Avevo sentimenti contrastanti riguardo al fatto che la nonna prendesse la patente. Da un lato pensavo fosse una gran cosa che potesse essere più indipendente. Dall’altro lato non volevo trovarmi in strada con lei. Mentre andavamo all’esame di guida passò con il rosso e mi proiettò contro il finestrino più di una volta. Poi parcheggiò nell’area riservata agli handicappati, insistendo che la cosa aveva a che fare con l’iscrizione all’Associazione Nazionale Pensionati.
Quando rientrò a passi pesanti nella sala d’attesa, dopo aver fatto l’esame di pratica, seppi immediatamente che le strade sarebbero state sicure ancora per un po’.
«Non esagero» disse lei. «Non mi ha promossa praticamente in niente.»
«Puoi sempre rifare l’esame» dissi.
«Certo, maledizione, certo che posso. Lo rifarò finché non sarò promossa: ho il sacrosanto diritto di guidare un’auto.» Strinse forte le labbra. «Immagino che ieri avrei dovuto andare in chiesa.»
«Non ti avrebbe fatto male» dissi.
«Be’, la prossima volta farò tutto per bene. Accenderò anche una candela. Mi comporterò come si deve.»
Mitchell e Habib ci stavano seguendo, ma erano a circa quattrocento metri di distanza. All’andata ci avevano quasi tamponato svariate volte, quando la nonna aveva frenato bruscamente, e ora, sulla via del ritorno, non volevano correre rischi.
«Hai ancora intenzione di traslocare?» chiesi alla nonna.
«Certo. L’ho già detto a tua madre. E Louise Greeber verrà questo pomeriggio per aiutarmi. Perciò non devi preoccuparti di niente. È stato gentile da parte tua permettermi di rimanere, l’ho apprezzato molto, ma ho bisogno di un po’ di sonno come si deve. Non so come tu faccia ad andare avanti dormendo così poco.»
«Va bene» dissi. «Suppongo che tu abbia già deciso.» Forse anch’io avrei dovuto accendere una candela.
Quando rientrammo, Bob ci stava aspettando.
«Credo che Bob abbia bisogno di tu-sai-che-cosa» disse la nonna.
Perciò Bob e io scendemmo nel parcheggio. Habib e Mitchell erano lì, seduti in auto, ad aspettare pazientemente che io li portassi da Ranger, e adesso c’era anche Joyce. Feci dietrofront, rientrai nel palazzo e uscii dalla porta principale.
Bob e io passeggiammo lungo la strada per tutto un isolato e poi svoltammo in una zona residenziale di piccole villette unifamiliari. Bob fece tu-sai-che-cosa circa quaranta o cinquanta volte nel giro di cinque minuti e poi tornammo a casa. Una Mercedes nera svoltò l’angolo due isolati più avanti e il cuore mi balzò in gola. La Mercedes si avvicinò e il battito cardiaco si bloccò. C’erano solo due possibilità: spacciatori di droga oppure Ranger. L’auto si fermò accanto a me e Ranger fece un leggero cenno della testa che significava: «Sali».
Feci sistemare Bob sul sedile posteriore e mi sedetti accanto a Ranger. «Ci sono tre persone parcheggiate nel mio cortile che sperano di incontrarti» dissi. «Che cosa ci fai qui?»
«Voglio parlarti.»
Un conto era possedere l’abilità di penetrare in un appartamento di nascosto; tutt’altra cosa era essere capaci di indovinare sempre che cosa stessi facendo in ogni momento del giorno. «Come sapevi che ero uscita con Bob? Che cosa sei, un sensitivo?»
«Niente di tanto strano. Ho telefonato e tua nonna mi ha detto che eri andata a portar fuori il cane.»
«Caspita, che delusione. Adesso mi dirai anche che tu non sei Superman.»
Ranger sorrise. «Vuoi che io lo sia? Allora passa la notte con me.»
«Credo di essere un po’ troppo nervosa» gli dissi.
«Astuta» disse Ranger.
«Di che cosa vuoi parlarmi?»
«Ti sollevo dal tuo incarico.»
Il nervosismo scomparve e fu sostituito dal germe di un sentimento maligno che mi si annidò in fondo allo stomaco. «Tu e Morelli avete fatto un accordo, vero?»
«Ci siamo chiariti.»
Stavano tagliandomi fuori, mettendomi da parte come un bagaglio inutile. O peggio, come un intralcio. In tre secondi passai da una dolorosa incredulità alla furia totale.
«È stata un’idea di Morelli?»
