CAPITOLO SESTO

Nella città di Vorbarr Sultana l'autunno era la più bella stagione dell'anno, e quel giorno ne costituiva un esempio. Il cielo era di un azzurro luminoso, la temperatura fresca, ideale, e neppure i fumi della periferia industriale guastavano l'odore dell'aria. I fiori autunnali stavano già appassendo, ma gli alberi importati dalla Terra indossavano i loro colori più accesi. Mentre lo facevano scendere dal furgone di fronte all'ingresso posteriore del grande edificio dove aveva sede la Sicurezza Imperiale, Miles si volse a guardare uno di quegli alberi dall'altra parte della strada, un acero terrestre con le foglie color cornalina e il tronco grigio-argento. Poi la porta si chiuse alle sue spalle. Miles tenne quell'albero davanti agli occhi della mente e cercò di memorizzarne ogni particolare, nel caso che non fosse riuscito a vederne un altro mai più.

Il tenente esibì dei documenti che accelerarono il passaggio di Miles e di Keller oltre alcune porte sorvegliate, e li precedette in un labirinto di corridoi fino agli ingressi di due ascensori tubolari. Entrarono in quello di salita, non nell'altro. Dunque non lo portavano direttamente nel blocco di celle ultrasicure sotto l'edificio. Si chiese cosa poteva significare, e subito desiderò disperatamente essere entrato nel tubo di discesa.

Furono introdotti in un reparto dei piani superiori, dove un capitano della Sicurezza aprì col telecomando la porta di un ufficio interno. Qui un uomo magro d'aspetto comune, grigio alle tempie, vestito con abiti civili, sedeva a una larga scrivania studiando qualcosa su uno schermo. Rivolse un cenno alla scorta di Miles. — Grazie, tenente, sergente. Potete andare.

Mentre Keller apriva le manette il tenente esitò. — Pensa di, uh, essere al sicuro, signore?

— Presumo di esserlo — rispose seccamente l'uomo.

Già, e io? si domandò Miles. I due militari uscirono e lui restò abbandonato lì, letteralmente, in piedi sul tappeto. Sporco, con la barba lunga, le mani incrostate di gel e addosso la tuta nera da fatica dentro cui aveva dormito… quanto, una sola notte? Niente stivali; i suoi piedi erano racchiusi nelle forme di plastica a presa rapida che gli avevano messo in infermeria dopo averli curati, e li sentiva ciancicare in una sostanza acquosa. Durante le due ore di viaggio era riuscito a sonnecchiare un po', ma non si sentiva più riposato di prima. Aveva la gola irritata, le mucose nasali farcite di aghi, e quando respirava a fondo sentiva una fitta ai polmoni.

Simon Illyan, Capo della Sicurezza Imperiale di Barrayar, incrociò le braccia e lo osservò lentamente da capo a piedi, due volte. Quel lungo sguardo diede a Miles uno sgradevole senso di déja vu.

Praticamente tutti gli abitanti di Barrayar temevano il nome di quell'uomo, anche se pochi conoscevano la sua faccia. Era una fama che Illyan coltivava accuratamente, e che si doveva in parte — ma solo in parte — al suo formidabile predecessore, il leggendario Capo della Sicurezza Negri. Quest'ultimo, e in seguito Illyan, avevano vegliato sulla vita del padre di Miles nei vent'anni della sua carriera politica, fallendo una sola volta, la notte dell'infame attacco a base di soltoxina. Per contro non c'era nessuno al mondo che Illyan temesse, con l'unica notevole eccezione della madre di Miles. Una volta lui aveva chiesto a suo padre se ciò era dovuto a un senso di colpa, nato dopo quell'attentato, e la risposta del Conte Vorkosigan era stata che no, la cosa era un effetto residuo della prima vivida impressione. Miles aveva chiamato Illyan «zio Simon» per tutta la vita, fin quando era entrato nel Servizio, e «signore» da quel giorno in poi.

Guardando la faccia di Illyan, Miles pensò che ora stava finalmente afferrando la vera differenza fra essere molto seccato ed essere esasperato.

L'uomo mise termine alla sua ispezione, scosse il capo e grugnì: — Meraviglioso. Davvero meraviglioso.

