7

Avvolto in un bozzolo d’interesse egoistico, Hasson continuò a vivere il più tranquillamente possibile, dedicando ogni attenzione al proprio benessere.

In quello stato d’animo isolazionista e miope, l’importanza che attribuiva agli avvenimenti si riduceva su scala logaritmica, a seconda della loro lontananza dal centro del proprio essere. Le notizie degli affari del mondo e dei cambiamenti di strategie politiche, ad esempio, erano così insignificanti che quasi non arrivavano alla sua coscienza. Vide che, nei giorni successivi al barbecue, Al Werry aveva un sacco da fare, che passava lunghe ore a inseguire vagabondi dell’aria, ma anche quello era un fatto lontano dal cuore della realtà, e non gli interessava più delle azioni dei personaggi di una brutta olocommedia.

Gli avvenimenti davvero significativi nella vita di Hasson, gli eventi che riuscivano a risvegliare la sua immaginazione e a dominare i suoi pensieri, erano di tipo assolutamente diverso: la scoperta che gli si stava abbronzando la pelle, dopo le numerose sortite all’aria aperta; la capacità sempre maggiore di marciare per chilometri su terreni che prima l’avrebbero sfinito anche a passo normale; i piaceri epicurei che aveva imparato a trarre da arti nobili come la respirazione equilibrata e il buon sonno. Fece del vivere uno scopo assoluto, una meta raggiunta di continuo, e col passare dei giorni si sentì sempre più protetto, sicuro, inespugnabile…

Una passeggiata di cinque ore su campi ondulati aveva lasciato Hasson accaldato, impolveralo e stanco. Fece una doccia fredda e indossò vestiti puliti, poi si accorse che si era scordato di consumare la sua razione quotidiana di lievito.

Oliver Fan gli aveva promesso che a lungo andare il sapore di quella polvere marrone, aromatica, gli sarebbe piaciuto, e per quanto i progressi in quella direzione fossero scarsi, ne consumava coscienziosamente cinquanta grammi al giorno. Prese la scatola del lievito e scese al pianterreno, poi si fermò un attimo nel minuscolo ingresso quando udì una voce familiare, nasale, provenire dalla cucina. Ginny Carpenter doveva essere tornata dal suo soggiorno nella Columbia Britannica.

Entrando in cucina vide Werry e May Carpenter seduti al tavolo rotondo con due bicchieri di birra davanti, mentre Ginny, acida e vivace come sempre, stava appoggiata di schiena a uno scaffale, a braccia incrociate, e riferiva i particolari del suo viaggio.

— Toh, guarda chi c’è — disse. — Il nostro malato tranquillo.

— Sto benissimo, grazie — rispose cortesemente Hasson. — E lei come sta? — Si voltò, salutò Werry e May, poi prese un bicchiere da un credenzino.

Ginny lo esaminò con aria critica, ammiccò un poco, poi attaccò a parlare come se lui non fosse più lì. — Ha un aspetto un po’ più umano, se non altro. Ve l’avevo detto che aveva solo bisogno di buon cibo e d’una cucina genuina.

Hasson le sorrise. — È per questo che se n’è andata?

La faccia di Ginny si alterò. Guardò Werry con espressione scandalizzata, in cerca d’aiuto.

— È inutile che cerchi di prendertela con Rob — disse Werry, deliziato. — Di questi tempi taglia come un rasoio. Dev’essere per via di quella polvere strana che prende sempre.

— Che roba è? — Ginny osservò sospettosamente Hasson che inghiottiva una cucchiaiata di lievito e la mandava giù con l’acqua del rubinetto.

— Lievito. Lo prende al negozio di cibi naturali della Seconda Strada.

— Il negozio di Olly Fan? — Ginny uscì in un latrato di derisione. — Se uno va in un posto del genere ha bisogno di una ritoccata al cervello.

— Mamma! — esclamò May Carpenter. — Non è una cosa molto gentile da…

Ginny le fece cenno di stare zitta. — So tutto di quei cinesi. Li ho visti centinaia di volte ai loro negoziucoli d’angolo. Lo sai cosa fanno per passare il tempo?

