tante… Voglio dire, forse è meglio aspettare.
— Tu aspetteresti, se lassù ci fosse tuo figlio? Hasson indietreggiò, confuso e impaurito. Werry accese le luci del corpetto, mosse un comando sul pannello della cintura e balzò in aria. Salì veloce, cadde nel cielo: una luce che si allontanava, una stella richiamata alle faccende delle stelle.
Sopra la sua testa, quasi preparandosi a dargli battaglia, il disco nero dell’hotel lasciò uscire dal fianco sud una lingua di fuoco giallo. La vampata, un’esplosione solare in miniatura, scomparve subito, e gli osservatori a terra sentirono un rombo sordo. Quigg tolse di tasca il megafono elettronico.
— Quella era un’altra bomba — annunciò, da esperto. — Attenti ai vetri!
Hasson fuggi con gli altri e si rifugiò dietro un’autopompa. Dopo un intervallo sorprendentemente lungo ci fu un tramestio, un sussurrare breve e spezzato sull’erba lì attorno. Hasson tornò al monitor televisivo appena cessato l’allarme. Il fuoco che aveva accompagnato l’esplosione indicava che la bomba era scoppiata al primo piano, ma voleva accertarsi che Al Werry fosse passato indenne tra i frammenti di vetro sparpagliati dal vento.
Cec, il capo tecnico, accese un microfono. — Terry, guarda che dovrebbe arrivare Al Werry. Ha una lancia termica. Cercherà di entrare da una delle finestre in alto. Ne ricaveremo del buon materiale, per cui stagli dietro. Chiaro?
— Chiaro, Cec — rispose Terry Franz, e l’immagine sul monitor cambiò in fretta. La telecamera si puntò su Werry, che per un attimo si stagliò contro l’inferno di fuoco del primo piano e poi raggiunse gli abissi più bui dei piani superiori. Hasson provò un assurdo nodo alla gola quando si accorse che Werry, contravvenendo ai regolamenti, aveva in testa il suo berretto al posto dell’elmetto.
Werry si fermò a circa cinque metri di distanza da una finestra al quarto piano ed estrasse la pistola. Puntò e fece fuoco, e la telecamera, con la sua superba capacità di ripresa, mostrò il buco che si era aperto in uno dei pannelli quadrati. Werry continuò a sparare e a colpire lo stesso punto, sino a far saltare il vetro. Poi infilò la pistola nella fondina e manovrò i comandi della lancia termica, facendone spuntare all’estremità una lama di luce che brillava come un diamante. Senza esitare, Werry si allontanò ancora un poco dal muro dell’hotel, salendo leggermente di quota. I fari delle macchine a terra divennero visibili sotto di lui, minuscole fiammelle di candela.
Werry mosse un comando sulla cintura e ondeggiò verso la finestra. Arrivato nel raggio del campo di gravità del muro, cominciò a cadere, ma aveva calcolato tutto alla perfezione: riuscì a infilare il braccio sinistro nell’apertura che aveva creato. I suoi piedi cercarono un punto d’appoggio sulle sbarre orizzontali fra un pannello e l’altro. Trovò l’appoggio, si tese in avanti e avvicinò la lancia termica alla finestra. La lama di fuoco perforò senza difficoltà metallo e vetro, tracciando una scia arancione. Attento a non perdere l’equilibrio, Werry cominciò ad allargare l’incisione. Le correnti aeree gonfiavano la sua uniforme. Lo stomaco di Hasson era in preda a una nausea gelida, terrificante.
Hasson voltò la testa, chiedendosi se avrebbe vomitato sul serio, poi si controllò: aveva notato un movimento improvviso nell’oscurità, davanti alla figura di Werry. Per un attimo apparve un uomo in tuta da volo. La sua faccia era una macchia pallida, triangolare; il braccio destro era teso in avanti. Hasson urlò quando Al Werry cadde all’indietro dalla finestra, mentre la lancia termica gli sfuggiva di mano e si perdeva nella notte. Werry cadde per qualche metro, poi la spinta laterale lo fece uscire dal campo del muro, e il suo corpo prese a fluttuare sui venti notturni, con braccia e gambe che si agitavano debolmente, disordinatamente. Il suo berretto cadde nel buio, come un uccello fuggitivo.
La minacciosa caverna rettangolare della finestra era di nuovo vuota.
Per Hasson, quello che seguì fu un periodo di confusione terribile. Si accorse solo vagamente che Victor Quigg balzava verso l’alto, estraendo dal contenitore al polso una rete di plastacciaio. Attorno a lui gridavano degli uomini, ma le loro voci erano stranamente lontane. Miriadi di puntini luminosi veleggiavano nella notte. Quigg riapparve, e ora pareva molto vecchio. Trascinava una forma inerte verso cui si tesero decine di mani, e la forma arrivò a terra e riacquistò un peso, si distese sull’erba.
D’improvviso Hasson era inginocchiato accanto a Werry, fissava con orrore stupefatto il foro aperto dalla pallottola nella spalla sinistra del poliziotto. La ferita era appena sotto l’ascella, per cui sembrava relativamente innocua, il tipo di ferita che al personaggio di un olodramma avrebbe strappato solo una smorfia, ma tutta la parte sinistra della giacca di Werry era inzuppata di sangue, rossa come un fegato vivo. La faccia di Werry era talmente pallida da sembrare quasi fosforescente. Il suo sguardo incerto si puntò su Hasson, le labbra cominciarono a muoversi. Hasson si chinò in risposta a quella preghiera che non udiva.
— Finisce tutto sulle tue spalle — mormorò Werry. — È buffo che tutto…
— Non parlare — ordinò Hasson. — Non tentare di dire niente.
Werry gli chiuse la mano in una stretta debole. — Tu non ci crederai, Rob, ma non riesco… Non riesco nemmeno a preoccuparmi di… — Il silenzio e l’immobilità scesero su di lui, e le sue dita abbandonarono la presa sulla mano di Hasson.
Hasson si alzò e si guardò attorno, con occhi bruciati dalle lacrime. Un uomo lì vicino gli tese il berretto di Werry, che aveva finito col cadere in quella zona. Victor Quigg si levò in piedi, prese il cappello e lo appoggiò sul petto di Werry. Rimase piegato sul corpo per qualche secondo, poi si voltò e si diresse verso la più vicina macchina della polizia, trascinando stancamente i piedi sull’erba alta. Hasson lo rincorse e lo afferrò per il braccio.
— Dove vai, Victor? — gli chiese.
— Voglio il mio fucile — rispose Quigg, rigido. — Vado sul tetto dell’hotel e mi metto lì ad aspettare col fucile.
— Forse Lutze non arriverà al tetto.
— Se ci arriva, io sarò lì col fucile.
— È a Theo che penso — disse Hasson, udendo le proprie parole da distanze sterminate, interstellari. — Dammi una pistola e un corpetto.