Miles si schiarì la gola. — Sono… devo sul serio considerarmi in arresto, signore?

— È ciò che determineremo con questo colloquio — sospirò Illyan, appoggiandosi allo schienale. — Sono in piedi dalle due di mattina a causa tua. Ci sono voci che corrono già dappertutto, per non parlare di quello che i notiziari hanno detto e stanno continuando a dire da tutti gli schermi. I fatti accertati cambiano ogni mezzora, come colture di bacilli. Quello che mi chiedo è: già che c'eri, non potevi trovare un metodo ancora più efficace per autodistruggerti? Cercare di assassinare l'Imperatore con un temperino durante la Parata del Compleanno, ad esempio. O avere rapporti sessuali con una capra in Piazza Grande nell'ora del passeggio elegante. — Il sarcasmo lasciò il posto a una sofferenza genuina. — Lui aveva riposto tante speranze in te. Come hai potuto tradirlo così?

Non c'era bisogno di chiedere chi fosse «lui». Il Vorkosigan.

— Io… non penso di averlo fatto, signore. Non lo so.

Una luce lampeggiò sulla consolle. Illyan ebbe una smorfia, gettò un'occhiata fosca a Miles e toccò un interruttore. La seconda porta dell'ufficio, mimetizzata nella parete a destra della scrivania, scivolò di lato, ed entrarono due uomini in uniforme verde.

Il Primo Ministro, l'ammiraglio Conte Aral Vorkosigan, indossava la divisa come un animale indossa il suo pelame. Era un uomo di altezza media, robusto, dai capelli color cenere, con un volto segnato e i due occhi più penetranti che Miles avesse mai visto, grigi, con una strana sfumatura azzurrina. Era affiancato dal suo aiutante, un tenente alto e biondo di nome Jole, che Miles aveva conosciuto durante la sua ultima licenza a casa. Il giovanotto era un perfetto ufficiale-gentiluomo, coraggioso e brillante: aveva servito nello spazio, ed era stato decorato per un atto di valore durante un orribile incidente di bordo; poi, ancora convalescente, aveva fatto un periodo di servizio al Quartier Generale, dov'era stato pescato al volo dal Primo Ministro, che aveva l'occhio clinico per i nuovi talenti. Il suo aspetto fisico aveva già ispirato il reparto che produceva i video pubblicitari per il reclutamento. Miles sospirava di malinconica invidia ogni volta che se lo trovava davanti. Jole era ancora peggio di Ivan, che con tutta la sua bruna avvenenza non era mai stato accusato d'essere anche intelligente.

— Grazie, Jole — disse il Conte Vorkosigan, con lo sguardo fisso su Miles. — Ci vediamo dopo, in ufficio.

— Sì, signore. — Il giovanotto aveva preso atto delle condizioni di Miles; guardò il suo superiore con aria preoccupata e uscì. La porta si chiuse con un sibilo alle sue spalle.

Illyan aveva ancora la mano sui pulsanti della sua scrivania.

— Sei qui ufficialmente? — chiese al Conte Vorkosigan.

— No.

Illyan disattivò qualcosa; le registrazioni audio-video, comprese Miles. — Bene — disse, con voce piatta.

Miles salutò militarmente suo padre. Suo padre ignorò il saluto e lo abbracciò, in silenzio e con espressione grave; poi sedette sull'altra poltrona della stanza, accavallò le gambe e disse: — Continua pure, Simon.

Illyan, che secondo l'impressione di Miles era stato interrotto prima di passare alla lavata di capo che si stava preparando a fargli da quel mattino alle due, emise un grugnito scontento. — A parte le voci — disse, — si può sapere cos'è successo realmente stanotte su quella dannata isola?

Nei termini quanto possibile più brevi e obiettivi, Miles descrisse i fatti accaduti, cominciando dall'incidente di lavoro nel bunker del fetaine e finendo col suo arresto/detenzione/prelevamento ad opera della Sicurezza Imperiale. Suo padre non disse una parola durante l'intero rapporto, limitandosi a rigirare macchinalmente fra le dita una sottile penna, e ogni tanto battendosela su un ginocchio.

