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Liaw dei Laghi parlò. «Ci siamo riuniti nel grande Khruath di Avalon perché la gente libera possa scegliere la sua via. Il nemico ha trasferito altrove gran parte della potenza che ci aveva scagliato addosso. Questa non è una vittoria, poiché quei vascelli faranno guerra contro il resto del Dominio. Nel contempo essi hanno lasciato navi sufficienti a tagliarci fuori. Non è probabile che attacchino il nostro mondo. Ma cercheranno di scoprire e minare le nostre basi tra i pianeti fratelli e le poche nostre navi da guerra rimaste nello spazio. A parte quel poco fastidio che potranno dare i nostri fratelli imbarcati, non abbiamo alcun modo di passare all’offensiva. Intendiamo mantenere indefinitamente le nostre difese. Eppure non c’è alcuna garanzia che Avalon non possa subire gravi danni, se il nemico dovesse impegnarsi in un tentativo deciso. Essi hanno dichiarato che alla fine saremo sicuramente soggiogati. Questo è probabilmente vero. Essi hanno poi dichiarato che possiamo aspettarci un trattamento migliore se ci arrendiamo adesso; se invece continuiamo a combattere, nel migliore dei casi finiremo sotto la legge e i costumi Imperiali. Questo è certamente vero.

«Coloro che parlano in nome vostro hanno rifiutato la proposta, come era loro dovere finché voi non poteste essere convocati per decidere in merito. Vi ricordo i rischi di una guerra prolungata e la minaccia di una pace dura in caso di sconfitta. Vi ricordo inoltre che, se decidiamo di resistere, il popolo libero di Avalon dovrà rinunciare a molti dei suoi diritti e sottomettersi alle decisioni dei capi militari per tutto il tempo che potrà durare la guerra. Che cosa dicono i gruppi?».

Lui ed i suoi colleghi si trovavano nell’antico luogo, la Prima Isola del Mare Esperide. Alle loro spalle sorgeva la casa di David Falkayn; davanti a loro il terreno erboso digradava verso la spiaggia ed i marosi. Ma non erano state erette tende né capanne, non c’erano navi all’àncora, né gruppi di delegati giungevano in volo raggruppandosi in ranghi sotto gli alberi. Non c’era tempo per riunioni formali. Quelli che erano stati scelti ai raduni regionali, e quelli che avevano espresso il desiderio di parlare, erano presenti elettronicamente.

All’interno della casa, del personale equipaggiato con computer era all’opera senza risparmio. Per quanto l’Ythrano medio fosse taciturno, per quanto non avesse la tendenza a fare la figura dello sciocco affermando delle banalità, tuttavia, quando circa due milioni di adulti con diritto al voto erano interessati ad una faccenda di tale importanza, le domande ed i commenti che giungevano dovevano per forza essere filtrati. Quelli scelti per essere ascoltati avrebbero dovuto attendere il loro turno.

Arinnian sapeva che sarebbe stato chiamato. Sedeva accanto ad Eyath davanti ad uno schermo di dimensioni superiori al normale. Erano soli sul banco anteriore, cioè il più basso. Alle loro spalle si ergevano le file di posti, affollate dalla famiglia di Lythran e Blawsa, fino su al sedile del capofamiglia e della sua signora. Il lento parlare di Liaw aveva solo incupito la quiete in quell’ampia e scura stanza con le armi appese alle pareti; ed altrettanto faceva il frusciare delle penne, il grattare degli artigli o degli alettoni, quando qualcuno si spostava appena. L’aria era impregnata dell’odore di legno bruciato dei corpi Ythrani. Un venticello che si infiltrava da una finestra aperta sulla pioggia aggiungeva il profumo di terra umida e faceva muovere gli stendardi che pendevano dalle enormi travi del tetto.

«…Rapporto sui fatti riguardanti…».

Sullo schermo apparve l’immagine di un mandriano. Alle sue spalle si potevano vedere la prateria di Corona Settentrionale, una mandria lontana, una fila di quadrupedali zirrauhk carichi di fardelli e guidati da un giovane svolazzante, alcuni velivoli da trasporto ultimo modello che passavano alti. Il mandriano affermò: «Quest’anno la produzione di cibo per tutte le Pianure degli Ampi Spazi è stata soddisfacente. Le previsioni per la prossima stagione sono ottimistiche. Abbiamo immagazzinato il settantacinque per cento delle riserve di carne conservata in bunker a prova di contaminazione radioattiva, e ci aspettiamo di completare l’opera per metà inverno. I particolari sono archiviati nella Biblioteca Centrale. Chiudo». L’immagine tornò sugli Alti Wyvan, i quali convocarono subito un altro rappresentante di zona.

