CAPITOLO NONO

La Stazione di balzo Confederata del Gruppo Jackson, stabilì Miles, differiva da quella di Pol soprattutto per l'assortimento di articoli esposti nei negozi per turisti danarosi. Si fermò davanti a un distributore automatico di librodischi, nella strada che anche lì rappresentava il luogo d'incontro principale, e fece scorrere in fretta il videocatalogo oltre un interminabile elenco di cassette pornografiche. Be', non troppo in fretta; la curiosità e lo stupore lo costrinsero a soffermarsi su alcuni titoli. Ma nobilmente represse il desiderio di saperne di più e raggiunse le pubblicazioni di storia militare, una lista che con disappunto scoprì assai meno nutrita.

Inserì la carta di credito e la macchina gli consegnò tre cassette. Non che fosse particolarmente avido di conoscere Gli Errori della Strategia Triangolare nelle Guerre di Minos IV, ma il ritorno a casa sarebbe stato lungo, e il sergente Keller non si prometteva come un compagno di viaggio molto vivace. Miles intascò i dischetti e fece un sospiro: in che assurdo spreco di tempo, di energia e di preparativi s'era risolta quella missione!

Ungari aveva predisposto la «vendita» della nave di Victor Rotha, pilota compreso, a un uomo di fiducia che l'avrebbe riconsegnata per vie traverse alla Sicurezza Imperiale di Barrayar. Il supplichevole suggerimento di Miles circa le possibilità d'impiego che ancora restavano per il disonesto Rotha, l'eroico Naismith e non ultimo anche il volonteroso alfiere Vorkosigan era stato interrotto dall'arrivo di un messaggio ultracodificato dal Quartier Generale della Sicurezza, solo per gli occhi di Ungari. Il capitano s'era ritirato in cabina per decodificarlo e ne era uscito un'ora dopo, con lo sguardo cupo e la bocca stretta in una linea sottile.

Aveva modificato i suoi programmi ed era partito subito dopo su una nave mercantile diretta a Stazione Aslund. Da solo. Rifiutando di rivelare il contenuto del messaggio a Miles ed anche al sergente Keller. Rifiutando a Miles di portarlo con sé. Rifiutando a Miles il permesso di osservare o fare domande su tutto ciò che di militare poteva esserci sulla Stazione Confederata.

Andandosene, Ungari aveva lasciato Keller a disposizione di Miles, o viceversa. Nessuno dei due era riuscito a capire chi aveva il comando di chi. Keller aveva però sviluppato la tendenza ad agire con Miles sempre meno come un subordinato e sempre più come una governante accidiosa, scoraggiando i suoi tentativi di esplorare la stazione per tenerlo il più possibile nella camera d'albergo in cui s'erano trasferiti. Per fortuna anche quella noia era finita. Ormai stavano per imbarcarsi su una nave passeggeri escobarana sulla via del rientro dopo una crociera nella distorsione. Su Escobar si sarebbero rivolti all'ambasciata di Barrayar, che avrebbe provveduto a farli tornare in patria con altri mezzi. In patria, e senza niente di utile da riferire.

Miles controllò l'orologio. Altri venti minuti prima che aprissero il cancello d'imbarco. Tanto valeva andarsi a sedere su una panchina. Con un grugnito e un cenno del capo comunicò a Keller il senso di marcia e si avviò pigramente lungo la strada. Keller gli tenne dietro accigliato, disapprovando la sua decisione di spostarsi da un luogo che lui aveva già controllato.

I pensieri di Miles continuavano a tornare a Livia Nu. Defilandosi dall'invito erotico della bionda aveva risparmiato a se stesso la più eccitante avventura sessuale della sua breve vita. Anche se non ricordava di aver visto nulla di erotico sul volto di lei. Del resto avrebbe dubitato della salute mentale di una femmina capace di farsi erotizzare a prima vista da Victor Rotha. La luce che le aveva visto negli occhi era piuttosto quella di chi è stato costretto a ordinare un piatto di fagioli e si vede servire in tavola esattamente quello di cui dovrà accontentarsi.

Si vestiva come se fosse la piccola preziosa bambola di qualche riccone e si muoveva come una cortigiana; ma in lei non c'era nulla di servile, nulla che facesse pensare alla sottomissione e al desiderio di compiacere. In quel contenitore così sofisticato c'erano il calcolo, l'ambizione, la durezza del potere.

