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Con un po’ di tempo, sono certo che sarei potuto venirmene fuori con un’intera lista di cose peggiori dell’avere Doakes alle calcagna. Ma, mentre me ne stavo lì nella mia giacca a vento all’ultima moda e il pensiero di Reiker con i suoi stivali rossi si allontanava, non riuscivo a immaginare nulla di più spaventoso del sergente. Salii in macchina, misi in moto e guidai nella pioggia verso casa. Di solito le tendenze omicide degli altri automobilisti avevano il potere di rilassarmi, mi facevano sentire a casa, ma non so perché la Taurus marrone alle mie costole toglieva smalto a tutta la faccenda.

Conoscevo il sergente Doakes abbastanza bene da capire che il suo non era un semplice capriccio passeggero. Se mi stava tenendo d’occhio, avrebbe continuato a farlo finché non mi avesse sorpreso a combinare qualcosa di brutto. O finché qualcuno non l’avesse fatto smettere. Com’è naturale, mi vennero subito in mente alcuni modi interessanti per fargli passare la voglia. Ma erano tutti piuttosto definitivi e, per quanto non sia dotato di una vera coscienza, seguo un insieme di regole precise che ne fanno le veci.

Sapevo che presto o tardi Doakes avrebbe interferito con il mio hobby e avevo riflettuto a lungo su come agire. La cosa migliore con cui me ne ero venuto fuori era, ahimè, attendere e stare a guardare.

«Scusa?» potreste dire, e ne avreste tutto il diritto. «Dobbiamo davvero fingere di ignorare la risposta più ovvia?» Dopotutto, Doakes poteva essere forte e letale, ma il Passeggero Oscuro lo era ancora di più e quando era al volante nessuno poteva tenergli testa. Forse per stavolta si poteva fare un’eccezione…

No, mi sussurrò la voce all’orecchio.

Salve, Harry. Perché no? E mentre glielo domandavo, ripensai a quando me ne parlò.

Esistono delle regole, Dexter, aveva detto Harry.

Che regole, papà?


Era il mio sedicesimo compleanno. Non avevo mai fatto grandi feste, dal momento che non avevo ancora imparato a essere accattivante e a fare l’amicone. Prima, se non ero io a girare alla larga dai miei coetanei imbecilli, di solito ci pensavano loro. Trascorsi l’adolescenza come un cane da pastore in mezzo a un gregge di stupide e luride pecore. Da allora ho imparato grandi cose. Per esempio, che con il tempo le cose non erano cambiate (la gente è davvero senza speranza!), ma ora è inutile dilungarsi.

Dunque, il mio compleanno fu una faccenda per pochi. Doris, la mia matrigna, era morta da poco di cancro. Ma la mia sorellastra, Deborah, mi preparò la torta, e Harry mi regalò una nuova canna da pesca. Dopo aver spento le candeline e mangiato la torta, Harry mi portò nel cortile sul retro della nostra modesta abitazione in Coconut Grove. Si sedette al tavolino rosso da picnic che aveva costruito accanto al barbecue in mattoni e mi fece cenno di imitarlo.

«Bene, Dex», disse. «Sedici anni. Sei quasi un uomo.»

Non mi era chiaro a che cosa si riferisse. Io? Un uomo? Nel senso di essere umano? Non capivo che razza di risposta dovessi dargli. Ma sapevo che di solito era meglio non fare il furbo con Harry, così mi limitai ad annuire. I suoi occhi azzurri mi lanciarono uno sguardo a raggi X. «Ti interessano le ragazze?» mi domandò.

«Uhm… in che senso?»

«Baciarle. Uscirci insieme. Lo sai. Farci del sesso.»

Al solo pensiero mi sentii turbinare la testa come se un piede grigio e scuro mi stesse prendendo a calci dall’interno. «No, uh, no. Io… uhm», risposi. Già allora avevo la parlantina facile. «Non in quel senso.»

Harry annuì, come se le mie fossero parole sensate. «E non ti interessano nemmeno i ragazzi», aggiunse, e io mi limitai a scuotere il capo. Harry guardò il tavolino, poi di nuovo la casa. «Quando ho compiuto sedici anni mio padre mi ha portato da una puttana.» Scosse il capo e un sorrisetto gli attraversò il viso. «Ci ho messo dieci anni a superarlo.» Rimasi senza parole. Il pensiero del sesso mi era alieno, figuriamoci dover pagare per farlo, soprattutto quando si tratta di un ragazzino e quel ragazzino è Harry. Pazzesco. Era davvero troppo. Guardai mio padre con l’espressione più vicina al panico e lui sorrise.

