THEON

Il cielo era una cappa di nubi incombenti, le foreste morte, congelate. Stava correndo, radici affioranti cercavano di afferrarlo alle caviglie, rami bassi lo frustavano in faccia, lasciando tracce rosse sulle sue guance. Continuò a lanciarsi in avanti, senza direzione, senza fiato, sollevando piogge di ghiaccio davanti a lui. “Pietà” implorò. Gettò un’occhiata alle proprie spalle. Eccoli arrivare, lupi grossi come cavalli, con teste di bambino al posto del muso. “Pietà! Pietà!” Il sangue colava dalle loro fauci, nero come l’inchiostro, scavando buchi fumanti nella coltre nevosa. Ogni balzo portava le belve più vicine a lui. Theon Greyjoy cercò di correre più svelto, ma le sue gambe si rifiutavano di obbedire. Tutti gli alberi avevano facce e stavano ridendo di lui, ridendo. Di nuovo udì l’ululato. Poteva sentire l’alito caldo dei lupi, una zaffata carica del calore degli inferi, satura del lezzo della decomposizione. “Sono morti, morti! Li ho fatti uccidere!” Cercò di urlare. “Ho fatto immergere le loro teste mozzate nel catrame.” Ma quando aprì la bocca, uscì solo una specie di mugolio. Qualcosa lo toccò. Lui roteò su se stesso, urlando…


… annaspando alla ricerca della daga che teneva di fianco al letto. Riuscì solo a farla cadere a terra. Wex fece un balzo allontanandosi da lui. C’era Reek in piedi alle spalle del ragazzo muto, la faccia illuminata dal basso dalla fiamma della candela che reggeva.

«Che cosa?» urlò Theon. “Pietà!” «Che cosa volete da me? Perché siete nella mia camera da letto? Perché?…»

«Mio lord principe» disse Reek. «Tua sorella è a Grande Inverno. Hai chiesto di essere informato subito quando arrivava.»

«Era ora» mugugnò Theon, passandosi le dita tra i capelli. Aveva cominciato a temere che Asha lo abbandonasse al suo destino. “Pietà.” Gettò uno sguardo fuori dalla finestra. Le prime, vaghe luci dell’alba schiarivano il cielo dietro le torri di Grande Inverno. «Dov’è?»

«Lorren ha portato lei e i suoi uomini nella Sala Grande a fare colazione. La vedi adesso?»

«Sì, adesso.» Theon spinse le coperte di lato. Del fuoco non rimanevano che braci. «Wex, acqua calda.» Non poteva permettere che Asha lo vedesse in quello stato, fradicio di sudore, scarmigliato. “Lupi con teste di bambini…” Ebbe un tremito. «Chiudi le imposte.» La stanza era gelida come la foresta dell’incubo.

Negli ultimi tempi, tutti i suoi sogni erano stati pieni di freddo, e uno più orrendo dell’altro. Due notti prima, aveva sognato di nuovo di essere al mulino sul fiume Acorn, in ginocchio, intento a vestire i cadaveri. Le membra si stavano già irrigidendo. I corpi parevano opporre un’opaca resistenza mentre lui armeggiava su di loro con le dita mezzo congelate, tirando su brache, cercando di annodare stringhe, infilando stivali su piedi bloccati, affibbiando cinture di cuoio borchiato attorno a vite che poteva circondare con le mani. «Non ho mai voluto che si arrivasse a questo» aveva detto ai corpi. «Ma non mi hanno dato scelta.» I cadaveri non avevano risposto. Erano solo diventati più freddi, più pesanti.

E la notte prima, era stata la moglie del mugnaio. Theon aveva dimenticato il suo nome. Ricordava però il suo corpo: seni morbidi come cuscini, smagliature sul ventre, il modo in cui gli piantava le unghie nella schiena mentre lui la scopava. Nel sogno, Theon era di nuovo a letto con lei, ma questa volta lei aveva denti sopra e sotto. Gli aveva squarciato la gola e strappato via la virilità. Pura follia. Aveva visto morire anche lei. Gelmarr l’aveva abbattuta con un singolo colpo d’ascia mentre implorava Theon di avere misericordia. “Lasciami, donna. È stato lui a ucciderti, non io. E anche lui è morto.” Per lo meno, Gelmarr non tornava a tormentarlo in sogno.

