THEON

Theon si tolse lo sputo dalla faccia con il dorso della mano.

«Robb ti tirerà fuori le tue sporche budella, Greyjoy!» urlò Benfred Tallhart. «Darà il tuo cuore di traditore in pasto al suo lupo, pezzo di merda di capra che non sei altro!»

«Ora devi ucciderlo.» La voce di Aeron Capelli bagnati tagliò gli insulti come una lama nel burro.

«Prima, ho delle domande da fargli» rispose Theon.

«Mettitele nel culo, le tue domande!» Benfred, coperto di sangue, senza scampo, era stretto tra Stygg e Werlag. «Ti ci puoi strangolare prima di avere una qualsiasi risposta da me, vigliacco. Traditore.»

«Se sputa su di te, sputa su tutti noi» zio Aeron era inesorabile. «Sputa sul dio Abissale. Deve morire.»

«Mio padre ha dato a me il comando qui, zio.»

«E ha dato a me il compito di consigliarti…»

“Più quello di sorvegliarmi.” Ma Theon non osò spingere eccessivamente il confronto. Il comando era suo, d’accordo, ma la fede dei suoi uomini era nel dio Abissale, non in lui. E Aeron Capelli bagnati aveva instillato in loro un sacro terrore. “Non che io possa dare loro torto.”

«Ti taglieranno la testa per questo, Greyjoy. E i corvi ti mangeranno gli occhi» Benfred cercò di nuovo di sputargli in faccia, ma tutto quello che riuscì a tirare fuori fu un grumo di sangue. «Che se lo portino gli Estranei alla dannazione, il tuo dio bagnato.»

“Tallhart, hai appena sputato la tua vita” pensò Theon. «Stygg, fallo stare zitto» ordinò.

I due uomini di ferro costrinsero Benfred Tallhart a inginocchiarsi. Werlag strappò la pelle di lepre che Benfred portava alla cintura e gliela cacciò a forza tra i denti, soffocando le sue grida. Stygg mise mano all’ascia.

«No» lo fermò Capelli bagnati. «Dev’essere immolato al dio. Secondo la vecchia legge.»

“Ma che importa? La morte è morte.” «E allora fate quello che dovete» concluse Theon.

«Devi venire anche tu. Sei tu in comando. L’offerta deve venire da te.»

Questo era molto più di quanto Theon fosse disposto a sopportare: «Sei tu il prete, zio. E il dio è affare tuo. Restituiscimi il favore: lascia che le battaglie siano affare mio».

Theon fece un gesto conclusivo. Stygg e Werlag trascinarono il prigioniero verso la spiaggia. Capelli bagnati lanciò al nipote uno guardo pieno di rimprovero e li seguì. Andarono verso la costa sassosa, per annegare Benfred Tallhart in acqua di mare. Secondo la vecchia legge.

“Forse gli fanno un favore” Theon cercò di dire a se stesso, allontanandosi nella direzione opposta. Stygg non era esattamente quello che si sarebbe definito un abile boia, e Benfred Tallhart aveva un collo taurino, tutto muscoli e carne. “Ricordo come lo prendevo in giro per quello, solo per vedere quanto s’infuriava.” Quanto tempo era passato? Tre anni? Quando Ned Stark si era recato a Piazza di Thorren per incontrare ser Helman, Theon lo aveva accompagnato, trascorrendo un’intera settimana in compagnia di Benfred.

Dalla curva nella strada dove era stata combattuta la battaglia, continuavano a giungere grida e ovazioni di vittoria… Anche se battaglia non era la parola adatta. “È stato più come macellare pecore. Ammantate d’acciaio, certo, ma pur sempre pecore.”