Quant'era bella, però.

Cortigiana, criminale, spia, chi era in realtà? E soprattutto, da che parte stava? Era il capo di Liga o il suo avversario? Di certo era stata il suo destino. L'aveva ucciso lei personalmente? Quale che fosse la risposta, Miles si stava convincendo che la bionda era un elemento chiave negli intrighi del Mozzo Hegen. Avrebbero dovuto starle dietro, non sfuggirla. Quella sessuale non era la sola opportunità che lui aveva perduto. L'incontro con Livia Nu l'avrebbe tormentato per molto tempo.

Miles uscì dai suoi pensieri accorgendosi che qualcuno gli sbarrava la strada: due poliziotti confederati… ufficiali della sicurezza civile, si corresse ironicamente. Piantò saldamente i piedi al suolo e sollevò il mento. Che diavolo volevano? — Sì, signori?

Quello grosso guardò quello enorme, che si schiarì la gola. — Il signor Victor Rotha?

— E se anche fosse?

— È stato pagato per lei un ordine d'arresto. L'accusa è di aver procurato con mezzi violenti la morte di un certo Sidney Liga. Vuole sporgere una controdenuncia?

— Probabilmente. — Miles non riuscì a reprimere una smorfia. Quello era uno sviluppo imprevisto. — Chi ha pagato per farmi arrestare?

— Il nome sulla denuncia è Cavilo.

Miles scosse il capo. — Mai sentito nominare. È un agente della polizia poiana, per caso?

Il poliziotto controllò il display del suo comunicatore. — No. — E in tono discorsivo aggiunse: — Noi non facciamo molti affari con i polani. Quelli pensano che dovremmo arrestare gratis i loro criminali. E alloggiarli in una comoda cella a nostre spese.

— Uh-uh. Sono clienti che danno poche mance — rispose Miles, cercando di riflettere in fretta. Illyan non si sarebbe spaventato di quel sovrappiù sul suo conto spese. — Quanto ha pagato questo Cavilo, per me?

Il poliziotto guardò di nuovo il display. Inarcò un sopracciglio. — Ventimila dollari betani. Deve tenerci molto a farla punire.

Miles imprecò fra i denti. — Non ho una somma simile in tasca, al momento.

Il poliziotto staccò dalla cintura lo sfollagente-storditore e lo accese. — Quand'è così, deve venire con noi.

— Dovrò fare un paio di chiamate. Alla banca e…

— Potrà farle dal carcere della stazione, signore.

— Ma devo imbarcarmi! Perderò la nave!

— Suppongo che il denunciante abbia questo desiderio, fra l'altro — annuì il poliziotto, — considerando il tempo che occorre per essere schedato e tutto.

— Ma se… se questo è tutto ciò che Cavilo vuole… allora forse ritirerà la denuncia, no?

— Perderebbe un sostanzioso deposito.

La giustizia jacksoniana era davvero uguale per tutti: la vendevano a tutti quelli che potevano pagarla. — Senta, posso scambiare due parole col mio assistente?

Il poliziotto si mordicchiò un labbro, scrutando sospettosamente Keller. — Faccia alla svelta.

— Lei che ne pensa, sergente? — chiese Miles. — Voglio dire, sembra che le autorità non abbiano un ordine d'arresto per lei…

Keller sembrava teso e preoccupato, sul punto di irritarsi. — Se fossimo andati subito al molo d'imbarco…

Non c'era bisogno di spiegarsi meglio. Gli escobarani condividevano la disapprovazione dei polani per le leggi del Gruppo Jackson. Una volta a bordo della nave di linea Miles sarebbe stato sul suolo di Escobar, e il capitano non lo avrebbe consegnato alle autorità della stazione. Chiunque fosse questo Cavilo, certo non aveva i soldi per pagare l'arresto di un'intera astronave. Sarebbe occorsa una cifra astronomica. — Però siamo ancora in tempo, no? — disse, e vide una scintilla di comprensione accendersi negli occhi di Keller.

Miles si volse verso i due ufficiali della sicurezza civile e sospirò, allargando le mani con aria rassegnata. — Bene, signori… — disse. In quell'istante Keller entrò in azione.