«No», fece Harry. «Non intendo proporti niente di simile. Mi aspetto che tu impari a usare meglio quella canna da pesca.» Scosse lentamente il capo e il suo sguardo corse dal tavolino al cortile fino in strada. «O un coltello da cucina.»

«Okay», dissi, cercando di non mostrarmi troppo entusiasta.

«No», ripeté, «sappiamo entrambi quello che vuoi. Ma non sei ancora pronto.»

Fin dalla prima volta che mi aveva parlato di ciò che ero, durante una memorabile gita in tenda un paio di anni prima, Harry mi aveva addestrato. Cioè, nel suo linguaggio, mi aveva insegnato a far quadrare le cose. Da giovane ignorante qual ero, non vedevo l’ora di dare il via alla mia felice carriera, ma il mio patrigno mi stava dando una disciplina, perché lui sapeva sempre che cosa era giusto.

«Starò attento», promisi.

«Non basta», replicò Harry. «Esistono delle regole, Dexter. Devono esistere. Saranno loro a distinguerti dagli altri.»

«Passare inosservato», dissi. «Far sparire le tracce, non correre rischi, uhm…»

Harry scosse la testa. «Ci sono cose più importanti. Prima di cominciare devi essere sicuro che quella persona se lo meriti davvero. Non sto a dirti quante volte ho avuto a che fare con dei colpevoli e sono stato costretto a lasciarli andare. Il bastardo ti guarda e ti sorride, e tu sai e anche lui sa, eppure sei obbligato ad aprirgli la porta e a lasciarlo libero…» Serrò i denti e batté il pugno sul tavolino. «A te non succederà. Ma… devi esserne sicuro. Dannatamente sicuro, Dexter. E anche se lo sei al cento per cento…» Alzò la mano col palmo rivolto verso di me. «Procurati delle prove. Tanto non devi sostenerle in tribunale, grazie a Dio.» Gli uscì una risatina amara. «Altrimenti non reggerebbero. Però ne hai bisogno, Dexter. Questa è la cosa più importante.» Batté le nocche sul tavolo. «Devi avere le prove. E nonostante ciò…»

Si fermò, in un atteggiamento insolito per lui e io attesi, immaginando che stesse per toccare un argomento critico. «A volte, anche se le hai, devi lasciarli andare. Non importa quanto se lo meritano. Se per esempio sono troppo… vistosi. Se rischi di attirare troppo l’attenzione, lascia perdere.»


Be’, questo era il punto.

Come sempre, Harry aveva la risposta pronta per me. Nei momenti di incertezza, lo sentivo sussurrare al mio orecchio. Ne ero sicuro, ma non avevo prove che Doakes non fosse soltanto un poliziotto incazzato e sospettoso. E un tutore dell’ordine fatto a pezzettini avrebbe senza dubbio scandalizzato l’opinione pubblica. Dopo la dipartita recente e prematura della detective LaGuerta, la categoria non sarebbe di certo rimasta insensibile dinanzi a un poliziotto che faceva la stessa fine.

A prescindere dal mio utile personale, Doakes mi era precluso. Potevo affacciarmi alla finestra e osservare finché volevo la Taurus marrone che spuntava da sotto un albero, ma non potevo farci nulla, se non sperare in un inatteso e spontaneo colpo di fortuna. Per esempio, che un pianoforte gli cadesse sulla testa. Tristemente, fui lasciato a confidare nella buona sorte.

Quella però non era una notte fortunata per il povero Disperato Dexter: nell’area di Miami si registrò una netta diminuzione dei pianoforti in caduta libera. Così eccomi lì nel mio tugurio. Andavo su e giù per la stanza, nervoso, e ogni volta che lanciavo un’occhiata distratta fuori dalla finestra vedevo la Taurus parcheggiata dall’altro lato della strada. Il ricordo di ciò che mi era allegramente passato per la testa solo un’ora prima non mi dava pace. Dexter può uscire a giocare? Ahimè, no, mio caro Passeggero Oscuro. Dexter è in time-out.

