CAPITOLO OTTAVO

Victor Rotha, agente commerciale. Sembrava il titolo che un venditore ambulante avrebbe scelto per i suoi biglietti da visita. Miles contemplò dubbiosamente il suo nuovo aspetto nel videospecchio della sua cabina: immagine reale, non speculare. Che diavolo c'era di sbagliato in un semplice onesto specchio all'antica? E dove diavolo Illyan s'era procurato quella nave? Betana di costruzione, era satura di piccoli irritanti esempi di ciò che per i betani era il lusso. Miles era disposto a pulirsi i denti con uno spazzolino sonico programmabile computerizzato, ma non con uno che trasmettesse anche un sottofondo musicale al suo palato. Gli dava l'impressione di tenere una radio fra i denti.

In armonia con le sue origini, Rotha era vestito in stile alquanto impreciso. Miles aveva provato e scartato un sarong betano; la stazione di balzo Pol Sei non era abbastanza calda per quel tessuto. S'era messo i suoi pantaloni verdi, sostituendo la cintura con una treccia metallizzata betana, e sandali anch'essi confezionati su quel pianeta. La camicia, verde pisello, era in sintoseta pelosa di Escobar, e la giacca svasata a strisce bianche e ocra un costoso esempio di ciò che un burocrate cetagandano avrebbe indossato per una gita in campagna con l'amante. Era l'eclettico guardaroba di qualcuno originario di Colonia Beta che avesse girato qua e là per i sistemi solari più raggiungibili. — Bene. Ottimo — borbottò fra sé, rinfrescando la sua arrugginita imitazione di accento betano mentre attraversava la Cabina del Proprietario.

Erano attraccati a Pol Sei il giorno prima, senza incidenti. Le tre settimane di viaggio da Barrayar a lì erano andate lisce. Ungari sembrava pensare che tanto gli era dovuto dal Cosmo, quando il suo lavoro non tollerava distrazioni. Il capitano della Sicurezza Imperiale aveva trascorso l'ultima parte del viaggio contando cose varie, contando e fotografando: astronavi, attrezzature, guardie addette al traffico civile e militari di truppa. S'era lambiccato il cervello in cerca di scuse valide per fermarsi su quattro delle sei stazioni di balzo sulla rotta fra Pol e il Mozzo Hegen, continuando a prendere dati e a inserirli nel computer per farseli estrapolare e avere suggerimenti su altri dati da prendere. Adesso erano arrivati all'ultima (o alla prima, a seconda da che parte si arrivava) delle stazioni di Pol, il suo aggancio più diretto al Mozzo stesso.

Un tempo la stazione Pol Sei era stata solo un punto di riferimento fra un balzo e l'altro, per le soste d'emergenza e il trasbordo di registrazioni postali. Nessuno aveva ancora scoperto il modo di trasmettere messaggi attraverso un corridoio di transito, cosicché non restava che spedirli fisicamente via nave. Nelle zone più progredite della distorsione c'erano astronavi che effettuavano il balzo ogni ora o più spesso, emettendo un raggio di comunicazione che alla velocità della luce raggiungeva il più vicino punto di balzo in quella regione di spazio, dove i messaggi venivano raccolti e ritrasmessi più avanti. Nelle zone meno sviluppate si doveva aspettare, a volte per settimane o mesi, che un'astronave passasse da lì, sperando che il capitano avesse avuto la premura di fermarsi a prelevare la posta.

Ora Pol Sei più che segnare un punto di balzo gli faceva la guardia. Ungari aveva avuto un fremito d'eccitazione nell'accorgersi che c'erano navi della Marina da Guerra di Pol raggruppate sul retro della stazione, dov'erano in corso grossi lavori di ampliamento. L'ufficiale era riuscito a fingere una manovra erronea per avere la scusa di rallentare a spirale intorno ai moli, prendendo visione delle navi ormeggiate o in movimento.

— Il suo primo compito qui — aveva detto a Miles, — è di dare a chi si interessa dei fatti altrui qualcosa di interessante da guardare, in modo che non guardino me. Vada in giro. Presumo che mettersi in evidenza non debba costarle uno sforzo particolare. Esibisca la sua identità di copertura… con un po' di fortuna potrebbe perfino farsi dei contatti fra persone che varrà la pena di conoscere meglio, anche se dubito che lei possa sfiorare certi ambienti. La gente a cui alludo sta maledettamente sulle sue.

Miles depose sul letto la sua valigia e ne passò in rassegna il contenuto. Un venditore ambulante, ecco quello che sono. Inserite nei loro incavi c'erano dodici armi portatili, prive della batteria, con un visore e pacchetto di videodischi che descrivevano sistemi d'arma di maggiori dimensioni. Altre cose che costavano assai più care — e potevano costar care a lui, se l'avessero perquisito — erano registrate su minuscoli dischi nascosti nella sua giacca. Morte, e ve la posso vendere a prezzi stracciati.

La guardia del corpo di Miles lo attendeva al portello d'uscita. Perché mai, dannazione, Illyan aveva voluto assegnargli proprio il sergente Killer? Probabilmente per lo stesso motivo della sua precedente missione all'isola Kyril. L'uomo era affidabile, Miles non ne dubitava, ma era imbarazzante lavorare con uno che l'aveva arrestato. Che ne pensava ora Keller di lui? Per fortuna il grosso individuo era del tipo silenzioso.

Keller era vestito in modo eclettico e sgargiante come lui, anche se non aveva saputo né voluto rinunciare ai suoi stivali. Aveva esattamente l'aspetto di una guardia del corpo che sta fingendo di essere un turista. Proprio il tipo di gorilla che un contrabbandiere d'armi come Victor Rotha si sarebbe portato dietro. Funzionale e decorativo. Bisogna dire che siamo una coppia fornita di un senso logico e compiuto. Da soli, sia lui che Keller sarebbero parsi fuori posto oltreché evidenti. Insieme… sì, Ungari aveva ragione. Insieme dicevano già troppe cose per destare altri sospetti.

