Capitolo 14

Mi fermai per riprendere fiato, piegata in due, con gli occhi che mi si incrociavano per il dolore ai polmoni. I jeans si erano strappati all’altezza delle ginocchia e queste si erano graffiate sui vetri. Entrambe le mani erano tagliate. Avevo perduto la giacca nella fretta di scappare: dopo averla tolta dalla mano attorno alla quale l’avevo avvolta, l’avevo lasciata là. Indossavo una T-shirt e una camicia di flanella ed ero bagnata fradicia: battevo i denti per il freddo e per la paura. Mi appoggiai al muro di un palazzo e ascoltai il rumore, attutito dalla pioggia, delle auto che passavano non lontano da lì, a Broad.

Non volevo andare a Broad, mi sarei sentita troppo esposta. Quella era una zona della città che non conoscevo bene. Non avevo molta scelta, ma pensai che avrei dovuto entrare in uno di quei palazzi e chiedere aiuto. Dall’altro lato della strada c’era un negozio di generi vari collegato a una pompa di benzina. La cosa mi metteva a disagio: troppo visibile. Mi trovavo accanto a un edificio che sembrava ospitare degli uffici. Entrai dalla porta principale in un piccolo ingresso. Un unico ascensore si trovava sulla sinistra, proprio accanto c’era una porta antincendio metallica che conduceva alle scale. Il tabellone affisso alla parete elencava le varie società ospitate nel palazzo. Cinque piani di uffici. Non riconobbi nessuno dei nomi. Salii le scale fino al primo piano e scelsi una porta a caso. Si apriva su una stanza piena di scaffali di metallo carichi di computer, stampanti e componenti informatiche assortite.

Un tizio in T-shirt, dai capelli crespi, lavorava a una scrivania vicino alla porta. Alzò lo sguardo quando misi dentro la testa.

«Che cosa fate qui?» domandai.

«Ripariamo computer.»

«Mi stavo domandando se avrei potuto usare il vostro telefono per fare una chiamata urbana. Sono caduta dalla bicicletta per via della pioggia e ho bisogno di telefonare a qualcuno per farmi dare un passaggio.» Forse non era opportuno aggiungere che c’erano degli uomini che mi cercavano per mutilarmi: sarebbe stato più di quello che lui desiderava sapere.

Mi squadrò da capo a piedi. «È sicura che quella che mi ha raccontato sia la storia vera?»

«Certo che sono sicura.» Nel dubbio… sempre meglio mentire.

Con un gesto mi indicò il telefono all’estremità della scrivania. «Prego.»

Non potevo telefonare ai miei, non c’era modo di spiegar loro questa faccenda. E non volevo chiamare Joe perché non desideravo che sapesse quanto ero stata stupida. Non avevo nessuna intenzione di chiamare Ranger perché mi avrebbe rinchiusa, anche se l’idea cominciava a diventare allettante. Rimaneva solo Lula.

«Grazie» dissi all’uomo, riagganciando la cornetta dopo aver dato l’indirizzo a Lula. «Molto gentile.»

Sembrava quasi inorridito dal mio aspetto, perciò uscii dall’ufficio e scesi al piano terra ad aspettare.

Cinque minuti dopo Lula parcheggiò lì davanti. Quando salii in macchina lei chiuse le portiere con la sicura, tirò fuori la pistola dalla borsa e la posò sul cruscotto davanti a noi.

«Buona idea» dissi.

«Dove andiamo?»

Non potevo tornare a casa: Habib e Mitchell mi avrebbero sicuramente cercata là. Avrei potuto andare dai miei o da Joe, ma non prima di essermi ripulita. Ero sicura che anche Lula mi avrebbe ospitata a casa sua, ma il suo appartamento era minuscolo e non volevo che scoppiasse la Terza guerra mondiale solo perché ci pestavamo i piedi l’una con l’altra. «Portami a casa di Dougie» dissi.

«Non so come hai fatto a ferirti in quel modo, ma devi esserti procurata anche qualche danno al cervello.»

Spiegai tutto a Lula. «Nessuno penserà di cercarmi a casa di Dougie» dissi. «Inoltre ha ancora dei vestiti da quando era il Commerciante. E probabilmente ha anche un’auto da prestarmi.»

