Luscus parla agli intervistatori del fideo: — Intendo dire con questo che Winnegan, come ogni artista, grande o non grande, produce arte che è innanzi tutto secrezione, unicamente sua, poi escrezione. Escrezione nel senso originario di “far uscire dopo avere scelto”. Escrezione creativa ovvero escrezione di quantità discrete. So che i miei distinti colleghi si faranno beffe di questa analogia, perciò li sfido a un dibattito in fideo, appena sarà possibile organizzarlo.
“Il valore proviene dal coraggio con cui l’artista mostra al pubblico i suoi prodotti interiori. La parte più amara deriva dal fatto che l’artista può essere respinto e frainteso nel proprio tempo. E anche dalla guerra terribile che scoppia tra l’artista e gli elementi sconnessi o caotici, spesso contraddittori, che lui deve unire e poi plasmare in un’entità unica. Ecco spiegata la mia espressione ‘escrezione discreta’ ”.
Intervistatore del fideo: — Dobbiamo intedere che il mondo è solo una grande massa di merda ma che l’arte opera uno strano cambiamento, la trasforma in qualcosa di dorato e d’illuminante?
— Non esattamente. Ma c’è andato vicino. Mi spiegherò più ampiamente in seguito. Ora voglio parlare di Winnegan. Dunque, gli artisti minori danno solo la superficie delle cose: sono fotografi. Ma quelli grandi ci danno l’interiorità degli oggetti e degli esseri. Winnegan, tuttavia, è il primo che rivela più di un’interiorità in un’unica opera d’arte. La sua invenzione della tecnica del rilievo multilivello gli permette di operare un’epifania… una rivelazione… di molti strati sotterranei.
Primalux Ruskinson, a voce alta: — Il grande Pelacipolle della Pittura!
Luscus, con calma, dopo che si è spenta l’ilarità: — In un certo senso, è detto bene. La grande arte, come la cipolla, fa venire le lacrime agli occhi. Tuttavia, la luce dei quadri di Winnegan non è semplicemente riflessa: è risucchiata, assorbita, e poi rifratta e irradiata. Ognuno dei raggi spezzati rende visibili, non vari aspetti delle figure sottostanti, ma intere figure. Mondi, anzi, potrei dire.
“Io lo chiamo la Breccia di Pellucidar. Pellucidar è l’interno cavo del nostro pianeta, come venne rappresentato nel romanzo fantastico, oggi dimenticato, di uno scrittore del ventesimo secolo, Edgar Rice Burroughs, il creatore dell’immortale Tarzan.”
Ruskinson geme e sviene di nuovo. — Pellucido! Pellucidar! Luscus, bastardo riesumatore, maniaco dei giochi di parole!
— Il protagonista di Burroughs forò la crosta terrestre per scoprire all’interno un altro mondo. Sotto molti aspetti, era il contrario dell’esterno: continenti dove in superficie vi sono i mari, e viceversa. Allo stesso modo, Winnegan ha scoperto un mondo interiore, l’inverso dell’immagine pubblica proiettata dall’uomo normale. E come il protagonista di Burroughs, è tornato per narrarci una storia di pericoli e di esplorazioni della psiche.
“E come l’eroe del romanzo scoprì che il suo Pellucidar era popolato da uomini dell’età della pietra e da dinosauri, così il mondo di Winnegan, sebbene sia in un certo senso assolutamente moderno, in un altro è arcaico. Profondamente primitivo. Eppure, nell’illuminazione del mondo di Winnegan, vi è una chiazza maligna e imperscrutabile di tenebra, e questo ha un parallelo in Pellucidar, dove c’è la minuscola linea che getta un’ombra agghiacciante e inamovibile.
“Ora, io intendevo che il normale ‘pellucido’ dovesse far parte di Pellucidar. Tuttavia ‘pellucido’ significa ‘che riflette la luce in modo uguale da tutte le superfici’ oppure ‘che permette il massimo passaggio della luce senza diffusione o distorsione’. I quadri di Winnegan fanno esattamente il contrario. Ma… sotto la luce spezzata e distorta, l’osservatore acuto può vedere una luminosità primordiale, costante. È questa luce che raccorda tutte le fratture e i plurilivelli, è la luce cui pensavo nella mia precedente discussione dell’’Era dell’Uomo Infilato’ e della scorreggia polare.
“Mediante un’attenta osservazione, chi guarda può percepire tutto questo e sentire il fremito fotonico del battito del cuore del mondo di Winnegan.”
Poco manca che Ruskinson svenga un’altra volta. Il sorriso e il monocolo nero fanno apparire Luscus come un pirata che si è appena impadronito di un galeone spagnolo carico d’oro.