Miles si avviò per primo nel corridoio tubolare che portava sul molo e nell'interno di Pol Sei. Da lì una galleria piena di immagini olografiche pubblicitarie li condusse al vasto atrio della dogana, dove la valigia e il campionario di Miles vennero accuratamente esaminati. Keller dovette esibire il porto d'armi per il suo storditore. Da lì ebbero ingresso libero a tutti gli impianti e i locali pubblici della stazione, salvo certi corridoi sorvegliati da cui si accedeva evidentemente a zone militarizzate. Quelle zone, aveva chiarito Ungari, erano affar suo, non di Miles.

In buon anticipo per il suo primo appuntamento d'affari Miles si avviò senza fretta, godendosi la sensazione d'essere in una stazione spaziale. Non era un posto di richiamo per turisti come Colonia Beta, ma anche lì ci si poteva muovere in un ambiente internazionale e vedere le mode e le novità della cultura galattica. Non come sul povero e periferico Barrayar. L'ambiente non mancava del suo brivido di pericolo, un brivido che poteva trasformarsi in panico e urla nel caso di un'improvvisa depressurizzazione. La zona di passeggio centrale, il luogo del suo appuntamento, era una galleria larga come un viale sui cui lati si allineavano negozi, alberghi, succursali di banche, ristoranti e bar.

Miles notò un curioso terzetto che sostava fra il fitto traffico pedonale, dall'altra parte della strada. Uno di essi, che indossava abiti larghi ideali per nascondere un'arma o due, scandagliava i dintorni con occhi attenti. Un professionista collega di Keller, senza dubbio. Miles e il sergente si scambiarono un breve sguardo e un sogghigno, fermandosi a poca distanza con l'atteggiamento di chi sta andando a spasso senza meta. L'uomo dai vestiti larghi era condannato alla quasi-invisibilità dalla femmina che gli stava accanto.

Era di piccola statura, ma così attraente da dare un vuoto allo stomaco, snella, con corti capelli biondo-platino che conferivano al suo volto un aspetto da elfo. Indossava una tuta da pilota nera scollata sul petto e ancor di più sulla schiena — se era possibile immaginare una tuta scollata — così lucida che ad ogni movimento sembrava liquefarsi in rivoli di luce e di scintille. Le scarpe nere a tacco alto le davano qualche inutile centimetro in più. Le labbra, rosso carminio, erano dello stesso colore della fascia annodata al suo collo d'alabastro, i cui capi le penzolavano sulla candida pelle nuda della schiena. Aveva un aspetto… costoso.

Lo sguardo della ragazza incrociò quello affascinato di Miles. Alzò sdegnosamente la testa e gli elargì un'occhiata fredda.

— Victor Rotha? — La voce al suo fianco lo fece sobbalzare.

— Ah… il signor Liga? — azzardò Miles, a bassa voce. Pallidi lineamenti da coniglio, labbra sporgenti, capelli neri: questo era l'uomo il cui casto desiderio era migliorare gli armamenti delle guardie che sorvegliavano i suoi impianti minerari, su un asteroide. O così diceva. Dove, e come, Ungari era riuscito a pescarlo? Miles non era sicuro di volerlo sapere.

— Ho prenotato una stanza dove potremo parlare in privato. — Liga sorrise, inclinando la testa in direzione dell'ingresso di un albergo poco distante. Eh, sì — aggiunse. — Sembra che tutti siano in giro per affari, questa mattina. — E la sua testa s'inclinò verso il terzetto dall'altra parte della strada, che giusto allora era diventato un quartetto e si stava allontanando. I capi della sottile sciarpa rossa fluttuavano dietro le spalle della bionda, al ritmo flessuoso e veloce dei suoi passi.

— Chi è quella donna? — domandò Miles.

— Non saprei — rispose Liga. — Ma l'uomo che sta seguendo è il suo principale concorrente da queste parti. L'agente della House Fell, del Gruppo Jackson. Forniture belliche.

Sembrava un qualsiasi uomo d'affari di mezz'età, visto da dietro. — Pol permette che i jacksoniani operino qui? — borbottò Miles. — Strano, con la tensione che c'è fra loro da un po' di tempo.

— C'è tensione fra Pol, Aslund e Vervain — disse Liga. — A quanto ne so io, i jacksoniani dichiarano d'essere neutrali. Sperano di trarre profitto da tutte le parti in causa. Ma questo non è il posto migliore per parlare di politica, eh? Venga.

Come Miles s'era aspettato, Liga li introdusse in una stanza d'albergo dove non risiedeva nessuno, affittata per l'occasione. Aprì subito la valigia e cominciò il suo discorsetto professionale, intercalato dalle battute che un buon venditore non avrebbe mai risparmiato al cliente. Gli presentò le armi, gliele fece soppesare, descrisse le quantità che poteva procurarsi e accennò ai prezzi e alle modalità di consegna.

— Sì, sì — disse Liga. — Ma non le nascondo che contavo su qualcosa di più… autoritario.

— Ho un'altra scelta di campioni a bordo della mia nave — annuì Miles. — Non volevo guai con la dogana di Pol. Ma posso dargliene un'idea precisa con questi video.

Miles lasciò che fosse il visore a parlare per lui, intervenendo ogni tanto con qualche spiegazione. — Questo che vede è soltanto un documentario educativo, ovviamente, dato che tratta di armi di cui è proibita la detenzione ai privati nello spazio di Pol.

— Nello spazio di Pol, sì — assentì Liga. — Ma le leggi di Pol non riguardano il Mozzo Hegen. Non ancora. Tutto quello che un onesto commerciante deve fare è di salpare dalla Stazione Sei, portarsi oltre il limite di diecimila chilometri del controllotraffico e svolgere i suoi affari in perfetta legalità. Il problema sta nel far rientrare il materiale nello spazio di Pol.

— Le difficoltà dello… uh, sdoganamento sono la mia specialità — gli assicurò Miles. — Finché si tratta di carichi di dimensioni più o meno ridotte, diciamo.

— Ah. Bene. — Liga lesse in fretta l'elenco del videocatalogo. — Questi proiettori a plasma di grosso calibro… che differenza c'è, in pratica, coi distruttori neuronici a lunga gittata?