«È stata una mia idea. Hannibal ti ha vista. Alexander ti ha vista. E adesso metà della polizia di Trenton sa che sei entrata in casa di Hannibal e hai trovato Junior Macaroni nel garage.»
«Lo hai saputo da Morelli?»
«L’ho saputo da tutti. La mia segreteria telefonica era intasata. È solo che è troppo pericoloso per te continuare a indagare su questo caso. Ho paura che Hannibal possa fare due più due e darti la caccia.»
«È umiliante.»
«Ma davvero lo hai messo a sedere su una sedia da giardino?»
«Sì. E a proposito: sei stato tu a ucciderlo?»
«No. La Porsche non era nel garage quando io sono entrato in casa. E non c’era nemmeno Macaroni.»
«Come hai superato il sistema di allarme?»
«Nello stesso modo in cui lo hai fatto tu: l’allarme non era inserito.» Guardò l’orologio. «Devo andare.»
Aprii la portiera e feci per scendere.
Ranger mi afferrò il polso. «Non sei molto brava a obbedire agli ordini, ma questa volta mi ascolterai, vero? Devi starne fuori. E devi stare molto attenta.»
Sospirai, scesi dall’auto e presi Bob dal sedile posteriore. «Fa’ solo in modo che Joyce non ti trovi. Questo mi rovinerebbe definitivamente la giornata.»
Lasciai Bob a casa, presi le chiavi dell’auto e la borsa e scesi di nuovo nel parcheggio. Dovevo andare da qualche parte. Da qualunque parte. Ero troppo scossa per rimanere a casa. Per la verità non ero tanto agitata per il fatto di essere stata sollevata dall’incarico, era solo che odiavo essere licenziata per la mia stupidità. Ero caduta da un albero, per l’amor del cielo. E poi avevo messo Junior Macaroni a sedere su una sedia da giardino. Voglio dire, fino a che punto si può essere idioti?
Avevo bisogno di cibo, pensai. Un gelato. Con cioccolato fondente caldo. E panna montata. C’era un banchetto di gelati, sul corso principale, che confezionava sundae per quattro persone. Ecco di che cosa avevo bisogno. Di un gigantesco sundae.
Salii sulla Buick e Mitchell salì con me.
«Prego?» dissi. «Abbiamo appuntamento per uscire insieme?»
«Ti piacerebbe» disse Mitchell. «Il signor Stolle vuole parlarti.»
«Ma pensa un po’. Non sono dell’umore giusto per parlare col signor Stolle. A dire il vero non lo sono per parlare con chiunque, compreso te. Perciò spero che non la prenderai come una questione personale, ma scendi da questa macchina.»
Mitchell tirò fuori la pistola. «Dovresti cambiare d’umore.»
«Altrimenti mi spari?»
«Non prenderla come una questione personale» disse Mitchell.
Il negozio di tappeti Art’s Carpet’s si trova ad Hamilton Township, la zona dei locali equivoci. È sulla Route 33, non lontano da Five Points, ed è assolutamente identico a qualunque altro negozio lungo la strada, se non fosse per l’insegna luminosa verde che è visibile fino da Rhode Island. L’edificio è un blocco di cemento a un solo piano, con ampie vetrine sul davanti che annunciano saldi per tutto l’anno. Ero stata molte volte allo Art’s Carpet’s, come del resto qualunque altro uomo, donna o bambino del New Jersey. Non avevo mai comprato niente, mane ero stata molto tentata: Art’s ha davvero degli ottimi prezzi.
Parcheggiai la Buick davanti al negozio. Habib si fermò di fianco alla mia auto. E Joyce parcheggiò accanto alla Lincoln.
«Che cosa vuole Stolle?» domandai. «Non vorrà uccidermi o qualcosa del genere, vero?»
«Il signor Stolle non uccide la gente. Assume altre persone per questo genere di cose. Vuole semplicemente parlare con te. È tutto quello che mi ha detto.»
Nel negozio vagava una coppia di donne, sembravano madre e figlia; attorno a loro si aggirava un venditore. Mitchell e io entrammo insieme e lui mi condusse tra le pile di tappeti e i modellini di telai fino all’ufficio sul retro.
Stolle era un uomo sui cinquantacinque anni di robusta corporatura. Aveva il torso a forma di botte e cominciava a diventare calvo. Indossava un maglione sgargiante e i pantaloni di un completo. Tese la mano ed esibì il suo migliore sorriso da commerciante di tappeti.
«Aspetterò qui fuori» disse Mitchell e chiuse la porta lasciandomi da sola con Stolle.
«Pare che tu sia una ragazza davvero in gamba» disse Stolle. «Ho sentito molto parlare di te.»