— Ce lo hai già raccontato — le rispose stancamente May, con una breve occhiata al soffitto.

— Aprono le scatole di fiammiferi e tirano fuori un fiammifero da ogni scatola. Nessuno si accorge che manca un fiammifero, capisci. Sempre lì, di continuo, ad aprire scatole e a tirar fuori un fiammifero da ogni scatola. Noi non faremmo una cosa del genere, ma quando l’hanno fatto una cinquantina di volte si sono guadagnati il prezzo pulito di una scatola di fiammiferi. — Ginny si fermò, terminato il discorso, e guardò gli altri con un misto d’indignazione e trionfo. Cosa mi dite?

— Come li vendono? — rispose Hasson, pensando a Oliver e alla sua comprensione e alla sua partecipazione. Ginny si oscurò. — Cosa vuoi dire?

— Voglio dire, in cosa li vendono? Stando al suo racconto, hanno cinquanta fiammiferi in più, ma gli manca la scatola. — Hasson annuì in direzione di Werry. — Ti hanno mai venduto cinquanta fiammiferi in un sacchetto di carta?

— Ti ha beccato! — esclamò allegramente Werry, afferrando Ginny per i fianchi. — A questo non avevi mai pensato.

— Stammi e sentire, Al Werry, e ti dirò io che cosa fanno — scattò lei, allontanando la mano dell’uomo. Poi spalancò la bocca diverse volte, come per spingerla ad andare avanti, a trovare da sola una spiegazione. Alla fine, quando le fu chiaro che le parole adatte non sarebbero mai uscite, guardò Hasson con occhi velati d’odio.

— Non ho tempo di starmene qui tutta sera a muovere la bocca — disse. — Vado a preparare la cena. «L’arma finale» pensò Hasson, ma già si sentiva lievemente depresso per aver risposto a una donna così fragile, probabilmente aggressiva solo perché infelice.

— Perdoni la battuta sulla sua cucina — le disse, sorridendo. — Sono ansioso di mangiare quello che ci preparerà.

— Fatti una birra, Rob — intervenne Werry. — Stanotte sono di servizio, per cui più tardi non potrò bere con te. — Si alzò, prese una lattina di birra dal frigorifero e gli fece strada in soggiorno. Hasson strizzò l’occhio a Ginny, provocando un’espressione stupefatta sulla faccia di lei, e seguì Werry. Restarono seduti per un’ora, e Werry non fece altro che raccontare com’era difficile il lavoro di poliziotto e quanto si sarebbe trovato meglio con un altro mestiere. Era molto composto e perfettamente tranquillo, ma nei suoi occhi c’era una nuova sobrietà, segno che Buck Morlacher era riuscito a penetrare nella sua corazza mentale. Raccontò in dettaglio gli sforzi raddoppiati per precludere agli estranei l’ingresso all’Hotel Chinook. I suoi due pattugliatori aerei, Henry Corzyn e Victor Quigg, avevano l’ordine di controllare gli ultimi piani dell’hotel fin da prima del tramonto, per non lasciare entrare nessuno. Avrebbe partecipato anche lui al servizio notturno con turni di quattro ore, per cui aveva solo il tempo di cenare.

— Il guaio è che oggi ho avuto un sacco di lavoro in più — mugugnò, con un colpetto sul bicchiere per far gonfiare la schiuma. — È tornato il bel tempo e i ragazzi arrivano da tutte le parti. Il Chinook li attira come una calamita, capisci. Li facciamo tornare indietro, oppure gli schiaffiamo addosso qualche imputazione, però ne arriva sempre un altro gruppo, ed è impossibile fermarli tutti. Specialmente col buio.

«A volte mi sembra di avere per le mani una bomba e di doverla disinnescare da solo. Non è giusto che il novanta per cento delle forze di polizia della città debba fare la guardia a una proprietà privata».

— La faccenda può diventare pericolosa, se la trascurate — rispose Hasson. — Forse potresti ottenere l’ordine di abbattere l’hotel.