Miles scrollò le spalle. — Dipende dal fatto se lei vuole eliminare la persona, oppure la persona e tutto ciò che ha con sé. Potrei farle un ottimo prezzo per questi cannoncini neuronici. Semplici da istallare su una postazione, puntamento manuale e automatico, batterie facili da sostituire, completi di tutti gli accessori. — Consultò il listino e gli propose una cifra in crediti di Pol.

— Mi è stato fatto un prezzo migliore per un modello con lo stesso kilovoltaggio, tempo fa — commentò Liga, spassionatamente.

— Sì, posso crederci — sogghignò Miles. — Veleno un credito, antidoto cento crediti, eh?

— Con questo che vorrebbe dire? — chiese Liga, sospettosamente.

Miles girò il bordo della giacca, fece scorrere un pollice lungo il risvolto e ne tirò fuori un minidisco. — Dia un'occhiata — suggerì, infilandolo nel visore. Sul piccolo schermo apparve un uomo a figura intera, che alzò le braccia e girò lentamente su se stesso. Era coperto da capo a piedi, mani comprese, con quello che sembrava un secondo strato di pelle lucida e fibrosa.

— Un tantino pesante come sotto-tuta — disse Liga, scettico. — Si occupa anche di maglieria?

Miles ebbe un sorrisetto sofferente. — A volte lo preferirei. Ciò che ha appena visto, signor Liga, è qualcosa su cui ogni forza armata della galassia vorrebbe poter mettere le mani. Il perfetto scudo personale anti-distruttore neuronico. L'ultimo gioiello della tecnologia di Colonia Beta.

Gli occhi di Liga si dilatarono. — È la prima volta che vedo sul mercato roba simile.

— E non la vedrà ancora per un pezzo. Sul mercato aperto, almeno. I neuroscudi sono già in dotazione alle forze di polizia di Beta. Ma in via molto privata è possibile… stornare alcuni di questi articoli verso altra destinazione. — In effetti i betani non davano pubblicità agli ultimi ritrovati della tecnologia. Portarsi un passo avanti agli altri nel settore Ricerche e Sviluppo era costato loro due generazioni di duro lavoro. Al momento giusto Colonia Beta avrebbe immesso sull'intero mercato galattico anche quel nuovo ritrovato. Nel frattempo…

Liga si leccò il voluminoso labbro inferiore. — Noi facciamo un largo uso di distruttori neuronici.

In un impianto minerario, eh? Sicuro. — Ho una disponibilità limitata di neuroscudi. Primo arrivato, primo servito.

— E il prezzo?

Miles gli fece una cifra, in dollari betani.

— Ma è assurdo! — Seduto davanti al visore Liga si agitò, scuotendo la testa energicamente.

Miles si strinse nelle spalle. — Ci sono degli ingranaggi da ungere. Ma lei consideri le possibilità: questo equipaggiamento può dare un vantaggio determinante alla sua… azienda, in fatto di misure difensive. Suppongo che lei possa ben immaginarlo.

— Dovrò… rifletterci sopra. Mmh… potrei avere questo disco, per mostrarlo al mio, uh, sovrintendente?

Miles si accigliò. — Non se lo faccia trovare addosso.

— Non c'è pericolo. — Liga fece ripassare il video un'altra volta e osservò come affascinato la figura avvolta nel neuroscudo, poi intascò il minidisco.

Fatto. L'esca era ben salda sull'amo, e la lenza affondava in acque torbide. Sarebbe stato interessante vedere se avrebbe tirato in superficie un pesciolino o un mostruoso leviatano. Liga comunque, giudicò Miles, apparteneva a una sottoclasse che nuotava in acque basse. Be', da qualche parte doveva pur cominciare.

Tornati in strada, Miles gettò uno sguardo preoccupato a Keller. — Sono stato convincente? — domandò, sottovoce.

— Molto convincente, signore — lo tranquillizzò lui.

Be', forse. Spiattellare il copione e i sorrisetti untuosi provati davanti allo specchio era stato divertente. S'era quasi sentito sommergere nell'obliqua personalità di Victor Rotha.

All'ora di pranzo Miles condusse Keller in un bar-ristorante che aveva i tavolini in strada, fra lunghi vasi di felci nane, il posto migliore per farsi osservare come voleva Ungari. Ordinò un sandwich di carne proteica artificiale e lasciò rilassare i nervi. Mangiare non richiedeva falsi atteggiamenti, né era sovreccitante come…

— Ammiraglio Naismith!

Per poco Miles non si strangolò con il boccone, girandosi di scatto per vedere da dove veniva quell'esclamazione stupefatta. Keller era già sul chi vive e stava faticando per impedirsi di tirar fuori il suo storditore.

Due uomini s'erano fermati oltre il divisorio di felci. Quello di sinistra non gli parve di averlo mai visto. L'altro… dannazione! Conosceva quella faccia. Mascella quadrata, pelle bruna, un volto giovane ma già troppo duro per non essere quello di un soldato malgrado gli abiti civili polani. Il suo nome, il suo nome…! Uno dei commandos di Tung, un caposquadra delle navette da sbarco. L'ultima volta che Miles l'aveva visto si stavano vestendo insieme nell'armeria della Triumph, in previsione di una battaglia a bordo. Clive Chodak, ecco come si chiamava.

— Mi spiace, lei si sbaglia — fu tutto quello che seppe dirgli, per puro riflesso nervoso. — Il mio nome è Rotha. Victor Rotha.

Chodak sbatté le palpebre. — Cosa? Oh, allora scusi. È che… lei somiglia a una persona che conosco. — Considerò l'aspetto di Keller, poi nei suoi occhi apparve una luce ansiosa. — Senta, uh, Rotha, che ne dice se ci uniamo a voi?

— No! — lo fermò subito Miles, spaventato. Ma, un momento: non aveva senso rinunciare a un possibile contatto. Quella era una complicazione a cui avrebbe dovuto prepararsi meglio. Anche se attivare Naismith prematuramente, senza il permesso di Ungari… — Non qui, comunque — si corresse in fretta.

— Ah… capisco, signore. — Dopo un breve cenno del capo Chodak riprese immediatamente il cammino, facendosi capire a colpi di gomito dal suo riluttante compagno. Riuscì a gettare un'occhiata dietro di sé una volta sola. Miles represse un'imprecazione e si nascose la faccia col sandwich. I due uomini s'allontanarono fra la gente. Dai loro gesti era chiaro che stavano discutendo animatamente.