«Dovresti chiamare Ranger o Joe sul cercapersone» disse Lula. «Meglio uno dei due, piuttosto che Dougie. Con loro saresti al sicuro.»

«Non posso farlo. Stasera devo consegnare Ranger in cambio di Carol.»

«Che cosa hai detto?»

«Stasera consegnerò Ranger a Joyce.» Dal telefono dell’auto di Lula chiamai Joe in ufficio. «Ho un grande favore da chiederti» gli dissi.

«Un altro?»

«Sono preoccupata che qualcuno possa entrare in casa mia, e non posso tornarci in questo momento. Mi stavo domandando se tu potessi andare a prendere Rex e tenerlo con te.»

Ci fu un lungo silenzio. «Quanto è urgente?»

«Urgente.»

«La cosa non mi piace affatto» disse Joe.

«E mentre sei lì, forse potresti dare un’occhiata al vaso dei biscotti e vedere se la mia pistola c’è ancora. E, ehm, forse potresti anche prendere la mia borsa.»

«Che cosa sta succedendo?»

«Arturo Stolle pensa che tenendomi in ostaggio riuscirà a convincere Ranger a cooperare con lui.»

«Tu stai bene?»

«Benissimo. È solo che sono uscita di casa in fretta.»

«Immagino che tu non voglia farti venire a prendere da qualche parte.»

«No. Pensa solo a Rex. Io sono con Lula.»

«Questo mi tranquillizza molto.»

«Proverò a passare più tardi, stasera.»

«Cerca di farlo davvero.»

Lula si fermò davanti alla casa di Dougie. Le due finestre a piano terra erano chiuse con delle assi. Al piano superiore le tendine erano tirate, ma la luce filtrava dall’interno. Lula mi diede la Glock.

«Tieni questa con te. Ha il caricatore pieno. E chiamami se hai bisogno di qualcosa.»

«Starò benissimo» dissi.

«Certo. Lo so. Aspetterò qui finché entrerai in casa e mi farai segno di andare.»

Percorsi di corsa il breve tratto fino alla porta. Non sapevo bene perché, dato che non avrei potuto bagnarmi più di così. Bussai ma nessuno rispose. Immaginai che Dougie si stesse nascondendo da qualche parte, per paura che qualche fanatico di Star Trek fosse tornato a trovarlo.

«Ehi, Dougie!» gridai. «Tranquillo, sono Stephanie. Apri la porta!»

Funzionò. Vidi un’ombra muoversi alla finestra e Dougie sbirciò fuori. Poco dopo la porta si aprì.

«C’è nessuno con te?» domandai.

«Solo il Luna.»

Infilai la Glock nella cintura dei jeans e mi voltai per fare cenno a Lula di andare.

«Chiudi a chiave la porta» dissi entrando nella stanza.

Dougie mi aveva già preceduto. Non soltanto aveva chiuso a più mandate la porta ma stava anche spingendoci contro un frigorifero.

«Pensi che sia necessario?» domandai.

«Probabilmente è eccessivo» disse. «In realtà oggi è stata una giornata tranquilla. È solo che sono ancora scosso per via della rissa.»

«A quanto pare ti hanno rotto le finestre.»

«Solo una. I vigili del fuoco hanno rotto l’altra quando hanno buttato fuori il divano.»

Guardai il divano. Era carbonizzato per metà. Il Luna era seduto nella parte ancora intatta.

«Ehi, piccola, sei arrivata al momento giusto» disse. «Abbiamo appena finito di riscaldare un po’ di salatini alla polpa di granchio. Stavamo guardando le repliche di un telefilm in televisione.»

«Già» intervenne Dougie. «Sono rimasti un sacco di salatini alla polpa di granchio. Dobbiamo mangiarli prima della scadenza, cioè venerdì.»

Mi sembrò strano che nessuno dei due facesse commenti sul fatto che ero tutta bagnata e sanguinante ed ero entrata con una pistola in mano. Ma forse la gente si presenta sempre così in casa d’altri.

«Mi stavo domandando se tu avessi qualche abito asciutto» dissi a Dougie. «Li hai finiti tutti quei jeans che stavi cercando di svendere?»

