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Settimana dopo settimana, con il fuoco che non accennava mai a diminuire d’intensità, l’armata Terrestre avanzava.

Cajal si rese conto che, malgrado lo sfavorevole esordio, la sua campagna sarebbe diventata un classico dei libri di testo. In effetti la sua decisione riguardo Avalon ne era l’aspetto più tipico. Chiunque, con una potenza come la sua, sarebbe stato capace di fare un macello. Secondo le previsioni, nessun altro sistema coloniale aveva a disposizione un armamento lontanamente paragonabile a quello in cui si era imbattuto nella zona di Laura. Quello che esisteva era sfruttato con sufficiente abilità, ma era chiaro che non aveva alcuna possibilità di vittoria.

Perciò qualunque macellaio avrebbe potuto fare un impiego massiccio di navi e vite umane, e nel giro di pochi mesi ridurre in polvere l’opposizione. Secondo quanto riferivano le informazioni e secondo la stessa opinione di Cajal, quello era il tipo di comportamento che i nemici si attendevano da lui. Essi, a loro volta, avrebbero fatto azioni di disturbo, incursioni nell’Impero, ed avrebbero cercato di trascinare dalla loro parte terzi incomodi come Merseia, ed in generale di rendere la guerra talmente costosa per la Terra da farle preferire una pace negoziata.

Cajal dubitava che tutto ciò avrebbe funzionato, anche nelle condizioni più favorevoli. Conosceva gli uomini che facevano parte della Commissione Politica. Nondimeno sentiva che il suo dovere era quello di evitare una vittoria per logorio, era un dovere nei confronti di entrambe le parti in causa. E così aveva progettato non una prudente avanzata nella quale ogni conquista fosse consolidata prima di passare alla successiva, bensì un affondo deciso.

Khrau e Hru caddero pochi giorni dopo l’incursione terrestre nelle loro orbite planetarie più esterne. Cajal lasciò poche navi in ciascuno dei due sistemi e poche truppe di occupazione, in gran parte tecnici, sui pianeti abitabili.

Quelle forze sembravano ridicolmente insufficienti. Il Governatore Rusa ne mise insieme una superiore e tentò di ricatturare Khrau. I terrestri inviarono un messaggio e resistettero. Giunse un distaccamento della flotta principale, con una velocità impressionante, e distrasse il comando di Rusa.

Su Hru III i gruppi si rivoltarono, e massacrarono parte della guarnigione. Poi i missili colpirono dallo spazio. Non ce ne vollero molti per aver ragione della ribellione. I Wyvan furono radunati ed uccisi. Questo fu fatto con il dovuto rispetto per la loro dignità. Alcuni di loro, nelle dichiarazioni finali, sollecitarono la loro gente a collaborare con le squadre di soccorso che giungevano da Esperance nelle aree colpite.

Nel frattempo gli invasori avanzarono su Quetlan. Dal corpo principale si allungavano tentacoli che passando si impadronivano di un sistema dopo l’altro. Alcuni di questi, Cajal non si prese nemmeno la briga di occuparli. Si contentava di rendere inoffensive le loro marine e tirava avanti. Dopo sei settimane, il sole di Ythri era costellato di posizioni perdute.

Ora l’Armata era penetrata nel cuore del Dominio, ad una distanza di oltre cinquanta anni luce dalla più vicina base imperiale precedente. Gli ornitoidi non avrebbero mai avuto un’occasione migliore per tagliarla fuori. Se avessero radunato tutte le loro forze per un combattimento decisivo — non uno scontro finale in piena ragola, naturalmente, ma una battaglia in ritirata che sarebbe potuta durare delle settimane — sarebbero stati ancora inferiori come numero. Ma avrebbero potuto contare su un rifornimento continuo di munizioni, cosa che invece all’Impero sarebbe mancata.

Cajal fornì loro ogni opportunità. Ma essi lo costrinsero.

