Capitolo 15

Mia madre rispose al primo squillo. «È mezzanotte» disse «e tua nonna non è ancora tornata. È uscita con quell’Uomo Tartaruga.»

«Myron Landowsky?»

«Avrebbero dovuto andare a cena. Questo alle cinque del pomeriggio. Dove possono essere? Ho telefonato a casa di quell’uomo e nessuno ha risposto. Ho anche chiamato tutti gli ospedali…»

«Mamma, sono adulti. Ci sono un milione di cose che potrebbero aver deciso di fare. Quando la nonna viveva qui da me non sapevo mai dov’era.»

«Sta diventando una selvaggia!» disse mia madre. «Lo sai che cosa ho trovato nella sua stanza? Preservativi! Che cosa vorrà mai fare con i preservativi?»

«Forse fa dei palloncini e poi li sagoma come animali.»

«Le madri delle altre donne si ammalano, vanno all’ospizio oppure muoiono nel loro letto. Non la mia. Io ho una madre che va in giro in pantacalze aderenti. Che cosa ho fatto per meritarmi una cosa simile?»

«Dovresti andare a dormire e smetterla di preoccuparti per la nonna.»

«Non andrò a dormire finché quella donna non sarà tornata a casa. Dobbiamo parlare. C’è anche tuo padre, qui.»

Perfetto. Ci sarebbe stata una tremenda scenata e la nonna sarebbe tornata a vivere da me.

«Di’ a papà di andare a letto. Ora vengo e staremo alzate insieme ad aspettarla.» Qualunque cosa pur di impedire che la nonna traslocasse nuovamente da me.

Telefonai a Joe e gli dissi che forse sarei passata più tardi, ma che non mi aspettasse alzato. Poi presi di nuovo in prestito la Cherokee e andai a casa dei miei.

Quando mia nonna tornò, alle due di notte, mia madre e io ci eravamo addormentate sul divano.

«Dove sei stata?» le gridò mia madre. «Eravamo preoccupatissime.»

«È stata una notte di peccato» disse la nonna. «Ragazzi, quel Myron è davvero un gran baciatore. Penso che potrebbe persino aver avuto un’erezione, solo che è difficile dirlo con i pantaloni tirati su a quel modo.»

Mia madre si fece il segno della croce e io cercai nella borsetta qualche medicina contro la nausea.

«Bene, me ne vado a letto» disse la nonna. «Sono distrutta. E domani devo fare di nuovo l’esame di guida.»


Quando mi svegliai ero sdraiata sul divano con una coperta addosso. La casa era inondata dall’odore di caffè ancora sul fuoco e di pancetta affumicata messa a friggere, e mia madre stava sbatacchiando delle pentole in cucina.

«Be’, almeno non stai stirando» dissi. Quando mia madre tirava fuori l’asse da stiro, sapevamo che c’era qualcosa di grave che bolliva in pentola.

Sbatté un coperchio sopra la pentola del brodo e mi guardò.

«Dov’è la tua biancheria intima?»

«Sono stata sorpresa dalla pioggia e ho preso in prestito dei vestiti asciutti da Dougie Kruper, solo che lui non aveva biancheria. Avrei voluto andare a cambiarmi a casa, ma ci sono quei due tizi che vogliono tagliarmi via un dito e temevo che mi stessero aspettando nel mio appartamento.»

«Be’, grazie a Dio» disse lei. «Avevo paura che avessi lasciato il reggiseno nell’auto di Morelli.»

«Non lo facciamo mai nella sua auto. Lo facciamo nel suo letto.»

Mia madre aveva in mano il grosso coltello da macellaio. «Penso che mi ucciderò.»

«Ma chi vuoi prendere in giro?» dissi, servendomi una tazza di caffè. «Non ti uccideresti mai mentre stai cucinando una zuppa.»

La nonna trotterellò in cucina. Si era truccata e aveva i capelli rosa. «Oh santo cielo» esclamò mia madre. «Cosa ti inventerai la prossima volta?»

«Che ne pensi di questo colore di capelli?» mi domandò la nonna. «Ho preso uno di quegli shampoo coloranti al negozio. Non devi far altro che lavarti la testa.»

«È rosa» dissi.

«Sì, è quello che penso anch’io. Sull’etichetta c’era scritto che sarebbe stato un rosso tiziano.» Guardò l’orologio appeso al muro. «Devo sbrigarmi. Louise sarà qui da un momento all’altro. La prima cosa che devo fare è l’esame di guida. Spero che non ti dispiacerà se ho chiesto a Louise di accompagnarmi. Non sapevo che tu saresti stata qui.»

«Non ti preoccupare» dissi. «Va’ e fatti onore.»

Mi preparai qualche fetta di pane tostato e finii il caffè. Sentii il rumore dello sciacquone del bagno al piano di sopra, mio padre sarebbe sceso di lì a qualche minuto. Sembrava che mia madre stesse pensando di stirare.

«Be’» dissi, alzandomi di scatto dalla sedia «ho un sacco di cose da fare. Posti dove andare.»

«Ho appena lavato dell’uva. Portane un po’ a casa» disse mia madre. «E c’è del prosciutto in frigorifero, per farti un sandwich.»