«Ne ho ancora un mucchio nella camera da letto, di sopra. Perlopiù taglie piccole, perciò forse troverai qualcosa. E ci sono anche delle camicie. Serviti pure di tutto quello che vuoi.»

Nell’armadietto dei medicinali, in bagno, c’erano alcuni cerotti. Mi lavai alla meglio e cercai tra i vestiti di Dougie finché trovai qualcosa che mi andava bene.

Era pomeriggio inoltrato e non avevo pranzato, perciò mi gettai affamata sui salatini alla polpa di granchio. Poi andai in cucina e chiamai Joe sul cellulare.

«Dove ti trovi?» domandò.

«Perché?»

«Voglio saperlo, ecco perché.»

C’era qualcosa che non andava. Mio Dio, non Rex. «Che cosa c’è che non va? Si tratta di Rex? Rex sta bene?»

«Non ti preoccupare per Rex, lui sta benissimo. È in un’auto della polizia con Costanza che lo sta portando a casa mia. Io sono ancora nel tuo appartamento. Quando sono arrivato la porta era aperta e la casa era stata svaligiata. Non credo che ci sia niente di rotto, ma è davvero un disastro. Hanno svuotato la tua borsa sul pavimento. Il portafogli, la scacciacani e lo spray urticante ci sono ancora, così come la tua pistola nel vaso dei biscotti. Mi pare che questi tizi fossero più pazzi che altro. Credo che siano andati in giro a fare danni e non si siano neppure accorti della gabbia di Rex.»

Mi tenevo una mano sul cuore. Rex stava bene. Era tutto quello che mi interessava.

«Sto per andarmene» concluse. «Dimmi dove ti trovi.»

«Sono a casa di Dougie.»

«Dougie Kruper?»

«Stiamo guardando un telefilm.»

«Arrivo subito.»

«No! Sono al sicuro. Nessuno penserebbe mai di cercarmi qui. E sto aiutando Dougie a rimettere in ordine. Lula e io abbiamo provocato una rissa la notte scorsa e mi sento responsabile, devo aiutarlo a mettere a posto.» Bugiarda, bugiarda, ti crescerà il naso.

«Sembrerebbe ragionevole, ma non credo a una sola parola.»

«Ascoltami, io non interferisco con il tuo lavoro e tu non puoi interferire col mio.»

«Già, solo che io so quello che faccio.»

Aveva ragione. «Ci vediamo stasera.»

«Merda» disse Morelli. «Ho bisogno di bere qualcosa.»

«Da’ un’occhiata nell’armadio in camera mia. Forse la nonna ha lasciato una bottiglia.»


Rimasi a guardare telefilm con Dougie e il Luna per tre ore, mangiai altri salatini alla polpa di granchio e poi telefonai a Ranger. Lui non rispose, perciò tentai con il cercapersone. Dieci minuti dopo mi richiamò.

«Vorrei togliermi questo braccialetto» gli dissi.

«Puoi andare da un fabbro.»

«Ho avuto qualche altro problema con Stolle.»

«E dunque?»

«E dunque ho bisogno di parlarti.»

«Ah sì?»

«Sarò nel parcheggio dietro l’ufficio alle nove in punto. Verrò con una macchina presa in prestito. Non so ancora quale.»

Ranger interruppe la comunicazione. Immaginai che questo volesse dire che sarebbe venuto.

Ora avevo un problema. Possedevo soltanto la Glock, e Ranger non si sarebbe fatto spaventare da una Glock: sapeva benissimo che non gli avrei mai sparato.

«Mi servono alcune cose» dissi a Dougie. «Manette, una scacciacani e dello spray urticante.»

«Qui non le ho» rispose Dougie «ma posso fare una telefonata. Conosco un tizio.»

Mezz’ora dopo bussarono alla porta e tutti insieme spingemmo via il frigorifero. Aprimmo e io rimasi a bocca aperta.

«Lenny Gruber» dissi. «È un secolo che non ti vedo.»

«Sono stato molto impegnato.»

«Già, so tutto. Troppe schifezze da fare e così poco tempo.»

«Amico!» disse il Luna. «Entra. Prendi un salatino alla polpa di granchio.»