La memoria degli incubi si era sfilacciata quando Wex aveva fatto ritorno con l’acqua calda. Theon si tolse di dosso il sudore e gli umori della notte, vestendosi poi con tutta calma. Asha lo aveva fatto aspettare fin troppo, adesso era il suo turno di aspettare. Scelse una tunica di satin a strisce oro e nere e un elegante corpetto di cuoio con borchie d’argento… rendendosi conto solo in quel momento che per sua sorella le lame erano molto più importanti della bellezza. Imprecando, si tolse quegli abiti e ne indossò altri: lana nera e maglia di ferro. Attorno alla vita si affibbiò il cinturone con la spada e la daga, ricordando la notte in cui Asha lo aveva umiliato davanti a tutti al tavolo del loro padre. “Il suo caro pargoletto, certo. Ebbene, ho anch’io un coltello. E so come usarlo.”

Infine si mise in capo la corona, un anello di gelido ferro, sottile come il dito di un uomo, con incastonati spessi bulbi di diamanti neri e pepite d’oro. Era brutta, distorta, ma non c’era niente da fare. Mikken giaceva sepolto oltre il fossato, e il nuovo fabbro se la cavava a stento con chiodi e ferri di cavallo. In fondo, quella era soltanto la corona di un principe, si consolò Theon. Una volta che fosse stato re, ne avrebbe portata una molto più bella.


Reek era in attesa fuori della porta, insieme a Urzen e a Kromm. Theon si mise in mezzo a loro. Negli ultimi tempi, si portava dietro le guardie dovunque andasse, perfino al cesso. Grande Inverno lo voleva morto. La notte stessa in cui erano rientrati dal fiume Acorn, Gelmarr il Tetro era caduto da certe scale di pietra e si era spezzato la schiena. Il giorno dopo, Aggar era stato trovato con la gola squarciata da un orecchio all’altro. Gynir Nasorosso era teso al punto da evitare il vino e dormire in maglia di ferro, elmo e corazza. Si teneva anche vicino il cane più rumoroso del canile, in modo da essere svegliato all’istante se qualcuno si avvicinava troppo a dove dormiva. Un giorno, l’intero castello si era destato al suono del suo abbaiare isterico. Il cagnolino fetente correva su e giù intorno alla cisterna. Nasorosso galleggiava a faccia in sotto dentro di essa, morto da un pezzo.

Theon non poteva permettere che quei delitti rimanessero impuniti. Farlen, il mastro dei canili, era sospettabile come chiunque altro. Così Theon allestì una specie di tribunale, giudicò Farlen colpevole e lo condannò a morte. Ma perfino quello andò storto. «Lord Eddard le eseguiva sempre lui, le sentenze» disse il mastro nel mettere la testa sul ceppo. Theon fu costretto a occuparsene di persona, altrimenti sarebbe apparso un debole. Solo che aveva le mani sudate e la presa sull’impugnatura della spada gli scivolò a metà del colpo. La lama cadde tra le spalle di Farlen, ci vollero tre altri fendenti perché si aprisse la strada tra muscoli, tendini e ossa, staccando finalmente la testa dal corpo. Più tardi, ricordando tutte le volte che lui e Farlen si erano seduti insieme davanti a una coppa di vino a parlare di cani e di caccia, Theon si era sentito male. “Non ho avuto scelta” avrebbe voluto urlare al cadavere decapitato. “Gli uomini di ferro non sanno tenere i segreti, alcuni di noi sono morti e qualcuno doveva pagare.” Avrebbe solo voluto ucciderlo in modo più pulito. Ned Stark non aveva mai avuto bisogno di più d’un colpo per decapitare un uomo.

Dopo la morte di Farlen, le uccisioni erano cessate, ma i suoi uomini continuavano comunque a rimanere tetri e ansiosi. «Non temono nessun avversario in campo aperto» gli aveva detto Lorren il Nero. «Ma vivere in mezzo a nemici è un’altra cosa. Non sai mai se la lavandaia vuole baciarti o ucciderti. Non sai mai se il ragazzino delle cucine ti versa vino o veleno. Dobbiamo andare via da questo posto.»

«Io sono il principe di Grande Inverno!» gli aveva gridato Theon. «Questo è il mio scranno, e nessun uomo mi farà mai rinunciare a esso. Né alcuna donna!»

“Asha. È lei a scavarmi la fossa. La mia cara sorellina… che gli Estranei possano fottersela con una spada.” Asha lo voleva morto, era chiaro, in modo da poter prendere il suo posto quale erede di loro padre. Per questo lo aveva lasciato lì a languire, ignorando tutti quegli ordini urgenti che lui le aveva inviato.