Entrando nel parcheggio non vidi Habib o Mitchell, ma avevo la Glock in mano in caso di emergenza. Parcheggiai in divieto di sosta vicino all’entrata posteriore del palazzo, lasciando il minor spazio possibile tra me e l’ingresso, e andai direttamente nel mio appartamento salendo le scale. Quando arrivai mi resi conto che non avevo la chiave e che Joe era uscito chiudendo la porta.

Siccome ero l’unica persona al mondo incapace di aprire la serratura di casa mia senza una chiave, andai a prendere quella di riserva dalla mia vicina, la signora Karwatt.

«Non è una bella giornata?» domandò. «Sembra proprio primavera.»

«Immagino che sia stato tutto tranquillo qui stamattina» dissi. «Nessun rumore o gente strana nel corridoio?»

«Non che io abbia visto.» Osservò la mia pistola. «Che bella Glock. Mia sorella ne ha una uguale, e la adora. Stavo pensando di vendere la mia calibro .45, ma non mi decido mai. Il mio povero marito me l’aveva data per il nostro primo anniversario. Pace all’anima sua.»

«Che cosa romantica.»

«Certo, potrei sempre usare l’altra pistola.»

Annuii. «Non se ne hanno mai abbastanza.»

Salutai la signora Karwatt ed entrai in casa. Passai di stanza in stanza, controllando gli armadi, guardando sotto il letto e dietro la tenda della doccia per accertarmi di essere sola. Morelli aveva ragione: l’appartamento era un disastro ma non sembrava ci fossero molte cose rotte. Chi era entrato non si era preso la briga di strappare le tappezzerie o distruggere il televisore.

Feci una doccia e indossai un paio di jeans puliti e una T-shirt. Misi un po’ di gel sui capelli e li stirai con la spazzola più grossa ottenendo una massa di riccioli vaporosi. Mi sentivo rimpicciolita dal volume dei capelli, perciò aggiunsi dell’altro mascara alle ciglia per bilanciare le cose.

Indugiai un po’ a rimettere in ordine l’appartamento, ma poi cominciai a innervosirmi, sentendomi una pigrona. Non soltanto per quello che riguardava Habib e Mitchell, ma anche per Ranger. Le nove del mattino, l’orario che mi aveva dato come limite, erano già passate. Telefonai a Morelli in ufficio.

«Tua nonna è poi tornata a casa?» domandò.

«Sì. E non è stata una scena piacevole. Ho bisogno di parlarti. Che ne diresti di vederci presto e pranzare insieme da Pino?»

Riagganciai e subito telefonai in ufficio per sapere se Lula avesse avuto notizie di Morgan.

«Sta bene» disse Lula. «Ma non credo che quei due tizi, Habib e Mitchell, riceveranno un premio.»

Telefonai a Dougie e gli dissi che avrei tenuto la Cherokee un po’ più a lungo del previsto.

«Tienila finché vuoi» disse lui.

Quando arrivai da Pino, Morelli era già seduto al tavolo e mangiava dei grissini. «Voglio proporti un affare» dissi, togliendomi con impazienza la giacca. «Se tu mi dici che cosa sta succedendo tra te e Ranger, ti lascio tenere Bob.»

«Oh santo cielo» disse Joe. «E come potrei rifiutare?»

«Sono tre o quattro giorni che mi ronza in testa un’idea a proposito della faccenda di Ramos» dissi. «Ma forse è un po’ azzardata.»

Joe sorrise. «Intuizione femminile.»

Sorrisi anch’io, perché, a quanto pareva, l’intuizione era la mia arma migliore. Non so sparare, non so correre veloce e le uniche mosse di karate che conosco le ho imparate dai film di Bruce Lee. Ma ho delle ottime intuizioni. In realtà, gran parte delle volte non so neanche che cosa sto facendo, ma se seguo l’istinto di solito le cose funzionano. «Come è stato identificato Homer Ramos?» domandai a Morelli. «Le impronte delle arcate dentarie?»

«È stato identificato attraverso i gioielli e le circostanze. Non c’erano radiografie precedenti delle arcate dentarie. Erano scomparse misteriosamente.»

«Stavo pensando: forse non era Homer Ramos quello che è stato ucciso. Nessuno della sua famiglia sembra scosso per la sua perdita. Anche se suo padre pensa che il figlio fosse marcio fino al midollo, mi è difficile credere che la sua morte non lo abbia minimamente toccato. E poi sono andata a ficcare il naso in casa di Hannibal e ho scoperto che c’è qualcuno che vive nella stanza degli ospiti, qualcuno che ha la stessa taglia di Homer Ramos. Credo che Homer si stesse nascondendo a casa di Hannibal e quando Macaroni è stato ucciso sia scappato.»

La conversazione si interruppe per un momento quando la cameriera ci portò le pizze. «Questo è ciò che sappiamo, o almeno ciò che crediamo di sapere: Homer era il portaborse di Stolle in questa nuova operazione di droga. L’intera faccenda non è piaciuta affatto ai ragazzi su nel Nord del New Jersey e a New York, e tutti hanno cominciato a schierarsi da una parte o dall’altra.»

«Una guerra di droga.»

«Più ancora di questo. Se un membro della famiglia Ramos aveva deciso di mettersi nel giro della droga, allora il Nord del New Jersey avrebbe potuto cominciare a contrabbandare armi. E nessuno era troppo contento di questo perché avrebbe significato che i confini dovevano essere ritracciati. Erano tutti nervosi. Così nervosi che ben presto si è saputo che qualcuno era sulle tracce di Homer Ramos.»