— Forse, ma ci vorrebbero anni. — Werry uscì in un sospiro introspettivo. — Capisci bene che attrazione può esercitare su dei ragazzi. Li hanno un mondo tutto per loro, un mondo che nessun adulto riesce a vedere. Possono costruirsi una società loro, con regole diverse, senza genitori che rovinino tutto. I genitori possono trovarsi a due o trecento chilometri di distanza, o anche di più, senza nemmeno sapere dove sono i figli, ed è una brutta cosa, Rob.

— Lo so, però l’unica via per poter sperare di rinsaldare i vincoli sociali come esistevano prima del volo umano sarebbe trapiantare in ognuno un trasmettitore radio… E una faccenda del genere non è ancora prevista.

— Non so — disse Werry, abbattuto. — Credo che un giorno ci arriveremo. Lo credo proprio. — Scattò in piedi e recitò l’ormai familiare parodia del saluto militare: May era apparsa sulla soglia ad annunciare che la cena era pronta.

Hasson seguì Werry in cucina e notò che a tavola erano apparecchiati quattro posti. — Theo dov’è, stasera? — chiese, rendendosi conto che negli ultimi giorni aveva fatto ben poco per ricostruire i rapporti col ragazzo.

— Si è portato in camera un po’ di latte caldo e di carne — disse May. — Vuole ascoltare in pace la radio. — Oh? — Hasson ricordò una vecchia conversazione con Theo. — Non sapevo che gli piacesse la radio.

— Di notte l’ascolta spesso — spiegò Werry. — La radio gli è di grande aiuto.

May annuì. — Infatti. Per lui significa molto.

Hasson sedette, carezzandosi lentamente il mento, e rivolse l’attenzione al cibo che il suo stomaco reclamava a gran voce. Il piatto principale erano bocconcini di carne alle spezie, che trovò deliziosi. Ginny Carpenter rimase ancora più sconcertata ai suoi complimenti. Per dessert c’era gelato al ginepro con litchi, una combinazione che gli parve leggermente disgustosa, però chiese una seconda porzione, e quando gli servirono il caffè, si sentiva meravigliosamente a pancia piena.

— Quando ti dicono che devi rimetterti in sesto, non scherzi mica — commentò giovialmente Werry. — Mi sembra… — S’interruppe e borbottò qualcosa, irritato, quando l’apparecchio radio che aveva al polso emise un ronzio acuto. Un attimo di silenzio, Werry che scuoteva la testa, e poi la radio ronzò di nuovo.

— Scusatemi, gente. — Werry schiacciò un pulsante sull’apparecchio e avvicinò la bocca al polso. — Sono il Comandante Werry. Qual è il problema?

— Al, qui è Henry Corzyn — rispose la radio con voce sottile, agitata. — Sono al Chinook. Sarà meglio che tu arrivi il più presto possibile.

— Henry, ti ho detto che venivo alle nove. Non puoi aspettare che…?

— Questa faccenda non può aspettare, Al. C’è stata un’esplosione al primo piano dell’hotel, e credo che si stia sviluppando un incendio.

— Un incendio? — Werry girò gli occhi lungo la tavola con espressione accigliata. — Non c’è niente che possa bruciare, no?

— L’hotel è pieno di legname e impalcature e tramezzi di legno, Al. Il costruttore ha smesso di lavorare e ha lasciato qui un sacco di roba.

— Hai chiamato i pompieri?

— Li ha chiamati Victor, ma non servirà. L’hotel è alto quattrocento metri, e i pompieri non possono farci un bel niente.

— Hai ragione! La sai una cosa, Henry? Hai maledettamente ragione! — Sorprendentemente, un sorriso calmo, serafico, spuntò sul viso di Werry. — Credi che abbiamo qualche possibilità di dire addio al nostro monumento cittadino?

Ci fu una pausa prima che Corzyn rispondesse. La sua voce suonò curiosamente esitante. — Questo non lo so, Al. Ho visto solo un inizio di fiamma, e per quanto ne so potrebbe anche spegnersi.

— Speriamo in bene — disse Werry.

— È una faccenda seria, Al — replicò la voce alla radio. — C’è della gente conciata per le feste.