Gruber e io eravamo stati compagni di scuola. Era il genere di persona che scorreggia in classe e poi grida: «Ehi, che puzza! Chi è che ha tagliato il formaggio?». Gli mancava un molare e aveva i pantaloni sempre un po’ slacciati.

Gruber si servì un salatino alla polpa di granchio e mise una valigetta di alluminio sul tavolino del salotto. La aprì e all’interno vidi una gran confusione di scacciacani, spray da difesa, manette, coltelli, mine e pugni di ferro. Persino una confezione di preservativi e un vibratore. Immaginai che facesse ottimi affari con i magnaccia.

Scelsi un paio di manette, una scacciacani e una piccola bomboletta di spray urticante. «Quanto fa?» domandai.

Lui aveva gli occhi incollati al mio seno. «Per te, un prezzo speciale.»

«Non voglio favori» dissi.

Mi propose un prezzo accettabile.

«Affare fatto. Ma dovrai aspettare per essere pagato. Non ho soldi con me.»

Lui sogghignò e il molare mancante spiccò nella sua bocca come un cratere. «Possiamo trovare un accordo.»

«Non possiamo trovare nessun accordo. Ti farò avere i soldi domani.»

«Se non mi paghi prima di domani, il prezzo è più alto.»

«Stammi a sentire, Gruber. Ho avuto una giornata veramente, veramente pessima. Non insistere. Sono arrivata al limite.» Premetti il pulsante di accensione della scacciacani. «Questa cosa funziona? Forse dovrei provarla su qualcuno.»

«Le donne» disse Gruber al Luna. «Non si può vivere con loro, non si può vivere senza di loro.»

«Potresti spostarti un po’ sulla sinistra?» domandò il Luna. «Sei proprio davanti al televisore, amico, e siamo al punto culminante del telefilm.»


Presi in prestito da Dougie una jeep Cherokee vecchia di due anni. Era una delle quattro auto rimaste invendute per via del fatto che il libretto e la ricevuta d’acquisto erano andate smarrite. Avevo trovato un paio di jeans e una T-shirt che mi andavano più o meno bene e mi ero fatta prestare una giacca e un paio di calzini puliti dal Luna. Né Dougie né il Luna, però, avevano una lavatrice o una asciugatrice, né tantomeno un ferro da stiro, perciò quello che mi mancava era la biancheria intima. Dalla tasca posteriore dei jeans mi pendevano le manette. Il resto dell’equipaggiamento era infilato nell’assortimento di tasche della giacca.

Mi recai al parcheggio dietro all’ufficio di Vinnie e posteggiai. Aveva smesso di piovere e l’aria sembrava un tiepido annuncio di primavera. Era molto buio, attraverso le nuvole non si riuscivano a vedere né le stelle né la luna. Dietro l’ufficio c’era spazio sufficiente per quattro auto, ma fino a quel momento vi stava soltanto la mia. Ero in anticipo. Probabilmente non così in anticipo come Ranger. Lui sicuramente mi aveva vista arrivare e mi stava osservando da qualche appostamento per essere sicuro che l’incontro non fosse rischioso. Agiva seguendo le comuni procedure.

Io osservavo il vicolo che portava al piccolo cortile quando Ranger bussò lievemente al finestrino.

«Dannazione!» strillai. «Mi hai fatto venire un colpo. Non dovresti prendere la gente alle spalle in questo modo.»

«E tu dovresti stare con le spalle al muro, bambina.» Aprì la portiera. «Togliti la giacca.»

«Avrò freddo.»

«Toglitela e dammela.»

«Tu non ti fidi di me.»

Lui sorrise.

Mi tolsi la giacca e gliela porsi.

«Tieni un sacco di roba in tasca» commentò.

«Le solite cose.»

«Scendi dall’auto.»

Non era così che pensavo sarebbe andata. Non credevo che sarei rimasta senza giacca tanto in fretta. «Preferirei che salissi tu. È più caldo qui.»

«Scendi.»

Sospirai e uscii.

Lui mise una mano sul mio fondoschiena, infilò le dita sotto la cintura dei jeans e tolse le manette.

«Andiamo dentro» disse. «Mi sento più sicuro.»

«Solo per curiosità: sai come aggirare il sistema d’allarme o conosci il codice di sicurezza?»

