V PARADISO

La cupola era una forma tozza e aliena che non aveva posto là, sotto il cielo baluginante di nebbia purpurea di Giove, era una costruzione rannicchiata e spaventata che pareva farsi piccola e confondersi di fronte all’immensità del pianeta.

La creatura che era stata Kent Fowler stava diritta sulle sue zampe enormi e massicce.

Una cosa aliena, pensò. La considero una cosa aliena. Ecco fino a qual punto mi sono allontanato dalla razza umana. Perché non è aliena, non è per niente aliena. No, non è aliena, per me. È il luogo dove ho fatto i miei piani e ho pensato al futuro e ho cercato risposte e ho formulato domande. È il luogo che io ho lasciato… con paura. Ed è il luogo al quale io torno… come un animale braccato, e pieno di paura.

Come un animale braccato, braccato dal ricordo della gente che era con me prima che io diventassi la ’cosa’ che sono ora, prima che io conoscessi ciò che è possibile raggiungere quando non si è un essere umano… prima che io scoprissi la pienezza di vita e di sensazioni e di piacere che non sono e non saranno mai per gli uomini, se gli uomini non rinunceranno a essere uomini.

Towser si agitò, inquieto, accanto a lui, e Fowler avvertì l’amicizia calda e piena della creatura che un tempo era stata un cane, l’amicizia e il cameratismo e l’amore che forse erano esistiti sempre, ma che non erano mai stati espressi, non erano mai stati conosciuti appieno fino a quando loro erano stati un uomo e un cane.

I pensieri del cane entrarono nella mente di Fowler, si insinuarono gentilmente nel corso dei suoi pensieri.

«Non puoi fare questo, amico,» disse Towser.

La risposta di Fowler fu quasi un lamento.

«Ma devo farlo, Towser. È per questo che sono uscito dalla cupola. Per scoprire qual è il vero aspetto di Giove, per apprendere la sua vera natura. E adesso posso ritornare a dirlo, adesso posso ritornare con quello che ho scoperto.»

Avresti dovuto farlo già da molto tempo, disse una voce profondamente nascosta dentro di lui, una voce umana debole e lontana che lottava per giungere fino a lui, attraverso il suo essere che ormai apparteneva a Giove. Ma sei stato un vile e hai rimandato… e hai continuato a rimandare. Sei fuggito perché avevi paura di tornare indietro. Avevi paura che ti facessero tornare a essere uomo.

«Mi sentirò solo,» disse Towser, ma non furono parole e non furono suoni. Non parole… invece, un senso di solitudine, un pianto disperato per la separazione vicina. Come se, per un momento, Fowler si fosse proteso e avesse condiviso la mente di Towser.

Fowler rimase in silenzio, immobile, mentre la ripugnanza cresceva dentro di lui. Ripugnanza, al pensiero di tornare a essere un uomo… di tornare a vivere in quel misero involucro che era il corpo umano, di tornare a pensare in quello strumento inadeguato che era la mente umana.

«Verrei con te,» gli disse Towser, «Ma so che non riuscirei a sopportarlo. Potrei morire prima di tornare qui, prima di tornare a essere come sono ora. Ero alla fine dei miei giorni, e alla fine delle mie forze, ricordi? Ero vecchio e pieno di pulci. Avevo i denti logori che stavano per cadere, e la digestione era sempre una sofferenza infinita. E facevo dei sogni terribili. Quando ero cucciolo mi divertivo a dare la caccia ai conigli, ma verso la fine erano i conigli a dare la caccia a me.»

«Tu rimani qui,» disse Fowler. «Io tornerò indietro…»

Se riuscirò a convincerli, pensò. Se riuscirò a farli comprendere. Se riuscirò a spiegare quello che ho visto e quello che ho sentito e l’esperienza che ho vissuto.


Sollevò la testa massiccia e guardò la distesa ondulata delle colline che facevano corona agli alti picchi montani avvolti dal manto di nebbia rosa e purpurea. Un lampo veloce tracciò la sua linea serpentina, attraverso il cielo, e le nubi e la nebbia furono rischiarate da un palpito di fuoco sublime, un palpito d’estasi che sbocciò tutt’intorno e cambiò i colori sempre mutevoli di Giove, scemando poi in un fuoco d’artificio di indescrivibili meraviglie.

Spinse avanti il suo corpo pesante, lentamente, con riluttanza infinita. Un fiore di profumo sbocciò nel prato fertile del vento, scese fino a lui portato dalle ali della brezza, e il suo corpo sembrò suggere l’aroma dolcissimo… parve diventare per un istante il profumo, e sbocciare anch’esso nel vento, tra le colline di porpora e d’oro, sul grande prato dai colori mutevoli. Eppure quello che sentiva non era un profumo… anche se quella parola era la definizione più vicina al vero che lui possedesse, anche se quella parola bastava a esprimere, sia pure confusamente, quello che lui sentiva e quello che gli era sbocciato nel corpo, nel suo corpo che lo aveva colto dal prato fertile del vento. Negli anni futuri il genere umano avrebbe dovuto scoprire un nuovo vocabolario, avrebbe dovuto inventare nuovi termini per esprimere ciò che Giove offriva.

Com’era possibile, si chiese, spiegare la nebbia che avvolgeva la landa nei suoi vapori umidi e mutevoli, e com’era possibile spiegare il profumo ch’era pura delizia? Gli uomini avrebbero capito più facilmente delle altre cose, ne era sicuro. Il fatto che nessuno dovesse mangiare, che nessuno dovesse dormire, che nessuno dovesse più angustiarsi per l’infinita gamma di nevrosi depressive delle quali l’uomo era sempre vittima. Avrebbero compreso queste cose, perché erano cose spiegabili in termini semplici e chiari, cose che potevano essere spiegate nel linguaggio che già esisteva.

Ma le altre cose… gli elementi per spiegare i quali sarebbe stato necessario l’uso di un nuovo vocabolario… come avrebbe potuto spiegarle? Le emozioni che l’Uomo non aveva mai conosciuto. Le capacità fisiche e morali che l’Uomo non aveva mai sognato. La chiarezza cristallina della mente, e la comprensione piena… la capacità di sfruttare il proprio cervello fino all’ultima cellula. Le cose che si sapevano e che si potevano fare, mentre l’Uomo non avrebbe mai potuto farle perché il suo corpo era privo dei sensi che le rendevano possibili e comprensibili.

«Scriverò tutto,» si disse. «Avrò tempo, e potrò scrivere tutto.»

Ma la scrittura, capì con un brivido, era uno strumento misero e inadeguato.

L’occhio di una telecamera sporgeva dall’involucro cristallino della cupola, e con un balzo lui si avvicinò a esso. Rivoletti di nebbia condensata vi scorrevano sopra, e lui si alzò, ritto sulle zampe posteriori per guardare direttamente nell’occhio elettronico.

Lui non poteva vedere niente, ma gli uomini che si trovavano all’interno avrebbero potuto vederlo. Gli uomini che stavano sempre di guardia, che fissavano senza pause la brutale distesa di Giove, con i suoi uragani ruggenti e le piogge di ammoniaca, e la lunga, eterna processione gravida di morte delle nubi di metano mortale, la processione che sfilava a ogni istante portata dalle ali del ciclone. Perché gli uomini riuscivano a vedere Giove solo in questo modo.

Alzò una zampa anteriore e scrisse rapidamente sul pannello della telecamera offuscato dal vapore… scrisse a rovescio.

Dovevano sapere chi era lui, perché non ci fosse alcun errore. Dovevano sapere quali coordinate dovevano usare. Altrimenti avrebbero potuto riconvertirlo nel corpo sbagliato, usare la matrice sbagliata, e lui sarebbe ritornato a essere uomo nel corpo di un altro… del giovane Allen, forse, o di Smith, o di Pelletier. E questo avrebbe potuto essere fatale.

La pioggia d’ammoniaca continuò a cadere, battente e implacabile, e portò via le parole scritte sul vapore, e lui tornò a scriverle.

Loro avrebbero capito quel nome. Avrebbero capito che uno degli uomini che erano stati convertiti in Rimbalzanti era tornato indietro per fare il suo rapporto.

Si calò al suolo e si girò con un guizzo, fissando la porta che conduceva all’unità di conversione. La porta si mosse lentamente, aprendosi.

«Addio, Towser,» disse Fowler, con dolcezza.

Un grido di avvertimento si levò nel suo cervello: Non è ancora troppo tardi. Non sei ancora entrato. Puoi ancora cambiare idea. Puoi ancora voltarti e correre e fuggire, fuggire…

Andò avanti, ormai deciso, stringendo mentalmente i denti. Sentì il pavimento metallico sotto le sue zampe soffici, sentì che la porta si chiudeva dietro di lui. Raccolse un ultimo pensiero, un frammento di pensiero, e capì che veniva da Towser, e poi ci fu soltanto l’oscurità.