Il primo pugno del sergente fece volar via di mano lo sfollagente-storditore al poliziotto più grosso, e proseguendo nella sua traiettoria andò a impattare nella tempia sinistra dell'altro con la violenza di una mazzata. Miles era già in movimento. Balzò di lato, evitando una mano che stava per afferrarlo selvaggiamente alla gola, e corse via lungo la strada più in fretta che poté. Fu soltanto dopo cinque passi che si accorse del terzo poliziotto, in borghese. Capì chi era quando lo vide alzare la liscia canna metallica che gli proiettò un campo-raggio trattore fra le gambe. L'uomo emise una risata secca quando lui si tuffò in avanti nel tentativo di aggrapparsi con una mano a un passante per non cadere. Il passante indietreggiò, gridando di sorpresa. Miles si abbatté sulla pavimentazione stradale con un colpo che gli tolse la luce dagli occhi per qualche istante. Cercò di non mugolare e di tirare il fiato, mentre il dolore al petto stentava a lasciare il posto alle fitte ardenti che gli salivano dai polpacci, stretti nella morsa del campo-raggio trattore. Si contorse e guardò cosa stava accadendo dietro di lui, con occhi annebbiati dalla sofferenza.

Un individuo di grossa taglia era in ginocchio e si teneva la testa fra le mani, stordito. Un altro, di taglia ancora maggiore, stava raccogliendo lo sfollagente-storditore poco più in là. Per eliminazione la terza figura, lunga distesa al suolo, doveva essere il sergente Keller.

Recuperata la sua arma il poliziotto tornò accanto a Keller, scosse il capo e proseguì verso Miles. L'altro si rialzò vacillando, sferrò un paio di calci rabbiosi nelle costole all'uomo svenuto e poi seguì il collega, senza voltarsi indietro. Nessuno evidentemente voleva occuparsi oltre di Keller. Non gratis.

— Ci sarà il dieci per cento di tassa addizionale per resistenza all'arresto — disse freddamente il poliziotto, incombendo sopra di lui. — In quanto ai danni alle cose e alle persone avvenuti a causa vostra… — Miles guardò le lucide colonne dei suoi stivali. Lo sfollagente-storditore, spento, si abbatté ferocemente su di lui.

Al terzo colpo cominciò a gridare. Al settimo svenne.


Ritornò alla coscienza fin troppo presto, mentre veniva trascinato via da due uomini in uniforme che lo reggevano sotto le ascelle. Fu scosso da un tremito convulso. I suoi polmoni erano bloccati da una morsa di dolore che impediva l'ingresso dell'aria, costringendolo a spasimare per ogni respiro. Migliaia di fitte acute come punture d'aghi gli percorrevano tutti i nervi del corpo. Ebbe una visione caleidoscopica di numerose stanze, poi ci fu un corridoio, l'interno di un ascensore e un altro paio di corridoi molto più disadorni. Alla fine i poliziotti si fermarono, lo lasciarono e lui cadde in ginocchio. Le sue mani si poggiarono su un freddo e polveroso pavimento di plastica.

Un altro ufficiale della sicurezza civile lo guardò da sopra il bordo di una scrivania, brontolando qualcosa. Una mano afferrò Miles per i capelli e gli rovesciò la testa all'indietro; il rosso lampo di uno scanner retinico lo accecò per qualche secondo. Non aveva mai avuto gli occhi così dolorosamente sensibili alla luce. Le sue mani furono prese e spinte con rude energia a contatto di qualcosa per l'identificazione delle impronte. Quando lo lasciarono ricadde di nuovo in ginocchio. Un poliziotto lo perquisì, rivoltandogli le tasche, e tutto quel che c'era dentro — i documenti, i biglietti di viaggio, la carta di credito e i contanti — fu cacciato in una grossa borsa di plastica. Miles gemette stancamente quando anche la giacca a strisce, coi suoi preziosi segreti, gli fu tolta per essere ficcata anch'essa nella borsa. La serratura venne chiusa e sigillata con l'impronta del suo pollice destro sul lucchetto.

L'ufficiale che aveva svolto il lavoro tornò a sedersi dietro la scrivania. — Vuole emettere una controdenuncia? Dico a lei.

— Uh, n-non… — cercò di rispondere Miles, quando un calcetto in un fianco lo informò che doveva rispondere.

— Prima sembrava disposto a pagare — disse il poliziotto che lo aveva arrestato, in tono speranzoso.

L'altro scosse il capo. — Dovremo aspettare finché si sarà rimesso in sesto. Voialtri avete un po' esagerato, no? Mi sembra che sia un piccoletto poco bellicoso.