Comunque, pur restando rinchiuso nel mio appartamento, qualcosa di costruttivo lo potevo fare. Estrassi dalla tasca il foglietto appallottolato che avevo trovato sulla barca di MacGregor e lo distesi. Mi appiccicai le dita con la parte di nastro adesivo che era rimasta attaccata al pezzo di carta. C’era scritto REIKER assieme a un numero di telefono. Erano più che sufficienti per fare una ricerca nel database di indirizzi che avevo sul PC.

In pochi minuti avevo finito.

Era un cellulare registrato a nome del signor Steve Reiker, abitante in Tigertail Avenue a Coconut Grove. Con un po’ di ricerche incrociate scoprii che Reiker era un fotografo professionista. Poteva essere una coincidenza, ovvio. Sono certo che nel mondo esistono parecchi individui di nome Reiker che fanno i fotografi. Guardai sulle Pagine Gialle e scoprii che questo in particolare aveva una specialità. Aveva messo un annuncio pubblicitario che teneva un quarto di pagina e diceva:


RICORDATELI COME SONO ADESSO


Reiker era specializzato in fotografie di bambini.

La teoria delle coincidenze poteva andare a farsi benedire.

Il Passeggero Oscuro si agitò inquieto e fece un sorrisetto impaziente; cominciai a progettare una visita in Tigertail Avenue per dare una rapida occhiata in giro. Dopotutto non era così distante. Potevo mettermi in viaggio subito e…

E trascinarmi dietro Doakes che si divertiva a giocare a rimpiattino con Dexter. Grande idea, vecchio mio. Così quando un bel giorno Reiker sparirà, risparmierai al sergente un bel po’ di noioso lavoro investigativo. Potrà evitare la seccante routine e mettere subito le mani su di me.

Di questo passo, quando sarebbe scomparso Reiker? È avvilente avere un obiettivo gratificante in vista ed essere controllati a questo modo. Ma dopo parecchie ore Doakes era ancora fermo in strada e io me ne restavo lì. Che fare? L’aspetto positivo era che, se si limitava a seguirmi, era perché non aveva visto niente di compromettente. D’altra parte, se avesse continuato a pedinarmi, sarei stato costretto a indossare ventiquattro ore su ventiquattro la maschera del gentile topo da laboratorio. E l’impresa più rischiosa sarebbe stata affrontare l’ora di punta sulla Palmetto Expressway.

Non andava bene.

Mi sentivo sotto pressione, non per colpa del Passeggero Oscuro, ma dell’orologio. Prima che fosse troppo tardi, dovevo trovare le prove che fosse stato Reiker a scattare le foto di MacGregor; in caso affermativo, volevo dirgli due parole precise e taglienti. Se però il fotografo avesse scoperto che il suo complice era stato fatto a fettine, sarebbe diventato uccel di bosco. Se poi ne fossero venuti a conoscenza i miei colleghi al dipartimento, le cose non si sarebbero messe molto bene per il Defilato Dexter.

Ma Doakes sembrava aver intenzione di restare lì ancora a lungo e al momento non ci potevo fare nulla. Era davvero frustrante il pensiero di Reiker che se ne andava in giro a piede libero e non si dibatteva avvolto nel nastro adesivo. Homicidium interruptum. Nella mia mente il Passeggero Oscuro emise un leggero lamento e digrignò i denti. Sapevo come si sentiva, e purtroppo non avevo un gran margine d’azione, a parte andare su e giù per la stanza. E neanche questo mi fu di grande aiuto: ancora un po’ e avrei consumato il tappeto e allora addio alla caparra.

L’istinto mi suggeriva di fare una mossa per depistare Doakes: lui però non era un segugio come gli altri. C’era solo un modo per convincerlo a togliere il naso umido e bavoso dai fatti miei. Se mi fossi messo a temporeggiare, comportandomi da persona normale, forse l’avrei preso per sfinimento. Allora si sarebbe arreso e sarebbe tornato alla sua vera occupazione, ovvero dare la caccia ai criminali autentici, cioè il lato oscuro della nostra splendida città. Perché anche adesso loro erano liberi, liberi di parcheggiare in doppia fila, di buttare le cartacce a terra e di votare per i democratici alle prossime elezioni. Come poteva Doakes perdere tempo con il caro vecchio Dexter e con il suo hobby così innocuo?

E va bene: mi sarei comportato da persona normale fino a infastidirlo sul serio.