La battaglia di Yarro Cluster durò otto giorni standard, dalle prime scaramucce alla fuga degli ultimi e solitari superstiti Ythrani. Ma i primi due giorni furono preliminari e gli ultimi tre poco più che di rastrellamento. I particolari sono per i libri. In sintesi, Cajal fece uso di due vantaggi fondamentali. Il primo fu la sorpresa; si era preso molta cura di tenere segreta la gran quantità di munizioni che aveva a disposizione. Il secondo fu l’organizzazione; riuscì ad armonizzare la sua flotta come un musicista il suo strumento, adescando ed ingannando le mal disposte unità nemiche e distruggendole una dopo l’altra.

Forse ebbe anche un terzo vantaggio, il genio. Quando quel pensiero gli attraversò la mente, si impose una penitenza.

I rimasugli della potenza del Dominio ripiegarono verso Quetlan. Cajal li seguì senza fretta.


Ythri era un po’ più piccolo di Avalon, un po’ più arido, la cortina di nuvole era più sottile e quindi le masse di terra si rivelavano più distintamente dallo spazio, con sfumature fulve e rossicce, sotto la luce di un sole più freddo e più giallo di Laura. Eppure era estremamente grazioso, a vederlo dondolare fra le stelle. Cajal lasciò in funzione quello schermo visore, limitandosi a dargli di tanto in tanto un’occhiata, distogliendo la vista dal volto che appariva sul quadro comunicazioni.

L’Alto Wyvan Trauvay disse: «Lei è coraggioso a venire qui da noi». Il suo Anglico era fluente, e si serviva di un vocalizzatore per una maggior chiarezza di pronuncia.

Cajal incontrò gli occhi gialli fissi su di lui e rispose: «Lei ha acconsentito ad un colloquio. Ho fiducia nel suo onore». Ho fiducia anche nella mia Supernova e nella sua scorta. Sarà meglio ricordarglielo. «Questa guerra mi causa grande dolore. Sarei molto dispiaciuto se dovessi devastare qualche parte del vostro mondo o seminare altre morti fra il vostro valoroso popolo».

«Non sarebbe facile, Ammiraglio», disse con lentezza Trauvay. «Abbiamo le nostre difese».

«Le ho viste. Wyvan, posso parlarle con franchezza?».

«Sì. Soprattutto poiché questa non è, lei lo capisce, una discussione ufficiale».

No, ma mezzo miliardo di Ythrani sono in ascolto, pensò Cajal. Vorrei che non fosse così. È come se potessi sentirli. Che razza di governo è questo? Non esattamente democratico: non si può trovargli una qualsiasi definizione terrestre, nemmeno "governo", in verità. Potremmo avere qualcosa da imparare, noi umani, qui? Tutti i nostri tentativi sembrano infrangersi, in definitiva, e l’unica risposta che siamo riusciti a trovare è la bruta semplicità di Cesare.

Basta, Juan! Sei un ufficiale dell’Impero.

«Ringrazio il Wyvan», proseguì Cajal, «e chiedo a lui ed al suo popolo di credere che noi non li attaccheremo più a meno di non esservi costretti, o che ci sia ordinato di farlo. Sul momento non ne abbiamo alcun motivo. I nostri obiettivi sono stati raggiunti. Adesso possiamo affermare le nostre giuste rivendicazioni lungo la frontiera. Qualsiasi resistenza non può che essere sporadica e, se mi si concede l’espressione, patetica. Una forza relativamente minima può bloccare Quetlan. Sì, qualche nave isolata può certamente infiltrarsi, saltuariamente. Ma voi sarete, a tutti gli effetti, tagliati fuori dai vostri possedimenti extrasistema, dai vostri alleati ed associati. La prego di considerare quanto può sopravvivere il Dominio come entità politica, in tali condizioni.

«La prego di considerare, anche, come ogni vostra ulteriore resistenza costituisca una spesa inutile, un prolungato fastidio per l’Impero. Prima o poi, si deciderà di por fine definitivamente a questa seccatura. Non dico che sia giusto, ma semplicemente che succederà. Io stesso sarei incaricato di aprire il fuoco. Se l’ordine fosse troppo drastico, potrei rifiutarmi di eseguirlo, ma Sua Maestà ha molti ammiragli».

Il silenzio sembrò aleggiare intorno al Cristo crocifisso. Alla fine Trauvay domandò: «Lei ci chiede la resa?».

«Un armistizio», rispose Cajal.

«A quali condizioni?».