Eyath prese il braccio di Arinnian. Lui sentì il palpito delle sue dita, mentre gli artigli dei due pollici stretti gli ferivano il polso. La guardò. La cresta di un color bronzo scuro era rigida ed eretta, gli occhi d’ambra sembravano lanterne. Tra le labbra i denti brillavano. «Devono star lì a perdere tempo fino alla fine dell’eternità?», ansimò.

«Hanno bisogno di conoscere la verità, prima di prendere una decisione», le bisbigliò lui di rimando, e sentì gli sguardi di disapprovazione che gli trafiggevano la schiena.

«Cosa c’è da decidere… quando Vodan è nello spazio?».

«Puoi essergli più d’aiuto con la pazienza». Si domandò chi era lui per dare dei consigli. Beh, Eyath era giovane (anch’io, ma oggi mi sento vecchio) ed era una cosa crudele che non potesse aver notizie del suo amato fino, forse, al termine della guerra. Nessuna scorta navale poteva avventurarsi all’interno della fiammeggiante cortina protettiva di Avalon assediato.

Almeno si era saputo che Vodan era tra quelli che erano riusciti a scappare. C’erano troppi relitti in orbita. Ancor più numerosi erano stati i terrestri eliminati, naturalmente, grazie alla trappola fatta scattare da Ferune e Holm. Ma un Ythrano ammazzato era troppo, pensò Arinnian, e mille terrestri troppo pochi.

«…Convochiamo il comandante della guardia di Corona Occidentale».

Lui scattò frettolosamente in piedi, si accorse che non sarebbe stato necessario, e decise che avrebbe fatto meglio a rimanere in piedi piuttosto che aggiungere goffaggine a goffaggine rimettendosi a sedere prima ancora di aver parlato. «Uh, Arinnian di Stormgate. Siamo in buona forma: equipaggiamo, addestriamo ed assegnamo le reclute man mano che si presentano. Ma ci serve qualcosa di più. Poiché nessuno ne ha fatto menzione, vorrei ricordare al popolo che, a parte gli ufficiali superiori, il servizio di guardia nazionale non è a tempo pieno, e si potrebbe organizzare il programma dei volontari in modo da interferire al minimo con le loro mansioni ordinarie. La collaborazione della nostra sezione con Oronesia Settentrionale è stata ora estesa all’intero arcipelago, ed abbiamo l’intenzione di fare la stessa cosa verso sud e verso est, in modo da ottenere un comando integrato per le Isole Brendana, Fiery e Shielding, ed anche per proteggere l’intero perimetro di Corona.

«Uh, per conto di mio padre, il Primo Governatore, voglio far notare una carenza considerevole nella difesa di Avalon, e precisamente l’assenza di una guardia per Equatoria, dove non c’è nulla se non qualche proiettore e delle postazioni di lancio per missili. È vero che il continente è disabitato, ma i terrestri lo sanno, e se prendono in considerazione un’invasione non si preoccuperanno certo di lasciare intatta l’ecologia nativa della zona. Io, uh, riceverò delle proposte in merito e le trasmetterò nei modi appropriati». Aveva la lingua secca. «Chiudo».

Si rimise a sedere. Eyath ricambiò il suo sguardo, stavolta più dolce. Per fortuna, nessuno voleva fargli delle domande. Poteva anche cavarsela a discutere problemi strettamente tecnici con poche persone intelligenti, ma un auditorio di due milioni di persone era davvero eccessivo per un uomo privo di istinti politici.

Le discussioni sembrarono interminabili. Eppure alla fine, quando fu il momento di votare, quando Liaw annunciò molto sbrigativamente che il banco-dati registrava un ottantatré per cento a favore della resistenza continua, non erano trascorse nemmeno sei ore. Gli umani non ce l’avrebbero fatta, in così poco tempo.

«Bene», disse Arinnian tra il rumore delle ali indolenzite che si stiracchiavano, «nessuna sorpresa».

Eyath gli diede uno strattone. «Vieni», gli disse. «Prendi la tua cintura. Voglio sgranchire i muscoli prima di cena».

La pioggia picchiava nell’oscurità, fredda e profumata di cielo. Quando furono al di sopra delle nuvole, entrambi virarono verso est per allontanarsi dai compagni di gruppo, anch’essi impegnati in esercizi fisici. I picchi nevosi ed i ghiacciai emergevano dal biancore stagliandosi su uno sfondo blu scuro dove scintillavano le prime stelle e pochi barlumi in movimento, che erano fortezze orbitali.