La camera di conversione si trovava proprio davanti a lui, e lui cominciò a salire per il piano inclinato, per raggiungerla.

Un uomo e un cane uscirono, un giorno, pensò, e adesso l’uomo ritorna.


La conferenza stampa era andata molto bene. C’erano state molte cose soddisfacenti da riferire ai rappresentanti della pubblica opinione.

Sì, aveva detto Tyler Webster ai giornalisti, i disordini su Venere erano stati sedati. Si era soltanto trattato di mettere le parti in causa intorno al tavolo delle trattative e di farle discutere, e tutto era stato sistemato. Gli esperimenti biologici che si svolgevano ai confini del Sistema, nei gelidi laboratori di Plutone, stavano progredendo in maniera del tutto soddisfacente. La spedizione per Alfa del Centauro sarebbe partita entro la data prevista, malgrado le voci diffuse in giro sugli inconvenienti occorsi, che esistevano soltanto nella fantasia. La commissione economica avrebbe presto emanato dei decreti sui prezzi di certi prodotti interplanetari, ponendo fine così alle disparità che ancora esistevano.

Niente di sensazionale. Niente di roboante, per le prime pagine e per i titoli di scatola. Niente che potesse cambiare l’ordine dei programmi dei mezzi d’informazione.

«E Jon Culver mi ricorda,» disse Webster, «Di fare presente ai signori rappresentanti della stampa che oggi ricorre il centoventicinquesimo anniversario dell’ultimo omicidio commesso nell’intero Sistema Solare. Centoventicinque anni senza una sola morte causata da un atto di violenza premeditato.»

Si appoggiò allo schienale della poltrona e sorrise ai giornalisti, mascherando con quel sorriso la cosa che temeva più di tutte, la domanda che sarebbe venuta, lo sapeva, che sarebbe venuta e alla quale avrebbe dovuto rispondere.

Ma non erano ancora pronti a fare quella domanda… c’era una tradizione da osservare… una tradizione molto piacevole.

Il corpulento Stephen Andrews, capo del servizio stampa dell’Agenzia Interplanetaria d’Informazione, si schiarì la voce come se fosse stato sul punto di fare un annuncio importante, e poi domandò in un tono grave ch’era ben simulato per produrre un effetto comico:

«E come sta l’erede?»

Un sorriso rischiarò il viso di Webster.

«Tornerò a casa per la fine settimana,» disse. «Ho comprato un nuovo giocattolo per mio figlio.»

Allungò una mano, e sollevò il corto cilindro dalla scrivania.

«Un giocattolo all’antica,» disse. «Antichità garantita… Una società ha cominciato da poco a immetterlo sul mercato. Lo appoggiate all’occhio, e lo girate, e vedete delle immagini bellissime. Pezzi di vetro colorato che cambiano posto continuamente, formando immagini sempre diverse. Il giocattolo ha un nome…»

«Caleidoscopio,» disse uno dei giornalisti, velocemente. «Ho letto qualcosa su questi giocattoli. In un vecchio libro di storia, sulle usanze e i costumi del ventesimo secolo.»

«L’ha già usato, signor presidente?» domandò Andrews.

«No,» disse Webster. «Per dirle la verità, non l’ho ancora provato. L’ho acquistato nel pomeriggio, e sono stato troppo occupato.»

«Dove l’ha trovato, signor presidente?» domandò una voce. «Voglio prenderne uno anch’io per mio figlio.»

«L’ho comprato al negozio che si trova proprio all’angolo. Il negozio dei giocattoli, l’avrete visto anche voi. Sono arrivati oggi.»

E adesso, secondo la tradizione, era il momento di chiudere la conferenza stampa. I giornalisti se ne sarebbero andati. Qualche altro minuto di conversazione amichevole, informale, e poi si sarebbero alzati dai loro posti e se ne sarebbero andati.

Ma non se ne andavano… e lui sapeva benissimo che non se ne sarebbero andati. Se ne rese conto dall’improvviso silenzio e dal fruscio dei fogli mossi per coprire l’improvviso silenzio.

E poi Stephen Andrews gli fece la domanda che Webster aveva temuto. Per un istante Webster fu lieto che fosse stato Andrews a parlare. Andrews era sempre stato un amico, in un certo senso, e l’Agenzia Interplanetaria trattava le notizie con grande obiettività, senza quelle parole tortuose che venivano usate per confondere e intricare le cose dai maggiori esponenti della cosiddetta ’stampa interpretativa’.

«Signor Presidente,» disse Andrews. «Ci è giunta notizia che un uomo, sottoposto a conversione su Giove, è ritornato sulla Terra. Vorremmo chiederle se l’informazione è vera.»

«È vera,» disse Webster, rigidamente.

I giornalisti aspettarono e Webster aspettò, immobile sulla sua poltrona.

«Desidera commentare la notizia?» chiese alla fine Andrews.

«No,» disse Webster.

Webster si guardò intorno, lasciò scorrere lo sguardo sui volti che riempivano la stanza. Volti tesi, che percepivano una parte della verità che si nascondeva dietro il suo reciso rifiuto di discutere l’argomento. Volti divertiti, che mascheravano dei cervelli che perfino in quel momento, così, a caldo, stavano pensando a come distorcere le poche parole che lui aveva pronunciato, a come usarle per dare un tono sinistro al suo discorso. Volti furibondi, che avrebbero scritto degli articoli ’interpretativi’ oltraggiati, sul diritto che il popolo aveva di conoscere sempre la verità.

«Mi dispiace, signori,» disse Webster.

Andrews si alzò pesantemente dal suo posto.

«Grazie, signor presidente,» disse.


Webster sedette sulla sua poltrona e li seguì con lo sguardo, mentre abbandonavano la stanza, e percepì il gelo e il vuoto di quella stanza, dopo la loro uscita.

Mi metteranno in croce, pensò. Mi inchioderanno alla porta del fienile e io non ho nulla con cui rispondere, con cui reagire. Non ho un solo argomento con cui ribattere.

Si alzò dalla poltrona e camminò lentamente attraverso la stanza, si fermò davanti alla finestra, guardò fuori, guardò il giardino che dormiva pigramente sotto il sole del pomeriggio.

Eppure, semplicemente, lui non poteva dire la verità.

Il paradiso! Bastava chiedere e si otteneva il regno dei cieli! E la fine dell’umanità con esso. La fine di tutti gli ideali e di tutti i sogni del genere umano, la fine della stessa razza.

La luce verde si accese sulla sua scrivania e si udì un sommesso ronzio, e Webster si voltò e ritornò al suo posto.

«Cosa succede?» domandò.

Il piccolo schermo si accese e apparve un viso.

«I cani hanno comunicato in questo momento, signore, che Joe, il mutante, si è recato nella sua residenza, e Jenkins l’ha fatto entrare.»

«Joe! Ne è sicuro?»

«È quello che dicono i cani. E i cani non sbagliano mai.»

«No,» disse Webster, lentamente, «No, i cani non sbagliano mai.»

Il viso svanì dallo schermo, e Webster sedette stancamente, pesantemente.

Con dita intorpidite raggiunse il piccolo quadro di comando che si trovava sul piano della scrivania, e formò la combinazione, senza neppure guardare.

La casa apparve, enorme e massiccia, sullo schermo, la casa che si trovava nell’America del Nord e stava appollaiata sulla cima della collina battuta dal vento. Una costruzione che sorgeva lassù da quasi mille anni. Un luogo nel quale una lunga teoria di Webster aveva vissuto e sognato ed era morta.

In alto, nell’azzurro sopra la casa, un corvo stava volando e Webster udì, o gli parve di udire, il richiamo portato dal vento dell’uccello nero che tracciava ampie spirali nel cielo.

Tutto era normale… apparentemente. La casa sonnecchiava sotto il sole del mattino, e la statua sorgeva ancora sul prato… la statua di un antenato morto da tanto tempo, che era scomparso sulla strada scintillante delle stelle. Allen Webster, che era stato il primo a lasciare il Sistema Solare, diretto ad Alfa del Centauro… la stessa destinazione della spedizione che tra un giorno o due sarebbe partita da Marte.

La casa era immota, l’aria era immota intorno alla casa, non c’era alcun segno di vita intorno; l’erba era come raggelata nell’aria senza vento, e la scena pareva fissata per sempre, eterna e immutabile.

Webster mosse la mano e cancellò la combinazione. Lo schermo si spense.

Jenkins può affrontare la situazione, pensò. Probabilmente meglio di quanto possa farlo un uomo. Dopotutto, in quel suo corpo di metallo è racchiusa la saggezza di quasi mille anni, è racchiusa l’esperienza di dieci lunghi secoli. Jenkins mi chiamerà tra poco, per farmi sapere quel che sta succedendo.

