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Tom Manning disse con circospezione al telefono: — Steve, ho sentito delle voci.

— Trasmettile per telescrivente — disse Wilson. — Se no, cosa stai lì a fare? Trasmettile a maggior gloria della vecchia Global.

— Adesso che hai fatto sfoggio del tuo penoso umorismo, possiamo passare alle cose serie?

— Se è un tentativo di incastrarmi per avere la conferma delle voci che hai sentito, non funziona.

— Mi conosci bene, Steve.

— Appunto perché ti conosco…

— D’accordo. Se la metti così… Cominciamo dal principio. Stamattina il Presidente ha ricevuto l’ambasciatore russo.

— L’ambasciatore ha già rilasciato una dichiarazione alla stampa.

— Sì, certo. Sappiamo quello che ha detto, e quello che hai aggiunto tu oggi pomeriggio. Il che è molto poco. Ma nessuno ha creduto una parola di quello che avete detto.

— Mi spiace, Tom. L’ambasciatore ha detto quel che era tenuto a dire, e io non so altro.

— Va bene, voglio crederti. Può darsi che non ti abbiano messo al corrente. Ma circolano delle voci spiacevoli all’ONU. Così almeno ha riferito il nostro corrispondente da New York. Mi ha telefonato, e io gli ho detto di non divulgare la notizia finché non ti avessi parlato.

— Tom, non ho la minima idea di che cosa tu stia parlando. Ti assicuro ancora una volta che non so altro. E non credo che ci sia altro.

— Bene, allora ti dirò cosa mi hanno riferito, Steve. Morazov ha conferito col Presidente e con Williams a nome del suo governo. I russi offrono di inviare truppe per aiutarci a debellare i mostri.

— L’hai saputo da una fonte attendibile? Sei sicuro al cento per cento?

— Mi sono limitato a riferirti quello che mi ha detto il nostro corrispondente da New York.

— Cioè Max Hale.

— Sì, è uno dei nostri uomini migliori. Abilissimo nello scoprire la verità.

— Sì, sì lo conosco.

— L’informatore di Hale gli ha detto che oggi stesso l’ONU sarà informata del nostro rifiuto di accettare l’aiuto russo, e verrà fatta richiesta perché ci si obblighi ad accettare l’invio di truppe di altre nazioni. Dice che, se non accetteremo, verremo accusati di negligenza.

— La solita farsa — commentò Wilson.

— Non è tutto. Se non accetteremo l’aiuto straniero e non riusciremo a tenere i mostri sotto controllo, verrà richiesto all’ONU che tutta la zona sia sottoposta a bombardamento atomico. Il mondo non può correre il rischio.

— Aspetta un momento — lo interruppe Wilson. — Non vorrai trasmettere quello che mi hai detto?

— No, almeno per adesso. Anzi, spero di non doverlo fare mai. Ti ho telefonato proprio per questo. Se le voci sono arrivate fino a Hale, è molto probabile — anzi certo — che anche altri vengano a saperle e le pubblichino.

— Sono sicuro che sono tutte invenzioni — ribatté Wilson. — Perdio, siamo tutti sulla stessa barca. Almeno in questo momento si potrebbero lasciare in disparte le schermaglie politiche. Tom, mi rifiuto di crederci.

— Non ne sai proprio niente? Sul serio?

— Te l’ho già detto.

— Sai — disse Manning — non vorrei essere al tuo posto neanche per un milione di dollari, Steve.

— Adesso riattacca, Tom, e aspetta a trasmettere. Dacci il tempo di controllare.

— Sta’ tranquillo. Aspetto; a meno che non succeda qualcosa che mi ci costringa, aspetto. Comunque ti terrò informato.

— Grazie, Tom. Un giorno…

— Un giorno, quando tutto questo sarà finito — disse Manning — andremo in un bar a prenderci una sbronza colossale.

— Prenota i posti — disse Wilson.

Dopo aver riappeso, chiamò la segretaria del Presidente. — Kim, sei ancora lì? Ho bisogno di vedere subito il Presidente. Cerca di farmi passare appena possibile. È una cosa urgente.

— Ci vorrà un po’ di tempo, Steve — rispose Kim. — È in corso una riunione.

In attesa della chiamata, Wilson si lasciò andare sulla sedia e chiuse gli occhi. Voleva concentrarsi, pensare, ma aveva troppo sonno. Si drizzò, aprendo gli occhi. Non era il momento di dormire, ma giurò a se stesso che quella notte sarebbe andato a casa a fare una bella dormita.

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