Theon salì su un tumulo di pietre e guardò in basso. Vide uomini morti e cavalli morenti. Ai cavalli era andata meglio. Tymor e i suoi fratelli avevano radunato gli animali usciti illesi dallo scontro. Urzen e Lorren il Nero avevano finito quelli troppo malridotti. Il resto degli uomini di Theon stava depredando i cadaveri dei soldati. Gevin Harlaw era inginocchiato accanto a uno dei corpi, mozzandogli un dito per prendere l’anello. “Pagare il prezzo in ferro. Il lord mio padre approverebbe.” Theon fu tentato di andare alla ricerca dei due uomini che aveva abbattuto nel combattimento, giusto per vedere se avessero qualche monile che valeva la pena di prendere, ma il solo pensiero gli lasciò un senso di amaro in bocca. Poteva quasi udire il commento di Eddard Stark. E questo pensiero lo rese ancora più furioso. “Stark è morto e putrefatto, ed è sempre stato crudele con me.”

Il Vecchio Botley, detto Baffi di pesce, stava seduto accanto al cumulo della sua razzia, con un’espressione truce. I suoi tre figli continuavano ad aggiungervi bottino. Uno di loro era impegnato in una lotta a spintoni con un grassone di nome Todric, il quale arretrava tra i cadaveri reggendo un corno di birra in una mano e un’ascia da guerra nell’altra, avvolto in una cappa di volpe bianca sporca del sangue del suo precedente proprietario.

“Ubriaco” concluse Theon guardando giù. Si diceva che, in battaglia, gli uomini di ferro dei vecchi tempi diventassero talmente ebbri di sangue da non sentire alcun dolore, da non temere alcun avversario. Todric andava contro la tradizione, era pieno di birra scadente, non di sangue.

«Wex, arco e faretra.» Il ragazzo muto corse a obbedire. Theon incoccò una freccia e tese l’arco mentre il corpulento Todric gettava a terra il giovane Botley e gli versava la birra negli occhi. Baffi di pesce balzò in piedi imprecando, pronto a intervenire. Theon lo batté sul tempo. La sua idea era un bel tiro preciso, per infilzare mano e corno di birra insieme. Uno di quei tiri di cui si parla per molto tempo, ma Todric, spostandosi di lato, rovinò tutto: la freccia sibilò a perforargli il ventre da parte a parte.

I saccheggiatori s’inchiodarono, con le mascelle spalancate.

«Ho detto: niente ubriachi» Theon abbassò l’arco. «E niente liti per il bottino.» Todric, in ginocchio nel suo stesso sangue, stava tirando le cuoia facendo un sacco di rumore. «Fallo smettere, Botley» impose Theon. Baffi di pesce e i suoi figli non se lo fecero ripetere. Andarono a tagliare la gola a Todric da un orecchio all’altro, mentre le sue gambe scalciavano debolmente. Quindi, senza nemmeno aspettare che fosse morto, gli presero la cappa, gli anelli e le armi.

“Ora sanno che faccio sul serio.” Lord Balon aveva dato a lui il comando ma, dal modo in cui parecchi uomini lo guardavano, Theon sapeva che continuavano a considerarlo un ragazzino tenero delle terre verdi.

«C’è qualcun altro che ha sete?» minacciò Theon. Nessuna risposta. «Bene.»

Diede un calcio di disprezzo al vessillo caduto dei Tallhart, strappandolo allo scudiero morto che ancora lo impugnava. C’era una pelle di lepre legata poco sotto lo stendardo. “Pelli di lepre… Perché?” Avrebbe voluto chiederlo a Benfred. Solo che ricevere sputi in faccia gli aveva fatto perdere la concentrazione. Gettò l’arco a Wex e si allontanò, ripensando a come si era sentito inebriato dopo il bosco dei Sussurri e chiedendosi come mai non era lo stesso qui. “Tallhart, razza d’idiota pieno d’orgoglio: non hai nemmeno mandato fuori uno scout.”