Ci sarebbero voluti mesi, forse, comunque l’avrei fatto. Avrei vissuto pienamente la vita artificiale che mi ero creato per apparire un essere umano. E dato che di solito gli uomini sono governati dal sesso, avrei cominciato con il fare visita a Rita, la mia ragazza.

È strano dire «la mia ragazza», soprattutto quando è un adulto che parla. Ed è ancora più strano pensare a che cosa si riferisce in realtà. Di solito si usa per indicare una donna, non una ragazza, disponibile al sesso, piuttosto che all’amicizia. Infatti, da quel che ho notato, una persona può non andare d’accordo con la sua ragazza, ma l’odio, quello vero, lo riserva alla moglie. Non sono mai stato in grado di capire che cosa una donna voglia dal suo uomo, eppure apparentemente quel qualcosa io l’avevo, almeno secondo Rita. Di certo non era il sesso, che per me aveva la stessa attrattiva del calcolo del deficit della bilancia commerciale estera.

Per fortuna, anche a Rita il sesso non interessava granché. Era reduce da un disastroso matrimonio celebrato in giovane età con un uomo i cui hobby erano farsi di crack e prenderla a botte. E, come se non bastasse, le aveva trasmesso diverse curiose malattie. Ma quando una notte lui se l’era presa con i bambini, Rita aveva mandato a farsi fottere la propria immagine di mogliettina devota e aveva sbattuto il porco fuori dalla sua vita e poi in prigione.

Dopo tutto questo scompiglio, si era messa alla ricerca di un gentiluomo interessato a conversare piacevolmente in sua compagnia e privo del bisogno impellente di sfogare istinti primordiali. In altre parole, un uomo che la apprezzasse per le sue qualità interiori, non per la brama di sperimentare il kamasutra. Ecce Dexter. Per quasi due anni Rita era stata il mio travestimento ideale, un ingrediente chiave dell’immagine mondana di Dexter. In cambio, non l’ho mai picchiata, né l’ho contagiata con strane malattie né ho sfogato su di lei il mio desiderio animale. In verità, sembrava che la mia compagnia le fosse gradita.

E come se non bastasse, mi ero piuttosto affezionato ai suoi ragazzi, Astor e Cody. Strano ma vero, ve lo garantisco. Se tutti gli altri esseri viventi scomparissero misteriosamente dalla faccia della terra, ci rimarrei male solo perché non ci sarebbe più nessuno a farmi le ciambelle. I ragazzini ci tengono a me e per questo mi piacciono. I figli di Rita avevano avuto un’infanzia traumatica, proprio come me, e di conseguenza mi sentivo particolarmente legato a loro; il mio interesse andava al di là del travestimento che mantenevo grazie alla loro madre.

A parte i figli, anche lei non si presentava poi così male. Aveva i capelli biondi, corti e ben ordinati, un fisico atletico e snello e di rado diceva cose stupide. Potevo presentarmi in pubblico accanto a lei con la certezza che fossimo due esseri umani ben assortiti, il che era fondamentale. Dicevano persino che eravamo una bella coppia, ma non capivo mai in che senso. Suppongo che Rita mi trovasse un bel tipo, per alcuni aspetti, anche se i suoi precedenti in fatto di uomini non erano molto lusinghieri. Comunque, è sempre carino sapere che c’è qualcuno che mi trova meraviglioso. È l’ennesima conferma della bassa stima che nutro verso la gente.

Guardai l’orologio sulla scrivania. Le cinque e trentadue: nel giro di un quarto d’ora Rita sarebbe stata di ritorno dalla Fairchild Title Agency, dove faceva un lavoro molto complicato in cui c’entravano frazioni e percentuali. Il tempo di arrivare a casa sua e l’avrei trovata lì.

Aprii la porta sfoggiando un allegro sorriso sintetico, salutai Doakes e partii verso la modesta abitazione di Rita a South Miami. Il traffico non era terribile, nel senso che non notai incidenti mortali o sparatorie, e in meno di venti minuti parcheggiai l’auto davanti al suo bungalow. Il sergente Doakes si spinse fino al fondo della via e, non appena mi vide bussare alla porta, si fermò dall’altra parte della strada.

La porta si aprì di scatto e Rita apparve sulla soglia. «Oh!» esclamò. «Dexter.»

«In persona», dissi. «Passavo da queste parti e mi domandavo se fossi già in casa.»

«Be’, s-sono appena entrata. Ci sarà un disordine… Uhm… entra. Vuoi una birra?»