La trovò sbracata nell’alto scranno degli Stark, che strappava pezzi di cappone con le mani. La sala riecheggiava delle voci dei suoi uomini, intenti a scambiarsi storie di guerra con gli uomini di Theon, tutti mezzi ubriachi. Il caos era talmente assordante che il suo ingresso venne ignorato.

«Dove sono gli altri?» domandò a Reek. Non c’erano più di cinquanta uomini a ingozzarsi seduti dietro i tavoli a cavalletto. La Sala Grande di Grande Inverno poteva ospitarne dieci volte tanti.

«La compagnia è tutta qua, milord.»

«Tutta qua?… ma quanti uomini ha portato Asha?»

«Venti, se conto bene.»

Theon Greyjoy marciò fino a sua sorella. Asha stava ridendo alla battuta di uno dei guerrieri. Si interruppe nel vederlo avanzare.

«Guarda un po’ chi c’è» gettò un osso a uno dei cani che si aggiravano per la sala. «Il principe di Grande Inverno…» sotto il gran naso da uccello da preda, le sue labbra carnose si distorsero in un sogghigno di scherno «o forse è il principe degli idioti?»

«L’invidia peggiore si fa donna.»

Asha si leccò le dita unte di grasso. Una ciocca di capelli neri le ricadde sugli occhi. I suoi uomini stavano urlando, chiedendo pane e pancetta. Erano in pochi, ma facevano un baccano d’inferno.

«Invidia, Theon?»

«Come altro vorresti chiamarla? Con trenta uomini, ho catturato Grande Inverno in una sola notte. A te ne sono serviti mille e un intero ciclo di luna per prendere Deepwood Motte.»

«Sai com’è, fratello, non sono certo il grande guerriero che sei tu.» Mandò giù un mezzo corno di birra e si pulì le labbra con il dorso della mano. «Ho visto le teste mozzate sul portale. Dài, dimmi la verità, quale dei due ha combattuto con maggior ferocia. …lo storpio o l’infante?»

Theon Greyjoy sentì il sangue andargli alla testa. Non provava alcuna gioia per quelle teste, non più di quanta ne avesse provata sventolando i cadaveri decapitati dei bambini davanti a tutto il castello. La Vecchia Nan era rimasta come impietrita, la sua bocca sdentata si apriva e si chiudeva senza suono. Farlen gli si era gettato addosso ringhiando come uno dei suoi mastini. Urzen e Cadwyl lo avevano pestato fino a fargli perdere i sensi con le aste delle loro lance. “Come si è potuto arrivare a questo?…” Aveva pensato mentre stava immobile davanti ai due piccoli corpi tempestati dalle mosche.

Maestro Luwin era stato l’unico con abbastanza stomaco da avvicinarsi. Il volto di pietra, il piccolo uomo grigio lo aveva implorato di lasciargli ricucire le teste mozzate sui cadaveri dei due ragazzini, in modo che potessero riposare nelle cripte, insieme a tutti gli altri Stark defunti.

«No» aveva risposto Theon. «Non nelle cripte.»

«Ma perché no, mio signore? Adesso, certo non possono farti più del male. È là che devono stare. Tutte le ossa degli Stark…»

«Ho detto no.»

Aveva bisogno che le teste restassero sulle mura, ma quello stesso giorno aveva bruciato i piccoli corpi decapitati, vestiti di tutto punto. Dopodiché, si era inginocchiato tra le ceneri, recuperando un’informe massa di argento e di smalto nero liquefatta dal calore. Tutto quello che restava del fermaglio a forma di testa di lupo che un tempo era appartenuto a Bran. Ancora lo conservava.

«Sono stato generoso verso Bran e Rickon» disse ad Asha. «Hanno deciso loro d’incontrare quel destino.»

«Tutti noi decidiamo quale destino incontrare, fratellino.»

La sua pazienza si era esaurita: «Come ti aspetti che io possa tenere Grande Inverno con venti uomini?».

«Con dieci uomini» corresse Asha. «Gli altri ritornano con me. Tu certo non vorrai che la tua povera sorellina affronti i pericoli della foresta senza un’adeguata scorta, non è vero? Ci sono meta-lupi in agguato nell’oscurità.» Si alzò dal grande scranno di pietra e si mise in piedi. «Forza, andiamo da qualche parte dove parlare in privato.»