— Sì, ma stava con uno scagnozzo che ci ha dato filo da torcere. E a comandare era questo mutante, così ha pagato per tutti e due.

— Sì, è giusto — ammise l'ufficiale. — Be', gli ci vorrà qualche ora. Mettetelo al fresco fin quando potrà reggersi sulle gambe.

— Sicuro che sarebbe una buona idea? Nella cella comune ci sono dei bastardi che potrebbero divertirsi di brutto con questo tipo. Se lo vuole in piedi alla svelta…

— Mmh. — L'ufficiale considerò Miles pensosamente. — Sbattilo nel magazzino coi tecnici di Marda, allora. Quelli hanno i guai loro a cui pensare, e lo lasceranno in pace. Del resto, fra una mezz'ora li avremo fatti sgombrare tutti.

Miles fu trascinato via… trascinato, perché le gambe non gli rispondevano che con deboli spasmi. I gambali di rinforzo sembravano aver subito uno shock elettronico dal campo del raggio trattore, o forse era ancora l'effetto delle bastonate. Lo stanzone in cui venne portato era un magazzino attrezzato a dormitorio, con dozzine di brande allineate lungo le pareti. I poliziotti lo scaricarono su una di esse, nell'angolo meno popolato; fecero lo sforzo di gettare una leggera coperta sul suo corpo scosso da tremiti incontrollabili e lo lasciarono lì.

Trascorse un po' di tempo senza che nulla venisse a distrarlo dalle spiacevoli sensazioni fisiche di cui era preda. Pensava di aver già conosciuto tutti i dolori in catalogo per chi nasce con una condanna scritta nelle ossa, ma quel campo d'energia aveva scovato nervi e sinapsi che non sapeva di possedere. Non c'era nulla come il dolore che inducesse a concentrarsi su se stessi, dimentichi dei problemi altrui. Tuttavia stava diminuendo, notò. Se solo il suo corpo avesse smesso di rabbrividire così noiosamente…

Una faccia entrò nel suo campo visivo. Una faccia familiare.

— Oh, Gregor. Sono contento di vederti — mormorò, stordito. E un attimo dopo sbarrò gli occhi. Le sue mani scattarono ad afferrare Gregor per il petto della blusa, un indumento azzurro-grigiastro da prigioniero. — Ma che diavolo stai facendo tu, qui?

— È una lunga storia.

— Cosa? Cosa? — Miles fece forza su un gomito per alzarsi a mezzo e si guardò attorno. Scosse il capo e le sue allucinazioni restarono lì, più solide che mai. — Mio Dio! Dove…

Gregor gli poggiò una mano sul petto e lo spinse di nuovo giù. — Calmati. — La sua voce si abbassò in un sussurro urgente: — E taci! Diavolo… meglio che ti riposi un po'. Hai una faccia che non mi piace per niente.

Neppure Gregor, a dire il vero, sembrava molto in forma quando sedette sul bordo della branda. Era pallido e stanco, con la barba lunga. I suoi capelli neri, solitamente ben curati, erano un cespuglio. Nel modo in cui si guardava intorno c'era una cautela da animale braccato. Miles lo fissò, spaurito e incredulo.

— Il mio nome, qui, è Greg Bleakman — lo informò l'imperatore con voce bassa e ansiosa.

— Io non riesco a ricordare quale sia il mio — mormorò lui. Si passò una mano sulla faccia. — Ah, sì… Victor Rotha, credo. Ma come hai fatto a finire in… a partire da…

Gregor gli fece cenno di badare a quello che diceva. — I muri hanno orecchi. O così bisogna presumere.

— Sì, forse. — Miles colse un movimento e si volse. L'uomo disteso sul lettuccio alla destra del suo scosse il capo, con uno sguardo da Dio-mi-salvi-da-questi-bastardi-rompiscatole, e si girò dall'altra parte. — Ma… voglio dire, sei arrivato qui con i tuoi mezzi?

— Sfortunatamente solo con quelli, sì. Ricordi quando scherzavamo sul fatto di poter fuggire di casa?

— Sì. E allora?

— Be'… mmh. — Gregor inalò un lungo respiro. — Immagino di aver scoperto che non era una buona idea.

— Non avresti potuto immaginarlo prima?

— Io… — Gregor s'interruppe, sentendo cigolare la porta metallica in fondo alla stanza. Una guardia mise dentro la testa e abbaiò: — Cinque minuti!