Volarono in silenzio per un po’, poi lei disse: «Mi piacerebbe arruolarmi nella guardia».

«Eh? Ah, sì. Benvenuta».

«Ma non in pattuglia di volo. È essenziale, lo so, ed anche piacevole se il tempo è appena buono; ma io non vado in cerca di piacere. Guarda, c’è Camelot che sta sorgendo laggiù. Forse Vodan è nascosto in una di quelle lune, sempre aspettando l’occasione per rischiare la vita».

«Che cosa preferiresti?», le domandò.

Le sue ali batterono più saldamente della sua voce. «Tu potresti trovarti col lavoro fino al collo, dal momento che il lavoro aumenterà certamente. Senza dubbio i tuoi collaboratori sono troppo pochi, altrimenti perché saresti così stanco? Non potrei esserti utile?».

«M-m-m… beh…».

«Come tua assistente, o addetta alle commissioni, o anche come tua segretaria personale? Posso sottopormi ad elettro-indottrinamento per quanto riguarda cognizioni e mansioni, ed essere pronta a cominciare entro pochi giorni».

«No. È troppo duro».

«Sopravviverò. Mettimi alla prova. Cacciami via se non sono all’altezza, poi, e resteremo ugualmente amici. Comunque io penso di potercela fare. Forse meglio di chi non ti conosce da tanti anni, e che può benissimo essere assegnato ad un altro incarico. Sono intelligente e piena di energia. Non è vero? E… Arinnian, ho tanto bisogno di stare con te, finché non sarà passato questo orribile periodo».

Gli si avvicinò, e lui le prese la mano. «Molto bene, compagna di vento». Nella luce pallida, lei volò più bella che mai sotto qualunque sole o luna.


«Sì, domani chiederò che sia messo ai voti», disse Matthew Vickery.

«Come pensa che andrà?», gli domandò Daniel Holm.

Il Presidente sospirò. «E lei? Oh, quelli che sono a favore della guerra non costituiranno quella maggioranza schiacciante come è successo nel Khruath. Pochi membri voteranno in base alle loro convinzioni più che alle loro deleghe. Ma io ho visto l’analisi di quelle deleghe, e delle chiamate telefoniche e… sì, avrete la vostra dannata decisione di andare avanti. Avrete i vostri poteri d’emergenza, la virtuale sospensione del governo civile che avete richiesto. Vorrei che lei desse un’occhiata a qualcuna di quelle lettere o di quei nastri. Il fanatismo potrebbe impaurirla, come ha fatto con me. Non avrei mai immaginato che ci fosse tanta pazzia latente, in mezzo a noi».

«È da pazzi combattere per la propria patria?».

Vickery si morse il labbro. «Sì, quando non c’è nulla da guadagnare».

«Io direi invece che c’è parecchio da guadagnare. Abbiamo aperto una falla considerevole nell’armata Terrestre, e stiamo recitando una parte ben più importante di quanto in origine non ci si aspettasse da Ythri».

«Ma lei crede davvero che il Dominio possa sconfiggere l’Impero? Holm, l’Impero non può permettersi un compromesso. Provi a vederla dal loro punto di vista, se ci riesce. Il solitario custode della pace in mezzo a migliaia di popoli incredibilmente diversi; il solitario guardiano delle frontiere contro predatori alieni barbari e civilizzati, forniti di armi nucleari. L’Impero deve essere più che potente. Deve conservare la credibilità, l’universale credito di invincibilità, altrimenti salterà tutto per aria».

«Il mio naso sanguina per l’Impero», disse Holm, «ma Sua Maestà dovrà risolvere i suoi problemi a spese di qualcun altro. Da noi non riuscirà ad avere passaggi gratuiti. Inoltre, lei avrà notato che i terrestri hanno rinunciato a puntare su Avalon».

«Non ne avevano alcun bisogno», replicò Vickery. «Ma se si rendesse nuovamente necessario, torneranno in forze. E intanto noi siamo bloccati». Respirò profondamente. «Ammetto che il suo gioco ha dato dei frutti straordinari…».

«Prego. "Investimento". E non mio. Nostro».

«Ma non capisce, adesso non può servirci più a nulla se non come "atout" per negoziare! Possiamo ricavarne delle condizioni eccellenti, e so che il Governatore Saracoglu, col quale ho parlato, si impegnerebbe perché gli accordi fossero rispettati. Considerando la questione in termini razionali, cosa c’è di tanto spaventoso nel finire sotto l’Impero?».