Aveva ragione, ma lo irritò che fosse stata lei a proporlo. “Non avrei mai dovuto presentarmi in questa sala” si accusò Theon con rabbia. “Avrei dovuto far venire lei da me.” Solo che adesso era troppo tardi.


Non ebbe altra scelta se non precedere Asha nel solarium che era stato di Ned Stark. Fu là, davanti alle ceneri di un fuoco ormai estinto, che cominciò a raccontare precipitosamente «Dagmer Mascella spaccata è stato sconfitto a Piazza di Thorren…»

«Lo so» disse Asha con calma. «Il vecchio castellano ha fatto breccia nelle sue barriere fortificate. Che cos’altro ti aspettavi? Questo ser Rodrik Cassel conosce perfettamente il terreno, mentre Mascella spaccata non lo conosceva affatto. Molti degli uomini del Nord erano a cavallo. Gli uomini di ferro non hanno la disciplina per reggere una carica di cavalleria pesante. Dagmer vive, e di tanto sii grato. Sta guidando i superstiti verso la Costa Pietrosa.»

“Sa ben più di quanto non sappia io” capì Theon. Il che lo fece infuriare ancora di più. «La vittoria ha dato a Leobald Tallhart il coraggio di uscire da dietro le mura per unirsi a ser Rodrik. Ho anche rapporti che dicono che lord Manderly di Porto Bianco ha mandato su per il fiume una dozzina di chiatte cariche di cavalieri, cavalli da battaglia e macchine da guerra. Oltre l’Ultimo Fiume, anche gli Umber si stanno preparando allo scontro. Alla prossima luna, ci sarà un intero esercito sotto le mie mura… e tu mi porti dieci uomini

«E sono anche troppi.»

«Io ti ho ordinato…»

«Nostro padre mi ha ordinato di prendere Deepwood Motte» sibilò Asha. «Non ha mai parlato di andare a salvare il mio fratellino.»

«All’inferno Deepwood Motte» ribatté Theon. «È una latrina di legno sulla sommità di una collina. Il cuore della terra è Grande Inverno, ma come credi che riuscirò a tenerla senza una guarnigione?»

«A questo avresti dovuto pensare prima di prenderla. Oh, è stata un’impresa abile, lo riconosco. Se solo tu avessi avuto il buon senso di radere il castello al suolo e di portare i due principini a Pyke come ostaggi, avresti vinto la guerra con un solo colpo di mano.»

«E ti sarebbe piaciuto, giusto? Vedere il mio trofeo ridotto a rovine e cenere.»

«Questo tuo trofeo sarà la tua catastrofe. Le piovre sorgono dal mare, Theon, o forse te ne sei dimenticato, con tutti gli anni che hai passato in mezzo ai lupi? La nostra forza sono le nostre navi lunghe. La mia latrina di legno si trova abbastanza vicina al mare da consentirmi di essere rifornita di vettovaglie e di uomini ogni volta che ne ho bisogno. Mentre Grande Inverno è centinaia di chilometri nell’entroterra, circondata da foreste, da colline, da fortini e castelli ostili. E non farti illusioni, Theon: adesso ogni uomo in quelle centinaia di chilometri è tuo nemico. È diventata una certezza nel momento in cui hai infilato quelle due teste sulle picche.» Asha scosse il capo. «Come hai potuto essere così cieco, così idiota? Due bambini!…»

«Mi avevano sfidato!» Theon le urlò in faccia. «E poi, sangue chiama sangue, due figli di Eddard Stark contro Rodìik e Maron Greyjoy.» La parole gli vennero fuori quasi senza pensare, ma Theon fu certo che suo padre avrebbe approvato. «Ho dato pace agli spiriti dei miei fratelli.»

«Dei nostri fratelli» ma il sorriso che aleggiava sulle labbra di Asha gli fece capire quanto lei non fosse per niente convinta di quel discorso sulla vendetta. «Te li sei portati dietro fino da Pyke, i loro spiriti, fratellino? E io che pensavo fosse solo nostro padre che loro continuavano a tormentare.»

«Quando mai una donna ha potuto capire il bisogno di vendetta di un uomo?» Se anche lord Balon non apprezzava il dono rappresentato da Grande Inverno, doveva approvare la volontà di Theon di vendicare i suoi fratelli!