Una birra? Che idea. Non tocco mai quella roba. D’altra parte, però, era una cosa così sorprendentemente normale, così tanto «visita alla tua ragazza dopo il lavoro», che anche Doakes ne sarebbe rimasto colpito. Era il tocco che ci voleva. «Muoio dalla voglia di una birra», risposi e la seguii in salotto.

«Siediti», mi invitò. «Vado un momento a rinfrescarmi.» Mi sorrise. «I ragazzi sono sul retro, ma di sicuro non appena si accorgeranno che sei arrivato li avrai tutti addosso.» Scomparve in corridoio e fu di ritorno poco dopo con una lattina di birra. «Torno subito», fece, e si diresse verso la camera da letto dall’altra parte della casa.

Mi sedetti sul divano e fissai la birra che avevo tra le mani. Non sono un bevitore; in effetti, è sconsigliato ai predatori. Rallenta i riflessi, indebolisce le percezioni e confonde le carte in tavola (che non so cosa significhi, ma non dev’essere una bella cosa). Comunque eccomi lì, demone disoccupato, pronto a compiere l’estremo sacrificio e rinunciare ai miei poteri per diventare un essere umano. E la birra era proprio ciò che faceva al caso del Dipsofobico Dexter.

Ne bevvi un po’. Aveva un sapore amaro ed esangue, proprio come me se fossi stato costretto a tenere il Passeggero Oscuro inchiodato al sedile troppo a lungo. Tuttavia, immaginavo che la birra si apprezzasse con il tempo. Ne bevvi un altro sorso. La sentii gorgogliare in gola e rovesciarsi nello stomaco: mi accorsi che, distratto dai risvolti positivi e negativi della giornata, avevo saltato il pranzo. Diamine! Era solo una birretta; lo dichiarava orgogliosa la lattina: BIRRA LIGHT.

Ne buttai giù ancora. Non era poi così male, quando ti ci abituavi. Perdiana, quello sì che si chiamava relax. In ogni caso, a ogni sorso mi sentivo sempre più calmo. Ancora uno, tanto per rinfrescarmi: non riuscivo a ricordare se al college mi avesse fatto questi ottimi effetti. Ovviamente allora ero solo un ragazzino, non ero ancora il lavoratore onesto e retto. Capovolsi la lattina. Non ne uscì una goccia.

Be’, non so come, era finita. E io avevo ancora sete. Potevo tollerare una situazione così spiacevole? Proprio no. Per niente. Infatti, non avevo intenzione di tollerarla. Mi alzai e mi diressi in cucina con passo sicuro e un po’ rigido. In frigo c’erano diverse lattine di birra light: ne presi una e tornai al divano.

Mi sedetti. La aprii. Ne bevvi un sorso. Ora andava meglio. Maledizione a Doakes, comunque. Forse dovrei darne una anche a lui. Magari gli darebbe una calmata, si rilasserebbe e lascerebbe perdere la faccenda. Dopotutto, io e lui stiamo dalla stessa parte, no?

Bevvi. Rita comparve con indosso un paio di pantaloncini scoloriti e un top bianco con un piccolo fiocco di raso intorno al collo. Dovevo ammettere che era davvero carina. Sapevo scegliere bene i miei travestimenti. «Sai’», esordì, scivolandomi accanto sul divano, «è bello vederti così, all’improvviso.»

«Sicuro», dissi.

Reclinò la testa di lato e mi guardò con un’espressione buffa. «È stata dura al lavoro?»

«Una giornataccia», risposi, e giù un altro sorso. «Ho dovuto lasciar andare un cattivo elemento. Cattivo davvero.»

«Oh.» Si incupì. «Perché non… voglio dire, non potevi…»

«Avrei voluto», replicai. «Ma non ho potuto.» Alzai la lattina alla sua salute. «Questioni politiche.» Ne mandai giù ancora un po’.

Rita scosse il capo. «Non riesco proprio ad abituarmi all’idea che… voglio dire, dal di fuori sembra tutto così sbrigativo. Trovi il tipo che non va e lo mandi in prigione. Ma la politica cosa c’entra? Nel senso… che cosa ha fatto?»

«Ha dato una mano a uccidere dei ragazzini», spiegai.

«Oh», esclamò lei, scioccata. «Mio Dio, devi fare qualcosa.»