Lui aprì la porta sul retro. «Conosco il codice.»

Entrammo nell’ingressino in cui conservavamo le armi e la cancelleria di scorta. Ranger aprì la porta che conduceva alla stanza sul davanti e la luce naturale che proveniva dalla strada si riversò dentro attraverso le vetrine. Stando tra le due stanze poteva controllare entrambe le porte.

Posò la mia giacca e le manette su uno schedario fuori dalla mia portata e guardò il braccialetto che avevo ancora al polso dal giorno prima. «Un nuovo modello.»

«Un po’ fastidioso, però.»

Prese la chiave dalla tasca, aprì la manetta, la tolse e la gettò sulla mia giacca. Poi mi afferrò entrambe le mani e voltò i palmi verso l’alto. «Indossi gli abiti di qualcun altro, hai la pistola di qualcun altro, hai le mani ferite e non porti biancheria intima. Che cosa sta succedendo?»

Guardai giù, la sagoma del seno e la sporgenza dei capezzoli che si disegnavano sulla T-shirt. «A volte non indosso biancheria.»

«Tu non stai mai senza biancheria.»

«Come lo sai?»

«Un talento naturale.»

Lui portava i suoi soliti abiti da strada: pantaloni neri sportivi infilati in stivali neri, una T-shirt nera e una giacca a vento nera. Si tolse quest’ultima e me la avvolse intorno alle spalle. Aveva ancora il calore del suo corpo e un leggero odore di oceano.

«Hai passato molto tempo a Deal?» domandai.

«Dovrei essere là anche adesso.»

«C’è qualcuno che sorveglia Ramos per te?»

«Tank.»

Con le mani teneva ancora la giacca a vento, le nocche che poggiavano leggermente contro il mio seno. Un gesto di possesso intimo, più che un’aggressione sessuale.

«Come pensi di farlo?» domandò, a bassa voce.

«Fare che cosa?»

«Catturarmi. Non è per questo che siamo qui?»

Quello era il piano originale, ma lui mi aveva portato via tutti i giocattoli.

E ora l’aria che avevo nei polmoni mi sembrava calda e densa e cominciavo a pensare che dopo tutto non erano fatti miei se Carol voleva gettarsi dal ponte. Appoggiai le mani sul suo addome, e lui mi guardò attentamente. Sospettai che stesse ancora aspettando una risposta alla sua domanda, ma io avevo un problema più urgente. Non sapevo che cosa toccare per primo. Dovevo lasciar scorrere le mani verso l’alto? O dovevo muoverle verso il basso? Io volevo scendere, ma forse sarebbe sembrato troppo precipitoso. Non volevo che pensasse che ero una ragazza facile.

«Steph?»

«Mmm?»

Tenevo ancora le mani sul suo stomaco e lo sentii ridere. «Sento odore di bruciato, bambina. Forse stai pensando troppo.»

Non era il mio cervello che andava a fuoco. Con la punta delle dita andai un po’ in giro a tastare.

Lui scosse la testa. «Non mi incoraggiare. Non è un buon momento.» Mi spostò le mani dal suo stomaco e guardò di nuovo le ferite. «Com’è successo?»

Gli raccontai di Habib, di Mitchell e della fuga dalla fabbrica.

«Arturo Stolle si meritava uno come Homer Ramos» disse Ranger.

«Non saprei. Nessuno mi dice niente!»

«Per anni, nel giro del crimine, Stolle ha avuto la fetta di torta che riguardava l’immigrazione e l’adozione illegale. Usa i contatti che ha in Estremo Oriente per far arrivare nel Paese ragazzine giovanissime, per la prostituzione e per procreare neonati da dare in adozione ad altissimo prezzo. Sei mesi fa, Stolle si è reso conto che poteva utilizzare gli stessi contatti per contrabbandare droga insieme con le ragazze. Il problema è che la droga non faceva parte della fetta di torta di Stolle. Perciò ha agganciato Homer Ramos, che era notoriamente stupido come una merda e sempre a corto di denaro, e si è messo d’accordo con lui perché gli facesse da intermediario con i contatti all’estero. Stolle era convinto che gli altri cartelli della mafia sarebbero stati alla larga dal figlio di Alexander Ramos.»