«Beh, tanto per cominciare romperemmo il giuramento fatto con Ythri. Mi dispiace, amico caro. Motivi d’orgoglio non lo consentono».

«Lei se ne sta lì seduto a riempirsi la bocca di parole antiquate, ma io le dico che i venti del cambiamento stanno già soffiando».

«So che anche questa è una vecchia frase molto d’effetto», disse Holm. «Ferune ne aveva una ancora più vecchia che gli piaceva citare. Come diceva? "… la loro ora più bella…"».

Tabitha Falkayn si allontanò dalla darsena e tirò due cime in rapida successione. Il fiocco e la vela maestra scricchiolarono, afferrarono la brezza, e si gonfiarono. La leggera barca aperta si inclinò finché il vapore non sibilò lungo il parapetto di tribordo, poi accelerò in avanti. Superato il frangiflutti, in mare aperto, essa cominciò a scivolare sulle onde.

«Stiamo planando!», esclamò Philippe Rochefort.

«Certo», rispose Tabitha. «Questo è un aliscafo. Attento alla boma». Abbassò il timone. Il pennone ruotò e lo scafo si inclinò sulla bordata opposta.

«Non c’è chiglia? E come fate per la resistenza laterale?».

Lei indicò con la mano le assi dalla strana forma ricurva che si protendevano al di sopra di ciascun parapetto, e che si muovevano sul perno sollecitate da maniche a vento poste più in alto. «Ecco lì. Il progetto è Ythrano. Sanno sui venti molto più di quanto gli uomini ed i loro computer possano immaginare».

Rochefort si sistemò ed ammirò il panorama. Era superbo. Le onde si stendevano a perdita d’occhio, di un color blu striato di viola e verde, attraversate dai raggi del sole e con la schiuma bianca che creava dei ghirigori intricati. L’imbarcazione rombava sordamente, risucchiando l’aria con un rumore sibilante. Gli spruzzi delle onde li raggiungevano, salati sulle labbra, e stimolando il sangue laddove colpivano la pelle nuda. L’aria era fresca, ma non fredda, e sembrava cantare la sua vitalità. A poppa i picchi di smeraldo di St. Li rimpicciolivano con una velocità stupefacente.

Lui dovette ammettere che l’aspetto migliore di quel panorama era quella ragazzona fulva che se ne stava eretta, pipa in bocca, con un animaletto simile ad un falco sulla spalla, con i riccioli ossigenati al vento, alla barra del timone. Indossava solo un kilt che il vento faceva aderire ai fianchi e — a titolo di precauzione — il coltello e il disintegratore.

«Quanto hai detto che è lontano?», le chiese.

«Circa trentacinque chilometri. Un paio d’ore, a questa velocità. Non dovremo ripartire fino al tramonto, tanto si può guidare benissimo alla luce delle stelle. Avrai il tempo per dare un’occhiata intorno».

«Sei troppo gentile, Donna», le disse con sollecitudine.

Lei rise. «No, sono contenta di aver trovato una scusa per una gita. Specialmente perché quelle macchie di alga atlantica mi affascinano. Intere ecologie, in aree che possono essere più grandi di un’isola di medie dimensioni. E un pescatore in ricognizione mi ha detto di aver visto un kraken sfiorare gli orli di quest’isola qui. Spero che lo incontreremo. Sono uno spettacolo raro. E pacifico, benché non oserei avvicinarmi troppo ad un simile mostro».

«Non intendevo solo questa escursione», disse Rochefort. «Tu hai accolto me, un prigioniero di guerra, come se fossi un ospite in casa tua».

Tabitha si strinse nelle spalle. «Perché no? Non ci teniamo a rinchiudere quei pochi che catturiamo. Non possono andare da nessuna parte». I suoi occhi si posarono candidamente su di lui. «E poi, voglio conoscerti».

Lui si domandò, con un improvviso battito del cuore, fino a che punto.

Tabitha sembrò farsi triste tutto d’un tratto. «E», disse, «spero di… rimediare a ciò che è successo. Devi ammettere che Draun non aveva intenzione di uccidere arbitrariamente il tuo amico. Lui è, beh, impetuoso; ed era stata estratta un’arma; e siamo in guerra».

Lui azzardò un sorriso. «Non lo saremo per sempre, Donna».