Il Nonno, che è ancora al periscopio, dice: — Ecco Maryam bint Yusuf, l’egiziana delle retrovie di cui mi parlavi. Il tuo Saturno: altera, regale, fredda, e con uno di quei cappelli sospesi rotanti e multicolori che vanno tanto di moda. Gli anelli di Saturno? Oppure un’aureola?
— È bellissima, e sarebbe una madre meravigliosa per i miei figli — dice Chib.
— La fica d’Arabia. Il tuo Saturno ha due lune, madre e zia. Non la mollano un momento. Tu dici che sarebbe una buona madre. Che buona moglie! È intelligente?
— È intelligente come Benedectine.
— Allora è scema. Certo che le sai scegliere. Come fai a sapere che sei innamorato di lei? Ti sei innamorato di venti donne negli ultimi sei mesi.
— Io l’amo. È certo.
— Fino alla prossima. Puoi amare veramente qualcosa, a parte la pittura? Benedectine abortirà, vero?
— No, se riuscirò a dissuaderla — dice Chib. — Per la verità, non mi piace più. Ma porta in grembo mio figlio.
— Lasciami guardare il tuo inguine. No, sei maschio. Per un momento non ne ero sicuro; sei così smanioso di avere un figlio.
— Un bambino è un miracolo che sbigottisce miliardi d’infedeli.
— Più di un topolino, certo. Ma non sai che Zio Sam ci ha messo il cuore per propagandare la riduzione della riproduzione? Dove sei stato tutta la vita, tu?
— Debbo andare, Nonno. — Chib dà un bacio al vecchio e ritorna nella sua stanza per finire il quadro più recente. La porta continua a rifiutare di riconoscerlo, e lui chiama l’officina riparazioni del governo, e si sente rispondere che tutti i tecnici sono al Festival Popolare. Esce di casa in preda a una furia bruciante. Le bandierine e i palloncini ondeggiano e ballonzolano nel vento artificiale, intensificato per l’occasione, e un’orchestra suona in riva al lago.
Il Nonno, al periscopio, lo guarda allontanarsi.
— Povero diavolo! Soffro con lui. Vuole un bambino, ed è straziato perché quella poveraccia di Benedectine vuole abortire il loro figlio. Parte della sua sofferenza, anche se lui non lo sa, deriva dal fatto che si identifica con il feto condannato. Anche sua madre ha avuto innumerevoli aborti… be’, qualcuno. Se non fosse stato per una particolare grazia di Dio, lui sarebbe stato uno di quegli aborti, un altro nulla. E vuole che anche quel bambino abbia una possibilità. Ma non può farci niente, niente.
“E c’è qualcosa d’altro, che lo accomuna a gran parte dell’umanità. Sa di avere sbagliato tutto, o che qualcosa gli ha rovinato la vita. Ogni uomo e ogni donna lo sa. Persino i soddisfatti e gli sciocchi se ne rendono conto inconsciamente. Ma un bambino, quell’essere bellissimo, quel foglio bianco senza macchie, quell’angelo non formato, rappresenta una speranza nuova. Forse non farà fiasco. Forse crescerà, diventerà un essere umano sano, fiducioso, ragionevole, benevolo, altruista. ‘Non sarà come me o come il mio vicino’, giura il genitore orgoglioso ma apprensivo.
“Chib pensa questo e giura che il suo bambino sarà diverso. Ma come tutti gli altri s’inganna. Un bambino ha un solo padre e una sola madre, ma ha milioni di zie e di zii. Non solo i contemporanei, ma anche i morti. Persino se Chib fuggisse nel deserto e allevasse personalmente suo figlio, gli trasmetterebbe le sue convinzioni inconsce. Il bambino crescerebbe con convinzioni e atteggiamenti di cui suo padre non si è mai accorto. Inoltre, essendo cresciuto nell’isolamento, il bambino sarebbe un essere umano veramente molto strano.
“E se invece Chib alleva il bambino in questa società, è inevitabile che recepisca almeno una parte della mentalità dei suoi compagni di gioco, dei suoi maestri, e così via ad nauseam.
’’Quindi rinuncia alla speranza di fare un nuovo Adamo del tuo meraviglioso figlio tanto ricco di capacità potenziali, Chib. Se cresce e diventa almeno un po’ meno pazzo, è perché tu gli hai dato amore e disciplina ed è stato fortunato nei rapporti sociali ed è stato benedetto alla nascita dalla giusta combinazione genetica. Cioè, se è un figlio capace sia di lottare sia di amare.”