— Stavolta è andata liscia? — domandò a mezza bocca.

Keller aveva l'aria scontenta. — Non molto — borbottò accigliato, continuando a guardare nella direzione in cui Chodak e l'altro erano scomparsi.


A Chodak bastò un'ora per rintracciare Miles, a bordo della nave betana ormeggiata al Molo 6-A. Ungari era ancora fuori.

— Ha detto che vuole parlarle — ruminò Keller. Gli indicò l'immagine sul monitor del portello, fuori del quale Chodak si stava guardando attorno con aria impaziente. — Secondo lei cosa cerca, in realtà?

— Probabilmente fare due chiacchiere e basta — rispose Miles. — Ma il fatto è che anch'io gli voglio parlare.

— Lo conosce bene? — domandò Keller, sospettosamente, studiando la faccia e il vestito di Chodak.

— Bene no — ammise lui. — Era un graduato di una certa competenza; conosceva le attrezzature, teneva i suoi uomini in movimento, sapeva come comportarsi sotto il fuoco. — A dire il vero non aveva avuto che brevissimi contatti con quell'uomo, tutti nel corso di altre faccende… ma un paio di volte era stato in momenti critici, nella selvaggia incertezza di un combattimento a bordo della nave. Le sue sensazioni viscerali erano una garanzia adeguata per un uomo che dopotutto non vedeva da quasi quattro anni? — Guarda che sia pulito, sì. Ma fallo entrare e sentiamo cos'ha da dire.

— Se è questo che ordina, signore — bofonchiò Keller.

— È questo.

Chodak non fu offeso dal detector con cui la guardia del corpo gli spazzolò il vestito. Aveva solo uno storditore con regolare porto d'armi, benché fosse, come Miles ricordava, un esperto nel combattimento a mani nude, armi queste che nessuno gli poteva confiscare. Keller lo scortò nella piccola mensa/soggiorno della nave, che i betani avrebbero chiamato spazio-ricreazione.

— Signor Rotha. — Chodak annuì. — Speravo che, uhm… potessimo parlare in privato. — Guardò Keller, incerto. — O ha sostituito il sergente Bothari?

— Nessuno potrebbe sostituirlo. — Miles accennò a Keller di seguirlo in corridoio, e prima di parlare aspettò che la porta si richiudesse. — Credo che la sua presenza disturberebbe, sergente. Non le importa di aspettare fuori? — Non specificò chi era ad esserne disturbato. — Può controllare sul monitor, naturalmente.

— Non è una buona idea. — Keller si accigliò. — E se quello le salta addosso?

Lui tamburellò nervosamente con le dita sulla cucitura dei pantaloni. — È una possibilità. Ma siamo diretti ad Aslund, dove Ungari dice che sono di stanza i Dendarii. Potrei riuscire ad avere qualche informazione utile.

— Solo se quello le dice la verità.

— Anche le menzogne possono essere rivelatrici. — Con quella dubbia affermazione Miles rientrò nel soggiorno/mensa, lasciando fuori Keller.

Rivolse un allegro cenno di saluto al visitatore, che s'era seduto al tavolo centrale. — Ehilà, caporale Chodak!

Lui s'illuminò in viso. — Allora si ricorda.

— Potrei dimenticare? Be'… ah, sei ancora con i Dendarii?

— Sì, signore. Sono sergente, adesso.

— Ottimo. Non ne sono sorpreso.

— E, uh… i Mercenari Oserani.

— Già, l'ho saputo. Se sia un miglioramento o no, resta da vedere.

— Chi stava fingendo d'essere, signore?

— Victor Rotha è un commerciante d'armi.

— Buona copertura — annuì Chodak, con serietà.

Miles cercò di mettere una maschera di casualità sulla sua domanda, mentre serviva due caffè, — Allora, che stai facendo di bello su Pol Sei? Mi sembrava che i Den… che la flotta fosse stata ingaggiata su Aslund.

— A Stazione Aslund, qui sul Mozzo — lo corresse Chodak. — Sono solo un paio di giorni di volo, attraverso il sistema. Se sistema si può chiamare. Contratto governativo.

— Ordini come grandine e paghe ridotte all'osso?

— L'ha detto, signore. — Chodak accettò il caffè senza esitazioni e prese la tazzina con entrambe le mani, assaggiandone subito un sorso. — Non posso trattenermi molto. — Rigirò la tazza fra le dita e la depose sul tavolo. — Sa, non vorrei averle fatto uno sgambetto, prima. Sono rimasto di sasso nel vederla seduto li, e… comunque volevo… metterla sull'avviso, suppongo. Lei sta tornando alla flotta?

— Ahimè, ho l'ordine di non parlare dei miei piani. Con nessuno.

Gli occhi neri di Chodak lo scrutarono con attenzione. — Lei è sempre stato dannatamente complicato.

— Come soldato esperto del combattimento, tu preferisci un assalto frontale se puoi scegliere?

— Direi di no, signore — Chodak ebbe un sorrisetto.

— Per l'appunto. Bene… devo presumere che tu sia l'agente, o uno degli agenti, che la flotta ha scaglionato nel Mozzo in cerca di informazioni. E spero che ci sia anche qualcuno più specializzato di te in questi giochetti, altrimenti vuol dire che la flotta è declinata molto in mia assenza. — In effetti, metà degli individui che si trovavano al momento su Pol Sei dovevano essere spie della più diversa provenienza, considerato il numero dei sistemi solari interessati. Per non parlare dei doppi-agenti… o non era lecito contarli per due?

— Perché è stato lontano tutto questo tempo, signore? — Il tono di Chodak era quasi accusatorio.

— Non è dipeso completamente da me — spiegò Miles. — Per un lungo periodo sono stato prigioniero in… un posto che preferisco non nominare. Sono evaso soltanto tre mesi fa. — Be', posto innominabile era una definizione che si addiceva all'isola Kyril.