Quand'ebbe finito ci fu una lunga pausa di silenzio. I movimenti della penna stavano distraendo Miles. Avrebbe desiderato che suo padre la smettesse di agitare quel dannato oggetto o lo buttasse via, o qualunque altra cosa.

L'uomo rimise la penna in tasca, come Dio volle, e si appoggiò all'indietro. Poi alzò un dito, accigliandosi. — Vediamo se ho capito bene. Tu dici che Metzov ha incaricato il suo sergente di formare un plotone di esecuzione con delle reclute?

— Dieci di loro, provenienti dagli alloggi delle reclute. Non so se fossero volontari o no, ad essere sincero.

— Reclute. — Il Conte Vorkosigan era scuro in faccia. — Ragazzi.

— Ha detto qualcosa sull'esercito che poteva esser convinto a sparare alla marina, sulla Vecchia Terra.

— Ah, sì? — mormorò Illyan.

— Non credo che Metzov fosse mentalmente stabile quando è stato esiliato sull'isola Kyril dopo i suoi guai nella Rivolta di Komarr, e ruminarci sopra per quindici anni non ha migliorato le cose. — Miles esitò. — Il generale Metzov è stato… uh, interrogato a fondo su quell'episodio, signore?

— Il generale Metzov, per tua informazione — disse l'ammiraglio Vorkosigan, — guidò un plotone di diciottenni in un'azione che fu praticamente una specie di massacro, con molti casi di tortura.

Miles annuì, ripensando all'atteggiamento del generale. La sua malsana propensione alla battuta, all'umorismo, in quello che poteva essere il preambolo di una tragedia, ora si spiegava.

Il Conte Vorkosigan s'era scurito in faccia. — Per questa protervia non troverà un buco abbastanza profondo dove nascondersi, stavolta. D'accordo, mi occuperò io di Metzov.

— E per Miles e gli altri ammutinati? — domandò Illyan.

— Temo che, necessariamente, dovremo trattarla come una questione a parte.

— O due questioni a parte — suggerì Illyan.

— Mmh. Miles, dimmi qualcosa degli uomini che erano di fronte a questo plotone.

— Tecnici, signore. Per lo più di origine greca.

Illyan ebbe una smorfia. — Buon Dio, quell'uomo non ha un minimo di accortezza politica?

— Non che io sappia. E anche qui individuavo un problema. — Be', in realtà ci aveva pensato più tardi, disteso sulla branda della cella, dopo esser uscito dall'infermeria. Solo allora era riuscito a riflettere sulle conseguenze politiche. Più di metà dei tecnici che avevano dovuto spogliarsi sulla neve appartenevano a una minoranza di lingua greca. I separatisti avrebbero immediatamente accusato gli alti ranghi dell'esercito di discriminazione razziale e sarebbero scesi in piazza a inscenare una delle solite proteste, ed erano una fazione violenta. Altri morti, altri disordini, altre conseguenze destinate a riecheggiare per decenni sulla scia di quelle del Massacro del Solstizio. — Mi era venuto da pensare che… se fossi morto con loro, almeno sarebbe stata evidente l'estraneità del governo o dell'oligarchia Vor. Perciò se fossi vissuto avrei vinto, e se fossi morto sarei stato utile all'Imperatore. Strategia politica anche questa. Più o meno.

Il più acuto stratega di quell'ultimo secolo si passò una mano sulla fronte, come se avesse mal di capo. — Già… più o meno.

— E ora — chiese Miles, — cosa succederà, signore? Sarò accusato di alto tradimento?

— Per la seconda volta in quattro anni? — disse Illyan. — Diavolo, no. Non ho affatto voglia di sopportare le stesse seccature. Ti farò sparire finché si saranno calmate le acque. In quanto al dove, ancora non ci ho pensato. Non sull'isola Kyril, comunque.

— Lieto di saperlo. — Miles si accigliò. — E gli altri?

— Le reclute del plotone? — domandò Illyan.

— Gli… uh, ammutinati. I miei compagni, signore.

L'uso di quel termine non piacque a Illyan.

— Sarebbe gravemente ingiusto se io me la cavassi per la solita scappatoia privilegiata dei Vor, lasciandoli soli di fronte a un'accusa di quel genere.