Asha ebbe una risata gorgogliante: «Questo ser Rodrik potrebbe avere lo stesso virile bisogno, ci hai pensato? Qualsiasi cosa tu sia diventato, Theon, rimani pur sempre sangue del mio sangue. Nel nome della madre che ci ha dato la vita, ti chiedo di tornare con me a Deepwood Motte. Da’ fuoco a Grande Inverno e ritirati… finché sei ancora in tempo».

«No.» Theon si aggiustò la corona. «Ho preso questo castello e intendo tenerlo.»

Sua sorella rimase a fissarlo per un lungo momento. «E allora tienitelo pure… per il resto della tua vita.» Asha sospirò. «Io dico che è follia, ma che potrà mai saperne di queste cose una timida fanciulla?» Sulla soglia, gli fece un sorriso di scherno. «A proposito, quella è la corona più brutta che abbia mai visto. Te la sei fatta tu?»

Se ne andò, lasciandolo furibondo.


Asha Greyjoy rimase a Grande Inverno solo il tempo necessario per nutrire e abbeverare i cavalli. Proprio come aveva minacciato, metà dei suoi uomini vennero via con lei. Uscirono da quella stessa Porta dei Cacciatori che Bran e Rickon avevano usato per scappare.

Theon li osservò andarsene dalla sommità delle mura. Dopo che sua sorella fu svanita nelle brume della foresta del lupo, la domanda, inevitabilmente, affiorò: perché non l’aveva ascoltata e non era andato via con lei?

«Andata, sì?»

C’era Reek alle sue spalle. Theon non l’aveva udito avvicinarsi. Né aveva percepito il suo lezzo. Era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere. Gli metteva freddo l’idea che quell’individuo continuasse a respirare considerando quanto sapeva. “Dopo che lui aveva sistemato gli altri, avrei dovuto ucciderlo.” Ma la cosa lo rendeva nervoso. Inaspettatamente, Reek sapeva leggere e scrivere e astuto com’era poteva aver nascosto da qualche parte un documento che rivelava ciò che loro avevano fatto.

«Milord principe, chiedo perdono per dirlo, ma non è giusto che lei ti abbandoni. E dieci uomini, quelli non sono nemmeno lontanamente abbastanza.»

«Sono ben consapevole di questo» rispose Theon. “Così come lo era Asha.”

«Forse posso aiutarti» continuò Reek. «Dammi un cavallo e un sacco di monete, e io ti trovo uomini bravi.»

Gli occhi di Theon si strinsero: «Quanti?».

«Cento, magari. Duecento. Forse di più.» Sorrise, occhi pallidi che mandavano lampi. «Io qua nel Nord ci sono nato. Ne conosco tanti, di uomini, e tanti uomini conoscono Reek.»

Duecento uomini non erano certo un esercito, ma non gliene servivano migliaia per tenere una fortezza poderosa come Grande Inverno. Bastava che fossero in grado d’imparare da quale parte s’impugna una lancia, e potevano cambiare le cose.

«Tu fa’ quello che dici di poter fare» disse Theon. «E scoprirai che non sono affatto un ingrato.»

«Bene, milord, è da quando ero con lord Ramsay che non vedo una donna» rispose Reek. «Ho messo gli occhi su Palla, e so che è già stata presa…»

Theon si era spinto troppo oltre con Reek per tornare indietro adesso: «Duecento uomini e lei è tua. Un solo uomo in meno, e puoi tornartene a fottere scrofe».

Reek si dileguò prima del tramonto, portando con sé una bisaccia d’argento degli Stark e le ultime speranze di Theon Greyjoy. “Questo pezzo di sterco non lo rivedrò mai più” rimuginò acidamente Theon. “È pressoché certo.” Ma era un rischio che doveva correre.


Quella notte, ebbe un ennesimo incubo.

Sognò il banchetto che Ned Stark aveva dato in onore di re Robert in occasione della sua visita a Grande Inverno. Fuori, i venti freddi soffiavano sempre più forti, ma la Sala Grande era piena di musica e di risate. Al principio, c’erano vino e carne arrostita, Theon faceva battute e occhieggiava le servette e si divertiva… fino a quando notò che la sala stava diventando sempre più buia. La musica non sembrava allegra come prima. Udì delle stecche, strani silenzi, note che parevano come sanguinare nell’aria. Di colpo, il vino che aveva in bocca divenne amaro. E quando alzò lo sguardo, stava banchettando con i morti.

