Steve Wilson uscì nell’atrio alla ricerca di un panino e di un po’ di caffè. C’erano ancora una decina di giornalisti.
— Nessuna novità, Steve? — domandò Carl Anders dell’Associated Press.
Wilson fece un cenno di diniego. — Pare che tutto sia tranquillo. Se fosse successo qualche cosa, me lo avrebbero comunicato.
— E ce l’avreste detto?
— Ve l’avrei detto — asserì brusco Wilson. — Sapete bene che gioco pulito con voi.
— Davvero? E i cannoni?
— Una semplice precauzione. C’è qualche panino o li avete mangiati tutti?
— Là nell’angolo, Steve — disse John Gates del Washington Post.
Wilson mise due panini su un piatto e prese una tazza di caffè, poi andò a sedersi accanto a Gates.
Arrivò anche Anders, con una sedia, e Henry Hunt del New York Times, che si mise seduto accanto a Gates dal lato opposto di Wilson.
— È stata una giornata campale, Steve — disse.
— Dura — confermò Wilson masticando un boccone.
— E adesso cosa succede? — domandò Anders.
— Mah, non lo so di preciso, ma non credo niente di nuovo, se no lo saprei, e ve lo avrei detto.
— Potete parlare, no?
— Certo che posso parlare, ma non ho niente da dire.
— Ma la vostra opinione in merito a quello che sta succedendo qual è? — volle sapere Gates.
— È difficile spiegarlo. Troppo recente, ancora, e troppo insolito. Ma, comunque, sono giunto alla conclusione che quella gente viene davvero dal futuro. Se anche non fosse così, ormai ci sono e dobbiamo per forza fare qualcosa. Non importa da dove vengono.
— Quindi non siete ancora veramente convinto.
— Del fatto che vengano dal futuro? No, su questo ormai non credo di avere più dubbi. Perché dovrebbero mentire? Che cosa ci guadagnerebbero?
— Però…
— Un momento… quanto sto dicendo sono supposizioni mie e non voglio che ne facciate oggetto di illazioni avventate. Stiamo chiacchierando tra amici, d’accordo?
La porta della sala stampa si aprì, e Wilson alzò la testa. Sulla soglia c’era Brad Reynolds con un’espressione smarrita sulla faccia.
— Steve — chiamò — ho bisogno di parlarti.
— Cosa c’è? — domandò Hunt.
Dalla porta aperta usciva il tintinnìo insistente della campana di una delle telescriventi, per segnalare che era in arrivo un dispaccio.
Wilson si alzò tanto precipitosamente da rovesciare il caffè sul tappeto.
Attraversò di corsa la stanza e prese Reynolds per un braccio.
— C’è un mostro in libertà — ansimò Reynolds. — L’ha comunicato la Global. Lo dicono anche alla radio.
— Per amore del cielo! — esclamò Anders. — Non ci avevate parlato di mostri.
— Dopo! — sbottò Wilson sospingendo Reynolds nella sala stampa e sbattendo la porta.
— Credevo che tu e Frank steste preparando la dichiarazione del Presidente alla TV — disse. — Come mai…
— La radio. L’abbiamo sentito alla radio. Dobbiamo accennarne nella dichiarazione per la TV? Il Presidente non può tacerlo, e deve parlare tra un’ora.
— Abbiamo tempo di pensarci — rispose Wilson. — Henderson lo sa?
— È andato a dirglielo Frank, mentre io venivo da te.
— Sai cos’è successo, e dove?
— In Virginia. Ne sono usciti due da un tunnel. Ma uno è stato ucciso con una cannonata. L’altro ha ammazzato i serventi e rovesciato il cannone…
— Vuoi dire che è riuscito a scappare?
Reynolds annuì con aria infelice.