«Un reciproco cessate il fuoco… alla lettera! Le navi catturate e le altre attrezzature militari saranno trattenute dalla Terra, ma i prigionieri di entrambi le parti saranno rimpatriati. Noi manterremo l’occupazione dei sistemi nei quali siamo penetrati, ed occuperemo quei mondi liberi su cui l’Impero avanza delle rivendicazioni. Le autorità e le popolazioni locali si sottometteranno agli ufficiali militari di stanza tra loro. Per quanto ci riguarda, garantiamo il rispetto della legge e delle usanze, il diritto alla libertà di parola e di appello, purché non sediziosi, una temporanea assistenza economica, la ripresa del normale commercio appena possibile, e la libertà per ciascun individuo di poter vendere le sue proprietà in un mercato aperto e di lasciare il pianeta. Alcune unità di questa flotta resteranno in prossimità di Quetlan e pattuglieranno frequentemente il sistema in azione di sorveglianza; ma non atterreranno a meno che non sia richiesto, né interferiranno con l’attività commerciale, se non per riservarsi il diritto di ispezione, per verificare che non siano spedite truppe o munizioni».

Le penne furono attraversate da un fremito. Cajal desiderò essere capace di leggere in esse. Il tono rimase piatto. «Lei esige una resa».

L’uomo scosse la testa. «No, signore, non è così, e in effetti ciò significherebbe eccedere ai miei ordini. I termini definitivi della pace sono una questione diplomatica».

«Che speranze possiamo avere, se accettiamo in anticipo la sconfitta?».

«Molte». Cajal preparò i polmoni a una lunga tirata. «Le suggerisco rispettosamente di consultare i suoi studenti in sociodinamica umana. Per dirla in parole chiare, voi avete due influenze di cui far uso, una negativa, una positiva. Quella negativa è la vostra potenzialità di riprendere la lotta. Si ricordi che gran parte della vostra industria rimane intatta nelle vostre mani, che avete ancora navi ben attrezzate e con equipaggi coraggiosi, e che la vostra stella d’origine è strenuamente difesa e ci farà soffrire parecchio prima di cedere.

«Wyvan, popolo di Ythri, io vi dò la mia solenne garanzia che l’Impero non desidera invadervi. Perché dovremmo prenderci la briga di fare una cosa del genere? La perdita di una grande civiltà sarebbe ancora peggiore del costo e del pericolo. Noi vogliamo, abbiamo bisogno della vostra amicizia. Se non altro questa guerra è stata combattuta per rimuovere certe cause di attrito. Adesso andiamo avanti insieme.

«È vero, io non posso prevedere come sarà il trattato di pace finale. Ma voglio richiamare la sua attenzione sulle numerose pubbliche dichiarazioni dell’Impero. Sono assolutamente esplicite. E sono assolutamente sincere, perché è evidentemente nell’interesse dell’Impero che la sua parola conservi credibilità.

«Il Dominio dovrà cedere svariati territori. Ma ci si può mettere d’accordo su qualche forma di compensazione. E in fondo, dovunque i vostri confini non tocchino i nostri, c’è un universo intero che vi attende».

Cajal pregò di aver recitato bene. I suoi discorsi erano stati preparati da specialisti, e lui aveva passato delle ore per imparare il modo giusto di pronunciarli. Ma se gli esperti avessero fatto degli errori di valutazione e se lui avesse sciupato tutto, se non fosse stato convincente…

Oh, Dio, fa’ che questa carneficina abbia termine… e perdonami se, in fondo alla mente, sono affascinato dai problemi tecnici della cattura di questo pianeta.

Trauvay rimase seduto immobile per qualche minuto prima di dire: «La cosa sarà presa in considerazione. La prego di tenersi nei paraggi, nel caso debba mettermi in contatto con lei». In un’altra parte della nave, uno xenologo che aveva dedicato la sua vita allo studio degli Ythrani, balzò dalla sedia, ridendo e piangendo, e si mise a gridare: «La guerra è finita! La guerra è finita!».