Re Robert, il ventre squarciato, sedeva con le viscere sparse sul tavolo. Eddard Stark era accanto a lui, senza testa. Cadaveri si allineavano sulle panche. Putrida carne grigiastra che si disfaceva dalle loro ossa mentre sollevavano le coppe. Viscidi torrenti di vermi si contorcevano dentro e fuori dalle loro cavità orbitali svuotate. Lui li conosceva, tutti quanti: Jory Cassel e Fat Tom, Porther e Cayn e Hullen mastro dei cavalli, e tutti gli altri che erano andati a sud, ad Approdo del Re, per non fare più ritorno. Mikken il fabbro e Chayle il septon sedevano insieme, l’uno grondante sangue, l’altro acqua. Benfred Tallhart e le sue Lepri selvagge occupavano un tavolo tutto loro. C’era anche la moglie del mugnaio, e Farlen, e addirittura il bruto che Theon aveva abbattuto con una freccia nella foresta del lupo quando aveva salvato la vita a Bran.

C’erano anche facce che non aveva mai visto in vita, ma solo scolpite nella pietra. La fanciulla snella e triste, con la corona di pallide rose blu e l’abito inzuppato di sangue, non poteva essere che Lyanna. Suo fratello Brandon era in piedi accanto a lei, il lord loro padre, Rickard Stark, dietro di loro. Lungo i muri, figure indistinte si muovevano tra le ombre, spettri lividi dai lunghi volti tetri. La loro vista fece affondare la lama della paura nel cuore di Theon. Le grandi porte si spalancarono con un boato, il vento gelido soffiò nella sala. Dalle tenebre della notte, emerse Robb Stark. Vento grigio camminava accanto a lui, gli occhi in fiamme. Uomo e lupo entrambi sanguinavano da cento orribili ferite.

Theon si svegliò urlando. Wex si spaventò al punto da scappare fuori dalla stanza, nudo come un verme. Le sue guardie fecero irruzione, con le spade sguainate. Lui ordinò loro di far venire il maestro. Quando Luwin si presentò, arruffato e assonnato, una coppa di vino era riuscita a ridurre il tremito che scuoteva le mani di Theon, e lui si vergognava del panico che aveva provato.

«Un sogno» mugugnò. «Solo quello. Non significa nulla.»

«Nulla» concordò solennemente Luwin.

Il sapiente gli lasciò una pozione per dormire, ma Theon la versò nella latrina un momento dopo che il maestro se ne fu andato. Luwin era un maestro, ma era anche un uomo e l’uomo non aveva alcun amore per lui. “Vuole che dorma, certo… che dorma e che non mi svegli più. Lo vorrebbe quanto lo vuole Asha.”

Mandò a chiamare Kyra, chiuse la porta con un calcio, le si mise sopra e scopò la ragazzina con una furia che nemmeno sapeva potesse esistere dentro di sé. Quando ebbe finito, Kyra stava singhiozzando, la gola e i seni coperti di lividi e tracce di morsi. Theon la scaraventò fuori dal letto e le gettò una coperta.

«Vattene.»

Ma nemmeno allora fu in grado di dormire.

All’alba, si vestì e uscì all’esterno, sul camminamento delle mura. Un duro vento autunnale soffiava tra le fortificazioni. Gli arrossò le guance, gli fece lacrimare gli occhi. Osservò la foresta sotto di lui passare dal grigio al verde mentre la luce del giorno dilagava sugli alberi silenziosi. Alla sua sinistra, le cime delle torri si levavano oltre le mura esterne, mentre i tetti erano illuminati dal sole sorgente. Le foglie rosse dell’albero-diga parevano un vortice di fiamme nel verde del parco degli dei. “Il bosco degli Stark, il castello degli Stark, la spada degli Stark, gli dei degli Stark. Questo è il loro luogo, non il mio. Io sono un Greyjoy di Pyke delle isole di Ferro, nato per dipingere una piovra sul mio scudo e per navigare il grande mare salato. Avrei dovuto andare con Asha.”

Sui rostri di ferro sopra il corpo di guardia, le teste mozzate aspettavano.

Theon le osservò in silenzio, mentre il vento gli afferrava il mantello con piccole mani fantasma. I figli del mugnaio avevano la stessa età di Bran e Rickon, la stessa corporatura, lo stesso colorito. Una volta che Reek aveva scuoiato le facce e immerso le teste nel catrame, non era stato difficile credere di riconoscere lineamenti noti in quei distorti grumi di carne putrefatta. La gente era così idiota…

“Se avessi detto loro che erano teste d’ariete, avrebbero visto le corna.”

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