«Mmm.»
«E allora come è possibile che tu non abbia avuto abbastanza fortuna da consegnarmi Manoso?»
«Non sono tanto in gamba. E Ranger non si avvicina certo a me quando Habib e Mitchell sono nei paraggi.»
Stolle sorrise. «Per dirti la verità, non mi sono mai aspettato che tu ci avresti consegnato Manoso. Ma, diavolo, chi non risica non rosica, giusto?»
Io non risposi.
«Sfortunatamente, poiché la strada più semplice non ha funzionato, dobbiamo tentare qualcos’altro. Vogliamo mandare un messaggio al tuo ragazzo. Non vuole parlarmi? Benissimo. Vuole continuare a nascondersi? Anche questo va bene. E sai perché? Perché noi abbiamo te. Quando io perderò la pazienza, e sto per farlo, ti faremo del male, e Manoso saprà che lui avrebbe potuto evitarlo.»
D’un tratto mi accorsi di non avere più aria nei polmoni. Non avevo pensato a questa prospettiva. «Non è il mio ragazzo» dissi. «Lei sta sopravvalutando l’importanza che posso avere per lui.»
«Forse, ma ha comunque il senso della cavalleria. Temperamento latino, sai com’è.» Stolle si sedette sulla poltroncina dietro la scrivania e si chinò all’indietro. «Dovresti incoraggiare Manoso a parlare con noi. Mitchell e Habib sembrano ragazzi per bene, ma faranno qualunque cosa gli ordinerò. In effetti, in passato, hanno fatto cose terribili. Tu hai un cane, vero?» Stolle si protese in avanti, le mani sulla scrivania. «Mitchell è bravissimo a uccidere i cani. Non che voglia uccidere il tuo cane…»
«Non è il mio cane. Gli faccio da dog sitter.»
«Volevo solo fare un esempio.»
«Sta perdendo tempo» dissi. «Ranger è un mercenario. Non può arrivare a lui attraverso me. Non abbiamo quel genere di relazione. Nessuno ha quel genere di relazione con lui.»
Stolle sorrise e si strinse nelle spalle. «Come ho detto prima, chi non risica non rosica. Vale la pena di provare, non credi?»
Lo guardai per un istante, rivolgendogli la mia tipica occhiata insondabile, e poi mi voltai e me ne andai.
Mitchell, Habib e Joyce erano ancora lì fermi ad aspettare, quando uscii dal negozio.
Salii sulla Buick e con discrezione mi toccai il cavallo dei pantaloni per essere sicura di non essermela fatta addosso. Respirai profondamente e misi le mani sul volante. Inspirare, espirare, inspirare, espirare. Volevo infilare la chiave d’avviamento, ma non riuscivo a staccare le mani dal volante. Respirai ancora un po’. Dissi a me stessa che Arturo Stolle era solamente un pallone gonfiato. Non ci credevo. Quello che credevo era che Arturo Stolle fosse un vero pezzo di merda. E non sembrava che Habib e Mitchell fossero molto migliori.
Tutti mi stavano guardando, aspettando di vedere che cosa avrei fatto. Non volevo mostrare a nessuno di essere spaventata, perciò mi costrinsi a togliere le mani dal volante e ad avviare il motore. Con molta cautela uscii dal parcheggio in retromarcia, ingranai la prima e me ne andai. Mi concentrai sulla guida, lenta e ferma.
Mentre guidavo composi sul telefono tutti i numeri di Ranger che avevo, lasciando un messaggio molto semplice: «Chiamami subito». Quando ebbi esaurito i numeri di Ranger telefonai a Carol Zabo.
«Ho bisogno di un favore» dissi.
«Qualunque cosa.»
«Joyce Barnhardt mi sta seguendo…»
«Maledetta puttana» disse Carol.
«E anche due tizi in una Lincoln mi stanno seguendo.»
«Mmm.»
«Non ti preoccupare: sono giorni che mi seguono e fino a questo momento non hanno sparato a nessuno.» Fino a quel momento. «In ogni caso ho bisogno di fare in modo che non mi seguano più, e ho un piano.»
Ero a circa cinque minuti dalla casa di Carol, al Burg, non lontano dai miei genitori. Lei e Lubie avevano acquistato una casa con i soldi ricevuti per il matrimonio e si erano messi immediatamente a formare una famiglia. Avevano deciso di smettere dopo due figli. Ottima cosa per il mondo: i bambini di Carol erano la dannazione del vicinato. Una volta cresciuti sarebbero probabilmente diventati dei poliziotti.