— Lo scandalo di un processo pubblico danneggerebbe tuo padre e tutto il Partito Centrista. Io apprezzo i tuoi scrupoli morali, Miles, ma non posso permetterti di averne troppi.

Lui strinse i denti e si volse al Primo Ministro Conte Vorkosigan. — Signore?

Il Conte Vorkosigan si mordicchiava pensosamente un labbro. — Sì, potrei far ritirare l'accusa contro di loro ottenendo un decreto imperiale. Ma sfortunatamente questo avrebbe degli strascichi assai sgradevoli. Anche per te, intendo. — Si piegò in avanti, guardandolo dritto negli occhi. — Non potresti più prestare servizio. Le voci si spargono anche senza bisogno di un processo. Nessuno vorrebbe più averti alle sue dipendenze, perché un comandante non vedrebbe in te un vero ufficiale bensì un elemento protetto da privilegi speciali. E io non potrei certo suggerirgli di chiudere un occhio se ti vedesse coinvolto in altre questioni disciplinari.

Miles lasciò uscire lentamente il fiato. — In un certo senso quelli sono i miei uomini. Ti chiedo di far cadere l'accusa, ufficialmente, per loro come per me.

— Ti rendi conto che questo significa rinunciare all'uniforme? — domandò Illyan, con espressione addolorata.

Miles provò un freddo senso di nausea. — Me ne rendo conto — disse, con voce sottile.

Illyan meditò cupamente per qualche secondo, fissando uno schermo spento della sua consolle. — Miles — chiese poi, — come hai saputo che il generale Metzov ha passato dei guai durante la Rivolta di Komarr? La Sicurezza Imperiale ha tenuto segreto quell'episodio.

— Ah… Ivan non le ha detto della piccola falla nelle misure di sicurezza degli archivi, signore?

Cosa?

Dannazione anche a Ivan. — Posso sedermi, signore? — sospirò debolmente Miles. La stanza stava ondeggiando, il sangue gli pulsava negli orecchi. Senza aspettare il permesso si mise a sedere sul pavimento, stralunando gli occhi. Suo padre fece l'atto di alzarsi, preoccupato; poi si trattenne. — Ho cercato informazioni sul passato di Metzov dopo che il tenente Ahn mi aveva accennato alla cosa. Fra l'altro, quando vi occuperete di Metzov, sarà meglio interrogare prima Ahn. Sa molto più di quello che mi ha detto. Lo troverete da qualche parte sull'equatore, suppongo.

— I miei archivi, Miles.

— Uh, sì. Be', è venuto fuori che se lei gira una consolle del sistema interno verso una collegata all'esterno, e chiama i file sulla prima, li può leggere da qualsiasi punto della rete video su Barrayar e fuori, via satellite. Ovviamente deve avere un complice al Quartier Generale che fa passare le schermate per lei, dato che non è possibile la trasmissione rapida codificata.

— Sistema impenetrabile! — mormorò il Conte Vorkosigan con voce chioccia. Stupito Miles s'accorse che stava ridacchiando.

Illyan aveva l'espressione di chi sta succhiando un limone. — E tu come… — S'interruppe e gettò un'occhiata al Conte, poi parve scartare irosamente quell'ipotesi. — Tu come ci sei arrivato?

— Ivan mi ha detto che le due consolle erano nello stesso ufficio. La soluzione era ovvia.

— Il tuo nuovo sistema di sicurezza, eh? — Il Conte Vorkosigan scosse il capo, rinunciando a mascherare il suo divertimento. — Il più costoso mai messo in atto. Collaudato contro i virus più astuti e i sistemi di spionaggio più sofisticati. E due alfieri ci frugano dentro a loro piacimento.

— Non ho mai detto che era anche a prova di idioti! — sbottò Illyan, seccato.

Il Conte Vorkosigan tornò serio con uno sforzo. — Già, il fattore umano. Correggeremo il difetto, Miles. Grazie.