«Ciò che crediamo ma che non possiamo provare è che tu hai ragione: Homer Ramos non è morto. Ranger lo ha sospettato fin dall’inizio e tu gli hai dato una conferma quando gli hai raccontato di aver visto Ulysses sulla soglia di casa della villa sulla spiaggia. Ulysses non è mai tornato dal Brasile. Noi siamo convinti che a finire abbrustolito in quell’incendio sia stato un altro poveraccio, mentre Homer è scappato a nascondersi da qualche parte aspettando di essere fatto uscire dal Paese.»

«E tu pensi che ora si trovi nella casa sulla spiaggia?»

«Sembrerebbe logico, ma non ne sono più tanto sicuro. Non abbiamo scuse per recarci là a cercare. Ranger ci è andato ma non ha trovato niente.»

«E che mi dici di quella borsa da palestra? C’erano dentro i soldi di Stolle?»

«La nostra idea è che, quando Hannibal è venuto a sapere che il fratellino stava per dare inizio a una guerra del crimine, abbia ordinato a Homer di cessare immediatamente qualunque attività non avesse a che fare con gli affari di famiglia e di non avere mai più contatti con Stolle. Poi Hannibal ha chiesto a Ranger di portare i soldi a Stolle e dirgli che non aveva più la protezione del nome dei Ramos. Il problema è che quando Stolle ha aperto la borsa l’ha trovata piena di giornali.»

«Ranger non aveva controllato il contenuto prima di accettare l’incarico?»

«La borsa era sigillata quando gli è stata consegnata. Era stato Hannibal Ramos a organizzare le cose in questo modo.»

«Ha voluto incastrare Ranger?»

«Già, ma probabilmente solo per l’incendio e l’omicidio. Credo fosse convinto che Homer era andato un po’ troppo oltre, questa volta, e promettere di essere bravo e non spacciare droga non era sufficiente a sistemare le cose. Perciò Hannibal ha fatto in modo che tutti credessero Homer morto. Ranger era un ottimo capro espiatorio perché non stava da nessuna parte. Se lui era il killer non ci sarebbero state vendette.»

«E allora chi è che ha il denaro? Hannibal?»

«Hannibal ha fatto in modo che l’omicidio ricadesse su Ranger, ma è difficile credere che volesse prendersi gioco di Stolle. Voleva calmare Stolle, non certo farlo innervosire prendendolo in giro.» Morelli si servì un’altra fetta di pizza. «Io ho l’impressione che si sia trattato di un tiro mancino di Homer. Probabilmente ha scambiato le borse nell’auto o lungo il percorso verso l’ufficio.»

Oh, santo cielo. «Immagino che tu non sappia quale auto stesse guidando?»

«Una Porsche argentata. L’auto di Cynthia Lotte.»

E questo probabilmente spiegava la morte di Cynthia.

«Perché fai quella faccia?» domandò Joe.

«Perché mi sento in colpa. In qualche modo ho aiutato Cynthia a riprendersi quell’auto dal garage in cui Homer l’aveva lasciata.»

Raccontai a Morelli di come Cynthia fosse arrivata mentre Lula e io eravamo a casa di Hannibal, di come rivolesse l’auto, e di come questo comportasse tirare fuori il tizio morto da lì dentro. Quando ebbi finito Joe rimase seduto in silenzio, stupefatto.

«Sai una cosa? Quando sei un poliziotto arrivi a un punto in cui credi di aver sentito e visto tutto» disse alla fine. «Pensi che niente possa più sorprenderti. E poi arrivi tu e le cose cambiano completamente.»

Presi un’altra fetta di pizza e pensai che a questo punto, molto probabilmente, la conversazione sarebbe degenerata.

«Non occorre che ti faccia notare che tu hai manomesso la scena del delitto» disse.

Già. Avevo ragione. Stava decisamente degenerando.

«E probabilmente non devo neppure farti notare che hai occultato una prova in un’indagine per omicidio.»

Annuii.

«Ma, per l’amor del cielo, che cosa diavolo credevi di fare?» gridò.

Tutti si voltarono a guardarci.

«Non potevo far niente per fermarla» dissi. «Perciò l’unica via d’uscita sembrava aiutarla.»

«Potevi semplicemente andartene. Infilare la porta e andare via. Non era necessario che tu la aiutassi. Io credevo che tu avessi semplicemente sollevato il morto da terra. Non immaginavo che lo avessi tirato fuori da un’auto!»

La gente ci fissava ancora.

«Troveranno le tue impronte su tutta la macchina» proseguì.

«Lula e io indossavamo dei guanti.» Le due imbranate si erano fatte furbe.

«Una volta non volevo sposarti perché temevo che tu rimanessi a casa a preoccuparti per me. Adesso non ti voglio sposare perché non so se potrei sopportare la fatica di averti per moglie.»

«Tutto questo non sarebbe mai successo se tu o Ranger aveste avuto fiducia in me. Prima mi viene chiesto di collaborare alle indagini, e poi vengo messa da parte. È tutta colpa vostra.»

Morelli strinse gli occhi.

«Be’, non proprio tutta colpa vostra.»