Le stradine laterali al Burg sono lunghe e strette, molte sono bordate da recinzioni di vario genere e la maggior parte sbuca in un vicolo. Tutti i vicoli sono larghi quanto una sola macchina e quelli che danno accesso alle case tra Beal e Cedar sono particolarmente lunghi.
Chiesi a Carol di aspettarmi all’angolo tra Cedar e il vicolo di Reed Street. Secondo il piano io avrei condotto Joyce e quei due bravi ragazzi lungo il vicolo e poi, non appena svoltato sulla Cedar, Carol sarebbe sbucata fuori dietro di me e avrebbe bloccato il vicolo simulando problemi con l’auto.
Arrivai al Burg e vagai per altri cinque minuti per dare a Carol un po’ di tempo in più per mettersi in posizione. Poi svoltai nel vicolo di Reed Street tirandomi dietro Joyce e i due balordi. Arrivai alla Cedar e, proprio come previsto, ecco Carol. La sorpassai, lei avanzò e poi si fermò, e tutti gli altri rimasero intrappolati. Guardai dietro per vedere che cosa stava succedendo, e vidi Carol e altre tre donne uscire dalla sua auto: Monica Kajewski, Gail Wojohowitz e Angie Bono. Ognuna di loro odiava Joyce Barnhardt. Ci sarebbe stata una rissa al Burg!
Andai dritta a Broad e poi mi diressi verso la costa. Non avevo intenzione di stare seduta ad aspettare che Mitchell uccidesse Bob a titolo dimostrativo. Oggi Bob… domani io.
Arrivai a Deal e lentamente passai davanti alla proprietà dei Ramos. Cercai di nuovo di contattare Ranger per telefono. Nessuna risposta. Continuai lungo la strada. Avanti, Ranger, guarda fuori dalla finestra, dovunque tu sia. Ero a un isolato di distanza dalla casa rosa e mi preparavo a fare inversione di marcia, quando la portiera dal lato passeggero venne spalancata e Alexander Ramos saltò dentro.
«Ehi, dolcezza» disse. «Non puoi proprio starmi lontana, eh?»
Merda! Non lo volevo nella mia auto proprio adesso!
«Per fortuna che ti ho vista. Stavo diventando pazzo là dentro» disse.
«Gesù!» esclamai. «Perché non si fa mettere uno di quei cerotti alla nicotina?»
«Non voglio un maledetto cerotto. Voglio una sigaretta. Accompagnami al negozio. E sbrigati, sto morendo.»
«Ci sono delle sigarette nel cassetto portaoggetti. Le ha lasciate lei la volta scorsa.»
Tirò fuori il pacchetto e mise una sigaretta in bocca.
«Non nell’auto!»
«Cristo, è come essere sposati senza neppure il sesso. Andiamo da Sal.»
Non volevo andare da Sal. Volevo parlare con Ranger. «Non ha paura che a casa sentano la sua mancanza? È certo di essere al sicuro andando in quel bar?»
«Sì. C’è qualche problema a Trenton e tutti sono occupati a cercare di sistemare le cose.»
Era possibile che il problema fosse un tizio morto nel garage di Hannibal. «Deve essere un problema serio» dissi. «Forse dovrebbe dare una mano anche lei.»
«Ho già fatto la mia parte. Sto facendo caricare il problema su una nave che parte la prossima settimana. Con un po’ di fortuna la nave affonderà.»
Perfetto, mi aveva spiazzato. Non capivo come avrebbero fatto a mettere il tizio morto su una nave. E non capivo neanche perché volessero farlo.
Poiché non avevo fortuna nel cercare di far scendere Ramos dall’auto, percorsi il breve tratto fino al locale di Sal, poi entrammo e ci sedemmo a un tavolo. Ramos ingollò un bicchierino e si accese la sigaretta. «Tornerò in Grecia la prossima settimana» disse. «Vuoi venire con me? Potremmo sposarci.»
«Pensavo che non ne volesse più sapere di matrimonio.»
«Ho cambiato idea.»
«Sono lusingata, ma non posso accettare.»
Lui si strinse nelle spalle e si versò un altro bicchierino. «Arrangiati.»
«Questo problema a Trenton… si tratta di affari?»
«Affari. Faccende personali. Per me sono la stessa cosa. Lascia che ti dia un suggerimento: non fare figli. E se vuoi vivere alla grande, le armi sono la strada migliore. Questo è tutto quello che posso consigliare.»
Il mio cellulare squillò.
«Che cosa succede?» disse Ranger.
«Non posso parlare adesso.»