— Tu sei peggio di una mina vagante, ragazzo. Vai sempre a scoppiare dove uno meno se l'aspetta — borbottò Illyan, sporgendosi da sopra la scrivania per arrivare con lo sguardo nel punto dove lui s'era seduto. — Questo fatto, dopo la tua scappata con quei dannati mercenari… gli arresti domiciliari non sono abbastanza per te. Non riuscirei a dormire la notte, se non sapessi che sei chiuso in una cella con le mani legate dietro la schiena.

Miles, che in quel momento avrebbe potuto uccidere per una sola ora di sonno, si strinse nelle spalle. Che Illyan lo spedisse in una cella o altrove era lo stesso, purché ci fosse una branda.

Il Conte Vorkosigan taceva, con una strana luce pensosa nello sguardo. Illyan notò la sua espressione e si accigliò.

— Simon — disse il Conte Vorkosigan, — non c'è dubbio che la Sicurezza Imperiale dovrà tener d'occhio Miles. Per il suo bene quanto per il mio.

— E per quello dell'Imperatore — aggiunse seccamente Illyan, — e per quello dell'ultimo accattone di Barrayar, e di tutti gli innocenti che stanno fra l'uno e l'altro.

— Ma per farlo sorvegliare dalla Sicurezza Imperiale c'è forse un modo migliore, e più efficiente e diretto, che farlo assegnare alla Sicurezza Imperiale?

— Cosa? — dissero insieme Illyan e Miles, nello stesso tono aspro e inorridito. — Non stai parlando sul serio — commentò il primo, e il secondo aggiunse: — La Sicurezza non è mai stata nella High Parade delle mie scelte preferite.

— Non parlo di scelte, ma di attitudini. Ricordo di averne già discusso col maggiore Cecil. Certo, ammetto che in effetti Miles non ha mai menzionato la Sicurezza fra le sue preferenze.

Non aveva neppure menzionato gli Uffici Meteorologici del Circolo Polare Artico, quanto a questo, pensò Miles.

— Una cosa giusta l'hai detta — brontolò Illyan. — Nessun comandante del Servizio lo vorrebbe sotto di sé, ora come ora. E non vedo perché io dovrei costituire la sfortunata eccezione.

— Non ce n'è uno a cui potrei onestamente chiederlo, lo riconosco. Eccetto te. Perché tu sei il solo — disse il Conte Vorkosigan con un sorriso franco, — a cui ho sempre potuto appoggiarmi, Simon.

Illyan lo fissò con stupore, come un esperto in strategia umana che cominciasse a capire d'esser stato manovrato da un altro esperto.

— La cosa funzionerebbe sotto più di un aspetto — continuò il Conte Vorkosigan nello stesso tono persuasivo. — Potremmo chiarire che non si tratta di una specie di esilio interno per un giovanotto caduto in disgrazia. Questo tapperebbe la bocca ai miei avversari politici, che altrimenti saprebbero come approfittarne. E cercherò di non far pronunciare la parola «ammutinamento», che non fa bene a nessun servizio militare.

— Un esilio, comunque — disse Miles, — anche se interno e non ufficiale.

— Oh, sì — mise in chiaro il Conte Vorkosigan. — Questo sì. Ma… non in disgrazia.

— Possiamo fidarci di lui? — chiese Illyan, dubbioso.

— Non vedo perché no. — Nel sorriso del Conte ci fu una luce dura. — La Sicurezza può utilizzare le sue doti. Anzi, può sfruttare una sua caratteristica meglio di ogni altro dipartimento.

— In che senso?

— Mi sembra chiaro. Molti ufficiali sanno prendersi cura della vita dell'Imperatore. Pochi del suo onore.

Con riluttanza Illyan gli concesse un vago cenno d'assenso. Prudentemente il Conte Vorkosigan non insisté per ottenere una reazione più entusiasta dal Capo della Sicurezza. Si volse a Miles e disse: — Sembra che tu abbia bisogno di cure mediche.

— Ho bisogno di un letto.

— Che ne dici di un letto in un'infermeria?

Miles tossì, poi si massaggiò la gola con una mano. — Sì, potrebbe essere un'idea.

— Andiamo a cercarne una, allora.

Coi piedi che ciancicavano nei due mollicci contenitori di plastica lui si alzò, appoggiandosi al braccio di suo padre.