«Devo tornare al lavoro» disse Joe, chiedendo il conto. «Promettimi che andrai a casa e rimarrai lì. Promettimi che ci andrai, chiuderai la porta a chiave e non uscirai fino a che le cose non si saranno sistemate. Alexander deve tornare in Grecia in aereo domani. Pensiamo che questo significhi che Homer partirà questa notte e crediamo di sapere in che modo lo farà.»

«In nave.»

«Già. C’è una nave da carico che salpa da Newark diretta in Grecia. Homer è un debole: se riusciamo ad accusarlo di omicidio ci sono buone possibilità che cerchi di trattare e ci consegni Alexander e Stolle.»

«Caspita, in un certo senso Alexander cominciava a piacermi.»

Joe fece una smorfia.

«D’accordo» dissi «vado a casa e rimango lì.»

Quel pomeriggio non avevo comunque niente da fare e non avevo nessuna voglia di dare ad Habib e a Mitchell un’altra occasione di rapirmi e di tagliarmi via le dita una a una. Chiudermi a chiave nel mio appartamento era in effetti un’idea allettante. Potevo riordinare un po’ e guardare qualche stupido programma in televisione, e schiacciare un pisolino.

«La tua borsa è a casa mia» disse Morelli. «Non ho pensato di portarla con me al lavoro. Ti serve la chiave del tuo appartamento?»

Annuii. «Sì.»

La estrasse dal portachiavi e me la consegnò.


Il parcheggio non era molto affollato. A quell’ora del giorno gli anziani erano andati a fare spese o ad approfittare del servizio sanitario pubblico; la cosa era perfetta per me perché avevo un sacco di spazio per parcheggiare. Non c’erano auto estranee, e non mi sembrava che ci fosse nessuno nascosto tra i cespugli. Lasciai la macchina vicino alla porta e tirai fuori dalla tasca della giacca la Glock. Rapidamente entrai nel palazzo e salii le scale. Il corridoio del secondo piano era vuoto e silenzioso. La porta era chiusa a chiave. Entrambi ottimi segni. Avevo ancora la pistola in pugno quando aprii e feci un passo nell’ingresso.

L’appartamento sembrava esattamente come lo avevo lasciato. Mi chiusi la porta alle spalle, ma non con la serratura di sicurezza, nel caso in cui fossi dovuta scappare velocemente. Poi andai di stanza in stanza per assicurarmi che tutto fosse tranquillo.

Dal soggiorno passai in bagno. E quando fui lì un uomo uscì dalla camera da letto e mi puntò contro una pistola. Era di statura media e di media costituzione, più magro e più giovane di Hannibal Ramos, ma la somiglianza era evidente. Era un bell’uomo, ma di una bellezza sciupata dalle tracce di una vita dissoluta. Un mese intero in qualche centro di recupero non avrebbe minimamente risolto i suoi problemi.

«Homer Ramos?»

«In persona.»

Entrambi avevamo le pistole puntate, distanti poco più di tre metri l’uno dall’altra.

«Getta la pistola» ordinai.

Lui mi sorrise senza alcun divertimento. «Vieni a costringermi.»

Ottimo. «Getta la pistola o ti sparo.»

«D’accordo, sparami. Avanti.»

Guardai la Glock. Era una semiautomatica e di solito io avevo un revolver. Non avevo alcuna idea di come si usasse una semiautomatica. Sapevo che avrei dovuto tirare indietro qualcosa. Premetti un bottone e il caricatore cadde sul tappeto.

Homer Ramos scoppiò a ridere.

Gli gettai contro la Glock, colpendolo in fronte e lui mi sparò prima che riuscissi a scappare. Il proiettile mi sfiorò un braccio e andò a ficcarsi nel muro alle mie spalle. Gridai e barcollai all’indietro, premendomi la mano sulla ferita.

«Questo era un avvertimento» disse lui. «Se cerchi di scappare ti sparerò nella schiena.»

«Perché sei qui? Che cosa vuoi?»

«Voglio i soldi, naturalmente.»

«Io non ho i soldi.»

«Non ci sono altre possibilità, dolcezza. I soldi erano nell’auto e la vecchia Cynthia, prima di morire, mi ha detto che in casa, quando è arrivata, c’eri tu. Perciò tu sei l’unica candidata. Ho perquisito da cima a fondo la casa di Cynthia, e l’ho torturata abbastanza da essere sicuro che mi abbia detto tutto ciò che sapeva. All’inizio voleva vendermi questa ridicola storia sul fatto che lei aveva gettato via la borsa, ma neppure Cynthia poteva essere tanto stupida. Ho perquisito anche tutto il tuo appartamento e quello della tua amica cicciona e non ho trovato i soldi.»

Una fitta al cervello. Non erano stati Mitchell e Habib a mettere a soqquadro il mio appartamento. Era stato Homer Ramos, che cercava il denaro.

«Adesso voglio che tu mi dica dove li hai messi» disse Homer. «Voglio che tu mi dica dove li hai nascosti.»

Il braccio mi faceva male e sulla manica della giacca si stava formando una macchia di sangue. La vista mi si stava annebbiando. «Ho bisogno di sedermi.»

Lui fece un cenno in direzione del divano. «Là.»