— Oh, all'inferno.

— Cosa? Che sta succedendo?

— Vengono a prelevarci.

— Chi sta venendo a prelevare chi? Cosa diavolo succede? Gregor… cioè, Greg, tu…

— Mi ero procurato un passaggio su un mercantile, ma dopo aver attraccato qui mi hanno buttato fuori. Senza restituirmi i soldi — spiegò in fretta Gregor. — Anzi mi hanno ripulito le tasche. Non ho neppure mezzo marco. Stavo cercando di infilarmi a bordo di un'altra nave, ma sul molo mi hanno arrestato per vagabondaggio. Le leggi di questi jacksoniani sono una gran porcata — aggiunse, in tono pensieroso.

— Lo so. E poi cos'è successo?

— Sembra che su questa stazione sia in corso un repulisti. Le autorità, o i gangster che pagano le autorità, stanno rastrellando la manodopera disponibile per venderla agli aslundiani, sulla loro stazione qui sul Mozzo. Hanno in corso dei lavori e sono indietro rispetto al programma.

Miles sbatté le palpebre. — Lavori forzati? Schiavi?

— Una specie. La condanna per vagabondaggio adesso è la deportazione sulla Stazione Aslund. Qui ci sono molti tecnici disoccupati, e alla maggior parte di loro non importa. Niente paga, ma avranno cibo e alloggio, e saranno fuori dalla portata della polizia jacksoniana, perciò non si troveranno peggio di qui. Alcuni sono convinti che alla fine avranno un ingaggio su una nave oppure un buon lavoro su Aslund. Essere senza soldi in tasca, laggiù, non è considerato un crimine.

Miles cercò d'ignorare il malessere. — Ti stanno portando via?

La tensione restò negli occhi di Gregor, senza emergere sulla calma forzata del suo volto. — Proprio adesso, credo.

— Dio! Non posso permettere che ti…

— Ma come hai saputo che ero qui? — lo interruppe Gregor. Guardò gli uomini e le donne in tuta azzurro-smorto che si stavano alzando dalle brande. — Dio, bisogna fare qualcosa.

Qualcosa cosa? Miles si guardò intorno, freneticamente. L'individuo sulla branda accanto li stava di nuovo osservando, con espressione annoiata. Non era molto alto…

— Tu! — Miles si alzò e barcollò avanti, appoggiandosi alla parete umida. — Ascoltami, vuoi toglierti da questo guaio?

L'altro parve scarsamente interessato. — Forse. Ma come?

— Scambiamoci i vestiti. Scambiamoci il nome. Tu prendi il mio posto, e io il tuo.

L'uomo lo fissò insospettito. — Dov'è il trucco?

— Niente trucchi. Io ho un sacco di soldi. Sarei già uscito di qui, se avessi potuto fare una telefonata. — Miles dovette appoggiare un ginocchio sul pavimento. — Ma ho fatto resistenza all'arresto, e mi hanno pestato.

— Perché, credevi che ti avrebbero portato qui dentro in carrozza? Il più fortunato ce l'hanno fatto arrivare a calci. Che te ne fai di cambiare identità con un altro?

— Per favore! Io devo andare con… con il mio amico. Ti darò quello che vuoi. — Gli uomini e le donne parlottavano a bassa voce, riunendosi lentamente davanti all'uscita in fondo allo stanzone. Gregor girò intorno al letto dell'uomo, che si tirò a sedere volgendogli le spalle.

— Naah — borbottò. — Chi mi dice che non ti hanno messo dentro per qualcosa di grosso? No, non voglio averci a che fare, amico. — Mise i piedi al suolo e si preparò ad alzarsi per andare in fila con gli altri.

In ginocchio di fronte a lui Miles alzò le mani, supplichevole. — Per favore…

Gregor gli balzò addosso e lo afferrò per il collo. Poi lo trascinò giù dal letto con un violento strattone all'indietro e lo rovesciò al suolo, fuori vista. Grazie al cielo l'aristocrazia barrayarana insisteva molto sull'addestramento militare dei suoi giovani. Miles si alzò per celare il più possibile la scena a chi stava all'altra estremità del magazzino. Da dietro il letto provennero alcuni tonfi soffocati. Pochi secondi dopo una blusa grigio-azzurra da detenuto gli arrivò fra i piedi calzati di sandali. Lui si chinò a raccoglierla e la indossò sulla sua camicia di seta verde — per fortuna non gli stava troppo larga — poi s'infilò nei pantaloni che la seguirono, arrotolando l'orlo all'interno per accorciarli. Ci furono altri lievi rumori quando il corpo incosciente dell'uomo fu spinto sotto la branda, e infine Gregor si tirò in piedi, ansimante e pallido in faccia.