Le campane rintoccavano per tutta Fleurville, dalla cattedrale un possente riecheggiare di bronzo, dai campanili più piccoli poco più che un tintinnio. I razzi schizzavano verso l’alto per esplodere senza rumore e senza danni contro le stelle d’estate. Le strade erano affollate di gente, ubriache più di felicità che di qualsiasi liquore; suonavano trombe, gridavano, ed ogni donna si trovava baciata da un centinaio di uomini mai visti che all’improvviso si erano innamorati di lei. Di giorno, la Marina Imperiale aveva sfilato in parata al suono della banda, mentre pattuglie di astronavi o di mezzi aerei più piccoli avevano imperversato a quote pericolosamente basse. Ma per la capitale di Esperance e del Settore di Pax, la gioia si era scatenata di notte.

Su un’alta collina, nella serra del palazzo governatoriale, Ekrem Saracoglu osservava quella galassia che era diventata la città. Lui sapeva perché si era gonfiata così prepotentemente — il rumore lo raggiungeva come un lontano sciabordare di onde — e brillava così vividamente. Il retaggio pacifista dei coloni era soltanto un motivo secondario; adesso potevano smettere di odiare i loro fratelli che indossavano le uniformi imperiali. Benché, si disse mentalmente, io sospetto che il semplice sollievo animale abbia una voce ancora più forte. Fin dai primi incidenti di frontiera l’odore della paura ha riempito questo pianeta, addensandosi poi quando si è arrivati alla guerra vera e propria. Un’incursione Ythrana, che prendesse di sorpresa il nostro cordone di sorveglianza, un’incandescenza momentanea del cielo…

«Pace», disse Luisa. «Stento a crederci».

Saracoglu guardò la piccola figura accanto a lui. Luisa Carmen Cajal y Gomez aveva accettato il suo invito a cena, ma non si era vestita in modo troppo vivace. La sua gonna era impeccabile come lunghezza e modello, ma di un velluto artificiale grigio ed uniforme. A parte una piccola croce dorata tra i seni, tutti i suoi gioielli consistevano in pochi diamanti sintetici fra i capelli. Essi brillavano tra le trecce nere raccolte in alto come brillano di notte le stelle nel cielo trasparente, o come le lacrime che le orlavano le ciglia.

Il governatore, il quale aveva nascosto la sua corpulenza dietro i merletti, le guarnizioni, il panciotto con disegni a forma di tigre, i pantaloni di un verde iridescente, le calze bianche come la neve e le pietre preziose sistemate ovunque avesse trovato un posto, si azzardò ad accarezzarle la mano. «Hai paura che possano riprendere i combattimenti? No. Impossibile. Gli Ythrani non sono pazzi. Accettando i termini del nostro armistizio, essi hanno riconosciuto la sconfitta con se stessi, prima ancora che con noi. Tuo padre dovrebbe essere presto di ritorno. Il suo lavoro è compiuto». Sospirò, sperando di non essere stato troppo teatrale. «Il mio, naturalmente, diventerà più arduo».

«A causa dei negoziati?», domandò Luisa.

«Sì. Non avrò le prerogative del plenipotenziario, comunque sarò un alto rappresentante della Terra, e l’Impero farà molto affidamento sui consigli dei miei collaboratori ed anche sui miei. In fondo, questo settore continuerà a confinare con il Dominio, ed includerà i nuovi mondi».

Lo sguardo di lei era sorprendentemente grave, per degli occhi così giovani. «Lei diventerà un uomo importantissimo, vero, Eccellenza?». Il tono era, se non proprio gelido, quanto meno freddo.

Saracoglu cercò di superare l’imbarazzo strappando dei petali ingialliti da una fucsia. Accanto ad essa un cespuglio di cinnamomo — la pianta Ythrana — riempiva l’aria di fragranza. «Beh, sì», disse. «Non voglio essere ipocrita con te, Donna, né falsamente modesto».

«Il settore allargato e riorganizzato. Lei probabilmente un gradino più in alto nella scala nobiliare, magari cavaliere. Ed alla fine, con ogni evenienza, richiamato in patria per ricevere la notifica di Lord».

«Non è probito sognare ad occhi aperti».

«È stato lei a suscitare questa guerra, Governatore».