— Prigioniero! Signore, avremmo potuto liberarla, se…

— No, non avreste potuto — disse in fretta lui. — La situazione era estremamente delicata. E si è risolta in modo soddisfacente. Ho dovuto modificare alquanto il mio settore di attività, comunque, ampliare gli orizzonti. Mi spiace dover dire che voialtri, gente, non siete più la mia sola preoccupazione. Tuttavia sono preoccupato. Mi sarei aspettato di sapere qualcosa dal commodoro Jesek, per dirne una. — In effetti non aveva avuto nessuna notizia.

— Il commodoro Jesek non è più al comando. Circa un anno fa c'è stata una ristrutturazione finanziaria, e dei cambiamenti nel quadro ufficiali, per decisione dei capitani-proprietari e dell'ammiraglio Oser. Ora il comandante è l'ammiraglio Oser.

— E Jesek dov'è?

— Sempre con la flotta, ma retrocesso al grado di ingegnere.

Spiacevole, ma Miles non ci sospirò sopra. — Non è poi un gran male. Boz Jesek non è mai stato aggressivo come, ad esempio, Tung. E Tung?

Chodak scosse il capo. — Retrocesso anche lui, all'ufficio del personale. Un lavoro ridicolo.

— Mi sembra uno spreco di talenti.

— Oser non si fida di Tung. E non si può dire che Tung ami molto Oser, del resto. È un anno che l'ammiraglio sta cercando di dargli il benservito, ma lui non molla, nonostante le umiliazioni che… mmh, non è facile liberarsi di lui. Oser non può rischiare di decimare il suo staff. Sono ancora molti quelli che, se Tung se ne andasse, pianterebbero baracca e burattini.

Miles inarcò un sopracciglio. — Incluso anche tu?

Chodak mantenne un'espressione neutra. — Lui faceva funzionare le cose. Io lo consideravo un vero ufficiale.

— Anch'io.

Chodak annuì seccamente. — Signore, il fatto è che… l'uomo che era con me un'ora fa è il mio diretto superiore, qui. Ed è uno dei fedelissimi di Oser. Non saprei come impedirgli di fare rapporto sul nostro incontro. Salvo che… uh, non gli capiti un incidente.

— Non ho nessun desiderio di far scoppiare una guerra civile nei miei ex quadri di comando — disse con calma Miles. Ex. - Credo sia più importante non lasciargli sospettare che hai parlato con me. Lascia che faccia il suo rapporto. Ho già trattato con Oser altre volte, con mutuo vantaggio.

— Non sono sicuro che Oser sia di questa opinione, signore. Credo che sia convinto d'esser stato raggirato.

Miles si permise una secca risata. — Che diavolo, non ho forse raddoppiato le dimensioni della flotta durante la guerra Tau Verde? Anche come terzo ufficiale, si è trovato a comandare più di quanto avesse mai comandato prima. Una fetta più piccola, ma di una torta più grossa.

— Ma quelli con cui Oser inizialmente s'era accordato hanno finito per perdere.

— Non proprio. Entrambe le parti hanno tratto il loro guadagno dalla tregua a cui noi le abbiamo costrette. È stata una vittoria per due, anche se qualcuno ha un po' perso la faccia. Diavolo, Oser non riesce a convincersi di avere vinto se non vede piangere chi ha perso?

Chodak ebbe una smorfia cupa. — Penso che sia proprio il suo caso, signore. Ora va dicendo, l'ho sentito io, che lei ci ha appiccicato la scalogna addosso. Dice che lei non è mai stato un ammiraglio, anzi neppure un ufficiale, e che lui l'avrebbe sbattuto all'inferno a calci nel sedere, se Tung non si fosse messo di mezzo. — Considerò Miles con uno sguardo pensoso. — Ma lei chi è, in realtà?

Miles gli sorrise. — Io sono quello che ha vinto. Ricordi?

Chodak sbuffò, con un mezzo sogghigno. — Oh, be', certo.

— Non permettere che Oser riscriva la storia di quei fatti a modo suo per confondervi le idee. Tu c'eri.

Chodak scosse pensosamente il capo. — Lei non ha bisogno che venga io a metterla in guardia. — Si alzò in piedi.

— Questo non darlo per scontato. E… mmh, abbi cura di te. In altre parole, non scottarti le dita nella pentola. Può darsi che in seguito io passi a vedere cosa ci bolle dentro.

— Sì, signore — Chodak annuì. Keller, che attendeva nel corridoio in posa da Guardia Imperiale, lo scortò fermamente al portello della nave.

Miles restò seduto in soggiorno e fece scorrere un dito sul bordo della tazza, considerando le analogie che potevano esistere fra la ristrutturazione del comando in una flotta mercenaria e le lotte per il potere fra i Vor barrayarani. Era possibile prendere i mercenari come un esempio da laboratorio, una versione in miniatura di una realtà più completa? Oser avrebbe dovuto dare un'occhiata durante la guerra contro il Pretendente Vordariano, per vedere come giocano i ragazzi grandi. Tuttavia era meglio non sottovalutare i potenziali pericoli e le complessità della situazione. Morire in un conflitto in miniatura era la stessa cosa che morire in uno di maggiori dimensioni.

Diavolo, morire a che scopo? Dopotutto, cos'aveva a che fare con i Dendarii, o Oserani che fossero? Oser aveva ragione, lui non era stato onesto, e c'era anzi da stupirsi che qualcuno ci avesse messo tanto per capirlo. Miles non riuscì a vedere alcun motivo immediato per tornare a coinvolgersi coi Dendarii. Quello che gli conveniva era stare alla larga da loro e dalle loro beghe. Che se li tenesse pure Oser. Del resto erano una cosa sua, in origine.

Ho tre persone legate a me, in quella flotta. Il mio piccolo corpo elettorale.

Quanto sarebbe stato facile scivolare di nuovo nei panni di Naismith e…

Ma riattivare Naismith non spettava a lui. La decisione poteva esser presa solo dal capitano Ungari.

Il concetto gli fu subito ribadito dallo stesso Ungari quando rientrò sulla nave e Keller gli fece rapporto. Era un uomo controllato, la cui rabbia trapelava solo dalla piega dura della bocca e dal modo in cui scandiva le parole. — Lei si è scoperto. Non bisogna mai rinunciare alla propria copertura, con nessuno. È la prima regola, se si vuole sopravvivere in questo gioco.