— Queste cordelle che adoperano invece della cintura… non ci riesco — disse Miles, annaspando con mani tremanti.

Gregor lo aiutò ad annodarle e gli sistemò meglio l'orlo dei pantaloni. — Hai bisogno della sua carta d'identità, altrimenti non potrai avere da mangiare né registrare il tuo lavoro-credito — sibilò con un angolo della bocca, e si appoggiò artisticamente alla spalliera del letto, fingendo pigra indifferenza.

Miles controllò le tasche e trovò la carta standard per i computer. — Ce l'ho — disse, e mentre si avviava a fianco di Gregor strinse i denti con un mugolio. — Sto per cadere in terra, lo sento.

Lui lo afferrò per un gomito. — Non ora, santo cielo. Attireresti l'attenzione di tutti.

Attraversarono il locale e si accodarono alla fila dei candidati all'espatrio, che brontolavano e si lamentavano. La porta si aprì, un poliziotto grugnì ai presenti di passare oltre e li controllò uno per uno, passando uno scanner sopra le loro carte d'identità.

— … ventitré, ventiquattro, venticinque — comunicò ai colleghi che stavano fuori. — Bene così. Questi portateli via.

A scortarli c'era adesso una pattuglia di guardie che non avevano l'uniforme della Stazione Confederata, ma quella di qualche altra organizzazione jacksoniana, nera e dorata. Miles cercò di tenere nascosta la faccia mentre venivano condotti fuori dalla prigione. La mano di Gregor era la sola cosa che lo tenesse in piedi. Passarono per una galleria, svoltarono in un'altra, furono introdotti in un largo montacarichi — Miles per poco non si afflosciò durante la discesa — e quindi in uno stretto corridoio di servizio. E se questa dannata carta d'identità avesse un allarme sonico? pensò ad un tratto. Nel successivo montacarichi in cui entrarono la infilò in una fessura, e il rettangolo di plastica sparì in silenzio. Un molo d'imbarco, un portello stagno, la breve assenza di peso in un tubolare di collegamento e furono a bordo di una nave. Sergente Keller, dove sei finito?

Era un semplice vascello da trasporto interplanetario, non una nave da balzo, ma non per questo molto spazioso. Gli uomini furono separati dalle donne e indirizzati verso l'estremità opposta di un corridoio, su cui si aprivano cabine a quattro cuccette. I futuri lavoratori forzati scelsero ciascuno il suo alloggio, senza che le guardie si preoccupassero d'interferire.

Miles fece un rapido calcolo. — Possiamo avere una cabina tutta per noi, se ci proviamo — sussurrò, dando di gomito a Gregor. S'infilarono nella prima che trovarono libera e subito chiusero la porta. Uno dei prigionieri fece per seguirli e fu accolto con un ringhioso: — Stai fuori dai piedi! — Nessun altro cercò di aprire la loro porta.

La cabina era incrostata di sudiciume e priva di amenità come le lenzuola per le cuccette, ma il lavandino funzionava. Mentre sì dissetava con un rivolo d'acqua rugginosa Miles sentì i tonfi dei portelli che si chiudevano, e la nave si staccò dal molo. Per il momento erano al sicuro. Ma per quanto?

— Credi che quell'uomo sia già rinvenuto? — domandò a Gregor, che s'era seduto su una cuccetta.

— Non lo so. Non avevo mai colpito nessuno — mormorò cupamente lui, a disagio. — Ho sentito… qualcosa di strano sotto le mie mani. Temo di avergli spezzato il collo.

— Stava ancora respirando — disse Miles. Andò alla cuccetta di fronte e controllò l'imbottitura. Nessun segno di pulci o di pidocchi. Si mise a sedere. Il tremito gli era passato, lasciandogli solo alcuni dolori muscolari, ma aveva le ginocchia deboli. — Quando si sveglierà… o appena lo trovano, che si svegli o no, ci metteranno poco a capire dove sono andato. Avrei dovuto aspettare un'occasione migliore e poi seguirti, per riportarti indietro. Presumendo che fossi riuscito a togliermi dai guai, voglio dire. Questa è stata un'idea stupida. Perché non mi hai fermato?