La sua mano si mosse di nuovo, e formò una nuova combinazione.

Aspettò per diversi secondi, lunghissimi secondi, prima che il volto apparisse sullo schermo.

«Che c’è, Tyler?» domandò il volto.

«Ho appena ricevuto la notizia che Joe…»

Jon Culver annuì.

«Anch’io l’ho ricevuta adesso. Sto controllando.»

«Che cosa ne deduci?»

Il viso del capo della Sicurezza Mondiale si raggrinzì in un’espressione perplessa.

«Forse comincia a cedere, ad addolcirsi. Abbiamo dato ben poca tregua a Joe e agli altri mutanti. I cani hanno svolto un lavoro davvero di prim’ordine.»

«Ma non ci sono stati segni di cedimento,» protestò Webster. «Da tutti i dati in nostro possesso non emerge un solo elemento che possa far pensare a una svolta della situazione.»

«Ascolta,» disse Culver. «Non hanno potuto tirare il fiato una sola volta, in più di cento anni, senza che noi lo sapessimo. Abbiamo trascritto, nero su bianco, tutto quello che loro hanno fatto. Abbiamo bloccato sul nascere tutte le loro mosse. All’inizio avranno dato la colpa alla sfortuna, ma adesso sanno che non si tratta soltanto di sfortuna. Forse hanno deciso che è inutile continuare, che sono stati sconfitti.»

«Non credo,» disse Webster, in tono solenne. «Appena quei bambini troppo cresciuti decidono di essere sconfitti, tu farai sempre bene a guardare dove metti i piedi.»

«Cercherò di saperne di più,» gli disse Culver. «Ti terrò sempre informato.»

Lo schermo impallidì e ritornò a essere soltanto un quadrato di vetro. Webster lo fissò, scuro in viso.

I mutanti non si dichiaravano battuti… ne era sicuro. Lo sapeva anche Culver, questo. Eppure…

Perché Joe era andato da Jenkins? Perché non si era messo in contatto con il governo, laggiù a Ginevra? Per salvare la faccia, forse. Trattare per mezzo di un robot. Dopotutto, Joe conosceva Jenkins da tanto, tanto tempo.

Webster, irrazionalmente, non riuscì a reprimere un sentimento di orgoglio. Orgoglio perché, se le cose stavano così, Joe era andato da Jenkins. Perché Jenkins, malgrado la sua pelle di metallo, era anche lui un Webster.

Orgoglio, pensò Webster. Trionfi ed errori. Ma che avevano sempre contato, avevano sempre inciso sulla razza. Ciascuno di loro, nel corso degli anni, dei lunghi anni senza fine, aveva provato orgoglio, era salito in alto ed era caduto, aveva raggiunto i suoi trionfi e aveva commesso i suoi errori. Jerome, che aveva fatto perdere al mondo la filosofia di Juwain. E Thomas, che aveva dato al mondo il principio del volo interstellare, che adesso era stato perfezionato e messo a disposizione della razza. E il figlio di Thomas, Allen, che aveva tentato di percorrere la via delle stelle e aveva fallito. E Bruce, che per primo aveva concepito le civiltà gemelle dell’uomo e del cane. E sempre gli errori si erano mescolati ai trionfi, sempre l’orgoglio aveva conosciuto le sue vittorie. E adesso, finalmente toccava a lui… a Tyler Webster, Presidente della Commissione Mondiale.

Seduto dietro la sua scrivania, intrecciò le mani sul piano levigato, le strinse con forza, guardò la luce più fievole della sera versarsi come acqua cristallina dalla finestra.

Stava aspettando, e non aveva difficoltà a confessarlo davanti a se stesso. Aspettava il ronzio e la luce verde del segnale, il segnale che gli avrebbe annunciato che Jenkins lo stava chiamando per informarlo di quanto aveva detto Joe. Se soltanto…

Se soltanto fosse stato possibile raggiungere un punto d’intesa. Se soltanto i mutanti e gli uomini avessero potuto trovare un accordo, per vivere e lavorare insieme. Se avessero potuto dimenticare quella guerra mai dichiarata e nascosta fatta di mosse subitanee che nascondevano la posizione di stallo, se soltanto avessero potuto dimenticare gli errori e le incomprensioni e l’impotenza ad agire, avrebbero potuto andare lontano, tutti e tre insieme… l’uomo e il cane e il mutante.

Webster scosse il capo. Era troppo, non poteva attendersi tanto. La differenza era troppo grande, l’abisso che li divideva era troppo profondo, il solco scavato tra loro era troppo ampio. Il sospetto da parte degli uomini e l’ironia tollerante da parte dei mutanti avrebbero tenuto divise le due specie. Perché i mutanti erano una razza diversa, un germoglio che si era diviso dal tronco, che era andato lontano, troppo lontano. Degli uomini che erano diventati dei veri individui singoli senza alcun bisogno di una società, senza alcun bisogno dell’approvazione umana, completamente privi dell’istinto gregario che teneva unita la razza, degli uomini che erano immuni dalle pressioni sociali.

E a causa dei mutanti l’esiguo manipolo dei cani evoluti, fino a quel momento, era stato di ben lieve incidenza pratica sulla vita del fratello maggiore del cane, l’uomo. Perché i cani erano stati, per più di cento anni, i guardiani e i poliziotti che avevano tenuto sotto controllo i mutanti umani.

Webster spostò un po’ indietro la sua poltrona, aprì un cassetto della scrivania, estrasse un fascio di fogli.

Tenendo d’occhio lo schermo, formò la combinazione della sua segretaria.

«Sì, signor Webster.»

«Io vado dal signor Fowler,» disse Webster. «Se qualcuno mi chiamasse, nel frattempo…»

La voce della segretaria ebbe solo un lieve tremito.

«Se qualcuno dovesse chiamarla, signore, la informerò immediatamente.»

«Grazie,» disse Webster.

Cancellò la combinazione.

Ne hanno già sentito parlare, pensò. Tutti quelli che si trovano nell’edificio, nessuno escluso, stanno aspettando a bocca aperta e con la lingua penzoloni… stanno aspettando la notizia.


Kent Fowler riposava su un comodo sdraio, nel giardino che si stendeva fuori della sua camera, e seguiva con lo sguardo il piccolo terrier nero che scavava freneticamente nel terreno, alla ricerca di un coniglio immaginario.

«Sai, Vagabondo,» disse Fowler, «Tu non riesci a ingannarmi.»

Il cane smise di scavare, si voltò a guardare l’uomo mostrando i denti candidi in una smorfia lieta, e abbaiò eccitato. Poi ricominciò a scavare.

«Farai un errore, uno di questi giorni,» gli disse Fowler. «E dirai una parola, una sola, e allora ti tirerò il collo, stai sicuro.»

Vagabondo continuò a scavare.

Piccolo demonio astuto, pensò Fowler. Più astuto di una volpe. Webster me l’ha messo alle costole e lui ha recitato la sua parte, certo. Scava per cercare talpe e conigli, non ha rispetto per l’erba e i cespugli, e si è grattato per liberarsi dalle pulci… l’immagine perfetta del cane perfetto. Ma io ho capito il suo gioco. Io ho capito il gioco di tutti quanti.

Un passo si udì sull’erba, e Fowler sollevò lo sguardo.

«Buonasera,» disse Tyler Webster.

«Mi chiedevo quando sarebbe venuto,» disse Fowler seccamente. «Si sieda e mi dica tutto… senza parafrasi. Lei non mi crede, vero?»

Webster si sdraiò comodamente sulla sedia a sdraio vicina a quella di Fowler, e si posò sulle ginocchia il fascio di fogli.

«Capisco perfettamente i suoi sentimenti,» disse.

«Ne dubito molto,» disse Fowler, bruscamente. «Io sono venuto qui, portando delle notizie che ritenevo di grande importanza. Per venire a fare il mio rapporto ho dovuto compiere un sacrificio superiore a quanto lei possa immaginare.»

Si mise a sedere, protendendosi verso Webster.

«Mi chiedo se lei può capire che ogni ora che io passo nella forma di un essere umano significa per me un’autentica tortura mentale.»

«Mi dispiace,» disse Webster. «Ma dovevamo essere sicuri. Dovevamo controllare il suo rapporto.»

«E fare certi controlli?»

Webster annuì.

«Come il suo Vagabondo, lì?»

«Il suo nome non è Vagabondo,» disse Webster, gentilmente. «Se lo ha chiamato così, ha ferito i suoi sentimenti. Tutti i cani possiedono dei nomi umani. Questo si chiama Elmer.»

Elmer aveva smesso di scavare, e trotterellò verso di loro. Si accucciò accanto allo sdraio di Webster, e si pulì il muso sporco di terra con una zampa imbrattata di fango.