Le sorrisi. Perdiana, aveva visto giusto. Diavolo di una donna. Non avevo appena detto che sapevo scegliere bene? «Hai messo il dito nella piaga», sospirai, e le presi la mano per guardare quel dito. «Qualcosa la posso fare. E anche piuttosto bene.» Le diedi un buffetto, rovesciando solo qualche goccia di birra. «Sapevo che avresti capito.»

Lei sembrava confusa. «Oh», disse. «Che tipo di… Che cosa farai?»

Bevvi di nuovo. Perché non dirglielo? Mi sembrava che si fosse già fatta una certa idea. Perché no? Feci per aprire la bocca ma non riuscii a pronunciare neppure una sillaba sul Passeggero Oscuro e sul mio innocuo hobby: Cody e Astor si precipitarono di corsa nella stanza e, non appena mi videro, si bloccarono. Guardarono prima me, poi la loro madre.

«Ciao, Dexter», fece Astor e diede una gomitata al fratello.

«Ciao», disse lui, lento. Non era un chiacchierone. In effetti non aveva mai parlato granché. Povero ragazzo. La storia di suo padre l’aveva sconvolto. «Sei ubriaco?» mi domandò. Per lui era già molto.

«Cody!» esclamò Rita. Le feci un cenno scherzoso e fissai il ragazzino.

«Ubriaco?» borbottai. «A me?»

Lui annuì. «Già.»

«Certo che no», affermai con sicurezza, cercando di darmi un contegno. «Forse sarò un po’ brillo, ma non è la stessa cosa.»

«Oh», fece lui e la sorella si intromise: «Resti a cena?»

«Mi sa che devo andare», risposi. Rita mi posò con fermezza una mano sulla spalla.

«In questo stato non puoi andare da nessuna parte», disse.

«In che stato?»

«Brillo», rispose Cody.

«Non sono brillo», insistetti.

«Hai detto di sì», ribatté Cody. Non ricordavo l’ultima volta in cui l’avevo sentito pronunciare quattro parole di seguito, e ne fui orgoglioso.

«L’hai detto tu», aggiunse Astor. «Hai detto che non eri ubriaco, solo un po’ brillo.»

«Ho detto questo?» Entrambi annuirono. «Oh! Be’, allora…»

«Be’, allora», concluse Rita, «immagino che ti fermerai a cena.»

Be’, allora. Immagino di sì. Ne sono quasi certo, in effetti. So che a un certo punto andai al frigorifero a prendere un’altra birra light e mi accorsi che erano scomparse. Un po’ più tardi ero di nuovo seduto sul divano. C’era la tivù accesa e stavo cercando di capire che cosa dicessero gli attori e perché una folla invisibile l’avesse scambiata per la battuta più spassosa di tutti i tempi.

Rita si lasciò cadere accanto a me sul divano. «I ragazzi dormono», disse. «Come va?»

«Splendidamente», risposi. «Se solo riuscissi a capire che cosa c’è di così divertente.»

Rita mi mise una mano sulla spalla. «Ci sei stato proprio male, vero? A lasciar andare quel cattivo elemento. I bambini…» Mi venne vicino e mi abbracciò, posando la testa sulla mia spalla. «Sei così buono, Dexter.»

«No, non è vero», replicai, domandandomi perché dicesse una cosa tanto insolita.

Rita si tirò su e mi guardò negli occhi. «Ma tu lo sei, e sai di esserlo.» Sorrise e mi rimise la testa sulla spalla. «Penso che… che è stato carino che tu sia venuto qui. A trovarmi. Quand’eri di cattivo umore.»

Stavo per spiegarle che non era proprio così, ma poi mi venne in mente: ero venuto qui perché mi sentivo cattivo e basta. Chiaro, era solo per logorare Doakes e spingerlo ad andarsene, dopo la mia terribile frustrazione per non poter giocare con Reiker. Ma dopotutto era stata un’ottima idea, no? Cara vecchia Rita. Era molto calda e aveva un profumo delizioso. «Cara vecchia Rita», dissi. La strinsi a me più forte che potei e posai la guancia sul suo viso.

Restammo in quella posizione per qualche minuto, poi Rita si alzò e mi afferrò la mano. «Dai», sussurrò. «Andiamo a letto.»

Obbedii e quando mi accasciai sul lenzuolo, lei scivolò al mio fianco ed era così bella e calda, così accogliente e il suo profumo così buono che…

La birra è davvero stupefacente, non trovate?

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