Gregor si accigliò. — Credevo che tu sapessi quello che stavi facendo. Non ti ha mandato Illyan?

— Non fin dove ci siamo incontrati, che io sappia.

— So che sei nel dipartimento di Illyan, ora. Pensavo che ti avesse incaricato di cercarmi. Anche se mi è parso un po' strano il modo in cui ti ho visto arrivare in mio aiuto.

— Non sapevo niente di te. — Miles scosse il capo, e subito rimpianse quel movimento. — Forse è meglio che tu cominci dal principio.

— Ero in visita su Komarr e ci sono rimasto una settimana. Sotto le cupole. Chiacchiere ad alto livello sulle rotte e sulle stazioni di balzo… stiamo ancora cercando di convincere gli escobarani a lasciar passare le nostre navi militari. L'idea era di permettere che le loro squadre d'ispezione mettano i sigilli alle armi delle nostre navi in transito. I nostri alti ufficiali pensavano che questo fosse troppo, i loro che fosse poco. Io ho firmato un paio di accordi… qualunque cosa fosse quello che il Consiglio dei Ministri mi ha messo davanti…

— Mio padre te li avrà fatti leggere, sicuramente.

— Oh, sì. Quel pomeriggio stesso c'è stata una parata militare, e alla sera una cena ufficiale, che però è finita presto perché un paio di commissioni dovevano imbarcarsi. Io sono rientrato nei miei appartamenti, in un vecchio palazzo dell'oligarchia quasi al bordo della cupola, poco distante dallo spazioporto. Ero appena al secondo piano. Sono uscito a respirare una boccata d'aria sulla terrazza, ma sotto quella cupola mi sentivo come soffocare.

— Già. Ai komarrani l'aria aperta non piace — annuì Miles. — Ne ho conosciuto uno che aveva dei problemi ai polmoni, una specie di asma, quando doveva andar fuori. Autosuggestione.

Gregor scrollò le spalle, guardandosi le scarpe. — Comunque, ho notato che… non c'erano sentinelle in vista. Tanto per cambiare. Non so il perché di questa trascuratezza; gli altri giorni c'era sempre stato almeno un uomo. Forse pensavano che fossi andato subito a letto; era mezzanotte passata. Ma non potevo dormire. Così mi sono appoggiato alla ringhiera, ho guardato giù e mi sono detto che se l'avessi sorpassata con un salto…

— Sbattere le braccia su e giù ti sarebbe servito a poco — borbottò Miles. Anche lui conosceva quello stato mentale, oh, sì.

Gregor lo scrutò ed ebbe un sorrisetto ironico. — Già. Il fatto è che ero un po' alticcio.

Eri ubriaco, eccome.

— Non volevo sbattere le braccia. Sarei andato a spaccarmi tutte le ossa. Avrei sofferto, ma non per molto. Magari non me ne sarei neanche accorto. Forse sarebbe stato solo un lampo di luce.

Miles fu scosso da un lungo tremito e cercò di nasconderlo massaggiandosi i polpacci.

— Sono andato dall'altra parte della terrazza e ho guardato gli alberi piantati lì accanto. Non mi sarebbe piaciuto sfondare i rami di un albero prima di arrivare al suolo. Poi ho notato che avrei potuto salire e scendere lungo quei rami senza la benché minima difficoltà. L'ho fatto, e mi sono sentito libero, come se fossi morto. Ho cominciato a camminare. A ogni passo mi aspettavo che sbucasse fuori qualcuno, ma ho scavalcato il muro senza che nessuno mi vedesse.

«Poco dopo sono arrivato allo scalo delle navette, in un bar. È stato lì che ho offerto da bere a questo tipo, un commerciante, dopo aver sentito che stava per lasciare il pianeta con la sua nave. Gli ho raccontato che ero un tecnico di bordo e che volevo partire per il Gruppo Jackson dove mi aspettava un lavoro, ma avevo perso i documenti e temevo che la Sicurezza barrayarana mi facesse delle difficoltà. Lui mi ha creduto, o almeno ha creduto al colore dei soldi che gli ho fatto vedere. Comunque, mi ha dato un passaggio. Probabilmente avevamo già lasciato l'orbita prima che l'attendente bussasse alla mia porta, il mattino dopo.