Essere feriti da un colpo di pistola, per quanto superficiale sia la ferita, non è qualcosa che aiuti a pensare lucidamente. Da qualche parte, nella massa di materia grigia che avevo tra le orecchie, ero consapevole che dovevo preparare un piano, ma non c’era verso di riuscirci. La mente vagava senza meta nel panico. Sentivo le lacrime scendermi dagli occhi e mi colava il naso.

«Allora, dove sono i miei soldi?» ripeté Ramos quando fui seduta.

«Li ho dati a Ranger.» Persino io fui sorpresa quando questa risposta saltò fuori. E, ovviamente, nessuno dei due ci credette.

«Bugiarda! Te lo domando un’altra volta. E se penserò che stai mentendo di nuovo ti sparerò al ginocchio.»

Homer era in piedi con la schiena rivolta all’ingresso. Guardai oltre la sua spalla e vidi che nel mio campo visivo entrava Ranger.

«D’accordo, mi hai convinta» dissi, con un tono di voce più alto del necessario e appena un tocco di isterismo. «Ecco che cosa è successo. Non avevo idea che ci fosse del denaro nell’auto. Quello che ho visto era un tizio morto. E non so che cosa mi sia preso, chiamami pazza, ma forse ho visto troppi film sulla mafia: ho pensato tra me e me che forse c’era un altro cadavere nel bagagliaio! Voglio dire, non volevo correre il rischio che ci fosse un altro cadavere, capisci? Perciò ho aperto il bagagliaio e c’era quella borsa da palestra. Be’, sono sempre stata curiosa, perciò, naturalmente, ho dovuto guardare dentro…»

«Non me ne frega un cazzo di niente della storia della tua vita» disse Homer. «Voglio sapere che cosa hai fatto di quei dannati soldi. Ho soltanto dodici ore prima che la mia nave salpi. Credi che riuscirai ad arrivare al punto nel tempo a disposizione?»

E in quel momento Ranger prese Homer Ramos alle spalle e gli premette la scacciacani contro il collo. Homer strillò e cadde al suolo. Ranger si chinò su di lui e gli prese la pistola. Lo tastò per sentire se aveva altre armi, non ne trovò e gli ammanettò le mani dietro la schiena.

Lo spinse di lato e si mise davanti a me. «Pensavo di averti detto di non immischiarti più con i membri della famiglia Ramos. Non mi stai mai ad ascoltare.»

Tipico umorismo da Ranger.

Gli sorrisi debolmente. «Credo di stare per vomitare.»

Lui mi mise una mano alla base del collo e mi spinse la testa giù tra le ginocchia. «Spingi contro la mia mano» disse.

La testa smise di ronzare e il mio stomaco in qualche modo si calmò. Ranger mi aiutò a mettermi in piedi e mi tolse la giacca.

Mi pulii il naso sulla T-shirt. «Da quanto tempo eri qui?» domandai.

«Sono entrato quando lui ti ha sparato.»

Entrambi guardammo la ferita sul mio braccio.

«Una ferita superficiale» disse Ranger. «Niente di preoccupante.» Mi guidò in cucina e la tamponò con dei tovaglioli di carta. «Cerca di pulirla un po’, intanto vado a cercare dei cerotti.»

«Cerotti! Mi hanno sparato!»

Lui tornò con la mia valigetta del pronto soccorso, usò i cerotti per tenere unite le labbra della ferita, ci mise sopra una compressa di garza e mi bendò il braccio. Fece un passo indietro e mi sorrise. «Sembri un po’ pallida.»

«Credevo di morire. Mi avrebbe uccisa di sicuro.»

«Ma non lo ha fatto» disse Ranger.

«Ti è mai capitato di pensare che stavi per morire?»

«Parecchie volte.»

«E?»

«E non è successo.» Usò il mio telefono per chiamare Morelli. «Sono nell’appartamento di Steph. Abbiamo qui Homer Ramos impacchettato e pronto per te. E ci farebbe comodo un’auto della polizia. Stephanie si è beccata una pallottola nel braccio. È soltanto un graffio, ma sarà meglio dargli un’occhiata.»

Mi circondò con un braccio e mi tirò a sé. Posai la testa sul suo petto e lui mi accarezzò i capelli e mi baciò un orecchio. «Ti senti bene?» domandò.

Non mi sentivo bene per niente. Ero tutta scombussolata, in uno stato pietoso. «Certo» dissi. «Sto benissimo.»

Sentii che stava sorridendo. «Bugiarda.»


Joe mi raggiunse all’ospedale. «Ti senti bene?»

«Ranger mi ha domandato la stessa cosa un quarto d’ora fa e la risposta era no. Ma adesso mi sento meglio.»

«Come va il braccio?»

«Non credo che sia una cosa grave. Sto aspettando la visita del medico.»

Morelli mi prese la mano e mi baciò il palmo. «Credo che il cuore mi si sia fermato un paio di volte mentre venivo qui.»

Il bacio mi fece venire una stretta allo stomaco. «Sto benissimo. Davvero.»

«Ho dovuto guardare in faccia me stesso.»

«Tu mi ami» dissi.

Il suo sorriso si irrigidì e lui annuì brevemente. «Io ti amo.»

Anche Ranger mi amava ma non proprio nello stesso modo. Luì si trovava in una fase diversa della vita.

Le porte della sala d’aspetto si spalancarono e Connie e Lula si precipitarono dentro.