— Signore, posso rispettosamente farle notare che non è dipeso da me? — replicò con fermezza Miles. — È stato Chodak a scoprirmi. E lo ha capito subito, perché non è sciocco. Ha cercato di metterci rimedio meglio che poteva. — In effetti era possibile che Chodak avesse agito con sottigliezza, dal suo punto di vista, dato che lui aveva ancora un piede sul ponte di comando dei Dendarii, chiunque li guidasse in quel momento. Lo aveva avvicinato per fatalità o per calcolo? Nel primo caso era stato fortunato, nel secondo abile, e comunque s'era schierato dalla sua parte… Ma quale parte, eh? Dopo questa faccenda Ungari non mi lascerà mai avvicinare i Dendarii.

Il capitano gli indicò con disapprovazione il video su cui era ancora ferma l'ultima immagine del colloquio fra lui e il mercenario. — Ho la netta impressione che l'identità di Naismith sia troppo pericolosa perché lei possa assumerla. Se il piccolo golpe di Oser è del genere che questo individuo ha detto, l'idea di Illyan che lei possa liberarci dei Dendarii semplicemente ordinando loro di andarsene è irrealizzabile. — Ungari andò avanti e indietro per la stanza, battendosi un pugno sul palmo dell'altra mano. — Be', forse potremo fare un uso più ampio di Victor Rotha. Anche se sarei molto più tranquillo se lei restasse chiuso nel suo alloggio…

Strano quanti dei suoi superiori avevano detto lo stesso.

— Liga vuol vedere Rotha di nuovo, questa sera. Forse per fare un'ordinazione della nostra merce fittizia. Gli inventi qualche difficoltà… voglio che lei lo scavalchi e contatti il livello successivo della sua organizzazione. Il suo capo, o il capo del suo capo.

— Chi c'è dietro Liga? Sospetta qualcuno?

Ungari si fermò e allargò le braccia. — I cetagandani? Il Gruppo Jackson? Potrei nominarne una dozzina. A quella distanza dal Mozzo Hegen, la Sicurezza Imperiale ha una rete molto rarefatta. Quella di Liga è sicuramente un'organizzazione criminale, ma se venisse fuori che a manovrarla dietro le quinte sono i cetagandani varrebbe la pena di infiltrarla con un agente a tempo pieno. Lo chiarisca lei. Accenni ad altri articoli, gli faccia ballare davanti al naso delle possibilità, lo convinca a scoprire qualche carta. Io ho quasi finito qui, e Illyan vuol sapere per quando la Stazione Aslund sarà completa e operativa come base militare.


Miles poggiò un dito sul campanello della porta, al secondo piano dell'albergo. Un tic nervoso gli percorse la mandibola. Raddrizzò le spalle e si schiarì la gola. Keller stava guardando a destra e a sinistra nel corridoio deserto.

La porta scivolò di lato con un sibilo. Miles sbatté le palpebre, stupito.

— Ah, il signor Rotha. — La fredda voce femminile apparteneva alla piccola venere bionda che lui aveva visto in strada quel mattino. La tuta da volo che le aderiva addosso come una seconda pelle era diversa dalla precedente, rosso fiamma e meno scollata, con un altissimo colletto a mezzaluna che le racchiudeva quasi del tutto la metà posteriore della testa. Rossi erano anche gli stivaletti a tacco alto. I suoi denti di abbagliante madreperla si scoprirono in un sorriso ad alto voltaggio.

— Mi scusi — disse Miles automaticamente. — Devo aver sbagliato camera.

— Non ha sbagliato affatto. — Una mano sottile lo invitò ad entrare con un gesto espansivo. — La camera è questa.

— Avevo appuntamento col signor Liga… qui.

— Sì. Sono venuta io al suo posto. Si accomodi, prego. Io mi chiamo Livia Nu.

Be', sotto quel vestito non poteva nascondere un'arma. Miles entrò, e non fu sorpreso di vedere che in un angolo della stanza d'albergo c'era la sua guardia del corpo. L'uomo accolse con un cenno dei capo il sergente Keller, che gli rispose nello stesso modo, entrambi tesi come gatti. E il terzo uomo dov'era? Non lì, evidentemente.

La ragazza ancheggiò verso un divano ad acqua e sedette con un movimento flessuoso.

— Lei è, uh, il supervisore del signor Liga? — domandò Miles. No, anzi Liga aveva negato di conoscerla…

Livia Nu esitò un istante. — In un certo senso, sì.

Uno di loro stava mentendo… no, non necessariamente. Se era più in alto di Liga nella sua stessa organizzazione, lui non l'avrebbe detto a Rotha. Dannazione.

— … ma lei può definirmi un agente commerciale.

Dio. Pol Sei. Affollata di spie gomito a gomito. — Agente di chi?

— Ah — sorrise la ragazza, — uno dei vantaggi del trattare coi piccoli fornitori è che hanno una saggia politica: niente domande sulla politica. No? Uno dei pochi vantaggi.

— Niente domande è il sacro motto della House Fell. Ma loro hanno il vantaggio di una base stabile e sicura. Io ho imparato la mia politica vendendo armi a gente che avrebbe potuto usarle un mese dopo per spararmi addosso.

I suoi occhi azzurri si spalancarono. — E chi vuole spararle?

— Gente senza morale — buttò lì Miles. Al diavolo, non era lui a controllare quella conversazione. Gettò uno sguardo preoccupato a Keller, che però era impegnato a esibire impassibile indifferenza alla sua controparte.

— Dobbiamo fare due chiacchiere. — Lidia Nu batté una mano sul cuscino accanto a lei. — Si sieda, Victor. Ah… — Fece un cenno col capo alla sua guardia del corpo. — Perché non aspetti fuori?

Miles sedette sul bordo del divano ad acqua, cercando d'immaginare l'età della bionda. La sua pelle era liscia come l'alabastro. Solo la mezzaluna d'epidermide truccata sotto gli occhi appariva meno fresca e giovane. Miles ripensò agli ordini di Ungari: accennare ad altri articoli, a possibilità allettanti… — Forse dovrebbe attendere fuori anche lei — disse a Keller.