Avevano scherzato, avevano addirittura cantato, mentre avanzavano e i tre alberi dei Tallhart garrivano sopra quelle stupide pelli di lepre legate alle punte delle loro lance. Gli arcieri di ferro appostati tra le rocce avevano guastato la festa con una grandinata di dardi. Theon in persona aveva guidato l’assalto successivo, finendo il lavoro del mattatoio con la spada, l’ascia e la mazza da guerra. L’unico che aveva dato ordine di risparmiare, in modo da interrogarlo, era stato il capo. Solo che non si era aspettato di trovarsi di fronte Benfred Tallhart.

Il suo corpo inerte stava venendo trascinato lontano dalla battigia quando Theon fece ritorno alla Strega del mare. Le alberature delle navi lunghe allineate lungo la spiaggia sassosa erano pinnacoli neri contro il cielo. Del villaggio di pescatori non rimanevano altro che ceneri fredde che quando pioveva emanavano un lezzo repellente. Pressoché tutti gli uomini erano stati passati a fil di spada. Theon ne aveva risparmiato soltanto un esiguo manipolo, in modo che corressero a portare la notizia della strage a Piazza di Thorren. Le mogli e le figlie dei pescatori erano state tramutate in mogli del sale, le donne vecchie e brutte erano state prima stuprate in gruppo e poi sgozzate oppure, se sembravano avere qualche abilità e non causare problemi, prese come serve.

Era stato Theon a pianificare l’attacco. Aveva portato le sue navi a ridosso della costa nel gelo e nelle tenebre che precedono l’alba. Era saltato per primo dalla prora del suo scafo, con l’ascia da guerra in pugno. Per primo aveva guidato gli uomini di ferro ad attaccare il villaggio ancora addormentato. Non gli era piaciuto farlo, ma aveva forse un’altra scelta?

In quello stesso momento, sua sorella Asha, quella puttana tre volte maledetta, stava facendo rotta ancora più a nord a bordo della sua Vento nero, decisa certo a prendersi un castello tutto suo. Lord Balon Greyjoy, il patriarca, non aveva lasciato trapelare nulla in merito allo spostamento dell’esercito dalle isole di Ferro. Il massacro compiuto da Theon sulla Costa Pietrosa sarebbe stato visto come una semplice opera di predoni assetati di bottino. Gli uomini del Nord non si sarebbero resi conto del vero pericolo… fino a quando la mazza non si fosse abbattuta su Deepwood Motte e sul Moat Cailin. “E quando tutto sarà finito, con la vittoria i cantastorie narreranno le gesta di Asha, quella troia, mentre io sarò ignorato e dimenticato.” Ma solo se lui lo avesse permesso.

Dagmer Mascella spaccata era in piedi sull’alta prora scolpita della sua Bevitrice di schiuma. Theon gli aveva affidato il compito di fare la guardia alle navi. Altrimenti, quella sarebbe stata chiamata la vittoria di Dagmer, non la sua. Un diverso tipo d’individuo se la sarebbe presa a male, ma Mascella spaccata ci aveva fatto sopra una risata.

«La giornata è nostra» disse Dagmer dalla prua. «Ma tu non stai sorridendo, ragazzo. Meglio che siano i vivi a sorridere, visto che i morti non possono farlo.» E si esibì in un sorriso, giusto per mostrare come si faceva. Fu una cosa orrenda a vedersi. Sotto una massa di capelli bianchi come la neve, Dagmer Mascella spaccata esibiva la cicatrice più spaventosa che Theon avesse mai visto, retaggio dell’ascia lunga che per poco non lo aveva ucciso da ragazzo. Il colpo gli aveva spezzato la mandibola, sbriciolato i denti anteriori e creato quattro labbra dove gli altri uomini ne avevano due. Una barba ispida gli copriva le guance e il collo, ma i peli non crescevano sulla cicatrice. Così adesso un solco nella carne dai bordi lucidi, contorti, gli divideva la faccia come il crepaccio di un ghiacciaio.

«Li ho uditi cantare» disse il vecchio guerriero. «Una bella canzone, e loro la cantavano bene.»