— A parte questo, alfiere Vorkosigan, com'era la vita sull'isola Kyril? — lo interrogò il Conte. — Non è che tu telefonassi molto a casa, come tua madre non ha mancato di notare.

— Avevo troppo da fare. Apprendistato. Il clima era feroce, il territorio letale, e un terzo della popolazione incluso il mio diretto superiore trascorreva le ore di libertà in stato di ubriachezza. Non c'era una donna in un raggio di cinquecento chilometri, e il comandante della Base era un pazzo furioso. Per il resto non era un posto malvagio.

— Si direbbe che non sia cambiata affatto negli ultimi venticinque anni.

— Tu ci sei stato? — Miles sbatté le palpebre. — E hai voluto che ci spedissero me?

— Ho comandato la Base Lazkowski per cinque mesi, una volta, mentre aspettavo d'essere trasferito sull'incrociatore Generale Vorkraft. In quel periodo la mia carriera attraversava, per così dire, un momento di pausa.

Per così dire. — E ti sei divertito?

— Non ne ricordo molto. Ero ubriaco per la maggior parte del tempo. Ognuno trova il suo modo di trattare con Campo Cessofreddo. Potrei dire che te la sei cavata meglio di me.

— Solo perché alla fine della giornata non avevo la forza di stappare una bottiglia. Ma trovo incoraggiante sapere che qualcun altro è sopravvissuto a quel posto.

— Contavo che ci saresti riuscito. È per questo che ti ho fatto assegnare là. D'altra parte non è un'esperienza che mi abbia divertito condividere con te.

Miles guardò suo padre. — Ho fatto… la cosa giusta, signore? Voglio dire, ieri notte.

— Sì — rispose sottovoce il Conte. — Una cosa giusta. Anche se forse non la migliore delle cose possibili. In futuro ti dirai che avresti potuto scegliere una tattica più astuta. Ma in quel momento eri sul posto e dovevi agire. E quando uno dei miei ufficiali agisce con onore sul campo, io non gli chiedo perché non ha pensato a questa o a quest'altra soluzione.

Il cuore di Miles ebbe il primo palpito di sollievo da quando era partito dall'isola Kyril.


Pensava che suo padre lo avrebbe accompagnato al ben noto complesso dell'Ospedale Militare Imperiale, dall'altra parte della città, invece si vide condotto in un'infermeria assai più vicina: tre piani sotto il Quartier Generale della Sicurezza. Era piccola ma completa, con un paio di laboratori per le analisi, camere singole, celle sorvegliate per i detenuti, una sala operatoria, e una porta chiusa su cui c'era una targhetta inquietante: Indagini Psicofisiche - Trattamenti Chimici. Illyan doveva aver già avvertito, perché un infermiere era pronto a riceverli. Due minuti dopo fece il suo ingresso un medico-chirurgo della Sicurezza, col fiato un po' corto. L'ufficiale si sistemò l'uniforme e salutò con puntigliosa e impeccabile formalità il Conte Vorkosigan, prima di occuparsi di Miles.

Lui rifletté che quel medico doveva essere abituato a trattare con pazienti alquanto innervositi dalle sue qualifiche professionali, visto quanto sembrava goffamente innervosito lui stesso davanti a un ricovero puramente clinico. Oppure c'era qualcosa in suo padre, un odore di violenza che gli restava ancora addosso dopo tutti quegli anni, un carisma alla cui presenza uomini peraltro duri e navigati si sentivano a disagio? Il potere e la storia. Anche Miles riusciva ad avvertirlo con chiarezza, come una situazione atmosferica che lo circondava, benché su di lui non avesse lo stesso effetto.