«Che cosa mi dici, Elmer?» chiese Webster.

«È umano, certo,» disse il cane. «Ma non completamente. Non è neppure un mutante. Ma qualcosa di diverso. Qualcosa di alieno.»

«Era immaginabile,» esclamò Fowler. «Dopotutto sono stato un Rimbalzante per cinque anni.»

Webster annuì.

«Lei conserva parte della sua personalità gioviana. È comprensibile. E il cane è in grado di individuare questa sua diversità. I cani sono molto sensibili a queste cose. Hanno poteri quasi medianici. È per questo che li abbiamo messi a sorvegliare i mutanti. Ne possono fiutare uno a qualsiasi distanza.»

«Lei intende dire che mi crede?»

Webster sfogliò distrattamente i fogli che teneva sulle ginocchia, e poi li lisciò accuratamente, lentamente.

«Temo di sì.»

«Perché ha detto ’temo’?»

«Perché,» disse Webster, «Lei è la più grande minaccia che il genere umano abbia mai dovuto affrontare.»

«Minaccia! Ma si rende conto di quello che dice? Io le sto offrendo… io le sto offrendo…»

«Sì, lo so,» disse Webster. «La parola giusta è Paradiso.»

«E lei ha paura di questo

«Una paura folle, cieca, terribile,» disse Webster. «Ne sono terrificato. Provi a immaginare cosa accadrebbe, se noi lo dicessimo al popolo e il popolo credesse alle nostre parole. Tutti vorrebbero andare su Giove per diventare Rimbalzanti. Il solo fatto che, apparentemente, i Rimbalzanti godono di una vita lunga diverse migliaia di anni, sarebbe un motivo sufficiente, anche se non ce ne fossero altri.

«Ci troveremmo di fronte a una richiesta di trasformare in Rimbalzanti tutti i cittadini del Sistema Sciare. Tutti chiederebbero di venire immediatamente mandati su Giove. Nessuno vorrebbe restare un essere umano. Alla fine non ci sarebbero più esseri umani… tutti gli esseri umani sarebbero dei Rimbalzanti. Aveva pensato a questo?»

Fowler si passò nervosamente la lingua sulle labbra.

«Certo. Era quello che mi aspettavo.»

«La razza umana sparirebbe,» disse Webster, parlando in tono uniforme. «Sarebbe spazzata via. Sarebbe la fine di tutto il progresso che l’uomo ha conquistato in migliaia di anni di storia. La razza umana scomparirebbe proprio nel momento in cui si trova sull’orlo delle più grandi conquiste.»

«Ma lei non sa,» protestò Fowler; «Lei non può sapere. Lei non è mai stato un Rimbalzante. Io sì.» Si batté la mano sul petto. «Io so cosa significa. Io so com’è.»

Webster scosse il capo.

«Non voglio discutere su questo. Sono pronto a concedere che sia meglio essere un Rimbalzante che un essere umano. Non posso essere d’accordo, però, sull’idea di giustificare l’annullamento della razza umana… sulla possibilità di rinunciare a tutto ciò che l’umanità ha fatto in passato e potrà fare in futuro in cambio di quello che potrebbero fare i Rimbalzanti. La razza umana si sta muovendo, sta andando avanti. Forse non nella maniera piacevole né con le idee chiare né con la gloriosa bellezza dei suoi Rimbalzanti, ma ho il presentimento che, in prospettiva futura, alla fine sarebbe l’Uomo ad arrivare più lontano. La nostra razza, porta un’eredità e un destino che non possiamo gettare via.»

Fowler si protese ancora di più verso Webster.

«Mi ascolti,» disse. «Sono stato onesto. Sono venuto subito da lei e dalla Commissione Mondiale. Avrei potuto informare la stampa e le grandi agenzie d’informazione, per forzarvi la mano, ma non l’ho fatto.»

«Lei intende dire,» suggerì Webster, «Che la Commissione Mondiale non ha il diritto di decidere da sola, in questa situazione. Lei intende dire che anche il popolo dovrebbe dire la sua, prima che sia raggiunta una decisione.»

Fowler annuì, stringendo le labbra in una sottile fessura.

«Le dirò, sinceramente,» disse Webster, «Che non mi fido del popolo. Come reazione, otterrebbe l’esplosione di un isterismo di massa. Ciascuno penserebbe a se stesso. Nessuno penserebbe alla razza, ai destini dell’umanità, ma soltanto a se stesso.»

«Mi sta per caso dicendo,» domandò Fowler, «Che io ho ragione, ma lei non può farci niente?»

«Non proprio. Dovremo escogitare qualcosa. Forse Giove potrebbe diventare una specie di immensa casa di riposo per vecchi. Dopo avere vissuto una vita utile, un uomo potrebbe…»

«Una ricompensa,» disse, seccamente. «Il vecchio cavallo mandato al pascolo, dopo aver tirato il carro per tanti anni. Il paradiso ottenuto per dispensa speciale.»

«In questo modo,» gli spiegò Webster, «Potremmo salvare la razza umana e, nello stesso tempo, non perderemmo quello che Giove ha da offrirci.»

Fowler si alzò in piedi, bruscamente.

«Sono nauseato,» disse. «Sono ritornato a portarvi una cosa che volevate sapere. Per saperla avete speso miliardi di dollari e, per quello che ne sapevate, centinaia di vite umane… perché non sapevate dei Rimbalzanti, perché non sapevate della vita che si può vivere su Giove. Ma voi, tutti voi, volevate sapere, e non vi siete fermati. Avete piazzato delle stazioni di conversione dappertutto, su Giove, e avete mandato uomini a dozzine sulla faccia del pianeta, e questi uomini non sono mai tornati indietro e voi li avete creduti morti, ma avete continuato a mandarne degli altri. E nessuno è tornato indietro… perché quegli uomini non volevano tornare indietro, perché non potevano tornare indietro, perché non potevano sopportare l’idea nauseante di tornare a essere uomini. E poi sono tornato io, e a che cosa è servito? Che cosa ho concluso? Che cosa ho ottenuto? Chiacchiere, parole vuote, bei discorsi inutili che riempiono la bocca… un sacco di idiozie… e poi lunghi interrogatori, e poi il dubbio e poi l’incredulità per le mie dichiarazioni. E infine lei mi viene a dire che ho ragione, ma che ho commesso un errore a tornare. È questo che mi vuole dire, vero? Che ho sbagliato a tornare?»

Le braccia gli ricaddero sui fianchi, e le spalle gli si curvarono.

«Sono libero, suppongo,» disse. «Non vedo per quale motivo dovrei restare qui.»

Webster annuì, lentamente.

«Certo, lei è libero. È stato sempre libero, fin dall’inizio. Le avevo chiesto soltanto di restare, fino a quando non avessimo potuto compiere i nostri controlli.»

«Potrei ritornare su Giove?»

«Alla luce attuale delle cose,» disse Webster, «Questa potrebbe essere una buona idea.»

«Sono stupito che non sia stato lei a suggerirla,» disse Fowler, amaramente. «Sarebbe una via d’uscita, per lei. Potrebbe archiviare il rapporto e dimenticarsene, e continuare a governare il suo Sistema Solare come se si trattasse del gioco di un bambino, grande governatore del salotto buono di casa. La sua famiglia ha incespicato per secoli attraverso errori enormi, è andata avanti pesantemente sulla strada della storia, e adesso il popolo ha chiamato lei, per commettere nuovi errori, per completare l’opera già iniziata. Uno dei suoi antenati ha fatto perdere al mondo la filosofia di Juwain, e un altro ha bloccato il tentativo di collaborare con i mutanti…»

Webster parlò con voce dura:

«Lasci fuori me e la mia famiglia da questa situazione, Fowler! È una cosa più grande…»

Ma Fowler stava gridando, adesso, in un’esplosione di collera impotente, e le sue grida sommergevano la protesta di Webster.

«Ma io non le permetterò di rovinare anche questa occasione. Il mondo ha già perso troppe cose, ha già sofferto troppo, per colpa di voi Webster. Adesso il mondo avrà l’occasione di liberarsi. Dirò tutto quello che so al popolo, parlerò di Giove e della vita che si vive lassù. Lo dirò alla stampa e alle agenzie d’informazione. Lo griderò dai tetti delle case. Lo griderò…»

La sua voce si spezzò e le spalle furono scosse da un silenzioso singhiozzo.

La voce di Webster era gelida, piena d’un’ira improvvisa.

«Io la combatterò, Fowler. Farò di tutto per combatterla, ricorrerò a qualsiasi mezzo. Non posso permetterle di fare una cosa simile.»

Fowler si voltò di scatto, e camminò a lunghi passi verso il cancello.