«Cantavano meglio di come combattevano. Tanto valeva che impugnassero arpe, considerando quanto gli sono servite le lance.»

«Quanti uomini abbiamo perduto?»

«Dei nostri?» Theon alzò le spalle. «Solo Todric, e sono stato io a ucciderlo. Era ubriaco e stava litigando per il bottino.»

«Certi uomini sono nati per essere uccisi.» Un uomo più debole avrebbe avuto paura di esibire un sorriso sinistro come il suo, ma Dagmer Mascella spaccata sogghignava molto più di frequente e con molta più convinzione di quanto lord Balon avesse mai fatto.

Nella sua bruttezza, quel sorriso fece riaffiorare una quantità di ricordi. Da ragazzo, nel saltare con il cavallo oltre un muretto coperto di muschio, o nel lanciare un’ascia contro un bersaglio, Theon lo aveva visto spesso. Lo aveva visto parando un fendente della spada di Dagmer, piantando una freccia nell’ala di un gabbiano alto in volo, prendendo in mano un timone e guidando una nave lunga attraverso le schiume infide nel passaggio tra rocce acuminate. “Dagmer mi ha sorriso più di mio padre e di Eddard Stark messi insieme.” Perfino di Robb… Avrebbe dovuto meritare un suo sorriso il giorno in cui aveva salvato la vita di Bran uccidendo quel bruto, invece quello che aveva ottenuto era stata una sequela di improperi, neanche fosse stato un cuoco reo di aver fatto bruciare lo stufato.

«Tu e io dobbiamo parlare, zio» disse Theon.

In realtà, Dagmer non era un suo vero zio. Era solo un uomo che aveva giurato fedeltà al lord delle isole di Ferro, con forse poche gocce del sangue dei Greyjoy, risalente a quattro o cinque generazioni passate. E quelle gocce provenivano dal lato sbagliato del letto. Ma Theon lo aveva chiamato zio sempre e comunque.

«E allora sali sulla mia tolda.» Non c’erano milord di sorta con Dagmer Mascella spaccata, non quando si trovava sul ponte della sua nave. Nelle isole di Ferro, a bordo della sua nave ogni capitano era re.

Con quattro ampie falcate, Theon fu sulla Bevitrice di schiuma. Dagmer gli fece strada fino all’angusta cabina di poppa. Si versò un corno di birra e ne offrì uno anche a Theon. Lui rifiutò.

«Non abbiamo catturato abbastanza cavalli. Alcuni, ma… Andrò avanti comunque. Meno uomini, più gloria.»

«Cavalli? A che ci servono i cavalli?» come tutti gli uomini di ferro, Dagmer preferiva combattere o a piedi o dalla tolda di una nave. «Non fanno altro che cacare sul ponte e stare in mezzo ai piedi.»

«Se riprendessimo il mare, sì» ammise Theon. «Io però ho un altro piano.»

Rimase a studiare Dagmer, per vedere come reagiva. Senza Mascella spaccata, non aveva speranze di riuscire nell’impresa che aveva in mente. Anche avendo il comando, gli uomini non lo avrebbero mai seguito se sia Aeron sia Dagmer gli fossero stati contro. Portare dalla sua l’acido prete del dio Abissale? Neanche a parlarne.

«Il lord tuo padre ci ha solo comandato di prendere la costa.» Occhi pallidi come schiuma di mare scrutarono Theon da sotto cespugliose sopracciglia livide. Ma che cos’era quel lampo che li stava attraversando, disapprovazione… o interesse? Il secondo, pensò, anzi sperò, Theon.

«Tu sei l’uomo di mio padre.»

«Sono sempre stato il migliore.»

“Orgoglio. Sì, Dagmer è un uomo orgoglioso. Ed è questa la chiave che devo usare con lui.” «E nessun altro uomo delle isole di Ferro regge il tuo confronto con la spada o con la lancia.»