«E tu che parte hai in tutto questo?»

«Quella di mediatore. Io facevo da tramite tra le diverse fazioni. Tutti, compresi i federali, volevano evitare una guerra tra bande.» Il suo cercapersone trillò e lui osservò il display. «Devo tornare a Deal. Hai altre armi nascoste nel tuo arsenale? Vuoi fare un tentativo dell’ultima ora di catturarmi?»

Diavolo. Quanto era odioso. «Ti odio» dissi.

«No, non mi odi» disse Ranger, baciandomi leggermente sulle labbra.

«Perché hai accettato di incontrarmi?»

I nostri sguardi si incrociarono per un istante. E poi lui mi ammanettò. Tutt’e due le mani dietro la schiena.

«Merda!» strillai.

«Mi dispiace, ma tu sei una vera rompiscatole. Non riesco a fare il mio lavoro se mi devo preoccupare di te. Ti consegnerò a Tank. Lui ti porterà in un rifugio e ti terrà d’occhio finché le cose non si saranno risolte.»

«Non puoi farmi questo! Carol tornerà di nuovo sul ponte.»

Ranger fece una smorfia. «Carol?»

Gli raccontai di Carol e di Joyce, e di come Carol non volesse rendere pubbliche le proprie intimità, e come questa volta fosse un po’ anche colpa mia.

Ranger batté la testa contro lo schedario. «Perché proprio a me?» disse.

«Non avrei permesso che Joyce ti trattenesse» dissi. «Ti avrei consegnato a lei e poi avrei cercato un modo per liberarti.»

«So che lo rimpiangerò ma, che Dio mi perdoni, ti lascio libera. E Carol non salterà giù dal ponte. Ti do tempo fino alle nove di domani mattina per sistemare le cose con Joyce. Dopo di che ti verrò a cercare. E voglio che tu mi prometta che non ti avvicinerai ad Arturo Stolle o a chiunque porti il nome Ramos.»

«Lo prometto.»


Attraversai la città fino alla casa di Lula. Abitava in un appartamento al secondo piano, affacciato sulla strada, e le luci erano ancora accese. Non avevo con me il cellulare, perciò suonai il campanello. Una finestra sopra di me si aprì e Lula si sporse. «Chi è?»

«Sono Stephanie.»

Mi gettò la chiave e io entrai.

Lula mi venne incontro in cima alle scale. «Passi qui la notte?»

«No. Ho bisogno di aiuto. Hai presente il mio piano per consegnare Ranger a Joyce? Be’, non ha funzionato esattamente come prevedevo.»

Lula scoppiò a ridere. «Ragazza, il problema è Ranger. Nessuno è meglio di lui, neppure tu.» Diede un’occhiata alla mia T-shirt e ai jeans. «Non che voglia farmi gli affari tuoi, ma indossavi un reggiseno prima di iniziare la serata, o è una cosa recente?»

«Ero così già all’inizio. Dougie e il Luna non indossano il mio genere di biancheria.»

«Peccato» disse Lula.

L’appartamento era un bilocale: camera da letto con bagno adiacente, e un’altra stanza che serviva da soggiorno e da sala da pranzo, con un piccolo angolo cottura. Lula aveva sistemato un tavolino rotondo e due sedie da cucina vicino ai fornelli. Mi sedetti su una di quelle e accettai una birra.

«Hai voglia di un sandwich?» domandò. «Ho della mortadella.»

«Un sandwich sarebbe fantastico. Dougie aveva solo dei salatini alla polpa di granchio.» Bevvi un lungo sorso di birra. «Allora adesso il problema è questo: che cosa vogliamo fare con Joyce? Mi sento responsabile per Carol.»

«Non puoi sentirti responsabile per qualcuno che non ha giudizio» disse Lula. «Tu non le avevi detto di legare Joyce a quell’albero.»

Vero.

«Tuttavia» disse Lula «sarebbe bello fare un altro sgambetto a Joyce.»

«Hai qualche idea?»

«Joyce conosce bene Ranger?»

«Lo ha visto un paio di volte.»