«Devo prenderlo, capo?» domandò Elmer. «Devo andare a prenderlo?»

Webster scosse il capo.

«Lascialo andare,» disse. «Ha il mio stesso diritto di fare le cose che ritiene più opportune.»

Un vento gelido entrò nel giardino e agitò la cappa sulle spalle di Webster.

Le parole pulsavano tremende nel suo cervello… parole che erano state pronunciate là, in quel giardino, pochi secondi prima, ma che venivano da secoli lontani, e che bruciavano come la prima volta. Uno dei suoi antenati ha fatto perdere all’umanità la filosofia di Juwain. Uno dei suoi antenati…

Webster strinse i pugni con rabbia, finché le unghie non penetrarono nella carne.

Una maledizione, pensò Webster. Ecco quello che siamo. Una maledizione per il genere umano. La filosofia di Juwain. E i mutanti. Ma ormai erano secoli che i mutanti possedevano la filosofia di Juwain, e non l’avevano mai usata. Joe l’aveva rubata a Grant, e Grant aveva trascorso la vita intera cercando di averla indietro. Ma la sua vita era trascorsa inutilmente, perché non l’aveva mai ritrovata.

Forse, pensò Webster, cercando di consolarsi, Forse quella filosofia non era ciò che abbiamo sempre creduto. Forse, in fondo, non era la panacea universale, il rimedio di tutti i mali. Forse, addirittura, non valeva molto. Perché se avesse avuto un valore, i mutanti l’avrebbero sfruttata. O forse… era sempre un’ipotesi possibile… forse i mutanti avevano soltanto voluto far credere di possederne il segreto.

Una voce metallica si annunciò, educatamente, con un lieve colpo di tosse, e Webster sollevò lo sguardo. Un piccolo robot grigio era in piedi sulla porta.

«La chiamata, signore,» disse il robot. «La chiamata che lei stava aspettando.»

Il viso di Jenkins apparve sullo schermo… un viso vecchio, antiquato e grottesco. Non il viso liscio e umano ostentato dai robot di ultimo modello.

«Sono spiacente di disturbare il signore,» disse Jenkins. «Ma c’è qualcosa di molto insolito. Joe è venuto qui e mi ha chiesto di servirsi del nostro visifono per chiamarla. Non mi ha voluto dire che cosa desidera, signore. Dice che si tratta solo di un saluto amichevole a un vecchio vicino.»

«Fammi parlare con lui,» disse Webster.

«Si è comportato in maniera molto insolita, signore,» insisté Jenkins. «È entrato in casa e non ha fatto altro che sedersi e alzarsi e girellare qua e là, chiacchierando di cose futili, prima di chiedere di usare il visifono. Oserei dire, se il signore me lo concede, che si tratta di un comportamento assai peculiare.»

«Lo so,» disse Webster. «Joe è peculiare, sotto moltissimi aspetti.»

Il viso di Jenkins scomparve dallo schermo e fu sostituito da un altro viso… quello di Joe, il mutante. Era un viso forte con una carnagione grinzosa come cuoio, e degli occhi grigio-azzurri che scintillavano di nascosta allegria, e dei capelli che cominciavano a ingrigire sulle tempie.

«Jenkins non si fida di me, Tyler,» disse Joe, e Webster provò subito un fremito d’irritazione per l’ironia che si nascondeva dietro le parole del mutante.

«Se è per questo,» disse bruscamente, «Nemmeno io mi fido.»

Joe fece schioccare la lingua.

«Be’, Tyler, dopotutto non ti abbiamo dato nessun fastidio, neppure il minimo inconveniente. Nessuno di noi ti ha dato un solo istante di fastidio. Tu ci hai osservati e studiati e ti sei preoccupato per la nostra esistenza, tu e i tuoi amici uomini, ma noi non abbiamo fatto del male a nessuno. Hai messo tanti cani alle nostre calcagna che ormai non possiamo più voltarci senza inciampare in uno di loro, e i vostri archivi devono essere pieni di notizie che ci riguardano, e tutti voi dovete avere tanto parlato, discusso, dovete avere fatto tanti studi e tante ipotesi su di noi, che ormai dovreste averne la nausea solo a pensarci.»

«Noi vi conosciamo,» disse Webster, accigliato. «Noi sappiamo più cose sul vostro conto di quante voi stessi ne sappiate. Sappiamo quanti siete e vi conosciamo personalmente, uno per uno. Vuoi sapere quello che uno di voi stava facendo in un determinato momento, negli ultimi cento anni o giù di lì? Chiedilo a noi, e te lo diremo.»

Dalle labbra di Joe parevano colare fiumi di melassa.

«E per tutto il tempo,» disse, «Noi pensavamo a voi con affetto. Immaginavamo che, un giorno o l’altro, avremmo voluto e potuto aiutarvi.»

«Perché non lo avete fatto, allora?» disse seccamente Webster. «Eravamo disposti a lavorare con voi, fin dall’inizio. E perfino dopo che tu hai rubato a Grant la filosofia juwainiana…»

«Rubato?» domandò Joe. «Certamente, Tyler, tu devi essere stato informato male. Noi l’abbiamo presa soltanto per studiarla meglio e completarla. C’erano tanti errori, lo sai bene. Era talmente aggrovigliata che era impossibile vederci chiaro subito.»

«Probabilmente, ci hai visto chiaro il giorno dopo averci messo le mani sopra,» disse Webster, freddamente. «Che cosa stavi aspettando? Cosa stavate aspettando, tutti? Bastava che in qualsiasi momento ci aveste offerto quella filosofia… e noi avremmo saputo che eravate con noi, e che avremmo potuto lavorare con voi. Avremmo richiamato tutti i cani, vi avremmo accettati tra noi e con noi, per lavorare insieme.»

«Davvero buffo,» disse Joe. «Che a noi non sia mai importato molto di essere accettati.»

Ed ecco che ritornava l’antica ironia, l’allegria beffarda di un uomo che era autosufficiente, perfettamente autosufficiente, che vedeva l’intero tessuto della comunità umana e dell’umana comunione d’intenti e di lavoro come un oggetto di scherno, e come una cosa buffa, una beffa grande, cosmica. Un uomo che bastava a se stesso, che era solo e che amava essere solo. Un uomo che considerava strana e buffa la razza umana, strana e buffa e, probabilmente, un po’ pericolosa… ma più buffa che mai, proprio per quel poco di pericolo che si aggiungeva al divertimento. Un uomo che non sentiva bisogno della fratellanza della razza degli altri uomini, che respingeva quella fratellanza come una cosa provinciale e patetica, ancor più provinciale e patetica dei circoli culturali del ventesimo secolo.

«Va bene,» disse Webster, in tono tagliente, «Se è questo che volete. Speravo che tu avessi da proporre qualcosa… qualcosa da offrire, per aprire uno spiraglio alla conciliazione. Non ci piacciono le cose come sono adesso… preferiremmo che fossero diverse, che la situazione fosse differente. Ma la mossa tocca a voi. Noi non possiamo farci niente.»

«Andiamo, Tyler,» protestò Joe, «È inutile prenderla su questo tono, e lo sai bene. Io credevo che magari ti avrebbe interessato sapere qualcosa sulla filosofia di Juwain. Lo so, adesso ve ne siete dimenticati un po’ tutti, ma c’è stato un tempo in cui in tutto il Sistema non si parlava d’altro, pareva una frenesia generale.»

«Bene,» disse Webster, «Avanti, dimmi quello che devi dirmi.» Il tono della sua voce lasciava capire che lui sapeva che Joe non avrebbe detto niente.

«Fondamentalmente,» disse Joe, «Voi umani siete molto soli. Non avete mai conosciuto davvero i vostri simili. Per voi è impossibile conoscere il vostro vicino, perché non possedete il denominatore comune della comprensione che, solo, potrebbe permettervi di conoscerlo. Certo, avete degli amici, ma queste amicizie sono basate su semplici emozioni, e mai su una comprensione autentica. Potete andare d’accordo tra voi, certo. Ma è la tolleranza a farvi andare d’accordo, non la comprensione. Risolvete i vostri problemi con una decisione comune, con un’intesa, ma questa intesa significa soltanto una cosa… che colui il quale possiede, tra voi, la personalità più forte e la mente più decisa, riesce a battere l’opposizione dei più deboli.»

«Cosa c’entra questo con la filosofia di Juwain?»

«Be’, c’entra, eccome,» gli disse Joe. «Perché, vedi, con la filosofia di Juwain tu riesci realmente a capire.»

«Si tratta di telepatia?» domandò Webster.