Saracoglu si passò il palmo della mano sul cranio pelato. D’accordo, decise. Se lei non può o non si preoccupa di capire che è stato a causa sua che ho fatto fare le valige a Helga e Georgette (certamente, a questo punto, avrà sentito delle chiacchiere in proposito, benché non abbia detto né fatto capire nulla) beh, allora posso benissimo farle ritornare; o, se non vogliono, procurarmene quante ne voglio. Non c’è dubbio che questa mia particolare fantasticheria sia semplicemente l’eterno sciocco rifiuto dell’uomo di ammettere che sta diventando vecchio e grasso. Ho imparato quali sono i migliori condimenti quando ci si deve nutrire di delusioni.

Ma come spicca, tra quei fiori.

«Io ho promosso un’azione tendente a porre fine al cattivo stato della faccenda prima che peggiorasse», le rispose. «Gli Ythrani non sono santi votati al martirio. Sostenevano i loro interessi in modo sempre più arrogante e spietato man mano che aumentavano le loro risorse. Degli esseri umani sono morti. Donna, è alla Terra che ho prestato giuramento».

Di nuovo i suoi occhi si posarono su di lui. «Però lei sapeva cosa poteva significare questo per la sua carriera», gli disse, sempre calma.

Lui annuì. «Certamente. Ma mi crederai se ti dico che questo non ha semplificato le cose, anzi le ha complicate maledettamente? Ero convinto di pensare che la rettifica di questa frontiera fosse una buona causa. E, sì, penso di poter fare un lavoro superiore alla media, qui, prima di tutto ricostruendo, e poi, cosa non meno importante, trovando una riconciliazione con Ythri; in seguito, se sarò fortunato, nella Commissione Politica, dove promuoverò un buon numero di riforme. Dovrei forse lasciar perdere tutto questo lavoro per potermi sentire con la coscienza a posto? Devo essere maledetto perché mi piace quello che faccio?».

Saracoglu si mise una mano in tasca e ne tirò fuori il portasigarette. «Forse la risposta a queste domande è sì», concluse. «Come fa un mortale ad esserne sicuro?».

Luisa fece un paio di passi nella sua direzione. Tra i sussulti del cuore, lui si ricordò di mantenere il suo mezzo sorriso di pentimento. «Oh, Ekrem…». Si interruppe. «Mi dispiace, Eccellenza».

«No, ne sono onorato, Donna», le disse lui.

Luisa non lo invitò a servirsi del nome proprio, ma gli disse, sorridendo tra le lacrime: «Mi dispiace anche per le mie insinuazioni. Non intendevo una cosa del genere. Non sarei mai venuta, stasera, se non avessi saputo che lei è… un uomo di cui mi posso fidare».

«Non osavo nemmeno sperare che saresti venuta», le disse, ragionevolmente sincero, stavolta. «Avresti potuto festeggiare con persone della tua età».

I diamanti riversarono scintille, quando lei scosse la testa. «No, non per una cosa come questa. Ha mai saputo che una volta stavo per sposarmi? Lui fu ucciso due anni fa, nel corso di un’azione. Azione preventiva, era chiamata, sottomettere alcune tribù che si erano rifiutate di seguire i "consigli" di un residente imperiale… Bene», e tirò un sospirone, «stanotte non sarei capace di trovare parole per ringraziare Dio. La pace è un dono troppo grande per esprimerla a parole».

«Tu sei la figlia dell’Ammiraglio», disse Saracoglu. «Lo sai che la pace non è mai un dono senza prezzo».

«Le guerre giungono immeritate?».

Furono interrotti da un discreto colpo di tosse. Saracoglu si voltò. Si aspettava che fosse il suo maggiordomo che annunciava i cocktail, e la vista di un’uniforme di marina lo infastidì. «Sì», scattò.

«Se non le spiace, signore», disse nervosamente l’ufficiale.

«Ti prego di scusarmi, Donna». Saracoglu si inchinò sulla mano spendidamente affusolata di Luisa e seguì l’uomo nel salone.

«Allora?», gli domandò.

«Un messaggio delle nostre forze di Laura, signore». L’ufficiale tremava ed era pallido. «Sa, quel pianeta di frontiera, Avalon».

«Lo so». Saracoglu si preparò alla notizia.

«Beh, signore, hanno ricevuto comunicazione dell’armistizio. Solo che lo rifiutano. Insistono a dire che continueranno a combattere».

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