«Sei stato lontano troppo a lungo, ragazzo. Quando te ne sei andato, era come tu dici, ma sono invecchiato al servizio di lord Balon. Adesso i cantastorie acclamano Andrik come il migliore. Andrik Senza sorriso, lo hanno soprannominato. Un gigante d’uomo. Serve lord Drumm di Vecchia Wyk. E Lorren il Nero e Qarl la Fanciulla sono quasi altrettanto letali.»

«Questo Andrik potrà anche essere un grande guerriero, ma gli uomini non lo temono quanto temono te.»

«Sì, questo è vero.»

Le dita di Dagmer si serrarono attorno al corno di birra. Erano zeppe di anelli, oro, argento e bronzo, incastonati di zaffiri, tormaline, vetro di drago. E per ognuno di essi, Theon questo lo sapeva, Dagmer Mascella spaccata aveva pagato il prezzo in ferro.

«Se avessi un uomo come te al mio servizio, non gli farei perdere tempo a razziare e bruciare… Queste sono cose da ragazzini. Non cose degne del miglior uomo di lord Balon.»

L’orrido sorriso di Dagmer separò le sue quattro labbra mostrando i denti marroni scheggiati.

«E neanche del suo unico figlio maschio, non è così, ragazzo?» replicò Mascella spaccata. «Ti conosco troppo bene, Theon. Ti ho visto fare i primi passi e tendere il primo arco. Qui non sono io quello che si sente sprecato.»

«Per diritto di primogenitura, dovrei avere il comando che è stato affidato a mia sorella» nel momento stesso in cui lo diceva, Theon fu consapevole di quanto suonassero stupidamente infantili quelle parole.

«La stai prendendo troppo di petto, ragazzo. Il lord tuo padre non ti conosce. Con entrambi i tuoi fratelli morti e tu portato via dai lupi, non ha avuto altro conforto che Asha. Ha imparato a fare conto su di lei. E lei non lo ha mai deluso.»

«Nemmeno io l’ho deluso. Gli Stark erano consapevoli del mio valore. Sono stato uno degli scout scelti personalmente da Brynden Tully, il Pesce nero. Al bosco dei Sussurri, sono andato all’assalto con la prima ondata. Sono stato così vicino, così vicino» Theon sollevò le mani a un palmo di distanza l’una dall’altra «dall’incrociare la mia spada con quella dello Sterminatore di re. Daryn Hornwood si è messo tra lui e me… E adesso Daryn Hornwood è morto.»

«Per quale ragione mi stai dicendo tutto questo?» disse Dagmer. «Sono stato io a metterti la tua prima spada in pugno, so bene che non sei un codardo.»

«Lo sa anche mio padre?»

«È solo che…» l’espressione dell’anziano guerriero sembrò quella di un uomo che avesse appena ingoiato un rospo. «… Theon, il Ragazzo lupo è tuo amico. E questi Stark ti hanno tenuto per dieci anni.»

«Io non sono uno Stark.» “Ci ha pensato lord Eddard a impedire che lo diventassi.” «Io sono un Greyjoy delle isole di Ferro! E intendo essere l’erede di mio padre. Come credi che possa riuscirci se non compiendo una grande impresa?»

«Sei ancora giovane. Ci saranno altre guerre, e tu darai prova di te. Per adesso, i nostri ordini sono di assaltare la Costa Pietrosa.»

«Che sia mio zio Aeron a occuparsene. Gli darò sei navi. Tutte quelle che abbiamo tranne la Bevitrice di schiuma e la Strega del mare. Che bruci e anneghi tutto quello che vuole nel nome del suo dio.»

«Gli ordini sono stati dati a te, non ad Aeron Capelli bagnati.»

«Se gli assalti sulla costa vengono compiuti, che differenza fa a chi sono stati dati gli ordini? Nessun prete potrà mai essere in grado di fare quello che io ho in mente, né quello che chiederò a te. Una missione che soltanto Dagmer Mascella spaccata potrà compiere.»