«Non proprio,» disse Joe. «Noi mutanti siamo telepatici, Ma quello di cui ti parlo adesso è qualcosa di diverso. La filosofia di Juwain fornisce la capacità di percepire il punto di vista degli altri. Non ti farà essere necessariamente d’accordo con quest’altro punto di vista, ma ti permetterà di riconoscerlo. Non solo tu saprai di che cosa sta parlando il tuo interlocutore, ma anche quali sono i suoi sentimenti sull’argomento. Con la filosofia di Juwain tu vieni costretto ad accettare la validità delle idee di un altro uomo, e a riconoscere non soltanto le parole che egli dice, ma anche i pensieri che muovono le parole.»

«Semantica,» disse Webster.

«Se proprio non hai una definizione migliore,» gli disse Joe. «In realtà la filosofia di Juwain significa che tu riesci a comprendere non solo il significato intrinseco, ma anche il significato implicito delle parole che uno pronuncia, riesci a percepire la natura dei pensieri e dei sentimenti che producono quelle parole. È quasi telepatia, ma non del tutto. Sotto certi aspetti, si tratta di una cosa perfino migliore.»

«E, Joe, che cosa hai intenzione di fare? Quali sono i tuoi…»

L’ironia riaffiorò sul viso di Joe.

«Pensaci sopra, Tyler. Rifletti per un poco… cerca di scoprire fino a qual punto desideri ciò che ti offriamo. Poi, forse, potremo discuterne.»

«Proponi un baratto?» chiese Webster.

Joe annuì.

«Immagino che ci siano anche delle trappole, nel contratto,» disse Webster.

«Un paio,» disse Joe. «Tu trovale, e poi discuteremo anche di quelle.»

«Che cosa avete intenzione di chiedere, voi mutanti?»

«Molto,» gli disse Joe. «Ma forse ne varrà la pena.»

Lo schermo si spense e Webster rimase a fissarlo con occhi che non vedevano. Delle trappole? Certo che ce n’erano. Non poteva essere altrimenti. E probabilmente il genere umano ci sarebbe cascato in pieno.

Webster chiuse gli occhi, e sentì il battito cupo del sangue che gli pulsava nel cervello.

Che cosa si era affermato della filosofia juwainiana, in quel giorno lontano nel quale essa era andata perduta? Che avrebbe fatto progredire la razza umana di centomila anni nello spazio di due brevi generazioni. Qualcosa del genere, era questo il concetto.

Forse era un po’ esagerato… ma non troppo. L’esagerazione era giustificata, giustificata dal valore dello strumento che era stato offerto al genere umano.

Gli uomini capaci di comprendersi vicendevolmente, di accettare i reciproci punti di vista per quello che essi valevano in realtà; ogni uomo capace di vedere dietro le parole, di vedere le cose con gli occhi di un altro e di accettare la concezione di un altro come se fosse stata propria. Arricchendo, anzi, la propria conoscenza con le idee degli altri: finite le incomprensioni, finiti i malintesi, finiti i pregiudizi di un’altra epoca… finite le pressioni psicologiche di coloro che deformavano ad arte la verità, passata per sempre l’epoca della falsità, dell’inganno, della mistificazione… e al posto di tutto questo una visione limpida e completa di tutti gli angoli di qualsiasi problema umano, di tutti i punti di conflitto, di tutte le diverse interpretazioni. E questo era applicabile a ogni cosa, a qualsiasi tipo di comportamento umano. A qualsiasi ramo dello scibile umano. Alla sociologia, alla psicologia, alla tecnica, a tutte le diverse sfaccettature del prisma di una civiltà complessa come quella degli uomini. Basta con le lotte nate dagli equivoci, basta con le liti fratricide, ma soltanto una valutazione onesta e sincera dei fatti e delle idee così com’erano, così come si presentavano.

Centomila anni nello spazio di due generazioni? Forse la valutazione non era stata troppo esagerata, dopotutto.

Ma… le trappole delle quali aveva parlato Joe? C’erano davvero? O si trattava, semplicemente, della beffa estrema, della trappola più grande? I mutanti intendevano veramente cedere la loro scoperta? A quale prezzo? Forse si trattava soltanto di una nuova esca, fatta ballonzolare davanti agli occhi dell’umanità, mentre dietro l’angolo i mutanti si rotolavano dal gran ridere.

I mutanti non avevano usato quello strumento. Era naturale che non l’avessero usato, perché non ne avevano realmente bisogno. Possedevano già la telepatia e, per quello che riguardava i mutanti, essa serviva perfettamente allo scopo. Quegli individualisti non avrebbero trovato molti usi per uno strumento che permetteva loro di comprendersi reciprocamente, perché a loro non importava niente di capirsi. I mutanti erano uniti, apparentemente, solo per quei contatti necessari a salvaguardare gli interessi comuni, ma questo era tutto. Lavoravano insieme per salvare la pelle, ma non trovavano niente di piacevole in questo.

Un’offerta onesta? Un’esca, una lusinga per attirare l’attenzione degli uomini da una parte, mentre un affare sporco e pericoloso veniva concluso dalla parte opposta? Semplicemente uno scherzo, una beffa crudele? O si trattava di una offerta a doppio taglio, che conteneva qualcosa di terribilmente pericoloso?

Webster scosse il capo. Era impossibile stabilirlo. Era inutile cercare di sondare i motivi che spingevano un mutante, o il suo modo di pensare.

Una luce morbida e gentile si era insinuata nelle pareti e nel soffitto dell’ufficio, era cresciuta d’intensità mano a mano che le ombre del crepuscolo s’infittivano, fuori; con il calare del giorno, il sistema d’illuminazione automatico entrava in funzione, e dalle fonti di luce nascoste irradiava una luminosità sempre più vivida. Il giorno tramontava, fuori, e la luce degli uomini appariva, nelle case degli uomini. Webster diede un’occhiata alla finestra, e vide che era già un rettangolo nero, palpitante di alcuni punticini luminosi che erano grandi lettere di insegne pubblicitarie palpitanti come stelle cadenti sull’orizzonte nero della città immersa nell’ora che seguiva il tramonto.

Allungò la mano, formò la combinazione dell’ufficio esterno, e parlò alla segretaria.

«Mi dispiace di averla trattenuta fino a quest’ora. Non mi ero accorto che fosse così tardi.»

«Non ha importanza, signore,» rispose la segretaria. «C’è una visita per lei. Il signor Fowler.»

«Fowler?»

«Sì, il signore venuto da Giove.»

«Lo so,» disse Webster, stancamente. «Gli dica di entrare.»

Aveva quasi dimenticato Fowler e la minaccia che quell’uomo rappresentava, e le minacce che aveva fatto a lui, nel pomeriggio.

Guardò, con aria assente, la sua scrivania, e vide il caleidoscopio, là dove lo aveva lasciato. Strano giocattolo, pensò. Che idea bizzarra. Una cosa semplice per le menti semplici di una volta. Ma il ragazzo ne sarebbe andato pazzo.

Allungò la mano e prese il giocattolo, lo accostò al viso, appoggiò l’occhio a un’estremità e guardò. La luce trasmessa creava un disegno di colori pazzeschi, un incubo geometrico. Diede una leggera scossa al tubo cilindrico, e il disegno cambiò. E poi, un’altra scossa…

Il suo cervello fu sconvolto da un senso improvviso di terrore, la sua mente tremò per un malessere subitaneo, e tutti i colori del caleidoscopio esplosero nella sua mente in una singola fiammata di sofferenza, un olocausto che sembrò squassare tutto il suo spirito.

Il cilindro gli sfuggì di mano e cadde e rotolò rumorosamente sulla scrivania. Webster allungò le braccia e si aggrappò al bordo della scrivania, anche se era seduto, anche se sapeva di non cadere.

E la sua mente fu attraversata da un sentimento di orrore: che giocattolo terribile per un bambino!

Il malessere diminuì e lui rimase immobile, sconvolto, con la mente nuovamente lucida, con il respiro che si faceva più regolare.

Strano, pensò. Strano che provochi un effetto simile. O si è trattato di qualcosa d’altro, e il caleidoscopio non c’entra affatto? Un malessere, forse. Il cuore che comincia a logorarsi. Sono un po’ troppo giovane per queste cose, e mi sono sottoposto agli esami periodici da pochissimo tempo. E mi hanno trovato in buone condizioni.


La porta si aprì e Webster sollevò lo sguardo.

Fowler si fece avanti, lentamente, misurando i passi, e si fermò davanti alla scrivania.

«Sì, Fowler? Che cosa voleva dirmi?»