Si era acclimatato, forse. L'ex Lord Reggente era un uomo che usava prendersi due ore per il pranzo ogni giorno, qualunque crisi politica fosse in corso, e che in quell'intervallo escludeva il resto del mondo dalla sua casa. Soltanto Miles sapeva cosa facesse in quella pausa d'intimità, e di come il grand'uomo buttasse giù un sandwich in cinque minuti per passare poi un'ora e mezzo seduto sul pavimento con il figlio che non poteva camminare, giocando, parlando, leggendo ad alta voce. A volte, quand'era accaduto che Miles si opponesse istericamente a qualche nuova dolorosa terapia fisica, ribellandosi anche a sua madre e al sergente Bothari, il padre era stato l'unico a ottenere con la sua fermezza che lui si sottoponesse ad altri agonizzanti stiramenti delle gambe, ad altre iniezioni di osteospray, ad altre operazioni chirurgiche, ad altre diete che gli facevano torcere le budella dopo ogni pasto. «Tu sei un Vor. Non devi mostrare questa mancanza di autocontrollo ai tuoi dipendenti, Lord Miles.» L'odore acre dell'infermeria e quel medico così nervoso gli avevano riportato un flusso di ricordi. Non poteva meravigliarsi, rifletté, se non era riuscito a sentirsi intimidito da Metzov. Quando il Conte Vorkosigan uscì, l'infermeria sembrò improvvisamente vuota.

Quella settimana non doveva esserci molta attività al Quartier Generale della Sicurezza Imperiale. Nei locali stagnava un silenzio quasi pneumatico, rotto solo dai membri del personale che capitavano per farsi disinfettare un graffio o a chiedere qualcosa contro il mal di capo o il raffreddore. Un paio di tecnici si affannarono tre ore in un laboratorio, un pomeriggio, per installare delle apparecchiature, e se ne andarono in fretta com'erano venuti. Il medico arrestò l'incipiente polmonite di Miles giusto in tempo perché non si aggravasse, prescrivendo una terapia intensiva di sei giorni. E lui ingannò il tempo dormendo e progettando i particolari della licenza a casa che, non ne dubitava, avrebbe potuto godersi appena fosse stato dimesso.

— Insomma, quando potrò andarmene da qui? — si lamentò con sua madre la seconda volta che lei gli fece visita. — Nessuno mi dice niente. Se non sono in arresto, perché non posso prendermi qualche giorno di licenza? E se invece sono in arresto, perché non chiudono la porta a chiave? Ho l'impressione di galleggiare in un limbo.

La Contessa Cordelia Vorkosigan sbuffò in modo poco signorile. — Preferiresti essere in un purgatorio? — Il suo piatto accento betano accarezzò dolcemente gli orecchi di Miles, malgrado il tono sarcastico. La nobildonna scosse il capo per gettare all'indietro i lunghi capelli rossi, che quel giorno portava sciolti. Indossava un'elegante blusa autunnale color bronzo, con ricami in argento, e un vestito a gonna larga che avrebbe potuto permettersi solo chi ignorava la moda per mostrare quale fosse la moda della classe Vor. Il suo volto pallido, dagli occhi grigi e accesi, era così vibrante di vitalità che pochi riuscivano a notare subito se fosse o non fosse bella. Da ventun anni recitava la parte della matrona al seguito del Grande Uomo, ma ancora sembrava importarle ben poco delle gerarchie sociali barrayarane, e meno ancora di quelle politiche e militari.

Strano. Perché non penso mai alla mia ambizione di avere il comando di una nave come mia madre prima di me? Al capitano Cordelia Naismith, della Sorveglianza Astronomica Betana, era spettata la rischiosa impresa di espandere il corridoio di transito della distorsione galattica balzo dopo balzo, alla cieca, in nome della scienza e dell'umanità, per il progresso della Colonia Beta e per… cos'era stato a spingere lei personalmente? Aveva avuto il comando di una nave da esplorazione con sessanta persone a bordo, lontano da casa e da ogni aiuto, e senza dubbio la sua carriera non era stata priva di aspetti invidiabili. Gli ordini dei superiori, ad esempio, dovevano esser stati poco più che una finzione legale in quelle zone di spazio inesplorate, dove i desideri del Quartier Generale Betano erano ridotti al livello di una scommessa contro l'ignoto.

Cordelia Naismith navigava ora senza sollevare onde nell'alta società di Barrayar, e soltanto i suoi pochi intimi capivano quanto ne fosse distaccata. Non temeva nessuno, neppure il temuto Illyan, e nessuno la controllava, neppure lo stesso ammiraglio. Era quella sua aria da avventuriera, si chiese Miles, a renderla così inquietante? Il capitano dell'ammiraglio. C'era stato un tempo in cui seguirla nella sua strada era come camminare nel fuoco.