«Abbiamo sentito che ti hanno sparato» disse Lula. «Che cosa è successo?»

«Oh mio Dio, è vero» intervenne Connie. «Guarda il braccio!»

Morelli fece un passo indietro. «Voglio essere presente quando porteranno via Ramos, e credo di essere di troppo qui ora che sono arrivati i rinforzi. Chiamami appena avrai parlato col medico.»


Uscita dall’ospedale decisi di andare a casa dei miei. Morelli era ancora occupato a interrogare Homer Ramos e io non avevo voglia di stare da sola. Chiesi a Lula di fermarsi prima da Dougie perché potessi prendere una camicia di flanella da indossare sopra la maglietta. Dougie e il Luna erano nel soggiorno e guardavano la televisione su un nuovo apparecchio a schermo gigante.

«Ehi, piccola» disse il Luna «guarda un po’ che bel televisore. È straordinario o no?»

«Credevo che l’aveste fatta finita con la merce trafugata.»

«È questa la cosa pazzesca» disse il Luna. «L’abbiamo comprato nuovo di zecca. Non l’abbiamo affatto rubato, piccola. Ti dico una cosa, Dio ha degli strani sistemi. Un attimo prima pensiamo di non avere più un futuro e l’attimo dopo, senza neanche sapere come, ci ritroviamo con un’eredità.»

«Congratulazioni» dissi. «Chi è morto?»

«Questo è il miracolo» disse il Luna. «La nostra eredità non è macchiata da una tragedia. Ci è stato regalato, piccola. Un dono. Ci crederesti?»

«Dougie e io abbiamo avuto il colpo di fortuna di vendere un’auto, domenica. Così abbiamo portato la vettura all’autolavaggio per farla rimettere bene in ordine per l’acquirente. E mentre eravamo lì arriva questa bionda con una Porsche argentata. E lei ha, come dire, ripulito l’auto fin nel più piccolo angolino. Noi stavamo lì, come dire, solo a guardare. E poi ha preso questa borsa dal bagagliaio e l’ha gettata nella spazzatura. Era un’ottima borsa, perciò Dougie e io le abbiamo chiesto se le dispiaceva che la prendessimo. E lei ha detto che non era altro che una orribile borsa da palestra e che noi potevamo farci quel diavolo che volevamo. Così abbiamo portato la borsa a casa e ce ne siamo dimenticati.»

«E quando l’avete aperta e ci avete guardato dentro questa mattina, avete scoperto che la borsa era piena di soldi» dissi.

«Accidenti. E tu come fai a saperlo?»

«Ho solo tirato a indovinare.»


Quando arrivai a casa, mia madre era in cucina. Stava preparando del cavolfiore gratinato. Non proprio il piatto che preferisco, ma d’altra parte, forse, il piatto che preferisco è la torta rovesciata di ananas con tanta panna montata, perciò non credo che si possa fare un paragone.

Si interruppe e mi guardò. «C’è qualcosa che non va nel tuo braccio. Lo tieni in un modo strano.»

«Mi hanno sparato, ma…»

Mia madre svenne. Cadde a terra con ancora il cucchiaio di legno in mano.

Merda.

Inumidii uno straccio da cucina e glielo misi sulla fronte finché non rinvenne.

«Che cosa è successo?» domandò.

«Sei svenuta.»

«Io non svengo mai. Ti starai sbagliando.» Si drizzò a sedere e tamponò la faccia con lo straccio bagnato. «Oh, sì, adesso ricordo.»

L’aiutai a sedersi su una delle sedie della cucina e misi a scaldare l’acqua per il tè.

«Quanto è grave?» domandò.

«È solo un graffio. E il tizio è già in galera, perciò va tutto bene.»

A parte il fatto che avevo un po’ di nausea, il cuore mi batteva in modo irregolare e non volevo tornare nel mio appartamento. Per il resto, andava tutto benissimo.

Misi il vaso dei biscotti sulla tavola e versai a mia madre una tazza di tè. Mi sedetti di fronte a lei e presi qualche biscotto. C’erano gocce di cioccolata e pezzetti di nocciola. Molto salutare, le nocciole contengono tante proteine, giusto?

La porta principale si spalancò e si richiuse e la nonna fece irruzione in cucina. «Ce l’ho fatta! Ho superato l’esame di guida!»

Mia madre si fece il segno della croce e si appoggiò di nuovo lo straccio bagnato sulla fronte.

«Che cos’ha il tuo braccio che è tutto gonfio sotto la manica?» mi domandò la nonna.

«Sono bendata. Oggi mi hanno sparato.»

La nonna spalancò gli occhi. «Accidenti!» Prese una sedia e si unì a noi intorno al tavolo. «Come è successo? Chi ti ha sparato?»

Prima che potessi rispondere squillò il telefono. Era Marge Dembowski che aveva una figlia infermiera all’ospedale e chiamava per riferire che qualcuno mi aveva sparato. Poi telefonò Julia Kruselli per dire che suo figlio Richard, un poliziotto, le aveva appena dato la grande notizia di Homer Ramos.

Me ne andai in salotto e mi addormentai sul divano davanti alla televisione. Quando mi svegliai Morelli era lì, la casa invasa dall’odore di cavolfiori gratinati che cuocevano sulla stufa, e il braccio che mi faceva male. Joe mi aveva portato una giacca nuova, senza il buco del proiettile sulla manica. «È ora di andare a casa» disse facendomi scivolare con disinvoltura il braccio su per la manica.