«E se le rifilassimo qualcuno che assomiglia a Ranger e poi ci riprendessimo il sosia? Io conosco un tizio, Morgan, che potrebbe andar bene. La stessa pelle scura, la stessa costituzione. Forse non altrettanto bello, ma ci va abbastanza vicino. Specialmente se è davvero buio e lui non apre bocca: è completamente tonto.»

«Forse mi ci vogliono un altro paio di birre prima di pensare che una cosa del genere possa funzionare.»

Lula guardò le bottiglie vuote che si erano accumulate sul ripiano della cucina. «Io ho cominciato a bere prima di te. Perciò sono molto ottimista riguardo a questo piano.» Aprì una rubrica consunta e scorse i nomi con un dito.

«È uno che ho conosciuto sul lavoro, il mio precedente lavoro.»

«Un cliente?»

«Un protettore. È un vero bastardo, ma mi deve un favore. E probabilmente è la persona giusta per farsi passare come Ranger. Forse ha persino gli abiti adatti nell’armadio.»

Cinque minuti dopo Morgan richiamò rispondendo allo squillo di Lula sul cercapersone. Ed ecco servito il finto Ranger.

«Questo è il piano» disse Lula. «Tra mezz’ora noi andiamo a prendere il tipo all’angolo tra la Stark e la Belmont. Solo che lui non può stare fuori tutta la notte, perciò dobbiamo sbrigarci.»

Telefonai a Joyce e le dissi che avevo Ranger, e che ci saremmo incontrate nel parcheggio dietro l’ufficio. Era il posto più buio che mi venne in mente.

Finii il mio sandwich e la birra e poi Lula e io ci infilammo nella Cherokee. Arrivammo all’angolo tra la Stark e la Belmont e io dovetti guardare una seconda volta per essere sicura che l’uomo che ci aspettava non fosse davvero Ranger.

Quando Morgan si avvicinò la differenza fu palese. Il colore della pelle era lo stesso ma i tratti del viso erano più volgari. C’erano più rughe attorno alla bocca e agli occhi e meno intelligenza nel suo sguardo. «Sarà meglio che Joyce non lo guardi troppo da vicino» osservai.

«Forse dovevi bere un’altra birra» disse Lula. «Comunque, è davvero molto buio dietro l’ufficio e se le cose vanno per il verso giusto Joyce sarà fuori gioco prima di essere andata troppo lontano.»

Ammanettammo Morgan con le mani davanti, che è una cosa idiota da fare, ma Joyce non è una cacciatrice di latitanti abbastanza brava da saperlo. Poi gli lasciammo la chiave delle manette. L’accordo era che lui si sarebbe messo la chiave in bocca quando fossimo stati nel parcheggio. Si sarebbe rifiutato di parlare con Joyce, facendo scena muta. Noi avremmo cercato di forarle una gomma e, quando lei fossa scesa a dare un’occhiata, Morgan si sarebbe tolto le manette e sarebbe fuggito nella notte.

Arrivammo nel vicolo in anticipo, in modo da poter far scendere Lula. Avevamo deciso che lei sarebbe rimasta nascosta dietro al bidone della spazzatura di cui si servivano Vinnie e il suo vicino, e mentre Joyce prendeva in consegna Ranger, Lula avrebbe infilato uno spillone nella gomma della sua auto. Déjà vu. Parcheggiai la Cherokee in modo che Joyce fosse costretta a fermarsi accanto al bidone della spazzatura. Lula saltò fuori dall’auto e si nascose; subito dopo un paio di fari svoltarono l’angolo.

Joyce fermò la sua piccola fuoristrada accanto alla mia auto e scese. Io feci altrettanto. Morgan era sprofondato sul sedile posteriore, la testa china sul petto.

Joyce sbirciò dentro l’auto. «Non riesco a vederlo. Accendi le luci.»

«Neanche per idea» dissi. «E tu sarai così gentile da spegnere le tue. C’è un sacco di gente che gli sta dando la caccia.»

«Perché è tutto raggomitolato?»

«È drogato.»

Joyce annuì. «Mi stavo giusto domandando come saresti riuscita a prenderlo.»

Nel tirare giù Morgan dal sedile posteriore feci una grande sceneggiata e parecchio rumore. Lui crollò addosso a me, approfittandone per palparmi di sfuggita; Joyce e io lo conducemmo quasi trascinandolo all’auto di lei e lo infilammo dentro.