Il suo tono di voce era stranamente teso. «Dimmi che non sei con Ramos.»
«Non posso dirtelo. Perché non hai risposto alle mie chiamate?»
«Ho dovuto spegnere il cellulare per un po’. Sono appena tornato e Tank ha detto che ti ha vista dare un passaggio a Ramos.»
«Non è stata colpa mia! Ero venuta qui per cercarti.»
«Be’, è meglio che tu stia ben nascosta perché tre auto sono appena uscite dalla proprietà e credo di indovinare chi stanno cercando.»
Richiusi il cellulare e lo gettai nella borsa. «Devo andare» dissi a Ramos.
«Era il tuo ragazzo, vero? Sembra un vero rompipalle. Potrei occuparmene io, se capisci cosa intendo.»
Gettai un biglietto da venti dollari sul tavolo e afferrai la bottiglia di ouzo. «Venga» dissi «questa possiamo portarla con noi.»
Ramos guardò oltre la mia spalla in direzione della porta. «Oh Cristo, guarda un po’ chi c’è.»
Avevo paura di guardare. «Sono i miei baby sitter» disse Alexander. «Non posso neppure pulirmi il culo senza avere un pubblico.»
Mi voltai e quasi svenni per il sollievo nel vedere che non si trattava di Hannibal. Erano due uomini, entrambi sulla cinquantina, in giacca e cravatta. Avevano l’aria di gente che mangia un sacco di pasta e probabilmente non rifiuta neppure il dolce.
«C’è bisogno di lei a casa» disse uno dei due.
«Sono qui con la mia amica» rispose Alexander.
«Già, ma forse potrebbe incontrarla in qualche altra occasione. Non siamo ancora riusciti a trovare quel carico che dobbiamo portare sulla nave.»
Uno dei due accompagnò Alexander fuori dalla porta e l’altro rimase indietro per parlarmi.
«Senta» disse «non è bello approfittare di una persona anziana in questo modo. Non ha amici della sua età?»
«Io non mi sto approfittando di lui. Me lo sono ritrovata nell’auto.»
«Lo so. Lo fa, alle volte.» L’uomo prese dalla tasca un fermasoldi e ne estrasse un centone. «Ecco, questo è per il suo disturbo.»
Feci un passo indietro. «Lei ha frainteso tutto.»
«D’accordo, quanto vuole?» Prese altri nove biglietti da cento, li ripiegò e li lasciò cadere nella mia borsa. «Non voglio più sentir parlare di lei. E lei deve promettere di lasciare in pace il vecchio. Capito?»
«Aspetti un momento…»
Lui scostò di lato la giacca per mostrarmi la pistola.
«Ora capisco» dissi.
Si voltò, uscì dalla porta e salì sulla Town che aspettava vicino al marciapiede. L’auto partì.
«La vita può essere davvero strana» dissi al barista. Poi me ne andai anch’io. Quando fui abbastanza lontana da Deal da sentirmi al sicuro ritelefonai a Ranger e gli raccontai di Stolle.
«Voglio che tu vada a casa e ti chiuda dentro» mi ordinò Ranger. «Manderò Tank a prenderti.»
«E poi?»
«E poi ti farò portare in qualche posto sicuro finché tutta questa faccenda non si sistemerà.»
«Non credo proprio.»
«Non rendermi le cose difficili, stavolta» disse Ranger. «Ho già abbastanza problemi.»
«Bene, allora risolvili. E risolvili in fretta!» E chiusi la comunicazione. Ecco fatto, avevo perso la pazienza. Era stata una giornata pesante.
Quando parcheggiai nel cortile, Mitchell e Habib mi stavano aspettando. Li salutai con un cenno della mano ma loro non risposero. Nemmeno un sorriso. Nemmeno un commento. Non era un buon segno.
Salii due piani di scale e mi affrettai a raggiungere il mio appartamento. Sentivo un malessere allo stomaco e il cuore in subbuglio. Entrai in casa e fui sopraffatta dal sollievo quando Bob mi venne incontro. Chiusi a chiave la porta alle mie spalle e controllai Rex per assicurarmi che anche lui stesse bene. C’erano dodici messaggi in segreteria telefonica. Uno era muto. Sembrava uno dei silenzi di Ranger. Dieci erano per la nonna. L’ultimo era di mia madre.
«Stasera mangiamo pollo fritto» disse. «Tua nonna pensava che forse potresti venire anche tu, visto che non hai niente da mangiare in casa perché Bob ha divorato tutto quello che c’era nella credenza mentre lei la puliva. E la nonna dice che forse è meglio che lo porti a spasso, quando rientri, perché ha ingurgitato due scatole di prugne secche che lei aveva appena comprato.»