«Sono già a casa.»

«Intendo dire casa mia.»

Casa di Joe. Sarebbe stato bello. Ci sarebbero stati anche Rex e Bob. E, ancora meglio, ci sarebbe stato Joe.

Mia madre posò un grosso sacchetto sul tavolino del salotto di fronte a noi. «Qui ci sono dei cavolfiori gratinati e una forma di pane fresco, e qualche biscotto.»

Morelli prese il sacchetto. «Li adoro» disse.

Mia madre aveva l’aria compiaciuta.

«Davvero ti piacciono i cavolfiori gratinati?» gli domandai quando fummo in auto.

«A dire la verità, mi piace tutto quello che non devo cucinarmi da solo.»

«Com’è andata con Homer Ramos?»

«Meglio delle nostre più rosee aspettative. Quel tizio è un verme. Ha spifferato tutto su tutti. Alexander Ramos avrebbe dovuto ucciderlo appena nato. E, oltretutto, abbiamo anche preso Habib e Mitchell, abbiamo detto loro che erano accusati di rapimento e ci hanno consegnato Arturo Stolle.»

«Hai avuto un pomeriggio molto impegnativo.»

«Ho avuto un’ottima giornata. A parte il fatto che ti hanno sparato.»

«Chi ha ucciso Macaroni?»

«Homer. Stolle aveva mandato Macaroni da lui per prendersi la Porsche. Immagino che la considerasse come un anticipo sul pagamento del debito. Homer lo ha beccato dentro l’auto e gli ha sparato. Poi si è fatto prendere dal panico ed è corso fuori di casa.»

«Dimenticando di inserire l’allarme?»

Morelli sorrise.

«Già. Homer aveva preso l’abitudine di assaggiare la merce che trasportava per conto di Stolle, ma non ci era abituato. Rimaneva stordito, usciva per mangiare qualcosa e dimenticava di inserire l’allarme. Così Ranger è potuto entrare e Macaroni pure. E sei entrata anche tu. Non credo che Hannibal si fosse reso conto delle dimensioni del problema. Pensava che Homer se ne stesse tranquillo chiuso in casa.»

«Ma Homer è un balordo.»

«Già, Homer è davvero un balordo. Dopo aver ucciso Macaroni, è andato in panico. Drogato e stordito com’era, immagino che abbia creduto di sapersi nascondere meglio di quanto Hannibal potesse fare per lui, perciò è tornato a casa a prendere il suo bottino. Soltanto che non c’era più.»

«E Hannibal ha sguinzagliato i suoi uomini in tutto lo Stato a caccia di Homer.»

«A quel piccolo idiota deve aver fatto piacere sapere che si stavano dannando per trovarlo» disse Joe.

«E il bottino, allora?» domandai. «Qualcuno ha un’idea di dove sia finita la borsa da palestra piena di soldi?» Qualcuno a parte me, intendevo.

«Uno dei grandi misteri della vita» rispose Morelli. «L’opinione più accreditata è che Homer l’abbia nascosta mentre si trovava sotto l’effetto della droga e poi abbia dimenticato dove l’aveva messa.»

«Sembrerebbe logico» dissi. «Scommetto che è proprio così.» Diavolo, perché non lasciare che Dougie e il Luna si godessero il denaro? Se glielo avessero confiscato sarebbe andato a finire nelle casse del governo e Dio solo sa che fine avrebbe fatto.

Morelli parcheggiò davanti a casa sua, in Slater Street, e mi aiutò a scendere. Aprì la porta e Bob mi saltò al petto e mi sorrise.

«È contento di vedermi» dissi a Joe. E il fatto che stessi tenendo in mano un sacchetto pieno di cavolfiori gratinati non era estraneo alla cosa. Ma non mi importava: Bob mi diede un fantastico benvenuto.

Morelli aveva messo la gabbia di Rex sul ripiano della cucina. Tamburellai con le dita su un lato e ci fu un po’ di movimento sotto un cumulo di ghiaia. Rex mise fuori il muso, agitò i baffi e mi guardò sbattendo le palpebre sui suoi occhietti neri come perle.

«Ehi, Rex!» dissi. «Come va?»

I baffi smisero di agitarsi per un nanosecondo, poi Rex si ritirò sotto la lettiera. A chi non lo conoscesse poteva non sembrare, ma per un criceto anche questo era uno straordinario benvenuto.

Morelli aprì un paio di birre e mise due piatti sul tavolo della cucina. Dividemmo i cavolfiori gratinati con Bob e cominciammo a mangiare. Più o meno a metà del secondo boccone mi resi conto che Joe non stava mangiando.

«Non hai fame?» domandai.

Morelli mi sorrise incerto. «Mi sei mancata.»

«Anche tu mi sei mancato.»

«Come sta il braccio?»

«Benissimo.»

Lui mi prese la mano e mi baciò sulla punta delle dita. «Spero che questo vada bene come introduzione, perché mi sento completamente privo di autocontrollo.»

Per me era perfetto. Non mi pareva che in quel momento l’autocontrollo avesse un gran valore.

Lui mi tolse la forchetta di mano. «Hai davvero voglia di quei cavolfiori gratinati?»