«Un’ultima cosa» dissi a Joyce, porgendole una dichiarazione che avevo preparato a casa di Lula. «Dovresti firmare questa.»

«Che cos’è?»

«È un documento col quale tu dichiari di essere andata volontariamente al cimitero degli animali domestici con Carol e di averla pregata di legarti all’albero.»

«Ma sei pazza? Non lo firmerò mai.»

«Allora mi riprendo Ranger dalla tua auto.»

Joyce diede un’occhiata alla fuoristrada e al suo prezioso carico. «Diavolo» disse, prendendo la penna e firmando la dichiarazione. «Ho quello che volevo.»

«Tu va’ via per prima» dissi a Joyce, tirando fuori la Glock dalla tasca. «Voglio essere sicura che tu esca sana e salva dal vicolo.»

«Non riesco a credere che tu abbia fatto questo» disse Joyce. «Non pensavo che fossi un lurido serpente velenoso fino a questo punto.»

Dolcezza, tu non sai niente di me. «L’ho fatto per Carol» dissi.

Rimasi lì con la Glock puntata e osservai Joyce che se ne andava. Nell’attimo stesso in cui svoltò dal vicolo sulla strada, Lula saltò fuori, si infilò in auto e partimmo.

«Le do cinquecento metri circa» disse Lula. «Sono la regina del fora-e-fuggi.»

Sulla strada riuscivo ancora a vedere Joyce. Non c’era traffico e lei era a solo un isolato di distanza da me. Le sue luci posteriori dondolarorio e l’auto cominciò a rallentare.

«Bene, bene, bene» fece Lula.

Joyce proseguì per un altro isolato a velocità ridotta.

«Vorrebbe tanto continuare a guidare con quella gomma sgonfia» disse Lula «ma è preoccupata per la sua bella fuoristrada nuova fiammante.»

Le luci dei freni lampeggiarono di nuovo e Joyce accostò al marciapiede. Eravamo dietro di lei di un isolato, con le luci spente, apparentemente parcheggiate. Joyce era scesa e aveva girato dietro all’auto quando un furgoncino sfrecciò di fianco a me e frenò bruscamente vicino a lei. Due uomini saltarono fuori a pistole spianate. Uno puntò l’arma su Joyce e l’altro afferrò Morgan nell’attimo stesso in cui mise piede fuori dall’auto.

«Che diavolo succede?» disse Lula. «Che cosa succede, cazzo?»

Erano Habib e Mitchell. Credevano di aver catturato Ranger.

Morgan venne caricato sul furgoncino che partì a tutta velocità.

Lula e io rimanemmo sedute in silenzio, sotto shock, senza sapere che cosa fare.

Joyce strillava e agitava le braccia. Alla fine diede un calcio alla gomma sgonfia, risalì sulla fuoristrada e, penso, fece una telefonata.

«Era andato tutto bene» disse Lula alla fine.

Io feci retromarcia lungo l’isolato, a luci spente, poi svoltai l’angolo e me ne andai. «Dove pensi che ci abbiano beccate?»

«Deve essere stato a casa mia» disse Lula. «Probabilmente non hanno voluto muoversi finché eravamo in due. E poi sono stati davvero molto fortunati quando la gomma di Joyce si è sgonfiata.»

«Non penseranno più di essere tanto fortunati quando scopriranno che quello che hanno preso è Morgan.»


Dougie e il Luna stavano giocando a Monopoli quando tornai a casa loro. «Pensavo che tu lavorassi allo Shop Bag» dissi al Luna. «Ma perché non sei mai lì?»

«Non ho avuto fortuna, mi hanno licenziato, piccola. Ti dico una cosa: questo è un grande Paese. In quale altro posto succede che un tonto come me sia pagato per non lavorare?»

Andai in cucina e telefonai a Joe. «Sono a casa di Dougie» gli dissi. «Ho avuto un’altra notte pazzesca.»

«Be’, non è ancora finita. Tua madre ha telefonato qui quattro volte nel giro di un’ora. Sarà meglio che tu la richiami.»

«Che cos’è successo?»

«Tua nonna è uscita per un appuntamento e non è ancora tornata, e tua madre sta perdendo la testa.»

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