— Della gente? — Werry si rizzò a sedere. — Di che cavolo stai parlando? Che gente?

— Te l’ho detto che c’è stata un’esplosione, Al. Almeno, mi è sembrata un’esplosione. Un ragazzo è volato contro la tromba dell’ascensore ed è ridotto piuttosto male.

— Cristo onnipotente! — Werry balzò in piedi, gettando a terra la sedia. Afferrò la giacca da un’altra sedia e corse alla porta. Hasson vide che May lo fissava con le mani premute sulla bocca, poi si precipitò nell’ingresso, inseguendo Werry. Uscirono nell’oscurità ventilata, trapunta di stelle, che circondava la casa e balzarono verso l’auto di Werry, parcheggiata in strada.

Hasson si arrestò davanti alla macchina, colpito da un’idea debilitante. — Al, vai in auto o in volo?

— Pensavo di volare. — Werry lanciò un’occhiata alla tuta, adagiata sul sedile posteriore. — Al diavolo, faccio prima ad arrivare in macchina che a infilarmi la tuta. Salta su!

Hasson si accomodò sul sedile anteriore, e pochi secondi dopo imboccavano la via principale che portava al centro di Tripletree e alla periferia sud. Mentre correva sotto le luci scintillanti e le spire delle autostrade aeree, Werry chiamò Corzyn con la radio dell’auto.

— Sto arrivando, Henry — disse in fretta. — Raccontami un po’ di quel tizio che è volato giù dalla tromba dell’ascensore. È morto?

— No, Al. Un po’ di ossa rotte e commozione cerebrale. Ho già chiamato l’ambulanza.

— Ma se è caduto giù da quattrocento metri…

— No. Era su quando è avvenuta l’esplosione. Tra parentesi a me sembrava una bomba, Al, e da quello che ho capito è stato scaraventato contro la tromba dell’ascensore e ha sbattuto sulla parete. Fortunatamente il corpetto AG funzionava ancora, e lui è riuscito ad accenderlo. Stava fluttuando nel vento come una bolla di sapone quando Victor e io lo abbiamo trovato e riportato giù.

— Vedi d’identificarlo appena possibile. — Werry tamburellò le dita sul volante. — E com’è che è entrato, si può sapere?

Ci fu un silenzio imbarazzato. — Ecco… Victor e io avevamo freddo, e non vedevamo niente di male a fare un salto da Ronnie a bere una tazza di roba calda. Penso che sia riuscito a entrare in quel momento.

— È meraviglioso — disse Werry. — È proprio meraviglioso, Henry.

— Al, il Chinook ha quattordici maledetti piani e una circonferenza di quattro o cinquecento metri. Siamo solo in due. Al buio non possiamo controllare un posto del genere. Può anche darsi che ci sia una stramaledetta processione di gente che entra e che esce, per quello che ne sappiamo. — Corzyn sembrava ferito e umiliato.

— D’accordo, d’accordo. — Werry guardò Hasson e fece una smorfia. — E la storia della bomba?

— A me è sembrata una bomba, Al. Che altro potrebbe causare un’esplosione? Ho scoperto che alcuni piani sono pieni di barattoli di vernice abbandonata, ma quella al massimo brucerebbe, no? Non scoppierebbe mica.

— Forse hai ragione. Credi che il ragazzo rimasto ferito stesse facendo il cretino con degli esplosivi e sia saltato in aria per errore?

— Non può parlare, Al, ma ho l’impressione che non sia andata così.

— E allora cosa mi racconti? — Ci fu una pausa ancora più lunga, interrotta dalle scariche elettriche. — Stamattina Victor ha visto Buck Morlacher all’hotel.

— Accidenti, no — grugnì Werry, scuotendo la testa. — Henry, non dire cose del genere per radio. Anzi, non le dire proprio per niente. Forza. Arrivo tra un paio di minuti.