Guardai Bob. Fiutava in giro e dalle dimensioni dello stomaco sembrava che avesse ingoiato un pallone da spiaggia.
«Gesù, Bob» dissi «non hai un bell’aspetto.»
Bob ruttò e fece un po’ d’aria.
«Forse dovremmo andare a fare una passeggiata.»
Bob cominciò ad ansimare. La saliva gocciolava sul pavimento e un tuono rombò nel suo stomaco. Arrancò qualche passo in avanti e poi si accovacciò.
«No!» gridai. «Non qui!» Afferrai il guinzaglio e la borsa e lo trascinai fuori dall’appartamento e lungo il corridoio. Non aspettammo l’ascensore. Prendemmo le scale e corremmo attraverso l’ingresso. Lo portai fuori e stavo per attraversare il cortile quando la Lincoln improvvisamente inchiodò davanti a noi. Mitchell saltò fuori dall’auto, mi spinse a terra e afferrò Bob.
Quando riuscii a rialzarmi in piedi, la Lincoln era già ripartita. Io urlai e le corsi dietro, ma l’auto era già fuori dal parcheggio sulla St. James Street. A un tratto frenò. Le portiere si spalancarono e Habib e Mitchell saltarono fuori.
«Gesù Cristo!» strillò Mitchell. «Dannazione! Figlio di puttana!»
Habib si teneva una mano sulla bocca. «Sto per vomitare. Nemmeno in Pakistan ho mai visto una cosa del genere.»
Bob scese con calma dall’auto, scodinzolando, e corse da me. Il suo stomaco era di nuovo snello e di aspetto sano e lui non sbavava e non ansimava più.
«Ti senti meglio adesso, amico?» dissi, carezzandolo dietro le orecchie proprio come piaceva a lui. «Bravo. Bravo, Bob!»
Mitchell aveva gli occhi sporgenti e il viso paonazzo. «Ucciderò quel fottuto cane. Lo ammazzo quel bastardo. Lo sai che cosa ha fatto? Ha fatto quella cosa nella mia macchina e poi ha anche vomitato. Ma che cosa gli dai da mangiare? Non sai niente dei cani? Che razza di dog sitter sei?»
«Ha mangiato le prugne della nonna» dissi.
Mitchell si teneva le mani sulla testa. «Non prendermi per il culo.»
Feci salire Bob sulla Buick, chiusi le portiere con la sicura e attraversai il prato fino alla strada per evitare Habib e Mitchell.
Mia madre e mia nonna mi stavano aspettando dietro là porta a vetri quando parcheggiai la Buick di fronte alla loro casa.
«Ce ne accorgiamo sempre quando stai venendo qui» disse la nonna. «Quell’auto si sente a un chilometro di distanza.»
Non scherzavano.
«Dov’è la tua giacca?» domandò mia madre. «Non hai freddo?»
«Non ho avuto tempo di prendere la giacca» dissi. «È una lunga storia. Probabilmente non avete voglia di ascoltarla.»
«Io voglio ascoltarla» disse la nonna. «Scommetto che è fantastica.»
«Prima devo fare una telefonata.»
«Fallo intanto che porto la cena in tavola» disse mia madre. «È già tutto pronto.»
Dal telefono della cucina chiamai Morelli. «Devo chiederti un favore.»
«Bene. Adoro quando sei in debito con me» rispose.
«Vorrei che tu ti prendessi cura di Bob per un po’.»
«Non mi stai facendo lo stesso scherzetto che Simon ha fatto a te, vero?»
«No!»
«Allora di che cosa si tratta?»
«Hai presente quando tu non mi puoi parlare delle tue faccende di polizia?»
«Sì.»
«Bene, io non ti posso parlare di questo. Almeno non dalla cucina di mia madre.»
La nonna irruppe in cucina. «È Joseph al telefono? Digli che abbiamo un sacco di pollo fritto, ma che deve sbrigarsi se vuole trovarne ancora.»
«Non gli piace il pollo fritto.»
«Io adoro il pollo fritto» disse Joe. «Sarò lì in un attimo.»
«No!»
Troppo tardi. Aveva già riagganciato. «Mettete un piatto in più» dissi.
La nonna era già a tavola e aveva l’aria confusa. «Il piatto in più è per Bob o per Joe?»
«Joe. Bob ha lo stomaco in disordine.»