— Cosa sta succedendo fuori di qui? — domandò Miles. — Questo posto è divertente come la cantina di un'agenzia di pompe funebri. Hanno stabilito se io sono un ammutinato oppure no?

— Non credo — disse la Contessa. — Il Servizio sta dando il benservito a tutti gli altri, il tuo tenente Bonn e soci, ma senza disonore, anche se non avranno la pensione né tantomeno quei rango di Vassallo Imperiale che sembra importare più della vita ai maschi barrayarani.

— È un po' come essere riservisti di lusso su Beta — disse Miles. — E le reclute del plotone? E di Metzov cosa sai dirmi?

— Lo stanno scaricando come gli altri. Lui è quello che ci perde di più, direi.

— Lo lasciano in libertà? — borbottò Miles, accigliato.

La Contessa Vorkosigan scrollò le spalle. — Visto che nessuno ci ha rimesso la pelle, Aral si è persuaso che mandarlo davanti a una corte marziale sarebbe controproducente. In quanto alle reclute, hanno deciso di non coinvolgerle nella cosa. Sono ragazzi.

— Mmh. Mi fa piacere, questo. Ma, uh… e io?

— Tu resti ufficialmente nell'elenco dei detenuti della Sicurezza Imperiale. A tempo indefinito.

— Indefinito è proprio come mi sento qui dentro. — Poggiò le mani sul lenzuolo. Aveva le nocche delle dita ancora arrossate. — Quanto tempo?

— Quello che basta per ottenere un certo effetto psicologico.

— E quale, farmi uscire di senno? Altri tre giorni e comincerò ad arrampicarmi sui muri.

Lei ebbe una smorfia. — Il tempo sufficiente a convincere la fazione dura dei militaristi che sei stato ben punito per il tuo, uh, crimine. Finché corre voce che sei imprigionato nei sinistri sotterranei di questo edificio, quei signori possono immaginarti in un modo che li soddisfa… qualunque cosa pensino che succeda qui sotto. Se fossi visto mentre ti aggiri nei ristoranti e nei locali notturni, come sospetto che tu stia fantasticando, sarebbe difficile mantenerli in questo stato d'animo.

— Mi sembra tutti così… irreale. — Miles si abbandonò contro i cuscini. — Io volevo solo fare il mio dovere.

Un breve sorriso sfiorò le labbra di lei, ma svanì subito. — Tesoro, te la senti di considerare un altro lavoro?

— Essere un Vor è più di un semplice lavoro.

— Sì, è una patologia. Un'ossessione brulicante di miraggi. C'è un'intera galassia fuori di qui, Miles. Ci sono altri modi di fare il tuo dovere, verso una più larga… società.

— Allora perché tu stai qui? — replicò lui.

— Ah. — Lei ebbe un sorrisetto paziente a quella stoccata. — A volte gli esseri umani hanno necessità più persuasive di un fucile alla schiena.

— A proposito di papà, credi che verrà a farmi visita?

— Mmh, no. Dovrà dare a vedere che ti tiene a distanza, per un po' di tempo. In modo di non dare l'impressione che approva il tuo ammutinamento, mentre cerca di tirarti fuori salvo dai rottami. Ha deciso di mostrarsi pubblicamente irritato con te.

— E lo è?

— No, naturalmente. Tuttavia… aveva dei progetti a lunga scadenza per te, nel suo schema di riforme socio-politiche, basati sul tuo solido successo nella carriera militare… lui ha sempre cercato di mettere anche le tue stesse sofferenze al servizio di Barrayar.

— Già. Lo so.

— Be', non preoccuparti. Senza dubbio riuscirà a escogitare il modo di tirar fuori il meglio anche da questa situazione.

Miles sospirò cupamente. — Io voglio qualcosa da fare. E voglio che mi restituiscano i vestiti.

Sua madre lo guardò con rammarico e scosse il capo.


Quella sera provò a telefonare a Ivan.

— Dove sei? — domandò il cugino, in tono sospettoso.

— Inchiodato nel limbo.

— Be', guarda di fare in modo che non inchiodino anche me, — disse bruscamente Ivan, e troncò la comunicazione.

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