Miles si passò una mano sul mento. — Allora, dal punto di vista della Sicurezza Imperiale tu sei svanito da una camera sorvegliata. Nessun biglietto, nessuna traccia… e su Komarr.

— La nave è andata direttamente a Pol. Io sono rimasto a bordo. Da lì abbiamo fatto un altro volo senza scalo fino alla Stazione Confederata. Dapprima non mi trovavo molto bene su quel mercantile. Ho pensato che poi mi sarei adattato a quella vita, ma che non per questo l'avrei trovata piacevole. Del resto, probabilmente Illyan aveva già capito dov'ero andato e mi stava alle costole.

— Komarr. — Miles si mordicchiò un labbro. — Ti rendi conto di cosa dev'essere successo laggiù? Illyan ha di certo pensato ai ribelli, a un rapimento politico, e avrà messo tutti gli agenti disponibili e metà delle forze armate a smontare quelle cupole, pezzo per pezzo. No, tu li stai precedendo di molto. Non cominceranno a indagare fuori da Komarr fino a… — Cercò di fare un calcolo dei giorni, poi scosse il capo. — Tuttavia, è presumibile che Illyan abbia dato l'allarme a tutti i suoi agenti all'estero… meno di una settimana fa. Ah! Scommetto che era questo il messaggio che ha sconvolto i piani di Ungari e lo ha fatto partire con tanta fretta. Diretto solo a Ungari, e non a me. — Non a me. Nessuno conta mai su di me. - Ma la cosa dovrebbe essere su tutti i notiziari…

— C'è stato, infatti — disse Gregor. — Hanno annunciato alla stampa che non mi sentivo troppo bene e mi ero ritirato a Vorkosigan Surleau per alcuni giorni di riposo. Stanno tenendo il segreto.

E quanto sarebbe durato? Miles riusciva a malapena a immaginare il caos che si stava creando in patria. — Gregor, come hai potuto fare una cosa simile! Pensa a quello che succederà su Barrayar!

— Ci penso — disse rigidamente lui. — Mi sono accorto subito… quasi subito, di aver fatto uno sbaglio. Ancora prima che quel filibustiere mi buttasse fuori.

— Perché non sei sbarcato a Pol, allora? Avresti potuto rivolgerti all'ambasciata barrayarana.

— Ho pensato che ero sempre in tempo a… dannazione — sbottò. — Perché certa gente crede di possedermi?

— Questa è una reazione infantile — disse Miles fra i denti.

Gregor si girò di scatto a guardarlo, rabbiosamente, ma non disse parola.

La consapevolezza della posizione in cui era stava soltanto allora cominciando a formarsi in Miles, come un peso sullo stomaco. Io sono l'unica persona al mondo che sa dove si trova oggi l'Imperatore di Barrayar. Se a Gregor accadesse qualcosa, io potrei essere il suo erede. In effetti, se dovesse morire, molte persone penserebbero subito che io…

E se al Mozzo Hegen si fosse saputo chi si celava sotto quella divisa da prigioniero, che epica caccia all'uomo avrebbe potuto scatenarsi! I jacksoniani avrebbero cercato di catturarlo solo per le possibilità di guadagno. Aslund, Pol, Vervain e chiunque altro per ragioni implicite nei loro giochi di potere. Soprattutto i cetagandani… quale sottile programmazione psichica potevano mettere in atto su di lui, se l'avessero preso in segreto? Oppure, agendo allo scoperto, quale minaccioso ricatto avrebbero imposto a Barrayar? E loro due erano intrappolati su una nave senza il minimo controllo sugli eventi da cui erano attesi. I poliziotti confederati avrebbero potuto separarli in qualsiasi momento, o peggio…

Miles era un ufficiale della Sicurezza Imperiale, per quanto giovane e inesperto o in disgrazia. E il dovere giurato di un ufficiale della Sicurezza era quello di proteggere l'Imperatore con ogni mezzo. L'Imperatore, il simbolo di Barrayar e della sua storia. Gregor, carne riluttante pressata in quello stampo di ferro. Un simbolo che esigeva la fedeltà di Miles… o una persona di carne a sua disposizione? Entrambe le cose. È qui con me. Un prigioniero, un forzato in viaggio verso il suo destino, nelle mani di soltanto Dio sa quali nemici, e a mia completa disposizione.

Miles non riuscì a trattenere una risatina folle, dolorosa.

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