«Non mi meraviglia» disse la nonna. «Con tutte quelle prugne. E poi ha mangiato una scatola di fiocchi di mais e un sacchetto di dolci. Stavo pulendo la credenza mentre aspettavo che Louise venisse a prendermi e sono andata un momento in bagno; quando sono tornata non c’era più niente sul piano di lavoro.»
Accarezzai Bob sulla testa. Era un cane così tonto. Per niente astuto come Rex. Nemmeno abbastanza furbo da lasciar perdere le prugne. E tuttavia aveva i suoi pregi. Aveva un paio di meravigliosi occhi castani, e io adoravo gli occhi castani. E poi era di buona compagnia: non cercava mai di cambiare programma alla radio e non aveva nominato neppure una volta il mio brufolo. E va bene, in definitiva mi ero in qualche modo affezionata a Bob. In effetti, probabilmente sarei stata pronta a strappare il cuore a Mitchell a mani nude quando aveva cercato di rapire il cucciolone. Abbracciai Bob. Era anche piacevole da accarezzare. «Andrai a casa con Joe, stasera» gli dissi. «Sarai al sicuro là.»
Mia madre aveva messo sulla tavola il pollo fritto insieme con pane tostato, cavolo rosso e broccoli. Nessuno avrebbe toccato i broccoli, ma mia madre li aveva preparati lo stesso perché facevano bene alla salute.
Joe entrò e prese posto a tavola, di fianco a me.
«Com’è andata oggi?» domandò la nonna a Joe. «Hai arrestato qualche assassino?»
«Non oggi, ma ho buone speranze per domani.»
«Davvero?» dissi.
«Be’, no, non davvero.»
«Com’è andata con Ranger?»
Morelli si servì una cucchiaiata di cavolo rosso sul piatto. «Come mi aspettavo.»
«Mi ha detto di star fuori da questa faccenda. Anche tu vuoi la stessa cosa?»
«Sì, ma sono abbastanza furbo da non dirtelo. È come sventolarti una bandiera rossa davanti agli occhi.» Prese un pezzo di pollo. «Gli hai dichiarato guerra?»
«Più o meno. Ho rifiutato la sua offerta di un rifugio sicuro.»
«Sei così in pericolo da aver bisogno di un rifugio?»
«Non lo so. Sembra un provvedimento eccessivo.»
Morelli fece scivolare la mano lungo lo schienale della mia sedia. «La mia casa è sicura. Puoi trasferirti lì con Bob e me. E inoltre, mi devi un favore, ricordi?»
«Vuoi già riscuoterlo?»
«Prima è meglio è.»
Il telefono squillò e la nonna andò in cucina a rispondere. «È per Stephanie» disse ad alta voce. «È Lula.»
«Ho cercato di mettermi in contatto con te per tutto il pomeriggio» disse Lula. «Non ti ho trovata da nessuna parte. Il tuo cellulare era spento. E non rispondi mai al cercapersone. Che cos’ha che non va il cercapersone?»
«Non posso permettermi di avere sia il cercapersone sia il cellulare, perciò ho scelto il cellulare. Che cosa c’è?»
«Hanno trovato Cynthia Lotte seduta in quella Porsche, ed era morta stecchita. Giuro che nessuno mi farà mai sedere su quell’auto. Se lo fai ne esci defunto.»
«Quando è successo? Come lo sai?»
«L’hanno trovata questo pomeriggio, nel garage della Terza strada. Connie e io lo abbiamo sentito sul canale radio della polizia. E oltre a tutto questo, ho anche un incarico da affidarti. Vinnie era su tutte le furie per il fatto che non riuscivamo a contattarti, e non c’è nessun altro a cui affidare questo lavoro.»
«E Joyce, allora? E Frankie Defrances?»
«Non riusciamo a trovare neppure Joyce. Non risponde al cercapersone. E Frankie si è appena operato di ernia.»
«Verrò in ufficio domattina presto.»
«Neanche per idea. Vinnie dice che devi prendere questo tizio stanotte prima che scappi. Lui sa esattamente dove si trova, mi ha dato la documentazione.»
«Quanto vale?»
«È una cauzione da centomila dollari. Vinnie ti darà il dieci per cento.»
Calmati, cuore mio. «Vengo a prenderti tra una ventina di minuti.»
Tornai a tavola, avvolsi due pezzi di pollo nel tovagliolo e li misi nella borsa. Abbracciai Bob e baciai frettolosamente Joe sulla guancia. «Devo andare» dissi. «Mi hanno affidato un lavoro.»
Morelli non aveva l’aria felice. «Ti vedrò dopo?»
«Forse. A parte pagare il mio debito, devo parlarti di Cynthia Lotte.»
«Sapevo che prima o poi ci saresti arrivata.»