Werry sorpassò di corsa due vetture che andavano piano, e davanti a loro spuntò la forma buia del negozio di mobili di Weisner. Il proiettore bilaser sul tetto aveva creato un gigantesco tavolo da pranzo che brillava contro il cielo scuro. La proiezione risvegliò un ricordo spiacevole nella memoria di Hasson, ma i suoi pensieri erano completamente dominati dalla conversazione appena udita. La sera del barbecue, Morlacher gli era parso pericolosamente vicino al limite estremo di autocontrollo, e per quanto ne sapeva era perfettamente possibile che fosse arrivato al punto di disseminare di bombe la sua proprietà, per liberarla di quelli che considerava vermi.

— Questa faccenda non mi piace, Rob — disse Werry, pensieroso. — Non mi piace per niente.

Hasson gli lanciò uno sguardo comprensivo. — Credi che Morlacher sia capace di arrivare a tanto?

— Buck crede di cavarsela qualunque cosa faccia.

— Allora cosa farai?

— Chi dice che devo fare qualcosa? — chiese Werry, piegando le spalle come a schivare dei colpi. — Non sappiamo nemmeno se Buck c’entra. Mi pare che sia necessaria qualche prova, prima di decidere di arrestare un uomo come Buck.

— Questo è fuori discussione — disse Hasson, decidendo di chiudere il discorso. Le luci intermittenti di un’ambulanza crebbero poco per volta, inondando l’interno della loro macchina di una luce rossastra quando i due veicoli s’incrociarono. L’ululato della sirena dell’ambulanza si trasformò in un grugnito debole. Werry sterzò nella strada trasversale da cui era sbucata l’ambulanza, e apparve l’Hotel Chinook: una striscia verticale di luce grigia sormontata da un lieve bagliore.

Hasson, che si aspettava qualcosa di spettacolare, dovette ricordarsi che l’hotel sorgeva a quattrocento metri dal livello del suolo, che una persona affacciata al primo piano avrebbe potuto guardare dall’alto l’Empire State Building. Quella struttura fantastica, resa possibile solo dai materiali e dalle tecniche del ventunesimo secolo, era un monumento alla megalomania e all’arroganza di una famiglia. Poteva immaginare, e quasi perdonare, la rabbia velenosa che ribolliva nel cervello di Morlacher ogni volta che guardava l’edificio che aveva distrutto il patrimonio di suo padre e che, anziché ripagarlo con profitti e prestigio, aveva fatto di lui lo zimbello della città e aveva creato un rifugio perfetto per le bande giovanili che odiava così tanto. Era addirittura possibile immaginare che Morlacher arrivasse alla decisione estrema di distruggere il palazzo…

La loro macchina rallentò bruscamente: la strada era congestionata di altri veicoli e di gruppi di pedoni. Tutti, come in una migrazione animale, convergevano sull’hotel. Werry bestemmiò, abbassò il finestrino a un incrocio dove un poliziotto in uniforme dirigeva fiaccamente il traffico e scambiava battute con due ragazze.

— Arnold — urlò Werry — piantala di fare il cretino. Fai sgomberare questa strada fino all’ingresso dell’hotel. Mi senti?

Arnold gli fece un cenno di saluto. — Ti sento, Al. Un bel divertimento, eh?

— Guarda con che gente devo lavorare — borbottò Werry. Poi accese la sirena dell’auto e partì a velocità pericolosa verso l’hotel, superando la rete esterna di protezione. Diversi altri veicoli e due autopompe erano parcheggiati in un angolo libero lì vicino. I fari venavano l’erba di rosso. Werry parcheggiò lì a fianco e smontò, lisciandosi la giacca mentre alzava la testa verso l’hotel. Hasson lo raggiunse: stava parlando con Henry Corzyn, grande come un orso, con la pancia prominente.

— Non mi sembra che stia succedendo gran che — disse Werry.

— Non si vede niente finché non si sale in alto. — Corzyn abbassò la voce e andò più vicino a Werry. — Non ho fiatato con quelli della televisione, ma credo che ci sia ancora dentro un gruppo di angeli, Al. Sono andato il più vicino possibile alle finestre, ho puntato la luce dentro, e mi è sembrato di veder muovere qualcuno. Però non ne sono certo.

— Perché non escono? Non hanno paura di finire arrosto?