«Me ne sono andato in collera,» disse Fowler. «E non volevo lasciare così le cose. Poteva darsi che lei mi avesse capito, ma poteva darsi anche di no. Forse mi aveva giudicato male, forse aveva pensato che mi fossi comportato nel peggiore dei modi. Vede, il fatto è che io ero sconvolto, e mi sono lasciato trasportare dall’ira. Sono tornato da Giove, pensando che, finalmente, c’era una giustificazione per tutti gli anni che io avevo trascorso nelle cupole; pensando che, finalmente, tutto il dolore e la vergogna che avevo patito quando avevo visto uscire i miei uomini, quando li avevo creduti morti, avevano ottenuto una ricompensa, la più grande di tutte le ricompense. Lei non può sapere quello che io provavo quando quei ragazzi stavano davanti a me, sull’attenti, e io dicevo loro che dovevano uscire, e tutti mi guardavano come si guarda un carnefice. Sono tornato da Giove, portando delle notizie, mi capisce?, le notizie che il mondo aspettava. Per me era la cosa più bella che mai avrebbe potuto accadere, e credevo che anche lei l’avrebbe capito. Credevo che tutto il popolo l’avrebbe capito. Era come se io fossi tornato per annunciare al genere umano che il Paradiso era dietro l’angolo… e bastava fare qualche passo per raggiungerlo. Perché è così, Webster… è proprio così.»

Posò le mani sul bordo della scrivania e si protese avanti, abbassando la voce, fino a un mormorio che risuonò rauco nel silenzio della sera.

«Lei capisce di che si tratta, vero, Webster? Lei capisce, almeno un poco.»

Le mani di Webster stavano tremando e lui le posò sulle ginocchia, le strinse forte, finché i pugni non gli fecero male.

«Sì,» mormorò, raucamente. «Sì, credo di capire.»

Perché lui capiva.

Capiva molto di più di quanto le parole non gli avessero detto. Capiva il dolore e la supplica e la delusione amara che guidavano quelle parole. Le capiva come se fosse stato lui a pronunciarle… come se lui fosse stato Fowler.

Fowler esclamò, in tono allarmato:

«Che le succede, Webster? Non si sente bene?»

Webster cercò di parlare e le parole erano polvere. La sua gola si strinse finché non fu un solo nodo di dolore sopra il suo pomo d’Adamo.

Cercò di nuovo di parlare, e le parole uscirono lente e forzate.

«Mi dica, Fowler. Lei ha appreso molte cose, lassù. Cose che gli uomini non conoscono, o conoscono in maniera imperfetta. Come una forma di telepatia quale non possiamo neppure sognare, forse… oppure… oppure…»

«Sì,» disse Fowler. «Molte, moltissime cose. Ma non le ho portate con me, quando sono tornato. Quando sono ridiventato un uomo, sono stato soltanto un uomo. Un semplice uomo, niente di più. Nulla di quanto ho ottenuto su Giove è tornato con me, nel mio vecchio corpo. Si tratta, per la maggior parte, di ricordi nebulosi e confusi, e… be’, e di nostalgia, di desiderio struggente di tornare.»

«Lei vuole dire che non possiede nessuna delle doti che aveva ottenuto, diventando un Rimbalzante?»

«Nemmeno una.»

«Lei non potrebbe, per caso, riuscire a farmi comprendere una cosa che lei desiderasse farmi sapere? Farmi sentire i suoi sentimenti, diciamo.»

«Impossibile,» rispose Fowler.

Webster allungò una mano, prese il caleidoscopio tra le dita, con infinita prudenza, e lo spinse. Il cilindro rotolò per qualche centimetro sui piano levigato della scrivania, e poi si fermò di nuovo.

«Perché è tornato da me?» chiese Webster.

«Per chiederle scusa,» disse Fowler. «Per farle sapere che non ero realmente in collera. Per farle capire che anch’io avevo una mia opinione, una mia posizione da sostenere. Si tratta soltanto di una divergenza di opinioni, ma non c’è nulla di personale, non c’è dell’astio da parte mia. Pensavo che, forse, avremmo potuto stringerci la mano e dimenticare il diverbio.»

«Capisco. E lei è sempre deciso a rivolgersi al popolo?»

Fowler annuì.

«Devo farlo, Webster. Lei se ne renderà conto senz’altro. È… è… bene, per me è quasi una religione. È una fede, una cosa nella quale io credo. Devo dire agli altri che esiste un mondo migliore, che esiste una vita migliore. Devo guidarli in questo mondo, devo condurli a questa vita.»

«Un messia,» disse Webster.

Fowler si irrigidì.

«È la cosa che temevo. Con l’ironia lei non…»

«Io non stavo facendo dell’ironia,» gli disse Webster, quasi con dolcezza.

Raccolse il caleidoscopio, pulì l’estremità con il palmo della mano, meditando. Non ancora, pensò, non ancora. Devo riflettere. Devo pensarci sopra. Non è ancora il momento. Io voglio che mi comprenda, come io comprendo lui?

«Mi ascolti, Fowler,» disse. «Aspetti per un giorno o due. Mi dia un poco di tempo. Solo un giorno o due. Poi ci rivedremo, e potremo riparlarne.»

«Ho già aspettato anche troppo.»

«Ma voglio che lei rifletta bene su questo: un milione di anni fa l’uomo apparve sulla Terra… e allora era soltanto un animale. Da quel tempo, si è inerpicato lentamente e faticosamente sulla scala della civiltà. Con infinita pazienza, con fatica inenarrabile, è riuscito a creare un sistema di vita, una filosofia, un modo di fare delle cose molto più grandi di lui. Il suo progresso è stato geometrico. Oggi l’uomo fa molto di più di quanto non facesse ieri. Domani farà ancora di più di quanto non abbia fatto oggi. Per la prima volta nella storia umana, l’Uomo sta davvero cominciando a camminare sulla via del progresso. Ha appena fatto una buona partenza, diciamo il primo passo. Adesso potrà procedere molto più rapidamente di quanto non abbia fatto fino a oggi.

«Forse non è piacevole come quello che ci aspetta su Giove, forse non è la stessa cosa, e non lo sarà mai. Forse lo stato di esseri umani è misero e squallido, in confronto alla bellezza della vita su Giove e delle creature che vivono lassù. Ma è la nostra vita. Noi siamo esseri umani, ed è la condizione di uomini quella che conta. Si tratta delle cose per le quali abbiamo combattuto, degli ideali per i quali abbiamo lottato. Si tratta di ciò che l’Uomo ha raggiunto. Si tratta del destino che l’Uomo si è modellato.

«È terribile pensare, Fowler, che proprio quando stiamo per prendere la strada giusta dobbiamo scartare il nostro destino, come una cosa vecchia e detestabile, per un nuovo destino del quale non sappiamo niente, perché è impossibile esserne sicuri.»

«Aspetterò un giorno o due,» disse Fowler. «Come mi ha chiesto. Ma l’avverto, Webster. Non riuscirà a fermarmi. Non riuscirà a farmi cambiare idea.»

«Le chiedo solo di aspettare questi due giorni,» disse Webster. Si alzò e tese la mano al suo ospite. «D’accordo, allora?»


Eppure, mentre stringeva la mano a Fowler, Webster capì che non sarebbe servito a niente. Ci fosse stata o non ci fosse stata la filosofia di Juwain, l’umanità stava per giungere a una prova fatale. Una prova fatale che sarebbe stata ancora peggiore, proprio a causa della filosofia di Juwain. Perché i mutanti non perdevano. Se il loro scopo era quello di sbarazzarsi della razza umana, di giocarle l’ultima, tragica beffa, non avrebbero trascurato niente, non avrebbero commesso passi falsi. Ancora un giorno, e ogni uomo, donna e bambino della Terra avrebbe, in un modo o nell’altro, guardato nel mondo colorato di un caleidoscopio. O in qualcosa di equivalente al caleidoscopio. Dio solo sapeva quanti altri metodi di diffondere la «cosa» potevano esistere, e quanti erano stati già usati dai mutanti.

Aspettò che Fowler si fosse chiuso la porta alle spalle, poi si alzò, camminò fino alla finestra, e guardò fuori. Nel cielo della città stava lampeggiando una nuova insegna pubblicitaria… un’insegna che non aveva mai visto prima. Una folle insegna che tracciava folli disegni colorati nella notte. Disegni cangianti, mutevoli, come i disegni di un caleidoscopio che girasse.

Webster guardò i disegni colorati dell’insegna nel cielo, e strinse le labbra, e sentì freddo, un gran freddo dentro di lui.

Avrebbe dovuto aspettarselo.

Pensò a Joe, e dentro di lui nacque un impeto di collera omicida. Perché quella chiamata era stata l’estremo scherno, l’estrema irrisione del grand’uomo superiore allo stupido cucciolo che era lui, Webster. I mutanti avevano voluto ridere fino in fondo, Avevano voluto avvertire gli uomini di quello che stava per accadere, avevano voluto essere certi, certissimi che gli uomini avessero capito chi c’era dietro a tutto quanto, e il destino che li aspettava.