«Il mio nome è Tabitha, Philippe; o Hrill, quando parlo in Planha. Naturalmente tu non… È giusto. Quando tornerai a casa, vorrei che ti rendessi conto che noi Ythrani non siamo dei mostri».

«Ythrani? Tu?». Lui aggrottò la fronte.

«E che altro? Avalon appartiene al Dominio».

«Non ancora per molto», disse Rochefort. Poi, concitatamente: «Fino ad allora farò del mio meglio per dimostrarti che nemmeno noi terrestri siamo dei mostri».

Lui non riusciva a capire come facesse la ragazza a sorridere così a cuor leggero. «Se ti diverte pensare una cosa del genere, fai pure. Ho paura che qui non avrai molta possibilità di divertirti. Nuoto, pesca, canottaggio, passeggiate… e, sì, lettura; io sono un’appassionata di storie poliziesche e ne ho una buona scorta, alcune giunte proprio dalla Terra. Ma l’elenco finisce qui. Io sonò il solo essere umano residente in permanenza a St. Li, e per di più i miei impegni ed i miei doveri di ufficiale della guardia nazionale mi terranno lontana per parecchio tempo».

«Ce la farò», disse lui.

«Certo, per un po’», replicò lei. «I veri Ythrani non sono ostili a voi. Prevalentemente considerano la guerra una cosa impersonale, come una carestia, quando sei costretto ad uccidere qualcuno per nutrire i tuoi figli, ma non lo odi per questo. Non amano molto le chiacchiere, ma se giochi a scacchi troverai parecchi avversari di valore».

Tabitha allentò la vela maestra e la fissò alla galloccia a scatto. «Sai», disse, «su Avalon non esistono divertimenti di massa, così come so che succede nell’Impero. Sugli schermi non troverai molto, solo notiziari, seri e sonnolenti programmi educativi, e drammi classici che probabilmente per te non significheranno nulla. Perciò… quando ti annoi, dimmelo e mi darò da fare per farti sistemare in una città come Gray o Centauro».

«Non credo che mi annoierò», disse lui, e aggiunse con voluta dolcezza, «Tabitha». Ma era sincero quando scrollò la testa, fissò lo sguardo sulle acque, e proseguì: «No, mi sento colpevole di non provare più dolore, di essere consapevole come sono della mia incredibile fortuna».

«Ah!», ridacchiò la ragazza. «Un giorno mi divertirò a contare in quanti diversi modi sei stato fortunato. Quella in cui ti trovavi era un’isola non convertita, ragazzo, puro Vecchio Avalon, incluso un bel campionario delle specie più pericolose».

«Un uomo armato, che stia all’erta, qui deve preoccuparsi di qualche animale?».

«Beh, senza dubbio potevi far fuori uno spatodonte prima che ti azzannasse, benché non sia facile uccidere i rettiloidi. Ma non avrei puntato un soldo su di te alle prese con un gruppo di licosauri; e se uno sciame di kakkelak avesse cominciato ad arrampicarsi lungo i tuoi calzoni…». Tabitha sogghignò. «Ma quelle sono bestie dei continenti tropicali. Avresti avuto i tuoi guai con le piante, che hanno una distribuzione più ampia. Immagina che una raffica di vento avesse fatto muovere i rami di un albero chirurgo mentre gli passavi accanto. O… proprio al di là della cresta, rispetto a dove ti trovavi, ho notato una depressione piena di arbusti infernali. Non sei un Ythrano, per poter respirare quei vapori e sopravvivere».

«Brrr!», fece lui, «Quale incurabile romantico diede il nome a questo pianeta?».

«La nipote di David Falkayn, quando lui ebbe deciso che questo era il posto dove andare», rispose lei, di nuovo seria. «Ed avevano ragione entrambi. Se non altro il problema era di offrire un’opportunità alla vita indigena. Come ai centauri, che sono la ragione principale per cui Equatoria è stata dichiarata zona interdetta. Essi si servono a mo’ di utensili di schegge di pietra e d’osso, e forse tra un milione di anni saranno diventati intelligenti. E, a proposito, è Ythri che ha insistito sulla loro protezione, Ythri il predatore, non i pionieri umani».

Fece un gesto con le braccia. «Guardati intorno», gli disse. «Questo è il nostro mondo. E dovrà restare nostro».

No, pensò lui, e la bellezza di quella giornata si spense, ti sbagli, Tabitha-Hrill. Il mio ammiraglio schiaccerà gli Ythrani finché non avranno più via di scampo, ma per offrirvi al mio Imperatore.

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