— Chi lo sa cosa passa in quelle testoline idiote? — Corzyn cambiò posizione, voltò le spalle a un uomo con la telecamera puntata verso il cielo. — D’altra parte, se lassù c’è qualche morto…

Werry lo fissò a occhi socchiusi. — Stai cercando di farmi sentire meglio?

— È stata un’esplosione terribile, Al. Da questo lato sono saltati quasi tutti i vetri del primo piano, e quei ragazzi non vanno in giro da soli, lo sai. Può darsi che un intero gruppo si sia trovato imprigionato d’un colpo.

Werry si allontanò da Corzyn, rimase per un attimo con la mano sulla fronte, poi tornò indietro. — È un po’ improbabile, no? Gli altri avrebbero chiesto aiuto. Corzyn si strinse nelle spalle.

— C’è qui Terry Franz della stazione TV, e ha un faro potentissimo. Forse riuscirà a vedere più di quello che ho visto io.

— È meglio che tu vada su con lui, Henry. Cerca di controllare tutto l’hotel. Portati un megafono.

— Ce l’ho già. — Corzyn batté la mano sul taschino, indicando la forma quadrata di un megafono elettronico, poi spostò le dita sul pannello di comando del corpetto AG. Hasson si girò, terrorizzato, incapace di osservare il decollo del poliziotto. Aspettò un attimo, e quando alzò gli occhi al cielo, le spalle e le caviglie di Corzyn erano minuscoli razzi di segnalazione che volavano veloci verso il bersaglio oscuro dell’hotel. La cena appena consumata diventò, nello stomaco di Hasson, un peso indesiderato.

— Dov’è Quigg? — strillò Werry, avviandosi verso il gruppo di spettatori più vicini. — Qualcuno ha visto Victor Quigg?

— Sono qui, Al. — Quigg, magro e giovanissimo anche in tuta da volo, si staccò da un gruppo di persone ferme accanto a un trasmettitore televisivo portatile. Werry lo afferrò per il braccio e lo tirò in disparte con Hasson.

— Victor — chiese tranquillamente — stai rilasciando dichiarazioni non autorizzate ai signori della stampa?

Quigg lanciò un’occhiata ad Hasson, ovviamente chiedendosi quale fosse il suo ruolo. — Mi conosci, no, Al?

— Okay. Hai raccontato a nessuno di avere visto Buck all’hotel, oggi?

— Solo a Henry. L’ho detto solo a lui.

— Sei certo che fosse proprio Buck?

Quigg annuì vigorosamente, scuotendo la visiera d’ingrandimento del suo elmetto. — Era Buck, senza dubbio. L’ho guardato un paio di volte perché aveva un sacco di contenitori, e in genere non gli va di bardarsi a quel modo. Stava portando qualcosa nell’hotel.

Werry fece schioccare la lingua. — Ma non hai cercato di scoprire cosa.

— È roba sua, Al — disse tranquillo Quigg. — Pensavo che ne avesse il diritto.

— Hai fatto bene. — Werry lanciò un’occhiata truce al giovane poliziotto. — Voglio che tu tenga tutto per te finché non sarà il momento di parlare. Okay?

— Certo, Al. Fra l’altro, nessuno si è ancora messo in contatto coi genitori di Lutze. Vuoi che ci pensi io? Werry si accigliò. — Lutze?

— Già. Il ragazzo che s’è fatto male. Henry non te l’ha detto?

— Barry Lutze?

— Non abbiamo avuto tanta fortuna — rispose Quigg. — Suo cugino Sammy. La famiglia vive dalle parti di Bettsville. Probabilmente non sanno nemmeno che stasera non era in cortile.

— Probabilmente — convenne Werry. — Chiama la centrale e manda qualcuno ad avvisare i Lutze. Voglio che tu resti qui e…

— Ehi, Al! — Uno degli uomini della televisione fece cenno a Werry. — Vieni qui a dare un’occhiata, per l’amor di Dio. Il vecchio Henry sta cercando di entrare nell’hotel.