Lui non ne parve entusiasta, ma dei due quello che gli premeva sorvegliare di più era l'uomo, robusto e armato. Annuì con blanda indifferenza e seguì l'altro in corridoio.

Miles si esibì in quello che sperava fosse un sorriso amichevole. Livia Nu aveva l'aria di volersi mostrare seducente. Lui sì appoggiò con cautela allo schienale e cercò di mostrarsi seducibile. Un vero incontro stile spionaggio da romanzo, proprio quello che Ungari gli aveva detto di non aspettarsi nella realtà. Ma forse Ungari non stimolava gli aguzzi istinti delle bionde costose. Oh, nonnina, che denti aguzzi hai.

Le dita snelle di lei s'insinuarono in una tasca, aggirando il seno destro, e ne uscirono con un minidisco d'aspetto familiare. Si piegò in avanti a inserirlo nel visore, sul basso tavolino di fronte al divano, e a Miles occorse qualche istante per spostare lo sguardo dal profilo di lei allo schermo. La figura avvolta nella lucida aderenza del neuroscudo tornò a compiere i suoi gesti dimostrativi. Così la bionda era davvero il supervisore di Liga. Molto bene, ora sembrava che le cose andassero da qualche parte.

— Questo è un articolo molto notevole, Victor. Come le è capitato fra le mani?

— Una combinazione di circostanze fortunate.

— Quanti può procurarsene?

— Un numero abbastanza limitato. Cinquanta, diciamo. La mia fonte non ha molta libertà d'azione. Liga le ha parlato del prezzo?

— Mi è parso elevato.

— Se può trovare chi le offre condizioni più vantaggiose me lo faccia sapere, e io non solo eguaglierò il suo prezzo ma vi farò uno sconto del dieci per cento per farmi perdonare. — Miles cercò di non far vibrare il divano ad acqua quando lei rise divertita, appoggiandosi all'indietro.

— La quantità di cui lei dispone è troppo piccola, Victor.

— Vi sono buone possibilità di sfruttamento per i neuroscudi, anche in numero limitato, finché l'articolo non è ancora in commercio. Ad esempio, fornirli come modelli dimostrativi ad alcuni governi. O risvegliare l'attenzione di rivenditori che intendano prenderli in esclusiva per il loro pianeta. Si possono fare buoni affari, prima che i prezzi calino e anche dopo. A voi può interessare.

— E perché non a lei? Potrebbe anticipare la concorrenza chiedendo al produttore l'esclusiva per qualche zona.

— Chi le dice che non ci abbia già pensato? — Miles sorrise. — Ma consideri il mio giro in questo settore della distorsione. Devo arrivarci entrando dallo spazio di Barrayar o di Pol, e devo uscirne attraverso il Gruppo Jackson o l'Impero Cetagandano. Qualsiasi rotta scelga io corro il rischio di farmi sequestrare il carico, per non parlare delle sanzioni penali. — Quanto a questo, Barrayar da chi s'era procurato il suo modello di neuroscudo funzionante? Esisteva davvero un Victor Rotha, e dove? E Illyan com'era venuto in possesso di quella nave?

— Dunque lei porta la merce con sé?

— Non ho detto questo.

— Mmh. — Livia Nu sorrise. — Può farmene avere uno, stasera?

— Di che misura?

— Piccola. — Con la punta di un dito lei si tracciò una linea addosso, dalla gola al pube, per indicare esattamente a chi e a cosa si riferiva quella misura.

Miles sospirò, rammaricato. — Sfortunatamente per ora esistono solo modelli adatti alla taglia media dei militari. Restringerne uno non è facile, dal punto di vista tecnico, anche se ammetto che sto provando a farlo per me.

— Che imperdonabile manchevolezza, da parte del produttore.

— Sono assolutamente del suo parere, cittadina Nu.

Lei lo osservò con più attenzione. C'era qualcosa di più genuino nel suo sorriso?

— Comunque, preferisco venderli in lotto. Se la sua organizzazione non è del parere…

— È possibile che si venga a un accordo.

— In breve tempo, mi auguro. Presto dovrò partire.

Con aria assente lei mormorò: — Forse non… — Poi lo guardò, improvvisamente accigliata. — Qual è la sua prossima tappa?

Ungari, comunque, aveva dovuto comunicarla alle autorità della stazione. — Aslund.

— Mmh… sì, dobbiamo arrivare a un accordo. Assolutamente.

In quegli occhi azzurri c'era davvero qualcosa di simile a un «effetto camera da letto»? Lo sguardo di Livia Nu poteva ipnotizzare un uomo. Ecco che finalmente incontro una donna alta appena poco più di me, e non so neppure da che parte sta. E non l'avrebbe definita innocua. Nessuno meglio di lui sapeva che una persona di piccola statura non era necessariamente né debole né indifesa.

— Posso avere un incontro col suo capo?

— Con chi? — Lei inarcò le sopracciglia.

— L'uomo che ho visto con lei questa mattina.

— Oh… così lo ha già visto?

— Mi procuri un colloquio. Vedremo di accordarci subito. Dollari betani, ricordi.

Lidia Nu s'inclinò verso di lui. — Prima il dovere, poi il piacere, certo… ma invertendo i fattori il prodotto non cambia, no? — Miles sentì il suo alito in un orecchio.

Stava cercando di fargli abbassare la guardia? A che scopo? Ungari gli aveva detto di non rinunciare alla sua copertura, e di certo Victor Rotha era il tipo che prende tutto ciò che può avere. Più il dieci per cento. — Non è necessario che… lei lo faccia — riuscì a balbettare. Il cuore gli era balzato in gola.

— Quello che io faccio non è sempre per ragioni di affari — mormorò lei, sfiorandogli il collo con un'unghia.

E perché, allora, prendersi il disturbo di sedurre un piccolo trafficante d'armi? Che piacere poteva esserci per lei? Cosa c'era a parte il piacere per lei? Forse le piaccio. Miles deglutì saliva, cercando di figurarsi cos'avrebbe pensato Ungari di quell'ipotesi. Livia Nu gli passò le braccia intorno al collo. Lui alzò una mano ad accarezzarle una guancia e i capelli sulla tempia. Un'esperienza tattile molto piacevole, proprio come aveva immaginato…

Le mani di lei si strinsero. Per puro riflesso nervoso Miles balzò in piedi di scatto.