Avremmo dovuto sterminarli finché eravamo in tempo, pensò Webster, e si sorprese per la cristallina freddezza dei suoi pensieri. Avremmo dovuto ucciderli tutti, spazzarli via, come si fa con una malattia pericolosa.

Ma l’uomo aveva rinnegato la violenza come politica del singolo e della società intera. Da centoventicinque anni nessuno più ricorreva all’uso della forza, da centoventicinque anni nessuna fazione si era scontrata con un’altra fazione usando la violenza; non c’erano più state guerre di religione, di razza, di semplice fanatismo.

Quando Joe mi ha chiamato, la filosofia di Juwain si trovava sulla mia scrivania. Avrei dovuto soltanto allungare la mano per toccarla, pensò Webster.

Si irrigidì a quel pensiero. Lui avrebbe dovuto semplicemente allungare la mano per toccarla. E lo aveva fatto!

Qualcosa di più della telepatia, qualcosa di più di una semplice previsione. Joe sapeva che lui avrebbe preso il caleidoscopio… doveva averlo saputo fin dall’inizio. Preveggenza… la capacità di vedere il futuro. Un anticipo minimo sul tempo, forse, un’ora o due al massimo, ma questo sarebbe stato sufficiente.

Joe… e gli altri mutanti, naturalmente… avevano saputo di Fowler. Le loro menti telepatiche, capaci di frugare nella mente degli uomini, dovevano aver detto loro tutto quello che c’era da sapere sull’uomo che era ritornato da Giove. Ma il caso di Fowler era diverso; era un’altra faccenda, completamente diversa. Eppure aveva attinenza con quello che i mutanti stavano facendo.

Ma certo.

Rimase in piedi, davanti alla finestra, guardando l’insegna nel cielo. Migliaia di persone, lo sapeva, la stavano vedendo come lui, in quel momento. La stavano vedendo e sentivano nella loro mente quel malessere improvviso, quello choc inesplicabile e violento.

Webster corrugò la fronte, chiedendosi quale fosse l’effetto preciso di quei disegni di luce dai mille colori, che cambiavano a ogni istante, assumendo forme sempre nuove e diverse. Probabilmente, esercitavano un certo influsso fisiologico su qualche centro del cervello umano. Una porzione del cervello che non era mai stata usata prima… una porzione del cervello che, seguendo la normale evoluzione della specie umana, avrebbe naturalmente cominciato a funzionare a tempo debito. Una porzione del cervello che ora veniva stimolata artificialmente, che veniva costretta a eseguire la sua funzione.

La filosofia di Juwain, finalmente! Una cosa che gli uomini avevano bramato per secoli e secoli, e che ora, finalmente, veniva concessa. E l’Uomo la riceveva in un momento in cui meglio sarebbe stato che ne fosse stato privo.

Fowler aveva scritto nel suo rapporto: Non posso fornire un resoconto preciso dei fatti, perché non esistono parole per descrivere i fatti che io desidero esporre. Le parole non c’erano neppure adesso, naturalmente, ma c’era di meglio… c’era una cosa sicuramente migliore delle parole… un pubblico che avrebbe potuto comprendere la sincerità e la grandezza che si celavano dietro le parole umane, dietro le parole che Fowler avrebbe usato per parlare al popolo. Un pubblico in possesso di un senso nuovo, di un senso appena acquisito, grazie al quale era possibile afferrare in parte la immensa prospettiva della cosa che Fowler aveva da dire.

Joe aveva fatto bene i suoi piani. Aveva aspettato quel momento. Aveva usato la filosofia di Juwain come un’arma, la più terribile, contro la razza umana.

Perché con la filosofia di Juwain l’Uomo sarebbe andato su Giove. Pure di fronte a tutta la logica del mondo, l’Uomo sarebbe andato su Giove. Malgrado gli argomenti contrari, malgrado il senso comune, l’Uomo sarebbe andato su Giove.

Per il bene o per il male, l’Uomo sarebbe andato su Giove.

L’unica possibilità che era esistita per sconfiggere Fowler era stata l’incapacità che Fowler avrebbe avuto di descrivere ciò che aveva visto, di narrare ciò che aveva sentito, di raggiungere la gente con un’esposizione chiara del messaggio che lui portava. Servendosi soltanto delle parole umane, quel messaggio sarebbe stato vago e nebuloso e, benché all’inizio la gente avrebbe potuto credere, sarebbe sempre stata una fede vacillante, una fede suscettibile di essere controbattuta da altri argomenti. La gente avrebbe avuto fede, ma avrebbe ascoltato gli oppositori, e forse si sarebbe lasciata convincere a restare.

Ma adesso quest’unica possibilità non esisteva più, perché le parole di Fowler non sarebbero più state vaghe e nebulose. La gente avrebbe saputo, con la stessa chiarezza e lo stesso nostalgico desiderio di tornare che Fowler possedeva, com’era Giove, e quali meraviglie esso conteneva.

La gente sarebbe andata su Giove, avrebbe deciso di iniziare una vita diversa dalla vita umana.

E il Sistema Solare, l’intero Sistema Solare, a eccezione di Giove, sarebbe stato vuoto, aperto alla nuova razza dei mutanti, che avrebbe potuto occuparlo senza incontrare ostacoli, per sviluppare la propria civiltà… la civiltà dei mutanti, qualunque essa potesse essere, la civiltà che ben difficilmente avrebbe potuto seguire le tracce lasciate dalla razza che aveva dato vita ai mutanti.


Webster voltò le spalle alla finestra, ritornò lentamente alla sua scrivania. Si chinò e aprì un cassetto, e frugò dentro di esso. La sua mano ne uscì stringendo qualcosa che fino a poco prima lui non avrebbe mai neppure lontanamente sognato di usare… un relitto di un tempo passato, un pezzo da museo, un fossile che aveva riposto là dentro molti anni prima.

Con un fazzoletto pulì il metallo della pistola, controllò l’efficienza del meccanismo con dita tremanti.

Fower era la chiave di tutto. Se Fowler moriva…

Se Fowler moriva e le basi gioviane venivano smantellate e abbandonate, i mutanti sarebbero stati sconfitti. L’Uomo avrebbe avuto la filosofia di Juwain e avrebbe conservato il proprio destino. La spedizione per Alfa del Centauro sarebbe partita verso le stelle. Gli esperimenti biologici sarebbero proseguiti su Plutone. l’Uomo avrebbe marciato lungo la strada tracciata dalla sua civiltà.

Più veloce che mai. Più veloce di quanto si potesse sognare. L’Uomo avrebbe bruciato le tappe, avrebbe raggiunto vertici sublimi, superiori ai sogni più ambiziosi e sfrenati.

Due enormi balzi in avanti. La rinuncia alla violenza come sistema di vita… e la comprensione infinita che derivava dalla filosofia di Juwain. Le due grandi cose che avrebbero lanciato il genere umano, fino a raggiungere una velocità inconcepibile, lungo la strada che portava a una méta sconosciuta.

La rinuncia alla violenza e la…

Webster guardò, con occhi sbarrati, la pistola che stringeva in pugno, e gli parve che un vento d’uragano si fosse scatenato nella sua mente.

Due grandi passi… e lui stava per rinnegare il primo, per svuotarlo di ogni significato, per cancellarlo forse per sempre.

Per centoventicinque anni nessun uomo aveva ucciso il suo simile… per più di mille anni uccidere era stato un elemento antiquato, sorpassato, per la definizione delle cose umane. Per più di mille anni si era perduta l’abitudine di uccidere, e nessuno aveva più ucciso negli ultimi centoventicinque anni.

Mille anni di pace, e una morte avrebbe potuto distruggere tutto il lavoro. Uno sparo nella notte avrebbe fatto crollare l’intero edificio, avrebbe potuto scagliare l’Uomo indietro nel tempo, farlo ritornare all’antico, bestiale modo di pensare.

Webster ha ucciso… perché non posso farlo anch’io? Dopotutto, ci sono certi uomini che dovrebbero essere uccisi. Webster ha fatto bene, ma non avrebbe dovuto limitarsi a uno solo. Non capisco proprio perché adesso lo vogliano impiccare; dovrebbe ricevere una medaglia, invece. Prima di tutto, dovremmo cominciare dai mutanti. Se non fosse stato per loro…

Ecco come avrebbero parlato.

Ecco, pensò Webster, di quali voci è fatto il vento che sta ruggendo nella mia mente.

Il lampeggiare della pazza insegna colorata gettava strani riverberi cangianti sulle pareti e sul soffitte, dava alla stanza un aspetto d’incubo, strano e alieno.

Fowler la sta vedendo, pensò Webster. La sta guardando e, anche se non la stesse guardando, c’è sempre il caleidoscopio.

Gettò la pistola in fondo al cassetto, e camminò lentamente verso la porta.

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