Werry borbottò un’oscenità e corse verso il gruppo di uomini radunati attorno ai monitor. Hasson, che cominciava a sentirsi stupefatto, si affrettò a seguirlo. Il mobile che conteneva le apparecchiature televisive era illuminato da una luce verdastra, e dentro c’erano tre pozzi di buio che ospitavano monitor tridimensionali. Al centro si vedeva una vivida immagine di Henry Corzyn che si muoveva sullo sfondo della facciata dell’hotel, illuminato in maniera irregolare. La ripresa era un po’ instabile, perché la telecamera era sorretta da un uomo in volo, ma si vedeva chiaramente una finestra con le sbarre segate. L’apertura era abbastanza grande da permettere l’ingresso di un uomo.

Hasson, cercando d’ignorare la nausea che saliva dallo stomaco, osservò affascinato Corzyn che si avvicinava alla finestra. Il poliziotto accelerò, entrò nel campo d’interferenza gravitazionale del muro e prese immediatamente a cadere. Hasson si portò le nocche delle dita alle labbra. Corzyn si tese verso la finestra, riuscì ad afferrarla e interruppe la caduta.

— È il secondo tentativo che fa — commentò qualcuno, ammirato. — Chi avrebbe mai detto che il vecchio Henry ne fosse capace?

La minuscola figura di Corzyn rimase un attimo attaccata alla finestra, respirando forte, poi si spinse dentro l’hotel attraverso l’apertura. Un secondo dopo riapparvero la sua testa e le spalle: il poliziotto agitò la mano in direzione della telecamera, sorridendo come un idolo dello sport. Hasson levò la testa in alto e cercò di vedere la scena coi propri occhi, ma nel buio distingueva solo un debole scintillio, come di stella.

Werry si portò alle labbra la radio da polso. — Henry, cosa credi di fare? Ti ho mandato su per controllare l’hotel, non per ridurti a pezzi.

— Va tutto bene, Al. Sto benissimo. — Corzyn era senza fiato, ma trionfante. — Questa finestra è al secondo piano, per cui il fuoco non può raggiungermi. Non sembra un grande incendio, fra l’altro. Magari riesco a spegnerlo.

— Non è compito tuo.

— Calma, Al. Faccio un giro in fretta per vedere se l’hotel è vuoto. Avrò tutto il tempo che voglio per uscire, se l’incendio peggiora. Ci vediamo!

Werry abbassò la radio da polso e fissò con aria d’accusa l’uomo che l’aveva chiamato al monitor televisivo. — È colpa tua, Cec. Henry è troppo vecchio e obeso per questa roba da ragazzini. Non ci avrebbe mai provato se non ci fossi stato tu.

— Andrà tutto bene — replicò Cec, indifferente. — Quando torna giù gli faremo un’intervista in diretta. Lo facciamo diventare l’eroe del giorno.

— Hai proprio un gran cuore. — Werry si allontanò dal gruppo, portandosi dietro Hasson, e guardò il cielo buio: avevano cominciato a radunarsi spettatori aerei, che sembravano tante lucciole.

— Ecco lì — disse Werry. — I soliti maledetti ficcanaso, famosi per l’abitudine di trovarsi a frotte sul luogo degli incidenti, di gridare come animali e stare sempre tra i piedi. Fra un paio di minuti ci sarà tutta quanta la città.

Hasson parlò a voce bassa, scegliendo le parole con estrema cura. — Spicca l’assenza di un certo cittadino. — È quello che stavo pensando anch’io. — Werry si grattò la nuca, un gesto che in quella luce incerta lo rese giovane e bello. — Rob, non c’è via d’uscita, no?

Hasson scosse la testa. Si sentiva spaventosamente responsabile. — Dopo quello che hai sentito, il minimo che tu possa fare è parlare a Morlacher.

— Prima o poi doveva succedere. — Werry diede un’occhiata all’hotel. — Mi pare che sia tutto tranquillo. A parlare con Buck ci vado adesso. — Si voltò, si allontanò tra una miriade di luci dorate, proiettando ombre multiple sul terreno irregolare.

Hasson restò a guardarlo scomparire, ripetendosi a uno a uno i motivi per cui non doveva lasciarsi coinvolgere, poi si incamminò verso l’auto della polizia.

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