Dagmer bevve una lunga sorsata: «Parla».

“È tentato” pensò Theon. “Questo lavoro da beccamorti non piace a lui più di quanto piaccia a me.”

«Se mia sorella Asha può conquistare un castello, lo posso fare anch’io.»

«Tua sorella Asha ha quattro o cinque volte gli uomini che abbiamo noi.»

«Ma noi abbiamo quattro volte il suo cervello» Theon si concesse un sorriso mellifluo. «E cinque volte il suo coraggio.»

«Tuo padre…»

«… mi ringrazierà, quando gli offrirò il suo nuovo regno. Intendo compiere un’impresa che i menestrelli canteranno per i prossimi mille anni.»

A quel punto, seppe dare a Dagmer la giusta pausa di riflessione. Un menestrello aveva composto una canzone sull’ascia che gli aveva spaccato la faccia, e il vecchio adorava sentirla. Ogni volta che alzava un po’ troppo il gomito, chiedeva a gran voce che fosse suonata quella canzone, una ballata roboante e tempestosa piena di eroi caduti e gesta d’imperituro valore. “Ha i capelli bianchi e i denti marci, ma il gusto per la gloria non lo ha ancora perduto.”

«E io che parte avrei in questa impresa millenaria, ragazzo?» chiese Dagmer dopo una lunga pausa di silenzio.

E Theon Greyjoy seppe di avere vinto.

«Portare il terrore nel cuore del nemico, come solo il tuo nome può fare. Prenderai il grosso delle nostre forze e marcerai su Piazza di Thorren. Helman Tallhart ha guidato tutti i suoi uomini migliori nella guerra a sud. Mentre suo figlio Benfred e i loro figli sono morti qui, oggi. Rimane solo suo zio Leobald con una piccola guarnigione.» “E se solo avessi potuto interrogare Benfred, saprei anche quanto piccola.” «Non rendere segreto il tuo arrivo. Canta pure tutte le canzoni eroiche che vuoi. Voglio che loro chiudano le porte.»

«Piazza di Thorren è un castello molto forte?»

«Forte abbastanza. Le mura sono di pietra, alte dieci metri, con torri quadrate, a loro volta fortificate, a ogni angolo.»

«Non si può incendiare la pietra. Come facciamo a prendere quella fortezza? Non abbiamo uomini sufficienti per attaccare nemmeno un castello piccolo.»

«Ti accamperai sotto le loro mura e ti metterai a costruire catapulte e macchine d’assedio.»

«Non è questa la vecchia legge. O te ne sei scordato? Gli uomini di ferro combattono con la spada e la scure, non lanciando sassi. Non c’è gloria nel prendere un avversario per fame.»

«Ma questo, Leobald Tallhart non lo sa. Nel momento in cui vi vedrà erigere torri d’assedio, il suo sangue da vecchia avvizzita gli si gelerà nelle vene e si metterà a chiamare aiuto. Trattieni i tuoi arcieri, zio: che i corvi messaggeri spicchino pure il volo. Il castellano di Grande Inverno è un uomo valoroso, ma l’età gli ha inceppato anche il cervello, non solo le ossa. Nel momento in cui saprà che uno dei lord alfieri del suo re è stretto d’assedio dal temibile Dagmer Mascella spaccata, chiamerà a raccolta le sue forze e correrà in aiuto di Tallhart. È suo dovere. E ser Rodrik Cassel ha un enorme senso del dovere.»

«Qualsiasi forza metterà assieme, sarà più grossa della mia» obiettò Dagmer. «E quei vecchi cavalieri sono molto più astuti di quanto tu pensi, altrimenti non sarebbero arrivati ad avere i capelli grigi. Stai prospettando una battaglia, Theon, in cui siamo già sconfitti. Questa Piazza di Thorren non cadrà mai.»

Theon sorrise: «Non è Piazza di Thorren che voglio far cadere».

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