E restò lì, sentendosi un perfetto idiota. Era stata una carezza, non un tentativo di strangolamento. L'angolazione da cui lei s'era avvicinata le avrebbe impedito di far leva.

Livia Nu si lasciò andare contro i cuscini, allargando le braccia sopra la spalliera. Inarcò un sopracciglio e scosse il capo, divertita. — Non volevo morderti il collo. I miei denti ti sembrano tanto minacciosi?

Lui avvampò di rossore. — Io devo, mmh, andare, temo. — Si schiarì la gola per riportare la voce al timbro normale, e allungò una mano a sfilare il minidisco dal visore. Lei fece il gesto di fermarlo, ma subito lasciò languidamente ricadere il braccio, fingendosi disinteressata. Miles premette il telecomando della porta.

Il battente scivolò di lato, rivelando la massiccia figura di Keller già pronto ad entrare. Lui si rilassò un poco. Se la sua guardia del corpo non fosse stata lì, il modo di comportarsi della bionda si sarebbe spiegato subito. E troppo tardi, ovviamente.

— Forse io e lei potremmo… — disse goffamente Miles. — Dopo che avremo trattato la consegna della merce, se vuole. — Dopo aver consegnato una merce inesistente? Ma che stava dicendo?

Livia Nu scosse il capo, stupefatta. La sua risata lo seguì lungo il corridoio. Aveva qualcosa che gli diede un brivido.


Quando le luci della cabina si accesero, Miles si svegliò di soprassalto. Sulla porta c'era Ungari, già completamente vestito. Dietro di lui apparve per un momento il pilota dell'astronave, in mutande, con la faccia di chi è dell'opinione di non aver dormito quanto è suo diritto dormire.

Il capitano si volse a guardarlo. — Ti vestirai più tardi — sbottò. — Adesso portaci fuori da questa stazione, e poi oltre il limite di diecimila chilometri. Fra qualche minuto verrò a darti una mano con la rotta, appena… — Scosse la testa, con una smorfia. — Appena saprò dove diavolo stiamo andando. Muoviti!

Il pilota sparì. Ungari entrò a passi lunghi e si fermò accanto al letto. — Vorkosigan, cosa accidenti è successo in quella stanza d'albergo, si può sapere?

Miles strinse le palpebre, irritato dalla luce e dall'incombere di Ungari su di lui. — Eh? — mugolò, con voce impastata.

— Mi hanno appena anticipato la notizia, e dico anticipato di pochi minuti se siamo fortunati, che la polizia giudiziaria di Pol Sei sta per ricevere un ordine d'arresto a nome di Victor Rotha.

— Ma quella ragazza io non l'ho neanche toccata! — protestò Miles, storditamente.

— Il cadavere di Liga è stato trovato in quella stanza.

— Cosa?

— Il laboratorio della polizia ha stabilito l'ora della morte, e corrisponde circa a quella del vostro appuntamento. L'ordine d'arresto sarà diramato fra pochi minuti, e lei se ne sta lì a dormire.

— Ma non l'ho ucciso io. Non ho neppure visto Liga. Soltanto il suo capo, Livia Nu. Voglio dire… se lo avessi ammazzato io glielo direi senz'altro, signore.

— Grazie — borbottò Ungari. — Saperlo mi rassicura molto. — La sua voce s'indurì. — Lei è stato usato, ovviamente.

— Ma chi… — Sì. C'era un altro modo, meno amichevole, in cui Livia Nu poteva aver avuto da Liga il minidisco top secret. Ma se non era il supervisore di Liga, né una agente della polizia poiana, chi era? — Dobbiamo saperne di più, signore. Questo potrebbe essere l'inizio di qualcosa.

— Questo potrebbe essere la fine della nostra missione, perdio! E non possiamo neppure tornare a Barrayar via Pol. Tagliati fuori. Che cosa resta? — Ungari stava evidentemente pensando ad alta voce. Riprese ad andare avanti e indietro. — Bisogna raggiungere Aslund, è indiscutibile. Il loro trattato di estradizione con Pol non è più in vigore, attualmente… ma là ci aspettano le sue complicazioni coi mercenari. Quelli sanno che Rotha è Naismith, ora, grazie alla sua trascuratezza.

— Da quel che ha detto Chodak, devo supporre che l'ammiraglio Naismith non sarebbe accolto a braccia aperte — ammise con riluttanza Miles.

— La Stazione Confederata del Gruppo Jackson non ha trattati di estradizione con nessuno. La nostra copertura si è rivoltata contro di noi: Rotha e Naismith, entrambi inutili. Ci resta soltanto la Confederata. Dovrò portare là questa nave, provvedere a una nuova copertura, e poi andare ad Aslund per conto mio.

— E in quanto a me, signore?

— Lei e Keller lascerete il campo e tornerete in patria attraverso un'altra rotta, ovviamente molto più lunga.

Tornare in patria. In disgrazia. — Signore… rinunciare così non mi sembra onorevole. Se invece tenessimo duro e dimostrassimo che Rotha è estraneo ai fatti? Non saremmo più tagliati fuori, e Rotha tornerebbe a essere una copertura sfruttabile. C'è la possibilità che qualcuno voglia proprio questo da noi: tagliarci fuori e costringerci a sgombrare il campo.

— Non vedo chi potrebbe aver previsto che il mio informatore nella polizia poiana mi avrebbe messo sull'avviso. Penso invece che questa manovra sia tesa a inchiodarci qui. — Ungari si batté un pugno sul palmo dell'altra mano; un gesto risoluto, stavolta. — Dovrà essere la Confederata. — Girò su se stesso e uscì, facendo risuonare gli stivali sul ponte. Da lì a poco una vibrazione che pervase lo scafo e alcuni rumori metallici all'esterno informarono Miles che la piccola astronave si stava staccando da Pol Sei.

Ad alta voce disse, rivolto alla cabina vuota: — E se quelli avessero un piano per entrambe le alternative? Al loro posto io lo avrei. — Scosse la testa, dubbiosamente; poi si vestì in fretta e seguì Ungari.

Загрузка...