Quando arrivai a casa di Lula la trovai che mi aspettava fuori. «Ho gli incartamenti» disse «e non sembra troppo male. Si chiama Elwood Steiger ed è incriminato per droga. Cercava di produrla nel garage della madre, ma l’intero vicinato ne ha sentito l’odore. Immagino che uno dei vicini abbia chiamato la polizia. Comunque sua madre ha offerto la casa come garanzia di cauzione e ora ha paura che il caro Elwood scappi in Messico. Non si è presentato all’udienza in tribunale, venerdì, e la madre ha trovato i biglietti dell’aereo nei cassetti della biancheria. Perciò si è rivolta a Vinnie.»
«Dove possiamo trovarlo?»
«Stando a quello che dice la madre, è uno di quei fanatici di Star Trek e proprio stasera c’è una specie di grande evento dedicato alla serie televisiva. Mi ha dato l’indirizzo.»
Lessi il biglietto e grugnii. Era la casa di Dougie. «Conosco il tipo che abita qui» dissi mentre ci avviavamo verso il luogo segnalato. «Dougie Kruper.»
Lula si batté una mano sulla fronte. «Mi sembrava che suonasse familiare.»
«Non voglio che nessuno si faccia male durante questo arresto» ordinai.
«Mmm.»
«Non entreremo là dentro come dei gangster con le pistole spianate.»
«Mmm.»
«In realtà, non useremo affatto le pistole.»
«Ti sto ascoltando.»
Guardai la borsa che teneva sotto braccio. «C’è una pistola là dentro?»
«Diavolo, sì.»
«E ne hai un’altra alla cintura?»
«La Glock.»
«Hai anche la fondina da caviglia?»
«Solo le signorine usano la fondina da caviglia» disse Lula.
«Voglio che lasci tutte le armi in auto.»
«Sono fanatici di Star Trek quelli che dovremo affrontare. Potrebbero usare con noi la presa mortale del vulcaniano.»
«Lasciale in macchina!» gridai.
«Accidenti, non c’è nessun bisogno di far chiamare la polizia per questo.» Lula guardò attraverso il finestrino. «Sembra che ci sia una festa a casa di Dougie.»
C’erano molte auto parcheggiate davanti e tutte le luci dell’abitazione erano accese. La porta principale era aperta e il Luna era sulla soglia. Parcheggiai parecchie case più avanti e Lula e io tornammo indietro per raggiungere il Luna.
«Ehi, piccola» disse lui quando mi vide. «Benvenuta al Trekarama.»
«Che cosa succede?»
«Questo è il nuovo lavoro di Dougie. Trekarama. È un’idea tutta nostra. E Dougie è il Trekmaster. Non è fantastico, piccola? Questo è l’affare del nuovo millennio. Sarà grandioso, sai? Potremmo anche farne, come dire, un franchising.»
«Che cosa diavolo è un Trekarama?» domandò Lula.
«È un locale notturno, piccola. È un luogo di culto. È un santuario per uomini e donne che sono andati dove nessun uomo è mai giunto prima.»
«Prima di che cosa?»
Il Luna fissò lo sguardo nel vuoto, trasfigurato. «Prima di tutto.»
«Mmm.»
«Ti costerà cinque dollari entrare» disse il Luna.
Gliene diedi dieci, poi Lula e io ci facemmo strada tra gli invitati che si affollavano vicino alla porta.
«Non ho mai visto tanti idioti tutti insieme in vita mia» disse Lula. «A eccezione di quel tizio laggiù vicino alla scala. Non è affatto male.»
Ispezionammo la stanza, cercando Steiger e tentando di riconoscerlo dalla foto della documentazione. Il problema era che alcuni dei fanatici di Star Trek erano in costume, vestiti come i loro personaggi preferiti.
Dougie si affrettò a venirci a salutare. «Benvenute a Trekarama. Ci sono stuzzichini e bevande là nell’angolo vicino al romuliano, e tra circa dieci minuti cominceremo a proiettare i film. Gli stuzzichini sono veramente buoni. Li ho presi, ehm, in un’offerta per liquidazione.» Traduzione: merci trafugate che stavano andando a male in qualche magazzino.
Lula batté le nocche sulla testa di Dougie. «Ehilà, c’è nessuno lì dentro? Ti sembriamo una coppia di sfigate fanatiche di Star Trek?»
«Be’…»
«Stiamo soltanto dando un’occhiata in giro» informai Dougie.
«Come turiste?»
«Forse andrò a fare un giro turistico dalle parti di quel bel tipo laggiù» disse Lula.