«I cavolfiori gratinati non mi piacciono per niente.»

Lui mi fece alzare dalla sedia e mi baciò. Suonarono alla porta ed entrambi facemmo un passo indietro.

«Merda!» disse Morelli. «E adesso chi è? Succede sempre qualcosa! Nonne, assassini e cercapersone che si mettono di mezzo. Non lo sopporto più.»

Si precipitò alla porta e la spalancò. Era nonna Bella. Era una donnina minuta in abiti neri vecchio stile. I capelli bianchi erano legati in una crocchia bassa, il viso senza trucco, le labbra sottili premute strette. La madre di Joe era al suo fianco, più robusta di Bella, non meno spaventosa.

«Ebbene?» disse Bella.

Joe la guardò.

«Ebbene, che cosa?»

«Non ci fai entrare?»

«No.»

Bella si irrigidì. «Se tu non fossi il mio nipote preferito ti farei il malocchio.»

La madre di Joe fece un passo avanti. «Non possiamo rimanere a lungo. Stiamo andando al battesimo del bambino di Marjorie Soleri. Ci siamo fermate solo per portarti qualcosa da mangiare. Lo so che tu non cucini mai.»

Mi avvicinai a Joe e presi la pentola dalle mani di sua madre. «È un piacere rivederla, signora Morelli. Ed è un piacere anche rivedere lei, nonna Bella. Questa pentola ha un profumo delizioso.»

«Che cosa sta succedendo qui?» chiese Bella. «Voi due non state vivendo insieme nel peccato, vero?»

«È quello che sto cercando di fare» disse Joe. «Solo che non ho molta fortuna.»

Bella sobbalzò e diede uno schiaffo a Joe. «Vergognati.»

«Forse dovrei portare la pentola in cucina» dissi, arretrando velocemente. «E forse poi dovrei andarmene. Comunque non sarei rimasta a lungo. Ero solo venuta a salutare.» L’ultima cosa di cui avevo bisogno era che Bella mi facesse il malocchio.

Joe mi afferrò per il braccio sano. «Tu non vai da nessuna parte.»

Bella mi guardò stringendo gli occhi e io tremai. Sentii che Joe si irrigidiva al mio fianco.

«Stephanie rimarrà qui questa notte» disse. «Lo fa spesso.»

Bella e la signora Morelli ebbero un sussulto e strinsero forte le labbra.

La signora Morelli alzò il mento di qualche millimetro e rivolse a Joe un’occhiata penetrante. «Hai intenzione di sposare questa donna?»

«Già. Per dirla chiara, ho intenzione di sposarla» disse Joe. «E prima sarà meglio è.»

«Sposarti!» disse Bella, torcendosi le mani. «Il mio Joseph che si sposa.» Poi ci baciò entrambi.

«Aspetta un minuto» dissi io. «Tu non mi hai mai chiesto di sposarti. Quello che non voleva farlo eri tu.»

«Ho cambiato idea» rispose Morelli. «Adesso voglio sposarmi. Diavolo, voglio sposarmi stasera stessa.»

«Tu vuoi solo fare sesso» dissi.

«Vuoi scherzare? Non riesco neppure a ricordarmi che cos’è il sesso. Non so nemmeno se sono ancora capace di farlo.»

Il suo cercapersone squillò. «Dannazione!» disse Joe. Si strappò il cercapersone dalla cintura e lo gettò in mezzo alla strada.

Nonna Bella mi guardò la mano. «E dov’è l’anello?»

Tutti guardammo la mia mano. Niente anello.

«Non occorre un anello per essere fidanzati» disse Morelli.

Nonna Bella scosse mestamente la testa. «Non sa proprio niente» disse.

«Aspettate un attimo. Non ho intenzione di farmi trascinare in un matrimonio» dissi loro.

Nonna Bella si irrigidì.

«Non vuoi sposare il mio Joseph?»

La madre di Joe si fece il segno della croce e alzò gli occhi al cielo.

«Accidenti» disse Joe a sua madre e a Bella «guardate che ora è. Non vorrei che vi perdeste il battesimo.»

«So che cosa stai cercando di fare» disse Bella. «Vuoi liberarti di noi.»

«È vero» disse Joe. «Stephanie e io abbiamo molte cose di cui parlare.»

Bella rovesciò gli occhi nelle orbite. «Sto avendo una visione» disse. «Vedo dei nipoti. Tre maschi e una femminuccia…»

«Non farti spaventare» sussurrò Joe. «Ho un’intera scatola delle migliori precauzioni che si possano acquistare, in camera, di fianco al letto.»

Mi morsicai il labbro inferiore. Mi sarei sentita molto meglio se Bella avesse detto che stava vedendo un criceto.

«D’accordo, adesso ce ne andiamo» disse la nonna. «Queste visioni mi affaticano sempre tanto. Ho bisogno di fare un pisolino in auto prima del battesimo.»

Poi uscirono, Joe chiuse la porta a chiave, mi prese la pentola di mano e la mise fuori dalla portata di Bob, sul tavolo del soggiorno. Mi tolse con cautela la giacca e la lasciò cadere a terra. Poi mi slacciò i jeans, mi artigliò alla vita e mi trasse a sé.

«Quanto a quella proposta, dolcezza…»


FINE
Загрузка...